Cartosio

AutoriGiana, Luca
Anno Compilazione2002
Anno Revisione2015
Provincia
Alessandria.
Area storica
Adiacenza Val Bormida di Spigno.
Abitanti
817 (ISTAT 1991); 797 (dati comunali 31 dicembre 2001).
Estensione

16,66 kmq.

Confini
A nord Castelletto d’Erro, Melazzo e Cavatore, a est Ponzone, a sud Malvicino, a ovest Montechiaro.
Frazioni
Camugno, Catalana, Colombara, Ferrari, Gaini, Garini, Licot-Garrone, Rivere, Saquana, Viazzi, Arbiglia Pesca (isola amministrativa).
Toponimo storico
Nella documentazione medievale il toponimo è attestato come «Cartosium» (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 9 del 1052) o «Cartoxium» (Documenti Genovesi, doc. 318 del 1218).
Diocesi
Acqui.
Pieve
Non sono presenti resti di Pievi nel comune, ma, nel registro delle comandate del 1837, viene riportato il nome di una località di residenza che si chiama pieve.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Verso il 1040-41, il vescovo di Acqui dona al monastero di San Pietro alcune proprietà: 15 mansi si trovano fra i luoghi di Melazzo, Cartosio e Castelnuovo Bormida (Le carte medievali, doc. 16). Tempo dopo, lo stesso vescovo fonda il monastero femminile di Santa Maria cui dona alcuni beni; in particolare dal suo patrimonio personale viene tratto un manso in Cartosio (Le carte medievali, doc. 19 del 1056-58).
La chiesa parrocchiale è intitolata a S. Andrea e possiede cinque altari: l’altare maggiore, l’altare del S. Spirito, del S. Rosario, di S. Sebastiano e di S. Anna. Nella parrocchia sono presenti le compagnie del SS. Sacramento, del SS. Rosario e del Corpus Domini. È attestata l’istituzione, a partire dal 1631, delle cappelle di S. Antonio, S. Rocco e S. Gerolamo, dal 1636 anche quelle di S. Martino e S. Defendente, dal 1683 la cappella della B. Vergine di Pallareto e dal 1714 della B. V. Addolorata (cfr. rispettivamente ASVA, Cartosio fondo Parrocchia di S. Andrea, fald. 1, cart. 3, fascc. 1, 2, 3 e 4). Si può rilevare in epoca contemporanea l’edificazione della cappella di S. Pietro (ASVA, Cartosio fondo Parrocchia di S. Andrea, fald. 1, cart. 3, fasc. 6). Esisteva precedentemente una vecchia cappella di S. Pietro senza reddito che venne abbandona. Di queste cappelle quella della Vergine Santissima, detta di Pallareto, la chiesa di S. Rocco e la chiesa di S. Martino sono gestite dalla comunità, mentre la chiesa di S. Pietro, S. Antonio, S. Bernardo e della Nostra Signora Addolorata sono gestite dai «particolari delle ville in cui si trovano».
Il Monte di Pietà è costituito dai redditi dell’altare di S. Sebastiano di pertinenza della Confraternita del Corpus Domini.
Esiste infine un lascito pio degli Asinari per le orfane di Cartosio. I redditi di due castagneti sono infatti da devolvere alle ragazze orfane. La comunità di Cartosio è chiamata a gestire il lascito e il parroco nel 1728 denuncia che i beni del lascito Asinari restano in mano dei rappresentanti della comunità e non vengono ridistribuiti come previsto (ASVA, 1728 Relazione parrocchiale).
A partire dal XVII secolo e fino alla fine del XVIII, sono presenti a Cartosio un chierico e sette sacerdoti, successivamente sarà presente il solo parroco.
Luoghi Scomparsi
Tra le oltre sessantacinque località in cui è diviso il libro del catasto del 1758 solo undici compaiono tra le frazioni censite nel 1991. Alcune persistono come località all’interno delle frazioni, altre invece sembrano sparire ma non si conoscono le vicende che ne hanno provocato la scomparsa.
Comunità, origine, funzionamento
La prima diretta indicazione dell’esistenza di un’organizzazione comunale si ha solo nel 1318, allorché il marchese di Busca viene chiamato a risolvere con sentenza la lite sui confini tra gli uomini «commune et homines» di Cartosio e quelli di Melazzo. Nel documento si fa cenno all’istituzione di Rettori comunali (Monumenta aquensia, vol. III, p. 234, doc. 993 bis). Per avere un’altra chiara attestazione di un comune attivo bisogna aspettare il 1425. Vengono menzionati i consiglieri e i capifamiglia accanto al signore di Cartosio, al castellano e al probabile feudatario, Giorgetto Asinari. In questo caso si tratta della nomina dei nunzi e dei procuratori per ratificare gli accordi stipulati con il comune di Acqui e per regolare le controversie dei signori e del comune di Cartosio con quello di Montechiaro (Le carte medievali, doc. 291). Alla stessa data risale un’attestazione dell’esistenza di un castello (Monumenta aquensia, vol. I, col. 390, n. 364).
A partire dal 1545, troviamo gli uomini di Cartosio in conflitto con quelli di Malvicino. La lite, documentata per tutto il Seicento, è documentata anche nel 1717 e descrive un conflitto a tre: Montechiaro contro Malvicino contro Cartosio. In questo contesto vengono nominati gli uomini di Cartosio (AST, Corte, Feudi Imperiali 43-I, mazzo 11 e fondo Langhe 55, R mazzo J, 1).
Un’ulteriore attestazione dell’attività della comunità di Cartosio ci proviene da un registro di ordinati comunali risalente al 1622-1634 in cui vengono istituiti i bandi campestri (AC Cartosio, ordinati, 12 marzo 1623).
Statuti

Non vi sono in archivio rimandi agli statuti della comunità, ma si sono conservati alcuni ordinati relativi ai bandi campestri.

Catasti

Catasti del 1758 (si veda Ordinati).

Ordinati

L’archivio comunale non conserva serie di ordinati continuative, ma solo alcuni fascicoli sparsi. In particolare si sono conservati gli ordinati relativi ai bandi campestri e i catasti del 1758.

Dipendenze nel Medioevo
Nel 1052 l’imperatore Enrico III concede alla chiesa di Acqui alcuni privilegi in Acqui e terre nella regione, fra cui Cartosio (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 9). Un secolo dopo (1156), il papa Adriano IV conferma ai canonici di Acqui i diritti e le proprietà della loro chiesa fra cui risultano beni nel luogo di Cartosio (Le carte medievali, doc. 28).
Del 1258 è un atto con cui il vescovo Enrico dà in enfiteusi ad un privato alcuni beni del vescovato siti in Cartosio e nel suo territorio (Monumenta aquensia, vol. I, col. 698, lin. 57). Che il luogo dipendesse dall’episcopato acquense risulta ancora da un documento trecentesco in cui un certo Oppicio Mori di Ponzone deve giurare fedeltà al vescovo per i suoi beni «in villa Cartoxii e eius posse» (Le carte medievali, doc. 244 del 1342-73 con copia di un atto del 1307). Tuttavia, nel secolo seguente appare attestato un castellano di Cartosio, che a nome di Giorgetto Asinari, insieme ai suoi parenti marchesi di Ponzone, alla presenza dei rappresentanti del comune è incaricato di scegliere dei procuratori per ratificare gli accordi stipulati tra il comune stesso e quello di Acqui, nonché per regolare le controversie dei signori e del comune di Cartosio con il comune di Montechiaro (Le carte medievali, doc. 291 del 1425; Monumenta aquensia, vol. I, col. 390, n. 364).
Feudo
La prima attestazione del luogo in epoca medioevale risale al 1040-41 nella donazione del vescovo Guido a favore del monastero di San Pietro in Acqui. Nel 1052, Enrico III concede all’episcopato acquense di estendere la giurisdizione anche su Cartosio. Nel 1218 il marchese del Bosco e il figlio cedono al comune di Alessandria alcuni castelli di vari luoghi, fra cui «castrum et villa Caroxi» o «de Cartoxium», per i quali vengono immediatamente infeudati (Cartario alessandrino, vol II, doc. 374; Documenti Genovesi, doc. 318). Nel 1307 il vescovo di Acqui investe Opicio Mori di Ponzone di un certo numero di beni in Cartosio, ricevendone il giuramento previsto (Monumenta aquensia, vol. I, col. 273, n. 268). Dal 1382 il luogo risulta feudo della famiglia astigiana degli Asinari di San Marzano (Manno, vol. IV, p. 81), sebbene un castello di proprietà sia attestato già nel secolo precedente.
Mutamenti di distrettuazione
In epoca basso medievale apparteneva al vescovado di Acqui, successivamente, nella guerra con Alessandria, appartenne per un certo periodo al comune di Alessandria. Venne infeudato nel 1341 ad Alessandro Asinari e figli. Nell’investitura successiva, 5 aprile 1382, gli Asinari vengono infeudati sui seguenti territori: Belangero, Moasca, S. Marzano, Canelli, Vesne, S. Giorgio, Mombaldone, Montechiaro, Cartosio e Malvicino (AST, Corte, Paesi per A e B, Cartosio, mazzo 16).
     In anni recenti ha aderito alla Comunità Montana Alta Valle Orba, Erro e Bormida di Spigno, dal 2005 denominata Comunità Montana “Suol D'Aleramo”.

 
Mutamenti Territoriali
Nel 1667, il censo di Cartosio viene venduto, da parte del Monferrato, a Ottavio del Carretto. Ottavio del Carretto però aspira a unificare il censo di Cartosio, diviso precedentemente tra il Monferrato, i marchesi di Ponzone e i domenicani di Varazze (per questi ultimi si tratta di beni stimati in 6.14 doppie). 175 doppie di Spagna vengono pagate al marchese Ivaldo di Ponzone. I beni erano stati venduti ai domenicani, nella persona di Padre Andrea Fava, dalla comunità di Cartosio il 5 marzo 1640. Si tratta di una terra prativa e arativa e un’altra di bosco per un totale di 150 doppie a 8 per cento annuo.
Cartosio era stato inserito nella provincia di Acqui già all’atto della sua istituzione negli anni Trenta del XVIII secolo. Nel periodo napoleonico appartenne, tra il 1798 e il 1805, al dipartimento del Tanaro e successivamente a quello di Montenotte. Nel 1815, dopo la dominazione napoleonica, venne ripristinata la provincia di Acqui divisa nei quattro cantoni (Ponzone, Pareto, Bistagno e Roccaverano). Cartosio venne inserito nel cantone di Ponzone insieme a Cavatore, Grognardo e Morbello.
Alla costituzione della provincia di Alessandria Cartosio viene stabilmente inserito in questo distretto amministrativo.
Nel 1880, quando viene riformata la provincia di Alessandria, il comune di Malvicino offre a quello di Cartosio, le due località di Arbiglia e Pesca per motivi fiscali. Le due località anticamente comparivano tra i possedimenti di Cartosio. Questo le aveva cedute alla chiesa di Acqui. Nel 1483 vennero accorpate al feudo di Malvicino. Malvicino, dopo il 1880 non riescì più a riscattare i due insediamenti e quindi attualmente rimangono un’isola amministrativa del comune di Cartosio sulla riva sinistra dell’Erro (cfr. Malvicino).
Comunanze
Il documento del 1318, relativo alla nuova definizione dei confini tra il comune di Cartosio e quello di Melazzo lungo il torrente Erro (Monumenta aquensia, vol. III, p. 234, doc. 993 bis), tratta della apposizione ben chiara di ceppi di confine a delimitazione delle rispettive aree di pertinenza e di diritti esercitabili, con la precisazione di ciò che ciascun comune non può fare nel territorio dell’altro, fatta salva la possibile comunanza di raccolti una volta pagate le dovute imposte. Dei riferimenti indicati è al momento impossibile identificarne alcuno con la denominazione moderna («fossatum de Mazucho», «Moyetan e Isola rotunda», «Castagneto Scalone»).
Il territorio di Cartosio è poi oggetto di una sentenza del vicario del marchese di Monferrato verso la fine del XIV secolo (1385), relativa ad una lite fra il comune di Bistagno e quello di Terzo. Non è ben chiaro dove tale territorio si estendesse e se rientrasse esclusivamente sotto il controllo di Bistagno; pare comunque essere una sorta di terra neutra per quanto riguarda la giurisdizione sui pascoli e alcuni possedimenti di privati cittadini di entrambi i comuni (Savio 1967, p. 251, doc. 1192 bis).
Cartosio dona alcuni diritti alla chiesa di Acqui, riguardanti proprio i territori citati nel documento del 1425, che verranno ceduti al comune di Malvicino nel 1484: si tratta del diritto di pascolo e di fare legna nel bosco di «Arbilla» situato nel territorio e nella giurisdizione di Cartosio. Il bosco, che confina con il monte Mazulino, il fiume Erro e il fossato Bozolasco, è anche oggetto di divisione con il comune di Montechiaro, col quale è necessario definire i confini (che però il documento non precisa) (Monumenta aquensia, vol. I, col. 390, n. 364).
Liti Territoriali
Sono attestate da una cartografia storica, accompagnata da un volume di corredo, presso l’Archivio di Stato di Torino delle liti territoriali per definire i confini tra Montechiaro e Malvicino (feudi imperiali) e Malvicino e Cartosio (feudi monferrini): le carte hanno cronologie che coprono l’andamento della disputa e le precedenti rivendicazioni dal 1284 al 1663.
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Cartosio).
     Le fonti locali a disposizione sono modeste. Mi pare che questa selezione e conservazione sia da spiegare per l’uso, anche in epoche recenti, di questo tipo di materiale. Sono leggibili anche alcuni registri di comandate ottocentesche. Alcune notizie sulle vicende di Cartosio sono presenti negli archivi di Torino in particolare nei fondi Feudi Imperiali, fondi Monferrato e fondo Paesi per A e B.
     L’archivio di Stato di Alessandria conserva le carte notarili divise nei due fondi «notai» e «notai del Monferrato» in particolare sono conservati i documenti dal 1573 al 1838 così ripartiti: cinque notai di Cartosio (Derossi Alessandro 1787-1803, Gaino Antonio 1702-1737, Moreno Ascanio Giovanni 1800-1832, Roffredo Carlo 1741-1787, Roffredo Giacomo Antonio 1776-1838) e dieci notai del Monferrato (Alessandri Benedetto 1580-1592, Cerruti Ambrogio 1664-1685, Roffredi Gio Ambrogio 1574-1588, Roffredi Gabriele 1633-1660, Rossi Antonio 1577-1600, Rossi Antonio 1653-1658, Rossi Gio Giorgio 1573-1608, Rossi Gio Alberto 1620-1671, Tessera Gerolamo 1600-1634, Ventura Giovanni 1603).
Se si analizza l’operato dei notai si deduce che tra quelli distrettuali, operanti a partire dal XVIII secolo, si registrano fino a tre notai che rogano contemporaneamente nel 1800, mentre per il secolo precedente si registra un solo notaio. Molto differente è la situazione del periodo monferrino: i notai che rogano nello stesso periodo a Cartosio sono due nella seconda metà del XVI secolo, quattro nelle prima metà del XVII secolo e altri quattro nella seconda metà del XVII.
Rodolphe Schovani, capitano ingegnere geografo dell’esercito, nel 1805 indice una ricognizione di alcuni paesi della Val Bormida di Spigno per realizzare la carta generale dei campi di battaglia o «carte des marches». Le lettere di risposta dei sindaci all’inchiesta sono conservate a Vicennes (SHAT, mr. 1364).
Bibliografia
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Descrizione Comune
Cartosio
     I dati ISTAT del 1991 presentano il territorio comunale composto da tredici frazioni e un centro. I dati sulla popolazione indicano un territorio fortemente frammentario che tende ad accentrarsi verso il borgo di Cartosio ancora negli ulitmi decenni di questo secolo (il paese conta 313 abitanti nel 1991 e 248 nel 1951). Se si prende in esame il progressivo e costante spopolamento tra il 1921 (1398 abitanti) e il 2001 (797 abitanti), utilizzando i dati relativi alla distribuzione della popolazione nelle frazioni, è possibile osservare che diminuisce in maniera consistente il numero degli abitanti nelle case sparse (tra il 1951 e 1991 perdono 357 abitanti). I restanti nuclei insediativi perdono in media una decina di abitanti tranne nelle sedi amministrative (due sedi amministrative nel 1951: Viazzi e Arbiglia e una soltanto nel 1991: Arbiglia). Anche nel caso di Cartosio i valori di popolazione del 1881 (1146 abitanti, Censimento della popolazione del Regno d’Italia) corrispondono a quelli degli anni Cinquanta. Si riscontra anche l’incremento di popolazione tra gli anni Venti e il dopoguerra (1398 abitanti nel 1921 e 1210 nel 1951).
Prendendo in analisi i dati delle anime censite nelle relazioni parrocchiali è possibile osservare che nel territorio della parrocchia (circa 15 Kmq nel 1929) erano presenti nel 1728 circa 870 anime, 1140 nel 1838 e 1500 nel 1929, 1381 nel 1932 e 1197 nel 1952. Sembrerebbe che il periodo di massimo popolamento sia quello degli anni Trenta ma occorre tener presente il contesto politico in cui vengono fatte le relazioni. Anche osservando i dati del dopoguerra si conferma comunque che la massima popolazione di Cartosio venne raggiunta a cavallo della seconda guerra mondiale. I parroci, nella prima metà del XX secolo, considerano degne di menzione solo due delle frazioni presenti sul territorio ritenendo le altre poco importanti: Gaini e Rivere. Queste due frazioni sono importanti, per i parroci, perché abitate ognuna da circa 150 persone. Nello stato della popolazione del 1952, il parroco Carlo Giuseppe Scazzola afferma che non vi sono pendolari e che tutti gli abitanti delle frazioni si dedicano all’agricoltura come piccoli proprietari terrieri, gli abitanti del borgo invece all’artigianato, mentre i ragazzini, soprattutto in estate, sono dediti alla pastorizia. Il calo demografico è documentato dalle relazioni del parroco Giovanni Vignolo che dal 1956 (1150 abitanti) al 1966 registra la perdita di 202 abitanti.
In tutte le relazioni parrocchiali viene descritta una comunità tranquilla: non sono registrati scandali o liti. Solo nel 1728 il parroco denuncia una piccola lite con la famiglia Saraceno che rifiuta di pagare il reddito di cinque staia di grano alla parrocchia. Il parroco fa causa alla famiglia ma non viene conclusa la lite e non viene profferita nessuna sentenza. Soprattutto ciò che blocca la lite è l’esiguità della posta in gioco. Il vescovo allora propone al parroco una soluzione: «si chiameranno cotesti eretici e si vedrà di indurli a fare ciò che sarà di dovere». Non sappiamo come finì la causa ma troviamo i Saraceno tra i debitori della cappella nel XIX secolo. L’uso dell’accusa di eresia sembra quindi fallimentare.
Il problema che i parroci manifestano fin dal 1660 è la frammentarietà del territorio della parrocchia. I termini con cui essi espongono il problema è piuttosto quello della distanza dalla parrocchia che non permette di far osservare i precetti religiosi. Il parroco Simone Secco lamenta infatti che i parrocchiani durante la messa stanno fuori dalla porta, non ascoltano il vangelo e quindi è impossibile educarli e spiegar loro la dottrina. Continua descrivendo che sono renitenti a confessarsi e a comunicarsi, che disertano la messa e, invece di mettersi nel coro ad ascoltare, preferiscono schiamazzare e mangiare fuori dalla chiesa disturbando le celebrazioni. Sembra proprio che nel 1665 l’istituzione parrocchiale non sia ancora organizzata secondo le norme tridentine. Il lavoro dei parroci è rivolto alla creazione di parrocchiani più legati alla messa e meno agli aggreganti momenti comunitari non regolati dal clero. In controtendenza con questo dato si riscontra che le feste patronali si svolgono senza eccessi e come desiderano il parroco e il vescovo. Solitamente è riscontrabile, esiste infatti una voce apposita nei questionari della Diocesi, una certa facilità a manifestare le tensioni interne alla comunità proprio in questi momenti rituali.
La frammentazione del territorio, e la conseguente difficoltà dei parroci a uniformare la devozione attorno all’istituzione parrocchiale, è evidente ancora nel 1953, quando il parroco, Scazzola, rivela che molti parrocchiani non si confessano e non si comunicano in parrocchia ma preferiscono andare al Santuario della Pieve di Ponzone.
Il clero locale sembra davvero sconfitto anche nel campo vocazionale. Tra la fine dell’Ottocento e il 1967 solo un ragazzo scelse, nel 1911, di entrare in seminario e di seguire la vocazione del clero regolare, mentre ben otto ragazzi presero gli ordini dei frati Cappuccini. Non sappiamo come i cappuccini arrivarono a Cartosio, solo un tale Ambrogio da Novi nel 1728 era stato chiamato a predicare per la Quaresima, ma in tutti gli altri anni i parroci dichiarano di aver predicato loro stessi. È possibile, vista l’autonomia delle chiese nelle frazioni, che i cappuccini abbiano continuato le loro predicazioni senza essere registrati nei documenti parrocchiali.
Altre informazioni sul territorio del comune di Cartosio in epoca moderna ci provengono dal catasto del 1758, conservato nell’archivio comunale di Cartosio e dal registro delle comandate del 1837. Nel 1837 i luoghi di residenza elencati sono 48. Il catasto del 1758 invece ne registra una sessantina (non è possibile rilevare il numero preciso dei luoghi perché il registro non è integro).
L’indagine di Chabrol (Chabrol 1824, p. 156) mette in luce le risorse elencate nei primi decenni del XIX secolo e descrive Cartosio come una zona boscosa dove il carbone e le ferriere appaiono una delle principali risorse. Oltre però a questa prima analisi, Chabrol (p. 336) rivela anche che gli 822 abitanti di Cartosio vivono su un suolo di pietra e tufo. La principale attività è il commercio di vino, carbone e legna e gli abitanti sono quasi tutti agricoltori, pastori o carbonai.
Dai registri di allibramento è possibile individuare i beni collegati alle cappelle e alle chiese della zona. I boschi e i prati legati alle strutture ecclesiastiche rispecchiano l’analisi di Chabrol: sono infatti terreni sparsi a mezza costa sulle sponde della Valle Erro, adibiti a coltivazione e produzione di legno, vino e castagne.
Il registro di allibramento è significativamente mancante delle pagine inerenti le zone contese tra Melazzo e Malvicino, mancanza che si riscontra nel catasto del 1758.
La vocazione commerciale del luogo è attestata dalle tabelle del dazio conservate nell’archivio comunale e dagli atti di incanto dei bolli e dei piombi per il sale in transito (1786-1797). Il transito del sale e il contrabbando connesso a questa attività sono testimoniati in molti documenti di lite tra le comunità di Malvicino e Cartosio: nelle liti giurisdizionali tra Malvicino e Cartosio non vengono contesi boschi o campi ma strade e in particolare l’esenzione del dazio (AST, Corte, Monferrato, provincia di Acqui, m. 6). In particolare nel 1717 il marchese Francesco del Carretto, consigliere della comunità di Malvicino, sequestra un cavallo ad un uomo accusato di aver frodato il fisco di Malvicino. La comunità di Cartosio rivendica il possesso, nel suo territorio, della strada della Gallina, luogo in cui era avvenuta la confisca.
Gli incidenti tra gli uomini di Malvicino e quelli di Cartosio sono frequenti nella Valle Erro e sono spiegabili alla luce dell’importanza strategica del luogo (AST, Corte, Monferrato feudi, m. 11, 24 febbraio 1662).
Un altro indizio dell’importanza commerciale di Cartosio ci proviene dalla presenza nel territorio di possedimenti dei Domenicani di Varazze a metà Seicento (AC Cartosio, 14 novembre 1667, non inventariato). È significativo rilevare la presenza dei Domenicani in loco perché, anche se in questo caso non è possibile spingersi oltre per l’esiguità della documentazione, si attestano possedimenti di Domenicani nelle zone critiche del transito del sale in tutte le Langhe. Solitamente c’è una certa corrispondenza tra la presenza dei Domenicani e la presenza del contrabbando (cfr. per esempio la Valle Bormida di Millesimo). In questa luce si spiegano i conflitti tra Montechiaro, Malvicino e Cartosio, situato come avamposto sulle rotte del commercio con le riviere (AST, Corte, Langhe, R mazzo J, 1).
La pratica dei confini (Grendi 1986) tra le comunità di Malvicino, Montechiaro e Cartosio ci illustra in modo esemplare come viene regolato e preteso il possesso delle risorse in gioco nella zona.
Il 28 gennaio 1717 vengono ispezionati i confini dai messi monferrini che con precisione delimitano l’area contesa tra Malvicino, Cartosio e Montechiaro. Montechiaro ha posto il confine con Malvicino, difeso strenuamente fin dal 1284, in questo modo:
dal fossato di Berberino fino al fiume Erro e da questo fino al fossato di Borzolasco e da quello fino al fossato di Raggioni indrizzando indi il cammino al monte dell’Arbiglia come cammina il fossato di Casaletto sino al Berberino. Come si comprende da altro strumento del 1445, tali confini restano provati in parte anche da un laudo del 1469 tra la comunità di Montechiro e quella di Cartosio dove si comprende giungere li fini in Isolabuona o Guado Buono (AST, Corte fondo Monferrato Confini, C, 13).
La divisione tra riva destra e riva sinistra del Berberino non desta problemi fino alle contrade di Rocchini e Vercosta da cui poi inizia nuovamente il Berberino. Il problema sorge quando i possessori di questi terreni possiedono beni su entrambe le parti del confine e si dichiarano immuni dai pagamenti fiscali. La tecnica adottata è di dichiararsi ora appartenenti ad un territorio ora all’altro a seconda della contingenza. Si dichiarano immuni anche sulla contrada dell’Arbiglia esponendo abbondante documentazione tratta dai catasti sostenendo di essere sul territorio di Cartosio e quindi immuni dalle pretese di Montechiaro o di Malvicino.
Il punto di forza della loro posizione è lo stesso usato dai marchesi imperiali nelle controversie contro i Savoia: rivendicano l’anzianità del loro possesso, sostengono che essendo i loro possessi antecedenti al fissaggio dei segni di confine, risalenti al 1445, sono svincolati dalle conseguenze del fissaggio dei confini.
La località Arbiglia, oggi appartenente a Cartosio e allora dibattuta tra Montechiaro e Cartosio è definita, nella relazione del 1717, un possesso stabile di Montechiaro perché anche il feudatario di Spigno ha punito i «suoi uomini che si erano recati a dar atti di possesso ad Arbiglia perché fuori dalla sua giurisdizione». Non si capisce perché Arbiglia, luogo di boschi di castagne sia così rispettato dal feudatario di Spigno, ma si comprende bene come erano considerati i confini. I confini venivano quindi utilizzati in base alle contingenze. Lo scontro era costante anche quando i confini erano giurisdizionalmente chiari. Le stesse logiche di confine vengono applicate in tutta l’area compresa tra la Valle Bormida e la Valle Erro (cfr. i casi di Pareto, Spigno e Mioglia).
Cartosio si trova in una zona molto “calda” nel Seicento, basti pensare che tutta l’area era ambita, come la Valle del Bormida di Spigno, dai Savoia, dagli Spagnoli e da Milano che aspiravano al controllo in nome dell’appartenenza al Monferrato, e dai Genovesi che estendevano il loro dominio fino a Sassello e Ponzone.
Molto diverso invece appare il comune descritto dal sindaco in occasione della relazione di indagine per la carta dei campi di battaglia (SHAT, mr. 1364). Il paese appare in una zona di difficile accesso per via del cattivo stato delle strade che costeggiano l’Erro. L’unica via sicura frequentata ed economica è la strada che porta a Montechiaro e di lì raggiunge Savona passando attraverso Malvicino. Questo testimonia che, ancora nei primi anni del XIX secolo, Cartosio ha relazioni importanti con i paesi della Val Bormida di Spigno e con Savona.