Cavaglià

AutoriOlivieri, Antonio
Anno Compilazione1998
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Biella
Area storica
Parte del distretto vercellese per tutto il medioevo, Cavaglià fece parte in età moderna della Provincia di Biella, di cui anzi appariva nel Sette e Ottocento una delle comunità più cospicue [A.S.T., Corte, Paesi per A e B, Cavaglià, nn. 9, 11]. Le sue vicende storiche sono caratteristiche del territorio che gravita intorno al lago di Viverone.
Abitanti
3612 [Istat, 13° censimento].
Estensione
ha 2548 [Istat]
Confini
Dorzano, Salussola, Carisio, Santhià, Alice Castello, Roppolo.
Frazioni
Maiole, Montemaggiore [località abitate: Istat, 13° censimento].
Toponimo storico
Nei secoli medievali il toponimo è nella forma Cabaliaca,  Cabaliacha.
Diocesi
Appartenne alla diocesi di Vercelli fino al 1772, anno in cui fu istituita la diocesi di Biella, di cui entrò a far parte. In epoca francese fu operata una generale riforma dell’assetto delle circoscrizioni diocesane del Piemonte: il 23 gennaio 1805 il cardinale Giambattista Caprara emanò il decreto esecutoriale della bolla di Pio VII, con cui venivano soppresse 9 delle 17 diocesi piemontesi. Tra le soppresse Biella, il cui territorio diocesano venne ricompreso nella diocesi di Vercelli. Quest’ultima fu in pari tempo sottratta alla giurisdizione metropolitana milanese e inserita in quella torinese. La diocesi di Biella fu nuovamente istituita nel periodo della Restaurazione.
Pieve
San Secondo, attestata per la prima volta nel X secolo in un elenco di pievi della diocesi eusebiana, cedette probabilmente i diritti plebani verso la metà del XIII secolo a San Pietro di Cavaglià. Quest’ultima ebbe però una giurisdizione plebana assai più ridotta, comprendente Cagliano, che Lebole dice essere ora frazione di Cavaglià, Santa Maria di Babilone, Roppolo castello, Pavarano, Dorzano. San Secondo conservò il titolo di pieve fino al secolo XVI, ma senza le funzioni connesse. Le prime attestazioni dell’acquisizione del titolo plebano da parte di San Pietro sono della fine del secolo XIII. Essa acquisì quindi tutti i diritti plebani, compreso lo “ius fontis”, di cui ebbe però il monopolio per poco tempo, dato che da atti di lite con Dorzano del 1578 si deduce che le chiese dipendenti possedevano il proprio fonte battesimale dal principio del secolo XV [Lebole, La chiesa biellese, vol. II, pp. 131-136]. Nel 1482 vennero uniti a quelli di San  Pietro di Cavaglià i proventi delle chiese di San Pietro di Cagliano, San Pietro di Piozzano, Santa Maria di Babilone; aboliti i due benefici canonicali che affiancavano quello del pievano e erette in loro luogo due cappellanie (i redditi per 2/4 al piovano, per 1/4 ciascuno ai due cappellani). Una bolla di Leone X del 1518 stabilì che l’elezione dei due cappellani spettasse per 2/3 al consiglio comunale e per 1/3 al piovano (per questioni insorte nel Settecento intorno all’elezione dei cappellani, ridiventati canonici, e del prevosto) [A.S.T., Corte, Benefizi per paesi, Mazzo 30, Cavaglià].
   Nella serie Benefizi per Paesi ora citata è conservato un interessante documento del maggio 1366, rogato in Cabaliacha in castro dominorum de Maxino, che ricorda come un prete di Cavaglià avesse nel settembre del 1352 dotato l’altare e cappellania della vergine Maria nella chiesa di San  Pietro con beni fondiari, un calice d’argento e un breviario, e costituito patroni della cappella alcuni individui di Cavaglià. Questi ultimi vendettero, con l’atto rogato nel castello dei domini di Masino, il patronato, con diritto di nomina del rettore dell’altare, ai figli del quondam dominus Guglielmo di Masino.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Con l’erezione del borgofranco di Cavaglià del 1257 la pieve-parrocchia di S. Pietro restò fuori dalle mura. Nella seconda metà del Quattrocento si avviò la costruzione di una nuova parrocchia intitolata a S. Michele. Da una visita pastorale del 1606 la “ecclesiam parochialem antiquam” di S. Pietro appariva “diruta”. A fine Settecento venne costruita la parrocchiale attuale su un sito occupato da case private e dalle case del parroco e del comune. Venne consacrata nel 1798 [Lebole, La chiesa biellese, vol. II, p. 137 sg.].
 
Cappella di Santa  Maria di Babilone: preti addetti a questa chiesa sono documentati per la prima volta nel 1219 e 1224. La chiesa è ricordata in un elenco del 1298 e poi nel 1440. Il suo beneficio fu assorbito da una cappella eretta nella pieve nel 1482. La chiesa attuale venne ricostruita tra 1620 e 1680.
 
Priorato dei Santi  Vincenzo e Anastasio di Cavaglià: dipendente dal monastero di S. Benigno di Fruttuaria, venne fondato intorno al 1000 e divenne, grazie a donazioni, possessore di beni in Cavaglià, Alice, Dorzano, Piverone, Salamone, Tronzano, Salussola, San Damiano, ecc. [Lebole, La chiesa biellese, vol. I, pp. 133-136].
 
San  Pietro a Cagliano: già cura sussidiaria, venne declassata a semplice oratorio. Un prete “de Caglano” è attestato nel 1227; nel 1348 aveva un rettore. Il suo beneficio venne unito nel 1482 a una cappellania eretta nella pieve di Cavaglià. Dopo un periodo di abbandono, nel 1650 la chiesa venne ricostruita dagli abitanti del cantonus di Cagliano con il titolo della B. Vergine [Lebole, La chiesa biellese, vol. II, pp. 133, 142].
 
San  Michele a Piozzano: già cura sussidiaria, scomparve in seguito all’erezione del borgofranco di Cavaglià (1257). Faceva parte del distretto plebano di Santhià [Lebole, La chiesa biellese, vol. II, pp. 133, 142].
Assetto Insediativo
Luoghi Scomparsi
Dell’erezione a borgofranco di Cavaglià — ideata probabilmente per risolvere delicati problemi di equilibrio tra istanze comunitarie, istanze signorili e problemi di natura politica e territoriale del comune di Vercelli — non resta documentazione diretta [Mandelli 1857, pp. 263-265]. Qualche informazione è reperibile nello statuto visconteo e nel liber iurium, anch’esso visconteo, dei Biscioni [Biscioni, t. II vol. I, pp. 210-12, doc. 129]. Si sa anzitutto che al nuovo borgo il comune di Vercelli aveva concesso libertates, immunitates (...) et privilegia nel 1257: questa concessione costituì la parte giuridica di una operazione che comportò anche la creazione ex novo di un borgo fortificato, con fossati, terrapieni (terragia), piazze e strade dentro e intorno al borgo [p. 137r]. Le notizie di cui si dispone inducono anche a credere che il territorio esterno al borgo fu oggetto, se non di una vera e propria pianificazione, almeno di un tentativo di rationalizzazione in equilibrio tra la sanzione di situazioni pregresse (il predominio economico da parte di enti religiosi e aristocrazia rurale) e una redistribuzione delle risorse verso cui spingeva una comunità organizzata, in grado di far valere le sue aspirazioni. Tentativo attuato, è bene metterlo in rilievo, dal comune di Vercelli con un’ottica squisitamente autoritaria di intervento sul territorio. Vennero intanto concessi ai conti di Cavaglià e al priorato fruttuariense di San Vincenzo dei sedimi entro il borgo immuni da carichi fiscali (sine ... scuffis sustinendis cum communi Cabaliace, exceptis bannis composturarum et dannorum datorum) [p. 136v]; sedimi nel borgo vennero concessi anche a cittadini di Vercelli, al medesimo regime di quei vercellesi che avevano sedimi nel borgo di Gattinara (regime di cui non si dice nulla nella collezione statutaria). Erano poi state emesse sentenze da un podestà del borgo di Cavaglià, di probabile nomina vercellese, tra i conti e il priorato di S. Vincenzo da una parte e gli abitanti del borgo dall’altra, riguardo ad affitti e prestazioni. Infine era stata riordinata la questione dei beni comuni [vd. Comunanze e Descrizione comune].
    Nel 1266 il vescovo di Vercelli Martino Avogadro emana un lodo tra Filippone conte di Cavaglià e il borgo di Cavaglià [Bis. III, 162]: il conte deve avere terre, case e diritti che aveva prima della costruzione del borgo di Cavaglià, purché il borgo rimanga in sua franchitate; abbia le terre sue extra burgum tranne quelle date dal comune di Vercelli; sia compensato della superficie sottrattagli per fare le fosse, vie, piazze, case con terreno da assegnarsi vicino al borgo.
Comunità, origine, funzionamento
Non conosco attestazioni dell’organizzazione comunitaria di Cavaglià antecedenti a quelle relative alla costituzione del borgofranco nel 1257, contenute nello statuto visconteo del 1341 [Statuta Vercellarum, p. 137v sg.]. In quell’occasione l’organizzazione politica comunitaria sembra definirsi come controparte attiva nei confronti dei poteri signorili locali, rappresentati dai conti di Cavaglià, dal priorato fruttuariense di S. Vincenzo, dai potenti vercellesi radicati patrimonialmente nel territorio di Cavaglià. Oggetto del contendere appaiono soprattutto lo sfruttamento dei beni comuni e il pagamento delle contribuzioni a Vercelli: si veda oltre alle voci Dipendenza medioevo, Comunanze, Luoghi scomparsi.
Statuti
- Nello statuto visconteo di Vercelli del 1341 il comune si impegnò a osservare omnes libertates, immunitates concessas et privilegia datas et concessas per commune Vercellarum communi et hominibus Cabaliace con instrumento datato 9 gennaio 1257, al tempo della costruzione del nuovo borgo di Cavaglià [Statuta Vercellarum, p. 137v]. Di tali privilegi è rimasto solo l’accenno negli statuti.
- Il 23 settembre 1426 [A.S.T., Protocolli ducali, serie rossa, 72, ff. 394-95] il duca di Savoia Amedeo VIII, dopo aver ricevuto il giuramento di fedeltà dei rappresentanti della comunità di Cavaglià, concesse a quest’ultima in libertatis beneficium alcuni capitoli di franchigia: avrebbe tenuto nel luogo un podestà, cui la comunità avrebe corrisposto un salario annuo, per amministrare la giustizia in prima cognizione tam in civilibus quam in criminalibus; avrebbero pagato le tasse come gli altri sudditi del territorio vercellese; sarebbero stati tenuti sotto il dominio sabaudo, e non trasferiti ad altro dominio; avrebbero conservato le franchigie e consuetudini di cui sino ad allora avevano goduto; avrebbero potuto nominare i propri rappresentanti (
consoli e credenziari), e i funzionari (campari, etc.). La comunità ottenne il rinnovo delle franchigie dal successore di Amedeo, Ludovico, e lo stesso duca concesse, nel 1448, la possibilità di tenere un mercato settimanale il martedì [A.S.T., Protocolli ducali, serie rossa, 109, f. 165]. Dagli storici locali apprendiamo che fino al Settecento esisteva, nell'archivio comunale, un codice cartaceo contenente statuti della prima metà del XV secolo [Rondolino, Cronistoria, pp. 260-266; cfr. anche Fontana, vol. I, p. 296]. Il Rondolino, che ne riporta alcuni capitoli [vedi i docc. alle pp. 262-266], li dice compresi tra il 1427 e il 1439 (il 30 luglio 1439 vennero approvati da Ludovico di Savoia).
- Nel febbraio 1518 Carlo duca di Savoia, esaminati con il consilium cum domino residens i capitoli presentati dai giovani e dalla società del luogo di Cavaglià, li approvò con qualche riserva. Tali capitoli, redatti in francese, si leggono nel foglio precedente del protocollo[A.S.T., Protocolli ducali, serie rossa, 136, ff. 187-188; altra copia dei due documenti in Protocolli ducali, serie rossa, ff. 115 r-116v: “Capitula concessa abbati et iuvenibus loci de Cavaglia”].
- “Bandi campestri formati dal signor marchese Carlo Maurizio Gonteri per il luogo e territorio di Cavaglià suo feudo marchionale, in Torino MDCCXXX” [A.S.T., Corte, Paesi per A e B, lett. C, Mazzo 38]: tale statuto stampato venne presentato al Senato di Torino dal marchese Gonteri nell’aprile 1730 perché avesse vigore nel luogo e territorio di Cavaglià. La pubblicazione all’albo pretorio del comune di Cavaglià per le procedure di interinazione diede luogo all’opposizione del sindaco della comunità, che sosteneva spettare alla comunità la formazione dei bandi campestri e diceva di voler promuovere le ragioni della comunità di fronte al Senato, previo assenso dell’Avvocato Generale. Ma, non avendo il sindaco presentato il ricorso, il senato interinò i bandi con alcune correzioni rispetto al testo presentato dal Gonteri e senza pregiudizio delle ragioni del feudo. L’Indice de’ bandi, dissoluzioni de’ pascoli, ecc. [A.S.T., Camerale, Inventari], che elenca tutte le interinazioni di bandi campestri fatte dal Senato tra 1605 e 1827 rimandando ai relativi registri, ricorda questa interinazione, ponendola in data 10 giugno 1730, ma ne ricorda anche una diversa e posteriore, del 25 agosto 1738 [f. 20v].
Catasti
 In A.C.C. si conservano solo frammenti di registri catastali in pessimo stato (da relazioni ispettive presso la Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta). Esiste una mappa del periodo francese con il territorio diviso in quartieri contrassegnati da lettere e, all’interno di ciascun quartiere, particelle numerate progressivamente [A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Salussola; Mazzo 1, "Saluzz[ola], Dorzano, e / Cavaglia". Carta in 4 parti dei Territori di Dorzano, di Cavaglià e di Saluzzola stata levata per Ordine del Governo dei 12 Brumajo Anno XI (3 novembre 1802) dall'Ing. Geometra Momo sulla Scala di 1/5000, s.d., Autore disegno originale: Momo]. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Vedi mappa 3. Vedi mappa 4.
Ordinati
Vd. Catasti.
Dipendenze nel Medioevo
Cavaglià fu dal punto di vista circoscrizionale legata a Vercelli per tutto il corso del medioevo. Compresa nel comitato di Vercelli — parte, a sua volta, della grande marca di Ivrea —, era una curtis (un’azienda agraria quindi) quando fu donata nel 962 insieme con altre curtes (Alice, Casanova e Roppolo) dall’imperatore Ottone I al conte Aimone; donazione poi confermata e ampliata nel 988 da Ottone III al figlio di Aimone Manfredo (entrambi conti, lo erano però del comitato di Lomello, non di quello di Vercelli, controllato dagli Anscarici: cfr. Sergi, pp. 158 e 162-164). Quando Ottone III con il diploma del 1° novembre 1000 reintegrò il vescovo di Vercelli di beni che erano stati sottratti alla sua chiesa, annullò alienazioni operate dal vescovo Ingone più di trent’anni prima, tra cui quella di Cavaglià. In seguito Cavaglià continuò a essere assegnata nei diplomi imperiali ai vescovi di Vercelli (in un diploma del 1039 è indicata come curtem Cavalli) ma sembra che i discendenti di Aimone e Manfredo vi conservassero dei beni, come attestano due donazioni (1034 e 1055) al monastero di S. Vincenzo di Cavaglià (cfr. Rondolino, pp. 49-52, e v. Altre presenze ecclesiastiche).
   La famiglia dei conti che ormai diremo di Cavaglià riuscì, sembra, a ritagliarsi un’area di dominio signorile comprendente i castelli di Cavaglià, Alice, Roppolo, Dorzano e Arelio (un’area chiave per le comunicazioni tra Vercelli e Ivrea, che resterà tale fino al XX secolo, quando verrà costruito il tronco autostradale Santhià-Ivrea). Tuttavia
nel corso del XII secolo e del  successivo la geografia dei poteri signorili della zona si complicò, grazie al radicamento di famiglie vercellesi come i Bondonno e i Bicchieri, e si inasprì la concorrenza per il potere su vasta scala, polarizzando anche le competizioni a livello locale (Rondolino, pp. 54-58). I conti di Cavaglià si schierarono con Federico Barbarossa e l’adesione alla parte imperiale segnò, seppure in negativo, l’inserimento organico dei conti e del territorio intorno al lago di Viverone nell’orizzonte della politica territoriale del comune di Vercelli. Cavaglià venne compresa saldamente nel districtus comunale vercellese, anche mediante il ricorso allo strumento tradizionale dei patti di cittadinatico (nel maggio 1202 fu stipulato un patto tra il conte Aimone di Cavaglià e il comune di Vercelli: Mandelli, tomo III, p. 262). Non interessano qui le vicende delle alleanze dei conti con l’una o con l’altra parte nel corso del Duecento, quando si andò precisando il sistema dei collegamenti feudali, con funzione legittimante, tra i conti e i poteri superiori costituiti dai vescovi di Vercelli, dai vescovi di Ivrea e dall’impero [Rondolino, p. 61 sgg.; A.S.T., Corte, Monferrato feudi, m. 25, Cavaglià: dipl. del’imp. Federico II del 1249 in favore dei conti Giorio e Pietro di Cavaglià]. Va osservato piuttosto che il comune di Vercelli incominciò per tempo, e già sul finire del secolo XII, a cercare collegamenti diretti, mediante giuramenti di cittadinatico, con singoli abitanti di Cavaglià (cfr. Pacta et conventiones, indice cronologico, nn. 5, 19, 70, 194). La comunità riuscì così a ritagliarsi un ruolo politico, riuscendo a confrontarsi direttamente con il comune di Vercelli, pur nel contesto di pattuizioni nelle quali la comunità era solo una delle molte parti: nello statuto visconteo (p. 131v-132r) venne ricordato un patto tra il comune di Vercelli da una parte e dall’altra la comunità di Cavaglià, il dominus Pietro Bicchieri e la sua domus, i Bondoni, il dominus Giacomo di Saluzzola (probab. della famiglia dei conti di Cavaglià), Ottobono de Raynerio di Bene e altri loro aderenti. Gli stessi statuti contengono anzi un discreto numero di capitoli dedicati espressamente a Cavaglià (pp. 136v-138r), che rimandano a una tradizione di rapporti che affonda spesso le radici nel secolo precedente: il comune di Vercelli — ormai organicamente inserito, con un ruolo subalterno, nel complesso e variegato spazio politico visconteo — si impegnava a osservare “omnes libertates, immunitates concessas et privilegia datas et concessas per commune Vercellarum communi et hominibus Cabaliace” con instrumento datato 9 gennaio 1257, allorchè era stato costruito il nuovo borgo di Viverone (cfr. oltre, Luoghi scomparsi, Statuti).
   Nel dicembre 1404 la credenza del comune del borgo di Cavaglià, distretto di Vercelli, convocata su mandato del nobile Giacomino de Maxino podestà e Giovannino Grassi f. q. Guglielmo console, nominò dei procuratori per comparire a nome del comune di fronte al marchese Teodoro di Monferrato per prestargli giuramento di fedeltà e per confermare certi patti e convenzioni e capitoli del detto comune con il predetto marchese e per custodire e conservare Cavaglià “ad honorem et statum domini prelibati” (A.S.T., Corte, Monferrato, feudi, m. 25, Cavaglià, n. 2).
  Il 23 settembre 1426 [A.S.T., Protocolli ducali, serie rossa, 72, ff. 392-93; cfr. orig. perg. in ASTo, Prov. Vercelli, m. 8, Cavaglià] — dopo l’espugnazione del borgo, villa e ricetto di Cavaglià da parte dell’esercito del duca Amedeo VIII di Savoia nel corso della guerra con Filippo Maria Visconti e la sua sottomissione — vennero alla presenza del duca i rappresentanti del burgus et locus di Cavaglià, dotati del legale mandato della loro comunità, e lo supplicarono di prenderli, “tanquam iusto marche suo partis dominio”, come suoi veri uomini e fedeli sudditi, pronti a prestare il giuramento di fedeltà e obbedienza. Il duca accolse la domanda e lo stesso giorno, dopo aver ricevuto “debitam fidelitatem et obedienciam per homines, incolas et comunitatem dicti loci”, concesse capitoli di franchigia alla comunità “in libertatis beneficium” (ff. 394-95).
Feudo
Il 23 settembre 1426 (A.S.T., Protocolli ducali, serie rossa, 72, ff. 390-91) — dopo che nel corso della guerra contro Filippo Maria Visconti il duca di Savoia Amedeo VIII aveva espugnato la villa, borgo e ricetto di Cavaglià sottomettendola al suo dominio — il nobile Francesco Masino cittadino di Vercelli e abitante in Cavaglià venne alla presenza del duca a supplicarlo di prenderlo come vassallo e suddito fedele. Chiese inoltre di essere investito di tutti i beni che deteneva nella villa, poderio e distretto di Cavaglià e che prima teneva in gentile feudo dal duca di Milano, oltre che di poter godere delle libertà e preminenze delle quali erano sono soliti godere i nobili della patria vercellese sudditi del duca di Savoia. Il nobile si dichiarò pronto a fare omaggio al duca di Savoia e a prestare il giuramento di fedeltà e omaggio “et alia facere que per eum evenerint facienda”, e ottenne così l'investitura dei beni “de more patrie Vercellensis”.
   Il 20 giugno 1590 il duca di Savoia Carlo Emanuele infeudò il luogo di Cavaglià al generale delle finanze Gromis. Venne ceduto il “riscatto della podestaria, fuocagii, redditi e emolumenti del luogo di Cavaglià diocesi di Vercelli alienati per il serenissimo di gloriosa memoria duca Carlo (...) con ragion di riscatto perpetuo” agli Scaglia di Biella, con successiva conferma di Emanuele Filiberto a Alessandro Scaglia conte di Verrua e consigliere di Stato, facendo insieme cessione del riscatto degli emolumenti criminali del luogo, ceduti a suo tempo a Filippino Gillio di Santhià e pervenuti poi per compera alla comunità e da lei venduti ad Alessandro Scaglia. A quest’ultimo Carlo Emanuele aveva ceduto il riscatto dei fuochi e dell’ufficio di podestaria, redditi ed emolumenti criminali, e infeudato e alienato il luogo di Cavaglià con la giurisdizione, mero e misto impero, ragioni e pertinenze, con riserva però di riscatto perpetuo per la somma di scudi mille. Riguardo a tale alienazione era nata lite avanti la Camera dei Conti fra gli eredi del detto Alessandro e la comunità di Cavaglià con intervento del Procuratore Patrimoniale. La comunità di Cavaglià sosteneva di non potere essere intervenuta la alienazione e infeudazione per essere contro i suoi privilegi e contro le espresse convenzioni fatte tra la comunità e gli Scaglia. La Camera emise sentenza a sanzione del riscatto perpetuo, nonostante la detta remissione di esso. Carlo Emanuele dunque, volendo ora avvalersi del diritto sancito dalla sentenza, informato sulle ragioni e dipendenze del luogo di Cavaglià e loro redditi e valore, cede e trasferisce, con la partecipazione del Consiglio di Stato, al Magnifico Consigliere di Stato e Presidente del Consiglio e Magistrato delle Finanze Guglielmo Gromis dei Signori di Trana, capo e generale delle finanze di qua e di la dai monti ecc., per sé e i suoi discendenti con diritto di primogenitura, “tutte le ragioni et attioni mere, miste et hippotecarie che havemo et puotessimo haver al presente et per l’avvenire in virtù di detti riscatti et sentenza in et sopra detta podestaria ducati novante annuali de fuocagii, redditi, emolumenti civili et criminali et infeudazione da noi fatta al detto M. Alessandro Scaglia”. Il Gromis si impegnò contestualmente a versare al duca di Savoia 4000 scudi d’oro d’Italia, e ottenne così in feudo il luogo e territorio di Cavaglià, con il mandamento e le dipendenze, "col mero misto imperio e totale giurisdizione [...] riservati solo gli appelli e ricorsi superiori" (interinato dalla Camera dei Conti il 3 agosto 1590). Successore di Guglielmo Gromis nel feudo di Cavaglià fu il figlio Marc’Antonio Gromis, investito il 17 giugno 1597 (A.S.T., Corte, Paesi per A e B, Cavaglià, n. 7).
   Del febbraio 1663 è un documento (A.S.T., Corte, Prov. di Vercelli, m. 8, Cavaglià) con cui la principessa Ludovica Maria di Savoia nomina un procuratore per recarsi a Cavaglià e dal delegato della camera dei conti per prendere possesso del luogo, feudo, giurisdizione, beni di qualsivoglia natura, redditi, ecc. donati alla principessa da sua altezza reale con patenti 7 dicembre 1662 (interinate dalla camera dei conti il 14 dicembre), e a ricevere il giuramento di fedeltà degli uomini del luogo e marchesato di Cavaglià e abitanti nel suo terriorio. Nel maggio dello stesso 1663 tale Giovanni Giacomo Maria Zuccotto si offrì di pagare annualmente per la segreteria “de civili e criminali emolumenti et raggioni ad essa secretaria spettanti” alla principessa Ludovica di Savoia marchesa del luogo ducatoni 10 per anno per tre anni.
Mutamenti di distrettuazione
Cavaglià e il suo territorio appartennero, dopo la dedizione del 1429, alla dominazione sabauda. Nel Cinquecento, come alla voce Feudo, le necessità finanziarie del ducato suggerirono l’infeudazione degli uffici di Cavaglià e dello stesso mero e misto impero, vale a dire della piena giurisdizione.
   Il comune di Cavaglià è compreso oggi nella provincia di Biella, istituita di nuovo, a più di un secolo dalla sua abolizione, con DL 6 marzo 1992, n. 248. Nell’aprile del 1622, quando Carlo Emanuele I aveva ripartito gli Stati di qua dai monti in 12 province (Duboin, t. IX v. XI, p. 337 sgg.), Cavaglià era compresa in quella di Vercelli. Sembra che la provincia di Biella sia stata creata dallo stesso Carlo Emanuele I nel novembre 1626 e che comprendesse allora anche il capitanato di Santhià (Mullatera, p. 238). Certamente comprendeva Cavaglià e avrebbe continuato a comprenderla per tutto il Settecento e, dopo l’intermezzo francese, per parte dell’Ottocento, fino all’abolizione della provincia stessa, avvenuta nel 1859 in seguito alla promulgazione della cosiddetta “legge Rattazzi” (legge 23 ottobre 1859, n. 3702: cfr. Raccolta di leggi, pp. 1150-1233). Questa legge, all’art. 1 del titolo primo, stabiliva dividersi il Regno “in Provincie, Circondarii, Mandamenti e Comuni” secondo la tabella annessa alla legge: Cavaglià (che aveva allora 2.348 abitanti) era compresa nella Provincia di Novara, Circondario II di Biella, ed era a capo di un mandamento comprendente i comuni di Dorzano, Roppolo e Viverone (pp. 1219, 1222). La situazione circoscrizionale mutò ancora, semplificandosi notevolmente, con il RDL 2 gennaio 1927, n. 1: per restare a ciò che ci riguarda venne  istituita
(art. 1) la provincia di Vercelli con capoluogo Vercelli, comprendente i comuni già costituenti i soppressi circondari di Vercelli, Biella e Varallo Sesia, più i comuni di Borgo Vercelli e Villata. Vennero poi soppresse tutte le sottoprefetture e quindi, di fatto, i mandamenti, ai quali la legge Rattazzi aveva preposto gli intendenti, sostituiti dai sottoprefetti con RD 9 ottobre 1861, n. 250.
   Ho accennato al periodo francese: il territorio del Piemonte fu diviso con decreto del 13 germile a. 7 (2 aprile 1799) in 4 dipartimenti: Cavaglià restò compreso nel dipartimento della Sesia con capoluogo Vercelli. Lo stesso giorno venne decretato che il dipartimento della Sesia avrebbe compreso “il Vercellese propriamente detto, la provincia di Ivrea, il Biellese, l’alto e basso Novarese” e ne vennero stabiliti i confini. Il 28 piovoso a. 8 (28 gennaio 1800) il Primo Console emanò la legge riguardante la divisione del territorio della Repubblica: l’art. 1 stabiliva che il territorio europeo della Repubblica fosse diviso in Dipartimenti e in circondari comunali, conformemente a una tabella annessa alla legge: Cavaglià restò compreso nel Dipartimento della Sesia, sottoprefettura di Biella. Vedi mappa.
   Successivamente venne emanato (3 brumaio a. 11/25 ottobre 1802) un regolamento per la formazione delle assemblee politiche di cantone per i 6 dipartimenti in cui risultava ora divisa la 27 divisione militare, vale a dire il Piemonte: Cavaglià divenne capoluogo di cantone (Dip. Sesia) comprendente Salussola, Magnano, Zimone, Roppolo, Dorzano, Viverone, Carisio, S. Damiano, Villanuova di Massazza e Vergnasco.
Mutamenti Territoriali
Non reperiti.                        
Comunanze
Il primo accenno ai beni comuni della comunità di Cavaglià è contenuto per quanto mi è noto nello statuto di Vercelli di età viscontea: i conti di Cavaglià e il priorato di San Vincenzo (cfr. sopra, Altre presenze ecclesiastiche), ai quali in occasione della costruzione del borgofranco di Cavaglià (1257) erano stati assegnati (livrati) nel burgus di Cavaglià dei sedimi immuni da carichi fiscali, disponevano anche di prati (“prata que sunt extra nemora”), ronchi, terre coltivate e vigne che si diceva fossero “ex communibus”. Inoltre gli statuti accennano in un capitolo (p. 137 v) a un consorzio nobiliare che disponeva di 400 moggia di un bosco detto Meoleto situato in direzione di Santhià, bosco nel quale gli uomini della comunità e i dipendenti delle chiese avevano il solo diritto di pascolo (“ita tamen quod homines dicti burgi et ecclesie habeant solummodo ius pascendi ibidem cum eorum bestiis et non boscandi”). Da questa quota di bosco, due terzieri, sembra dipendessero almeno in parte i beni “ex comunibus” sopra ricordati, tenuti per consuetudine dai conti di Cavaglià e dal priorato di S. Vincenzo. Le restanti pertinenze dei due terzieri di bosco “tam in pascuis et nemoribus, quam riveriis, zerbiis et omnibus aliis” dovevano restare comuni tra la comunità e i conti e domini chierici e laici, in modo da non poter essere arroncate, divise in quote o assegnate a qualcuno. Lo statuto forniva poi un vero e proprio regolamento sul taglio della legna, assegnando delle quote ai vari soggetti.
   Riguardo ai beni comuni di Cavaglià offrono notizie interessanti i carteggi ottocenteschi tra la Segreteria di Stato per gli Interni e l’ufficio dell’Intendenza di Biella, conservati parzialmente in A.S.T., Corte, Paesi per A e B, Cavaglià: negli anni trenta i beni comuni ascendevano ancora a 700 giorna
te, corrispondenti a 1/9 del territorio.
Liti Territoriali
 Non reperite.                          
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Cavaglià).
     Le carte dell’archivio del comune di Cavaglià andarono distrutte nel corso di un bombardamento al tempo della seconda guerra mondiale.
 
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino). Vedi inventario.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie III, Biella, Mazzo 2, Foglio 1, Carta Topografica Regolare del Circondario di Biella / dipartimento della Sesia. Carta topografica regolare del circondario di Biella, dipartimento della Sesia, anni dal 1800 al 1814, Antonio de Steffani di Graglia Misuratore. Inchiostro e acquerello di vari colori (s.d.) [Autore disegno originale: Antonio Desteffani di Graglia]. Vedi mappa.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Salussola; Mazzo 1, "Saluzz[ola], Dorzano, e / Cavaglia". Carta in 4 parti dei Territori di Dorzano, di Cavaglià e di Saluzzola stata levata per Ordine del Governo dei 12 Brumajo Anno XI (3 novembre 1802) dall'Ing. Geometra Momo sulla Scala di 1/5000, s.d. [Autore disegno originale: Momo]. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Vedi mappa 3. Vedi mappa 4..
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie III, Santhià, Mazzo 1, Tipo dimostrativo dei lavori da eseguire per derivare le acque a beneficio della Mandra di Santhià dal lago Bertignano e dalle sorgenti di Cavaglia. Descrizione: "Carta topografica, mappa, tipi, indici, piante, progetti, profili, ecc relativi alla Tenuta di Santhià" (21 disegni), sec. XVIII-XIX. 3) "Tippi per la Derivazione dell'Aque a Benefizio delle Mandrie di Santià dal Lago di Bertignano e dal Territorio di Cavaglià", prima del 1814. Inchiostro e acquerello grigio, verde. (Note: Derivazione dell'Aque a Benefizio delle Mandrie di Santià dal Lago di Bertignano e dal Territorio di Cavaglià"; è presente anche un'altra indicazione relativa all'oggetto rappresentato nella carta, che è solo parzialmente leggibile: "Per Santhia / Tippo dimostrativo co[...] ossi[...] [...] vare [...] dal lago Bertigrano e dalle sorgenti di Cavaglia".), s.d. Vedi mappa.
Bibliografia
Carte IGM:
 
I Biscioni, a c. di R. Ordano, t. II vol. I, Torino 1970.
 
Dizionario: Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino 1990.
 
Duboin, t. IX v. XI: Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti, ecc. pubblicati sino agli 8 dicembre 1798 sotto il felice dominio della real casa di Savoia, compilata da F. A. Duboin, tomo IX vol. XI, Torino 1833.
 
Pacta et conventiones: Il libro dei “Pacta et conventiones del comune di Vercelli, a c. di G. C. Faccio, Novara 1926 (B.S.S.S, 97).
 
D. Lebole, La chiesa biellese nella storia e nell’arte, 2 voll., Biella 1962.
 
13° censimento: Istituto Nazionale di Statistica, 13° censimento generale della popolazione e delle abitazioni, 20 ottobre 1991. Fascicolo provinciale Cuneo, Roma 1994.
 
Mandelli: V. Mandelli, Il comune di Vercelli nel medio evo, tomo II, Vercelli 1857
 
Manno Antonio, Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia,  Torino,  Fratelli Bocca librai di S.M., vol. IV, 1892, pp. 202-203. Vedi testo.
 
Mullatera: G. T. Mullatera, Le memorie di Biella, Biella 1968.
 
Raccolta di leggi, decreti, circolari ed altri provvedimenti dei magistrati ed uffizii pubblicati negli Stati Sardi nell’anno 1859, vol. XXIII serie V, Torino 1859.
 
Rondolino: F. Rondolino, Cronistoria di Cavaglià e dei suoi antichi conti, Torino 1882.
 
Sergi: G. Sergi, I confini del potere. Marche e signorie fra due regno medievali, Torino1995.
 
Statuta Vercellarum: Hec sunt statuta communis et alme civitatis Vercellarum, Vercelli 1541.
Descrizione Comune
Cavaglià
Si cercherà qui di ragionare intorno ad alcuni dati offerti dalla parte della documentazione utilizzata nella prima parte della scheda relativa al territorio e in particolare ai beni comuni, partendo dalle notizie disponibili sull’erezione di Cavaglià a borgofranco. Dal punto di vista insediativo le conseguenze dell’operazione del 1257 furono profonde e molteplici. Non mi è possibile, allo stato attuale dell'indagine, accettare tout-court o respingere la posizione di Rondolino, che vide in Cavaglià, prima dell’intervento Vercellese, “una regione seminata di case coloniche sparse sui colli e nelle valli” e nel toponimo stesso il nome di una regione, non di un villaggio [Rondolino, p. 23]. La sua ipotesi era probabilmente condizionata da una idea della curtis altomedievale — ricordo che Cavaglià nelle sue prime attestazioni nel X secolo è menzionata come curtis [vd. Dipendenza medioevo] — come complesso agrario dominato dall’abitato sparso e privo di un centro coordinatore. Indizi eloquenti di uno sconvolgimento dell’assetto territoriale preesistente e del tentativo di stabilire nuovi equilibri delle forze in campo si hanno dal XIII secolo. Lo si vede, in particolare, nei mutamenti indotti nel tessuto delle istituzioni ecclesiastiche, piuttosto lenti a dire il vero: l’abbandono della parrocchia, con titolo plebano, di S. Pietro, rimasta fuori dalle mura del borgo, sostituita nelle sue funzioni da quella di S. Michele, la cui costruzione non era ancora ultimata nel 1482 [Lebole, La chiesa biellese, vol. II, p. 137]. Lo si vede ancora meglio nelle regole, trasmesse dallo statuto visconteo di Vercelli, relative allo sfruttamento dei beni comuni. Una parte di essi — forse la parte migliore: prati, ronchi, terre coltivate e vigne — era diventata ormai stabile possesso dei conti di Cavaglià e del priorato di S. Vincenzo: questo è almeno l'immagine che ci tramandano le fonti, e si indovina che sulla questione erano nate delle controversie con la comunità, alle quali il comune di Vercelli aveva tentato di porre fine con il suo intervento.
   Una parte cospicua (e connotante dal punto di vista del paesaggio) del patrimonio fondiario comune era stata inoltre assegnata a un consorzio nobiliare: si trattava di 400 moggia di un bosco detto Meoleto situato in direzione di Santhià, nel quale gli uomini della comunità e i dipendenti delle chiese avevano il solo diritto di pascolo (“ita tamen quod ... habeant solummodo ius pascendi ibidem ... et non boscandi”). Si trattava di due terzi di tutto il bosco (che si estendeva quindi per un totale di circa 600 moggia), bosco a sua volta parte di un patrimonio comunitario complesso, dotato di ‘dipendenze’: dai due terzieri sembra infatti dipendessero, almeno in parte, i beni “ex comunibus” sopra ricordati, tenuti per consuetudine dai conti di Cavaglià e dal priorato di S. Vincenzo. Le restanti pertinenze dei due terzieri di bosco “tam in pascuis et nemoribus, quam riveriis, zerbiis et omnibus aliis” dovevano restare comuni tra il comune e gli uomini del borgo e i conti e domini chierici e laici; non potevano essere messe a coltura, divise in quote o assegnate.
Allo stato delle ricerche è impossibile stabilire se in questo complesso sistema di beni comuni, organizzato in un bosco con dipendenze, solo in parte leggibile a causa dello stato della documentazione, vada visto un residuo dell'organizzazione curtense del territorio di Cavaglià, documentata dai diplomi imperiali dei secoli X e XI.
    Ci si può invece soffermare su quella parte del territorio di Cavaglià, la parte orientale sembrerebbe, occupata dal bosco. Lo statuto visconteo se ne occupa anche in altri punti, vedendoli non come risorsa ma come un pericolo da eliminare o ridurre: nel capitolo intitolato De incidendis nemoribus existentibus inter locum Sancte Agathe et burgum Cabaliace (pp. XVII-XVIII dello statuto a stampa) si stabiliva che omnia nemora consistentia ex utraque parte strate inter locum Sancte Agathe et burgum Cabaliace per medium miliare longe a strata incidentur (...) et sic incidantur ipsa nemora usque ad quoddam dorsum iuxta quoddam grossum nemus circa Cabaliacam. Il disboscamento doveva riguardare una vasta area ed essere eseguito dalle comunità interessate: incidentur per comunia locorum consistentium a strata Tridini usque ad padum et ab ipsa strata et pado usque in Elevum in plano et in montaneis.
   
Nella sua porzione orientale il territorio di Cavaglià era dunque caratterizzato a metà Trecento, se gli statuti viscontei non si limitano a tramandare passivamente le redazioni statutarie precedenti, da un paesaggio larghi tratti boscoso. Tale caratteristica si conservò nei secoli seguenti. Nel settembre 1552 da Vercelli il duca Carlo III (siamo al tempo dell’occupazione francese) invia un ordine a un suo consigliere: considerato che è necessario, tanto per servizio del duca quanto per il beneficio comune dei suoi sudditi, tagliare i boschi posti sui confini di Cavaglià e luoghi circonvicini in modo che i nemici non possano “stracorrere”, costui dovrà recarsi sul luogo, comandare alle terre vicine di fornire i guastatori, e procedere al taglio del bosco “insino al fondo della pianta” [A.S.T., Corte, Protocolli ducali, serie rossa, 184, f. 305].
   Non si dispone, allo stato, di una documentazione cronologicamente continua, si è costretti a procedere a grandi balzi. Dalle ricerche condotte essenzialmente sui comuni di Salussola, Roppolo (cfr. le schede corrispondenti) e Cavaglià sembra di poter dire che la prima metà dell’Ottocento fu decisiva per i beni comuni: fu allora che si decise il destino di grandi estensioni di terra, intorno alle quali si erano accese dispute vivaci. Le amministrazioni comunali assunsero orientamenti, il più delle volte assecondati dagli intendenti e dal Ministero degli Interni, intesi a salvaguardare gli interessi dei ceti dirigenti locali (i cosiddetti “registranti”, cioè i contribuenti).
   Protagonista delle speculazioni operate sui beni comuni di Cavaglià nella prima metà dell’Ottocento fu un personaggio di antica famiglia di notai e esperti di diritto del luogo: Lorenzo Salini. Costui tentò di entrare a far parte del consiglio comunale già nel 1819, ma una norma del Regolamento dei Pubblici, dalla quale il Ministero degli Interni non volle derogare, glielo impedì: era infatti imparentato con il sindaco allora in carica [A.S.T., Paesi per A e B, Cavaglià, n. 11]. Al 1830 risalgono i primi documenti che lo mostrano interessato al patrimonio comunale: si trattava allora dell’antica tettoia del mercato di Cavaglià, che sarebbe stato necessario restaurare ma che la comunità era orientata a vendere. Il Salini fece delle offerte senza a quanto pare riuscire ad acquisirla (stessa serie, n. 14). Riusci invece a comperare una fontana comunale, detta Pracaretto o Riazzolo, nel 1836 (n. 17), e tre anni dopo un ordinato della comunità delibera la vendita al Salini di 2 metri quadrati di terreno comunale, terreno che egli stesso aveva occupato abusivamente nel far costruire un fabbricato (la Segreteria di Stato per gli Interni esentò la comunità dalle formalità prescritte per la vendita dei beni comunali) (n. 20).
   Ma l’episodio che più interessa è quello che portò all’introduzione di un dazio al consumo nel territorio di Cavaglià, il cui regolamento, approvato con Regio Biglietto, venne pubblicato con manifesto camerale in data 30 maggio 1836 (n. 18). Le ragioni per l’introduzione di tale dazio vennero illustrate con una relazione
datata 29 gennaio 1836 dell’Intendente di Biella Marioni alla Regia Segreteria di Stato per gli Interni: lo scopo era quello di rendere possibile una riduzione della imposta sul registro (gravante sulla ricchezza immobile) e avviare opere di miglioramento del patrimonio comunale. Lorenzo Salini, che nel frattempo era diventato sindaco, aveva dunque l'obiettivo di alleviare da un lato il carico fiscale gravante sui proprietari, il ceto che esprimeva gli amministratori comunali, e dall’altro quello di introdurre delle migliorie sui beni comunali per renderli più produttivi, dato che da 700 e più giornate di beni comuni (circa 1/9 del territorio di Cavaglià!) non si traeva “che la meschina entrata di 316 £”. L’idea di introdurre un dazio di consumo per abbonamento era stata votata all’unanimità dal raddoppiato consiglio comunale (come richedeva il Regolamento de’ pubblici per questioni di particolare importanza) il 22 dicembre 1835, alla presenza dell’intendente della provincia di Biella. Reso pubblico l’ordinato “solo alcuni esercenti presentavano richiami”.
   Il sindaco, come informa una copia del verbale della riunione del 22 dicembre, aveva affermato nel corso della riunione che “per intraprendere le indaggini, provviste e cure per migliorare li boschi comunitativi, il di cui suolo è di tutta fertilità per l’allevo di qualsivoglia pianta e segnatamente delle così dette Gaziglie, come lo dimostrano le piantagioni praticate nei tenimenti della Mandria prospicienti ai boschi comunali, voglionsi grandiose somme, in modo che riesce impossibile di ciò poter porre in esecuzione, se prima non si pensa ai mezzi per farvi fronte”. Occorre rilevare, a questo punto, che il finanziamento ideato dal Salini comportava un trasferimento netto di ricchezza verso i proprietari terrieri, i così detti “registranti”, dalle tasche di coloro che erano costretti a pagare le imposte al consumo. Infatti tale imposta veniva a gravare, come di fatto previsto dal regolamento stesso pubblicato con manifesto camerale, solo su coloro che non producevano in proprio le derrate soggette all’imposta, come invece facevano i “registranti”. In più il gettito del dazio sarebbe servito a finanziare lavori di miglioramento dei beni comunali volti a garantire un incremento della rendita di tali beni, incremento che avrebbe arricchito le casse comunali permettendo così una ulteriore diminuzione della tassa di registro.
   Si può concludere, come già per Salussola, che in pieno Ottocento i beni comuni costituivano ancora una risorsa notevole e una parte cospicua del territorio comunale e che in questo caso, come in altri, il ceto dirigente comunale, composto dai maggiori proprietari terrieri, riuscì a orientare lo sfruttamento di tali beni a proprio vantaggio, consolidando e aumentando la propria ricchezza a spese di quella parte della popolazione sprovvista di terra o comunque di terra sufficiente alla propria sussistenza.