Cellarengo

AutoriLeggero, Roberto
Anno Compilazione2005
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Astigiano.
Abitanti
680 [ISTAT 2007].
Estensione
10,81 Kmq.
Confini
A nord-ovest Poirino e Isolabella, a nord-est e a est Valfenera, a sud Montà, a ovest Pralormo.
Frazioni
Borgo Castellino, Borgo Cielo, Borgo Menabò, Borgata Pelazza.
Toponimo storico
«Celere», «Cellaretum», «Cellaringus», «Cellarengus», «Celerengus», «Cellarencus». Tre sono le proposte interpretative del nome del comune: la prima, che rimonta alle riflessioni di Massia (1925), vede nel nome un personale romano (Celer). Tale proposta si basa sulle attestazioni più antiche della località che fanno riferimento al diploma di Ludovico II in favore del vescovo d’Asti Audace: «damus etiam omnem terram et omnes nemus quod dicitur Cellar, sicut diffinitum est per suos terminos» [Il Libro Verde della Chiesa d’Asti, doc. 320, p. 223 (806)]. La seconda proposta è di Serra (1943) il quale interpreta il «loco qui dicitur Cellaretum» [Cartario del monastero di Sant’Eusebio di Saluzzo, doc. 44, p. 114 (1254)] come «luogo dei cellieri» vale a dire delle guardie connettendo il toponimo a cellarius. Infine la terza proposta è quella di Olivieri (1965) che sulla base delle voci Cellaringus, Cellarengus, Celerengus, Cellarencus [Il Libro Verde della Chiesa d’Asti, doc. 319, pp. 217-222 (1041)] riconnette anch’egli il toponimo a cellarius [Dizionario di toponomastica 1990, p. 188].
Pieve
Pieve di Dusino [Bosio 1894, p. 121].
Posta sulla strada romana (Fulvia) per Torino, Dusino (diploma di Enrico III del 26 gennaio 1041 ma attestata già nel 941), per coloro che provenivano da Asti, si trovava all’altezza di un’importante biforcazione del percorso che dava origine a due rami che, pur tendenti entrambi verso Torino, percorrevano itinerari differenti. La vasta estensione territoriale della pieve di Dusino è «documentata dai titoli di sua pertinenza che investono i centri lontani di Stuerda (presso Poirino, a 11 chilometri) di Anterisio (presso Montà a 12 chilometri), di Porcile (a nord di Poirino, a 10 chilometri) e i limitrofi Solbrito e Valfenera» [Bordone 1971, p. 369]. La collocazione della pieve è da mettere in relazione con l’esistenza del castrum di Cellarengo: tali strutture svolgevano infatti, ciascuno nel proprio ambito, un ruolo di accentramento e di controllo «su una zona incoerente e in gran parte incolta».
Altre Presenze Ecclesiastiche
Le attestazioni più antiche della località che fanno riferimento al diploma di Ludovico II in favore del vescovo d’Asti Audace al quale viene data la terra e il bosco di «Cellar» [Il Libro Verde della Chiesa d’Asti, doc. 320, p. 223 (806)]. Un secondo diploma che ricorda Cellarengo è quello di Ludovico II a favore della Chiesa d’Asti. Il vescovo Audace e Cellarengo sono nominati anche un documento del 906. Nel 1034 Cellarengo ricompare nella carta di cambio tra il conte di Pombia e l’abate di Nonantola.
Una presenza importantissima per Cellarengo fu quella del monastero di S. Anastasio di Asti, la cui badessa partecipa all’atto con cui gli homines di Cellarengo, nel 1234, diventano cittadini di Asti, specificando i diritti che il monastero deteneva localmente e ottenendo quello di nominare il podestà di Cellarengo. Gentile si chiede da dove siano venuti i diritti che le monache di S. Anastasio d’Asti detenevano sul territorio di Cellarengo. La sua risposta è che essi provenivano dal vescovo d’Asti. Tuttavia vale la pena di ricordare, sulla scorta dello stesso Gentile che il monastero di S. Anastasio era di fondazione regia: «esso fu fondato, come pare, contemporaneamente al castello di Belangero e al convento dei benedettini di S. Bartolomeo d’Azzano da re Berengario nell’893» [Gentile 1934, p. 19].
Chiesa di San Giovanni Battista. È la chiesa parrocchiale. L’edificio venne edificato con il materiale di risulta della demolizione della cappella dei SS. Baldassarre e Orsola. Questa, infatti, era stata visitata nel 1742 dal vescovo Felissano e trovata sprovvista di tutto e minacciante rovina tanto che il vescovo aveva ordinato la sua demolizione. Nei lavori compiuti tra il 1928 e il 1930 la chiesa venne ingrandita e a essa venne aggiunto una cupola sormontata da un lucernario.
Chiesa di S. Firmino. San Firmino è il patrono del paese. La piccola chiesa risale al XVIII secolo. Cappella della Madonna Assunta situata nel Borgo Menabò, in stile barocco. Cappella dei SS. Lorenzo e Giovanni. Cappella campestre, una volta era la chiesa parrocchiale. È ricordata come tale nella visita pastorale del vescovo Broglia (1633). Nella stessa visita compare anche la cappella campestre della Beata Vergine del Rosario, appartenente alla contessa Bernardina Bensi: stante lo stato della cappella il vescovo ordina il suo restauro o la demolizione totale. La cappella dei SS. Lorenzo e Giovanni è ricordata di nuovo nella visita pastorale del 1742 del vescovo Felissano: risultava sempre rovinata e se ne ordinava la demolizione al fine di costruirne una più piccola [Gentile 1938, pp. 20 sgg.].
Assetto Insediativo
Cellarengo è collocato sulle colline che si diramano verso la pianura torinese. Esso sorge su una dorsale collinare a cavaliere di una collina di 321 metri slm e, in parte, lungo la strada che sale da fondovalle. Il territorio del comune è intersecato da tre corsi d’acqua a carattere torrentizio, il Ricarello, l’Acquasso e l’Acquafredda. Cellarengo comprendeva le borgate di Castellino e di Menubo, cioè l’attuale borgo Menabò frazione di Cellarengo, definite da Casalis «terricciuole da esso distanti un miglio e un quarto circa» [Casalis 1837, p. 348].
Alla metà dell’XI secolo Cellarengo disponeva già di un castrum secondo quanto apprendiamo dalla concessione imperiale al vescovo di Asti del 1041 che definisce la comunità «castro Cellarengo, cum capella et corte et silva cum cella Sancti Stephani iuxta fontem Brobi cum omnibus suis pertinentiis».
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 Cellarengo risultava diviso in tre “borgate”, il capoluogo, la borgata di Menabò e quella di Castellino. Il territorio era «mediocremente coltivato»; i campi e i prati venivano dichiarati di buona qualità mentre erano di qualità infima i boschi e i gerbidi [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
La “borgata” di Menabò disponeva di un suo proprio castrum. Esso compare in un documento del 1748 con il quale il vescovo di Asti, Caisotti, cedeva allo Stato sabaudo i suoi feudi e diritti tra i quali erano compresi quelli su Cortanze, su Cisterna e sul castello di Menabò [Gentile 1938, p. 30].
Comunità, origine, funzionamento
Fin dalla sua prima comparsa nei documenti, la comunità di Cellarengo è associata al monastero di S. Anastasio di Asti. Il ruolo svolto da tale istituzione monastica doveva essere veramente notevole dal punto di vista della proprietà terriera e dell’esercizio locale di un potere di fatto. Quando nel 1241 gli homines di Cellarengo diventano cives astensi, la badessa e le monache sono presenti e rivendicano i loro diritti. Il documento è trascritto nel codice Malabayla:
L’anno del Signore 1241 […] Merlo Pereto, sindaco del comune e degli uomini di Cellarengo, delegato a fare e costituire il comune e gli uomini di Cellarengo cittadini d’Asti, come risulta da istrumento fatto da Alberico di Cumignano notaio nello stesso anno ed indizione […] in presenza della signora Alessandra badessa di Sant’Anastasio, e alla presenza del convento e delle monache dello stesso monastero […] e la stessa badessa, col volere e il consenso delle predette monache, stabilì e fece se stesso, il comune e gli uomini di Cellarengo cittadini d’Asti per sé, i loro successori o discendenti, i quali ora sono o abitano nel detto luogo o nell’avvenire verranno ad abitarvi; in modo che essi e i loro successori o discendenti […] facciano pel comune d’Asti pace, guerra, eserciti, cavalcate, soccorsi e viaggi con tutte le persone e contro tutte ad arbitrio del comune di Asti per il luogo di Cellarengo e le loro persone, con ogni loro potere. Non impediranno al comune ed agli uomini d’Asti di fare dal detto luogo e con le loro persone pace e guerra, eserciti, cavalcate, soccorsi e marce a loro piacimento e contro tutti e di fare armature di fanti e di clienti nel detto luogo e a volontà del comune di Asti. Le armature però dei militi e clienti a cavallo non potranno essere fatte se non in ragione di lire 300, senza il volere della badessa o degli uomini di Cellarengo. Similmente il detto Merlo sindaco e la badessa per sé e gli uomini del detto luogo promisero di pagare il fodro in 300 lire astensi, ogni volta che la città del comune d’Asti verrà comunemente pel fodro, e non di più né per qualche colletta speciale, o prestito o milizia o guardia, o per qualche altro tributo, mai potrà esservi costretto a dare se non in ragione di 300 lire. Similmente la detta badessa nel medesimo modo e forma promise di assegnare, dare e concedere un luogo adatto allo stesso comune per farvi fortezza, stanza, torre, casone, secondo che parrà al comune di Asti, nel luogo o pertinenze e distretto del luogo di Cellarengo a spese del comune di Asti, e questo in comunione e per difesa del detto luogo e dei diritti del monastero di Sant’Anastasio che per sé e gli uomini di Cellarengo devonsi curare. Similmente promise nel medesimo modo e forma di dare riconduzione al comune d’Asti e separatamente nel luogo di Cellarengo e per qualsiasi persona speciale di Asti e del dominio d’Asti, e di non interdire il luogo munito o fortificato ad alcuno pel comune perché faccia le predette cose a suo piacimento. Similmente promise per sé e per gli uomini di Cellarengo che essi non accoglieranno alcuno come abitante del detto luogo senza che prometta e giuri di mantenere e osservare per sé e per i suoi discendenti tutte le cose predette e di non contravvenirvi in nessun tempo e che non venga ad abitare nel detto luogo senza averne licenza. Del pari gli stessi o i loro discendenti non rinunceranno alla detta cittadinanza per alcuna ragione e non la abbandoneranno senza osservare e mantenere tutti i patti predetti al comune d’Asti per alcuna ragione o precetto o sotto alcun pretesto. Laonde per le predette cose dette in pegno al comune d’Asti tutti i beni suoi e degli uomini di Cellarengo […] e gli stessi credendari accolsero il detto Merlo sindaco per sé, gli uomini e il comune di Cellarengo nel numero dei cittadini d’Asti […] il comune d’Asti non farà alcuna altra esazione dal comune e dagli uomini di Cellarengo se non quelle più sopra concesse e nominate, contro il volere della signora badessa o degli stessi uomini. Tutte queste cose furono fatte e concesse dal comune e dagli uomini di Cellarengo al detto signor Merlo, ricevente a nome del comune d’Asti, salvo ogni altro diritto o ragione, contado, onore, distretto e giurisdizione della detta badessa del monastero di Sant’Anastasio che la detta badessa o il monastero ha o sembra avere nel luogo di Cellarengo […] ritenendo per sé la detta badessa il diritto di porre podestà o consoli in detto luogo, purché lo stesso podestà si a cittadino astese, abitante nella città d’Asti con la sua famiglia, e che giuri per il comune e gli uomini di Cellarengo di mantenere e difendere i diritti e le ragioni di detta badessa del detto monastero e di dare man forte perché la detta badessa e il monastero abbiano i loro diritti. E se vi saranno i consoli che siano del detto luogo, giureranno di fare e mantenere […] tutte le cose predette. E se accadrà che per causa della detta concessione la stessa […] badessa o il monastero sia chiamato in giudizio o molestato […] promise il comune d’Asti di dare giudici e difensori del comune d’Asti […] e se accadrò che per la predetta concessione ne venga danno allo stesso monastero […] promise di trarne vendetta come farebbe per qualunque cittadino astese […] per questo diede in pegno alla badessa […] tutti i beni del comune che possono esser impegnati» [Gentile 1934, pp. 9-17].
Un particolare non secondario è che l’atto viene scritto e giurato ad Asti ma sotto l’atrio del monastero di S. Anastasio.
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 a Cellarengo «l’ordinario conseglio» risultava composto di «tre soggetti» e per l’elezione dei consiglieri, stante il fatto che Cellarengo era diviso in tre «borgate s’osserva l’uguaglianza e la giustizia» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Catasti
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 Cellarengo risultava provvista di un catasto «confuso, e senza alcun libro di trasporti». Perciò, suggerisce la Relazione,
sarebbe necessaria una misura generale del territorio, ma essendo ciò presentemente incompatibile con le tenui forze d’essa si è provveduto di far imporre qualche fondo per [convertirlo?] assieme ad altri che si faranno in avvenire in tal uso, ed intanto si è ordinato a quelli amministrati di far formare un libro di trasporti che serva a vicenda de contratti che si fanno in detto luogo con l’opportuna espressione dell’allibramento di cadauna pezza che verrà contrattata [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Dipendenze nel Medioevo
Renato Bordone ha scritto che
il trapasso dei poteri di controllo sul districtus dal vescovo al comune [di Asti], benché sentito dal comune come esigenza primaria nello stabilimento di un regime autonomo in grado di garantirsi la sussistenza, non avvenne certo in maniera sempre pacifica e in modo omogeneo su tutto il territorio […] ma ciò che preme qui sottolineare è che il comune, nel suo sforzo espansionistico, pur cercando alleanze e sottomissioni dei signori del contado, mira al controllo di un’area omogenea attorno alla città che si pone già come una circoscrizione territoriale omogenea e come tale resterà sotto l’amministrazione laica [Bordone 1977, p. 607].
Gentile afferma: «passato Cellarengo sotto il dominio del vescovo d’Asti, questi lo diedero[sic] in feudo ai Garretti dai quali passò ai Passineri trasferitisi poi in Provenza e in parte ai Ramelli». I Garretti furono una famiglia che si impose in alcune località dell’Astigiano. A partire dall’ultimo quarto del XIII secolo essi sostituiscono gli antichi domini loci a Ferrere [Bordone 1976, pp. 118-119], presenza che si consolida in signoria a partire dal XIV secolo, benché non sia del tutto chiaro a chi spetti l’alta signoria, se al comune di Asti o al vescovo d’Asti. È evidente comunque il legame dei Garretti con la Chiesa lodigiana.
Feudo
Nel XIV secolo i Garretti acquisirono i castelli di Cellarengo, Menabò e Cisterna. I loro possessi su questi luoghi vennero riconosciuti dallo strumento dotale di Valentina Visconti che assegnava ai Garretti Ferrere e Cellarengo.
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753, tuttavia, Cellarengo risultava infeudato al conte Malabayla di Canale «per mesi 24» e al conte Dionigi Riccio di S. Paolo «per mesi 27», al conte Giulio Cesare Benso di Montenera «per mesi tre» e al marchese Michele Antonio Benso di Cavour «per altri mesi tre». Da ciò risultavano «cinquantasette mesi di giurisdizione di cui ciascun feudatario possedeva una quota.
Mutamenti di distrettuazione
Il comune di Asti perde la propria autonomia nel 1312 con la dedizione al re Roberto d’Angiò. Nel 1355 Giovanni II marchese di Monferrato viene investito del feudo da parte dell’imperatore Carlo IV. Ai Visconti la città di Asti offrirà la piena balia nel 1379. Nel 1380 Gian Galeazzo Visconti istituisce il capitaneatus Astesane. Nel 1575 la contea di Asti passa ai Savoia. Nel 1735 il feudo imperiale transita definitivamente ai Savoia. Alla fine del XVIII secolo le vicende della Rivoluzione produrranno un effetto anche sul Piemonte che venne in parte annesso alla stessa nazione francese. Al Piemonte viene applicata la divisione in dipartimenti, già dal 1799, quindi 3 anni prima dell’effettiva annessione al territorio francese. I dipartimenti del 1799 comprendono quello del Tanaro (Alessandria), che nel 1801 si sdoppierà in quelli di Marengo (Alessandria) e Tanaro (Asti) per ritornare, nel 1805 al solo dipartimento di Marengo (Alessandria). La nuova organizzazione, motivata dall’aggregazione della Liguria all’Impero, comportò la soppressione del dipartimento del Tanaro e l’assegnazione ad altri dipartimenti dei tre arrondissements di cui era composto (Asti, Acqui, Alba). Asti cessò di essere capoluogo e venne aggregata per l’amministrativo a Marengo (Alessandria) e, per quanto riguarda l’ecclesiastico, alla diocesi di Acqui (che era stata aggregata a Montenotte). Come capoluogo di dipartimento Asti era stata sede di prefettura mentre come capoluogo di arrondissement essa divenne sede di sottoprefettura. Nel 1817 la situazione si modifica nuovamente e la diocesi di Asti riprende la titolarità sulla zona mentre l’area viene reintegrata nei domini dei Savoia. Capoluogo di provincia resterà Alessandria fino al 1935, quando venne creata la provincia d’Asti. Dopo l’8 settembre 1943, sorse la necessità di coordinare, attraverso un organismo superiore, l’azione dei comandi delle formazioni partigiane e del C.L.N. Si formò quindi una Giunta di Governo per la zona liberata dell’Astigiano, la cui sede venne collocata presso i locali dell’albergo Fons Salutis di Agliano [Bordone 1976, pp. 156-157; Bordone 1978, pp. 146-147; Bussi 2000, p. 178; Laiolo 2002].
Mutamenti Territoriali
Nel 1466 vengono definiti i confini tra i territori di Cellarengo e Valfenera, mentre i diritti di pascolo e di transito saranno completamente individuati solo un secolo più tardi (1566).
La Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 descrive Cellarengo come confinante «con li territori d’Isolabella, di Pralormo, di Valfenera, della Montà e di Poirino stanti le tenui forze degli abitatori, non v’è luogo ad introdurvi alcuna negoziazione» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Secondo Casalis invece, Cellarengo alla metà del XIX secolo confinava con «S. Stefano, Poirino, Valfenera, Pralormo, Montà» [Casalis 1837, p. 348].
Comunanze
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 Cellarengo risultava possedere 10 giornate di boschi del cui taglio si era soliti fare «l’affittamento a tempi opportuni per non vendere il terreno infruttuoso» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)]. Per quanto riguardava i gerbidi «di giornate 647 gerbidi trenta ne spettano alla comunità, e stante la mala qualità del terreno in cui sono situati si gl’uni che gl’altri servano per i pascoli comuni». Gli affari pubblici, proseguiva la Relazione, «sono ben maneggiati, non vi sono contabilità né beni comuni occupati da terzi senza pagamento di prezzo, e né altri alienati senza le dovute sollennità».
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Cellarengo). Vedi inventario.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino). Vedi inventario.
BAt (Biblioteca Astense) Vedi catalogo.
BAt, Relazione dell’intendente sullo stato generale della Provincia di Asti 1753.
Bibliografia
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Descrizione Comune

Cellarengo

     La lettura della Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 può dare un’idea della situazione del territorio del comune, sia dal punto di vista delle colture che vi venivano praticate, sia della sua orografia e conformazione, alla fine dell’Età moderna. Essa descrive Cellarengo come un:
luogo situato in collina, diviso in tre borgate, una del luogo, l’altra di Menabò e l’altra di Castellino. Confina con li territori d’Isolabella, di Pralormo, di Valfenera, della Montà e di Poirino […] di bona qualità sono li campi e prati, di mediocre le vigne e di infima li boschi e gerbidi. Il territorio è mediocremente coltivato, con tutto ciò gli agricoltori raccolgono granaglie eccedenti al loro bisogno, e potrebbe ridursi a migliore condizione col meglio coltivarli e col piantamento de moricelli di cui se ne scarseggia come così si è suggerito a questi abitatori. Di giornate 980 di boschi si servono gli abitanti per l’impalamento delle loro viti e per il giornaliere loro focaggio e per farne commercio ne luoghi circonvicini ove se ne scarseggia, fra quali boschi vene sono giornate 10 spettanti alla comunità; del taglio si suole fare l’affittamento a tempo opportuni per non rendere il terreno infruttuoso. Non vi sono fiumi, né torrenti, né fiere, né mercati, né commercio e stanti le tenui forze degli abitatori, non v’è luogo ad introdurvi alcuna negoziazione» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Le località verso le quali era indirizzata la produzione locale erano Poirino, Chieri e Carmagnola.
     Come s’è detto sopra, fin dalla sua prima comparsa nella documentazione locale, la comunità di Cellarengo è associata al monastero di S. Anastasio di Asti. Il ruolo e i diritti rivendicati dalla badessa del monastero nel 1241 quando gli homines di Cellarengo diventano cives astensi è tale da non lasciare alcun dubbio sulla forza locale della presenza monastica: a fronte dell’impegno a non ostacolare il comune di Asti nella sua azione politica, economica e militare, il comune di Cellarengo e la badessa di S. Anastasio hanno il diritto di esprimere il proprio parere vincolante nel caso della realizzazione, sul territorio di Cellarengo, di armi («le armature però dei militi e clienti a cavallo non potranno essere fatte se non in ragione di lire 300, senza il volere della badessa o degli uomini di Cellarengo»). Similmente, se da un lato la badessa acconsente e promette «di assegnare, dare e concedere un luogo adatto allo stesso comune per farvi fortezza, stanza, torre, casone, secondo che parrà al comune di Asti, nel luogo o pertinenze e distretto del luogo di Cellarengo a spese del comune di Asti», ciò avviene non solo «per difesa del detto luogo» ma anche e soprattutto «dei diritti del monastero di Sant’Anastasio». Interessante è anche il fatto che la badessa prometta «per sé» ma anche «per gli uomini di Cellarengo» (in questo caso di non accogliere «alcuno come abitante del detto luogo senza che prometta e giuri di mantenere e osservare per sé e per i suoi discendenti tutte le cose predette e di non contravvenirvi in nessun tempo e che non venga ad abitare nel detto luogo senza averne licenza»).
Peraltro il comune d’Asti si impegna a non fare
alcuna altra esazione dal comune e dagli uomini di Cellarengo se non quelle più sopra concesse e nominate, contro il volere della signora badessa o degli stessi uomini. Tutte queste cose furono fatte e concesse dal comune e dagli uomini di Cellarengo al detto signor Melio, ricevente a nome del comune d’Asti, salvo ogni altro diritto o ragione, contado, onore, distretto e giurisdizione della detta badessa del monastero di Sant’Anastasio che la detta badessa o il monastero ha o sembra avere nel luogo di Cellarengo.
La badessa, peraltro detiene il diritto di
porre podestà o consoli in detto luogo, purché lo stesso podestà si a cittadino astese, abitante nella città d’Asti con la sua famiglia, e che giuri per il comune e gli uomini di Cellarengo di mantenere e difendere i diritti e le ragioni di detta badessa del detto monastero e di dare man forte perché la detta badessa e il monastero abbiano i loro diritti. E se vi saranno i consoli che siano del detto luogo, giureranno di fare e mantenere […] tutte le cose predette. E se accadrà che per causa della detta concessione la stessa […] badessa o il monastero sia chiamato in giudizio o molestato […] promise il comune d’Asti di dare giudici e difensori del comune d’Asti […] e se accadrà che per la predetta concessione ne venga danno allo stesso monastero […] promise di trarne vendetta come farebbe per qualunque cittadino astese […] per questo diede in pegno alla badessa […] tutti i beni del comune che possono esser impegnati.
Non sorprende, a fronte di tutte queste condizioni, che l’atto viene scritto e giurato ad Asti ma sotto l’atrio del monastero di S. Anastasio. Occorre tenere presente, però, che il monastero di d’Asti non era l’unico ente ecclesiastico presente sul territorio di Cellarengo. Un’altra importante istituzione era quella del vescovo di Asti: il particolareggiato elenco dei suoi beni del 1041, infatti, ne ricorda la presenza come proprietario «a Dusino con le dipendenze di Solbrito e Valfenera, di una parte del pianalto [ora di Villanova d’Asti] e di Cellarengo».
Era stato proprio il vescovo di Asti Landolfo, nel 1105, a «confermare alle monache la donazione del suo predecessore Alrico», riconoscendo «il monopolio del potere signorile dell’abbazia sugli abitanti di Cellarengo, di Valfenera e di Camerano (presso Asti), imponendo che nessuno, pena la scomunica, potesse esercitare autorità su di loro; con la donazione successiva dell’importante settore confinante con il blocco Cellarengo-Valfenera, il vescovo trasferisce anche qui i suoi poteri signorili e non solo fondiari: mezzo secolo più tardi, la bolla papale del 1187 confermerà infatti i diritti del monastero su tutti i residenti nel distretto di Montanerio, Vulpiglio e Traversole suoi dipendenti («in omnibus in eorum districtu manentibus»).
Nel 1132 il vescovo Landolfo donava al monastero diocesano di S. Anastasio di Asti anche «le chiese di S. Michele e di S. Lorenzo “cum omnibus pertinentiis et possessionibus suis” e tutto ciò che possedeva nel castello e nel villaggio di Montanerio e “in Vulpilio et in Treversole” con tutti gli abitanti dipendenti dalla sua giurisdizione» [Bordone 2007, pp. 393 sgg.]. È chiaro quindi che ci troviamo di fronte a una strategia complessa che sembra quasi andare nella direzione di “mettere al sicuro” i beni episcopali in un momento di profonda trasformazione dei ruoli politici del comune di Asti, della sede episcopale e degli enti ecclesiastici presenti sul territorio. Il passaggio dei poteri di controllo sul districtus dal vescovo al comune, ha affermato Bordone, benché sentito dal comune stesso come un’esigenza primaria per stabilire un regime autonomo, non avvenne certo in maniera sempre pacifica e in modo omogeneo.
Nell’area di Cellarengo, evidentemente, gli enti ecclesiastici astigiani ottennero un successo maggiore rispetto ad altre aree, stante anche il carattere di confine del territorio comunale di Cellarengo che si apre verso la pianura torinese. La “borgata” di Menabò (uno dei tre insediamenti in cui era suddivisa la comunità di Cellarengo: secondo la Relazione generale del 1753, infatti, a Cellarengo «l’ordinario conseglio» risultava composto di «tre soggetti» stante il fatto che Cellarengo era diviso in tre «borgate s’osserva l’uguaglianza e la giustizia») disponeva di un suo proprio castrum. Esso compare ancora in un documento del 1748 con il quale il vescovo di Asti, Caisotti, cedeva allo stato sabaudo i suoi feudi e diritti tra i quali erano compresi quelli su Cortanze, su Cisterna e sul castello di Menabò.