Varallo Pombia

AutoriLeggero, Roberto
Anno Compilazione2007
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Novara.
Area storica
Comitato di Pombia.
Abitanti
4772 (ISTAT 2007; nel 1450, 80 fuochi [circa 320 ab. applicando un coefficiente 4]; nel 1659, 163 fuochi [652 ab. con coeff. 4]; nel 1888 3188 ab.; nel 2001 4403 ab.).
Estensione
1.358 ha.
Confini
A nord Borgo Ticino e Castelletto sopra Ticino, a est Somma Lombarda, a sud Pombia, a ovest Divignano.
Frazioni
Cascinetta.
Toponimo storico
«Plumbia» deriverebbe dal nome personale latino Plumbius di cui sarebbe il femminile. Il toponimo rimanderebbe dunque «ad una origine latina del luogo e così la documentazione archeologica e i dati di microtoponomastica. Da scartare perciò la analisi tradizionale che farebbe derivare dal fitotoponimo populus (pioppo) il nome della località» (Andenna 1982, p. 347). Il documento più antico che ricordi Varallo Pombia è una donazione data a Pombia il 17 giugno 885 (Le carte dello Archivio Capitolare di Santa Maria di Novara I, pp. 20-21) in cui Raginaldo figlio di Rapaldo «de castro Plumbia», e arcidiacono e vicedomino della chiesa novarese effettua una donazione alla chiesa stessa. Nel documento compare come teste tal «Luvoni de Varalo». Per quanto riguarda «Varallo», Olivieri ipotizza l’etimo variarius con il significato di «terreno incolto, aspro» (Olivieri 1965, p. 359). Per quanto l’etimologia venga accettata con riserva, tuttavia essa si adatterebbe a una località nella quale era collocata la pieve, dunque in un luogo incolto e perciò solitario, come di solito avveniva.
Diocesi
Novara.
Pieve
Varallo Pombia, chiesa di S. Vincenzo (1132). Con riferimento alla situazione generale dell’ubicazione delle pievi sul territorio novarese Andenna afferma: «possiamo immediatamente osservare che l’ubicazione delle pievi segue in genere il corso dei fiumi, ponendosi sulle alture stanti il deflusso della corrente. Si hanno così le sei pievi sul Ticino» (Andenna 1974, p. 506), di cui una è costituita dalla chiesa di S. Vincenzo. La sola altra intitolazione di una pieve a san Vincenzo nel Novarese è quella di pieve Vergonte.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Battistero di S. Giovanni; chiesa di S. Grato; chiesa di S. Rocco (sec. XVII); oratorio di S. Giuseppe (in casa Caccia, aperto nel 1760); chiesa della Madonna del Rosario già di S. Pietro eretta in confraternita nel 1603 ma il campanile è forse del XIII secolo; chiesa «del Lazzaretto» (sec. XVIII); oratorio di S. Giovanni (1739).
Assetto Insediativo
In termini geologici Varallo Pombia sorge sui resti degli archi morenici frontali del grande ghiacciaio del Ticino, il cui anfiteatro si estendeva da Carciago a Varallo Pombia, Somma Lombardo, Carnago, Varese e Velate. Il comune di Varallo Pombia è collocato su un altopiano intermedio tra l’altopiano di Mindel (risalente a 385.000 anni fa) e il livello fondamentale della Pianura Padana «tale terrazzo indicato come Diluvium medio (quaternario medio) si sviluppa verso sud fin quasi a Caltignaga, risompare come forma di isola in Novara e dintorni, con origine proprio a Varallo Pombia (zona a sud della linea Mirabella-Cascina Favorita, passante per la zona stazione, località Castello, Selvigia). Questa linea rappresenta i resti di un arco morenico rissiano ancora ben individuabile» (Favini 1972, pp. 106-108).
Tuttavia la migliore descrizione dell’assetto insediativo di Varallo Pombia è forse ancora quella proposta da Casalis il quale scriveva:
trovasi per metà in una valle, e per l’altra sopra un colle, sulla destra del Ticino, a tramontana di Novara da cui è distante nove miglia […]. Quattro ne sono le vie comunali: la prima è quella che pel tratto di un quarto di miglio scorre allo stradale regio; la seconda della lunghezza di un mezzo miglio scorge a Pombia; la terza mette al porto della Torre, discosto miglia quattro; l’ultima lunga due miglia circa tende a Castelletto-Ticino […]. Vi sorgono tre colli; uno chiamasi monte Bugno ed è sterile […] l’altro detto Opinaja, è popolato di boschi cedui, e vi si coltivano anche viti; il terzo, che porta il nome di Talese, è anche imboschito (Casalis 1853, p. 811).
Il castrum che sorgeva a Varallo Pombia si presentava alla metà del Seicento talmente diruto da non essere più riconoscibile come tale dalla popolazione locale: «un contadino dichiarò sotto giuramento che “qua non vi è alcun castello, né palazzo, vi è bene un luogo dirupato, che si chiama castello, ma non vi è habitatione alcuna, né i fondamenti che potesse essere castello”» anche se un ingegnere camerale poté riconoscere nelle tracce di mura rimaste che «realmente in antico fosse castello, sendovi la porta con li segni del ponte levadore et porticella et circondato tutto da muro, benché a lungo a lungo cascato nella sommità» (Andenna 1982, p. 356). Nel 1852 giunsero al comune di Varallo Pombia una serie di reclami per la soppressione del porto detto «della Torre» sul Ticino (ASNo, Intendenza generale, Affari generali, b. 173, f. 14).
Comunità, origine, funzionamento
Andenna, parlando della situazione insediativa di Pombia, afferma: «la molteplicità dei poli insediativi è rilevante e sottolinea la nuova dignità assunta da Pombia durante il periodo carolingio e postcarolingio, quando il luogo divenne sede comitale e centro giurisdizionale dell’area novarese» (Andenna 1982, pp. 348-349). La località di Varallo Pombia compare per la prima volta in un documento del giugno dell’885. Fino alle Consignationes del 1347 la documentazione è scarsa tuttavia da essa si può evincere che «lo stato della proprietà terriera appare molto diversificato, tanto da poter sostenere la presenza di numerosissimi coltivatori di terre allodiali» (Andenna 1982, p. 352).
Dopo il 1661 la comunità di Varallo Pombia ottenne di costituire due comuni, uno detto comune «de’ Nobili» e l’altro di comune «de’ Poveri». Infatti, afferma una memoria compresa nella documentazione «animi pauperens sint iam diu discordes ab illis nobilium». Come conseguenza della divisione agli «estimi maggiori» vennero assegnati 8 cavalli, due quarti e un sedicesimo di tasse da pagare mentre agli «estimi minori» restavano 4 cavalli e un sedicesimo (ASNo, Contado di Novara, b. 256).
Nell’anno 1700 si procedette alla riunificazione dei due «comuni» riunendo l’estimo reale e personale, le entrate, i debiti, le scritture e l’archivio. La riunificazione aveva anch’essa alla base ragioni fiscali ma soprattutto economiche: «per li maggiori bisogni di questo popolo tanto spirituale, quanto corporale et particolarmente per una bona et santa unione dell’animo popolare sconcertato per la divisione seguita dal presente all’adietro». La divisione, infatti, secondo la memoria acclusa alla documentazione aveva «sempre partorito pessimi effetti, quali vanno di tempo in tempo maggiormente serpendo con instabilissimo pregiudizio di tutto il popolo di quella a cagione delle supplicate spese de continuo in virtù d’essa [divisione] sostenute, e da sostenersi in avenire, quando in essa si dovesse perseverare». Però il «comune minore» pretese dei «capitoli» per l’unione delle due comunità per quanto riguardava l’elezione dei consoli che avrebbe dovuto procedere in tal modo, secondo il vecchio sistema in vigore prima del 1661: venivano nominate quattro persone dai «primi estimi», altre quattro dal «secondo estimo» e altre quattro «dell’infimo». Dalle quattro di ciascun estimo se ne estraevano a sorte due «con che però non intervenga dolo né fraude, ma che debbano sempre necessariamente succedere due persone del Comune Minore presentaneo per esser questo di tutta equità e convenienza». Inoltre si sarebbe dovuto procedere all’elezione del sindaco. Egli era tenuto a «invigilare a tutti li interessi pubblici». Inoltre dovevano essere uniti «li danni et utili, come se fossero stati fatti da un Commune solo», «che si debbano unire tutte le scritture al presente divise toccanti li affari et negozi della detta comunità […] et che debbano restare in buona custodia […] in quell’archivio che sarà destinato dal medesimo comune acciò in ogni tempo e luogo si possano estrahere, per diffendere le raggioni della Communità medesima».
Prima della separazione del 1661 la comunità eleggeva:
un cancelliere, un tesoriere, si faceva un consiglio, un elettione de consoli, una taglia con l’assistenza del giudice ordinario, e se vi era qualche lite, o altro bisogno, di far giornata, il tutto si pagava, e si sosteneva a spese d’essa communità in corpo […] là dove queste tutte si sostenevano in corpo, come si disse, hora nascendo qualche affare spettante al Commune de Nobili, di presente detto Maggiore, lui solo fa la spesa e se per il Commune de Poveri, hora detto Minore, si fa il simile; onde fatto il conto per verisimile un anno con l’altro del danno causato da tale scissione, certo che trascende più di lire milla ogni anno, e però questo unito per tutti li anni scorsi dal detto anno 1661 a questa parte eccede la somma di lire quaranta milla.
La ratifica della decisione di riunire i due comuni, da parte dei «particolari interessati», non era stata fatta con i modi usuali: i reggenti dei due comuni si erano recati di casa in casa a richiedere la firma di chi ne aveva diritto sotto la deliberazione «perché il convocarli nella forma solita è stata conosciuta cosa quasi impossibile et impratticabile». Il notaio attuario si era portato a Varallo Pombia il dieci del mese di novembre, una domenica. Al popolo riunito con i consoli, i sindaci i reggenti e i consiglieri delle due comunità il notaio aveva chiesto se tutti i presenti approvassero la riunificazione «risposero tutti assentatamente signor sì, che si facci un solo comune, e una nuova riunione, sentendosi innumerabili voci a dire, che questa deliberazione doveva farsi molti anni fa, che ne haverebbero sentito utilità grande, e che per la tardanza è ridondato in tanto danno». Il notaio aveva poi chiesto se ci fosse qualcuno che aveva qualcosa da eccepire riguardo alla riunificazione, ma «ad una voce tutti hanno repplicato, non v’è alcuno, che habbi cosa in contrario, che si facci, che si facci, che è bene, che è cosa ben fatta e ben intesa, Dio ci ha aggiustati, et illuminati». A circa un ventennio dalla riunificazione, nel dicembre del 1720, la comunità inviò un memoriale al Magistrato della comunità di Varallo Pombia, che si doveva all’iniziativa di alcuni «particolari», per ottenere l’equiparazione della loro quota affinché fosse possibile formare «un comunetto separato, ossia il comune de’ poveri» (ASNo, Contado di Novara, b. 317).
Catasti
La documentazione relativa alla separazione del comune nelle due comunità dei «Nobili» e dei «Poveri» presenta la situazione fiscale della comunità nel 1661 e nel 1700 quando si procede alla riunificazione (sia i documenti del 1661 che quelli del 1700 citano la presenza di documentazione catastale ASNo, Contado di Novara, b. 256 e b. 317).
Dipendenze nel Medioevo
Varallo Pombia insisteva nell’area controllata, a partire dal X secolo, dai conti di Pombia. A partire dal 1025 Corrado II re d’Italia donava alla chiesa novarese i comitati di Pombia e dell’Ossola. La donazione venne riconfermata nel 1028, nel 1060 da Enrico IV, nel 1155 da Federico I, nel 1311 da Corrado II. Occorre però considerare che un esponente della famiglia, Gualberto, nel 1034 fu nominato vescovo di Novara. Andenna considera perciò che i diplomi di confisca dei beni appartenuti a Umberto e Riccardo «nonché di concessione al vescovo di Novara delle contee di Pombia ed Ossola, erano stati probabilmente revocati» (Andenna 1982, p. 349). Il comitato di Pombia rimase perciò formalmente alla Chiesa novarese fino al 1413 «i beni immobili nel capoluogo del comitatus furono saldamente tenuti dai da Castello» (uno dei rami della famiglia dei conti di Pombia, ormai non più tali). Non bisogna dimenticare che, di fatto se non di diritto, dopo la sconfitta delle ambizioni dei signori locali da parte del comune di Novara, a partire dall’inizio del XIII secolo tutta l’area del comitato plumbiense fu stabilmente sotto il controllo comunale. I da Castello avevano già consegnato prima del 1218 i propri beni al comune di Novara il quale li aveva poi restituiti in feudum agli stessi.
Nel XIV secolo Galeazzo II, nell’ambito dello scontro con il marchese del Monferrato, si impadronì di Varallo e di Gattico. «La nuova organizzazione amministrativa data dal Visconti al Novarese nel 1361-1362 era basata su circoscrizioni rurali, governate da vicari o podestà in stretto rapporto con il Comune di Novara e col signore» (Andenna 1982, p. 352). La zona che comprendeva Varallo Pombia fu inserita nella squadra del Ticino.
Feudo
Nel 1407 Filippo Maria Visconti infeudava Varallo Pombia ad Alberto Visconti, signore di Borgo Ticino. Il 7 maggio 1413 Filippo Maria concedeva a Ermes e Lancillotto figli di Uberto da Castelletto, i castelli i beni demaniali e ogni potere giurisdizionale di Pombia e Varallo Pombia che divennero così terre separate entro i confini del ducato di Milano (Andenna 1982, p. 352). Nel 1447 Filippo Maria confiscò il feudo. Ciò creò una situazione difficile per Lancillotto il quale non veniva riconosciuto in quello che riteneva essere un suo diritto. Durante la breve parentesi della Repubblica Ambrosiana (1447-1450) Lancillotto si impadronì nuovamente di Varallo Pombia e di Pombia. Ai Visconti il feudo rimase fino al 1469 quando esso venne concesso a Martino Paolo Nibbia (una famiglia novarese strettamente legata alla cattedra episcopale) da Galeazzo Maria Sforza. Anche in questo caso, poiché il feudo comprendeva tutti i diritti giurisdizionali e ogni ragione finanziaria e fiscale le due località vennero separate «dal territorio sottoposto al podestà di Novara con la precisa formula “siano un organismo per sé libero ed esente da ogni potere di giurisdizione della città di Novara”» (Andenna 1982, p. 353). I Nibbia cedettero poi parte del feudo all’arcivescovo di Milano Antonio Arcimboldi e dopo la morte di quest’ultimo, tale quota passò al suo figlio illegittimo Nicolao e da costui che non poteva ereditare proprio perché illegittimo, ai Borromeo che lo acquistarono per 4500 lire nel 1507. Il feudo rimase ai Borromeo fino al 1589, quando «i Nibbia tornarono ad essere unici feudatari di Varallo e di Pombia, ma per difficoltà finanziarie e familiari i diritti passeranno nella seconda metà del Seicento ai Caccia e poi ai Ferreri, infine nel 1776 ai Sormani» (Dessilani 2001, p. 134). I Ferreri ottennero il feudo in quanto cugini dei Caccia. L’ultimo erede, infatti, Federico Caccia era diventato arcivescovo di Milano. I Nibbia che non avevano voluto cedere ai Borromeo la loro signoria, furono costretti a farlo dalla condizione di indigenza nella quale erano caduti, costretti ad accettare un sussidio disposto dal comune in quanto pubblicamente riconosciuti come bisognosi.
Mutamenti di distrettuazione
Varallo fu inserita nel comitato di Pombia, una antica distrettuazione la cui prima menzione «è contenuta in un diploma di Berengario I al visdomino della chiesa Novarese, Leone, databile tra il 911 ed il 915 […] sul territorio comitale svolse sicure funzioni pubbliche dal 962 il conte Adalberto». All’inizio dell’XI secolo, come s’è detto, il comitato viene concesso, per volontà imperiale al vescovo di Novara anche se il forte consortile famigliare dei conti di Pombia continuò localmente la sua azione. Inoltre si può affermare che, mentre l’investitura al presule novarese rimase poco più che simbolica, e scarsamente efficace dal punto di vista politico-amministrativo, il crescere dello scontro tra il comune di Novara e i signori locali determinò di fatto e di diritto, l’inclusione dell’area a tutti gli effetti nel contado novarese.
Come si è detto, tra il 1361 e il 1362, Galeazzo II riorganizzò amministrativamente il novarese creando delle circoscrizioni rurali, governate da vicari o podestà strettamente collegati con il comune di Novara e col signore (Andenna 1982, p. 352). La zona che comprendeva Varallo Pombia fu inserita nella squadra del Ticino. Tuttavia, quando nel 1413 Filippo Maria concesse a Ermes e Lancillotto da Castelletto, i castelli, i beni demaniali e ogni potere giurisdizionale su Pombia e Varallo Pombia consentì che tali feudi divenissero terre separate entro i confini del ducato di Milano (Andenna 1982, p. 352).
Dopo i trattati di Worms (1743) e di Aquisgrana (1748) lo Stato sabaudo si estese fino al Ticino, dal Po al Lago Maggiore: «i trattati di Worms e di Acquisgrana misero adunque fine alla secolare spartizione politica ed economica della diocesi di Novara. Tutte le regioni su cui Novara aveva cercato di dominare nell’età più bella del comune erano di nuovo un’unità: Val Sesia e Val d’Ossola, la riviera occidentale del Lago Maggiore, la Lomellina» (Cognasso 1971, p. 459). Durante l’età napoleonica il comune entrò a far parte del Dipartimento dell’Agogna. All’inizio del XIX secolo Varallo Pombia era inserito nel mandamento di Borgo Ticino (per le informazioni generali relative alle vicende del Novarese: Cognasso 1971, in particolare il cap. XXXII, Il Dipartimento d’Agogna). Dopo il ritorno dei Savoia Varallo Pombia entrò a far parte del Circondario di Novara, e del Mandamento di Borgo Ticino.
Mutamenti Territoriali
Nel novembre-dicembre 1944 il «capo della Provincia di Novara», Enrico Vezzalini, progettò l’aggregazione di molti comuni della provincia in comuni più ampi per venire incontro alle necessità del Fascismo repubblicano di tenere meglio sotto controllo le amministrazioni comunali, diminuire le spese e punire i comuni «ribelli». Per quanto riguarda Varallo Pombia, Vezzalini ne progetta l’unificazione con Pombia e Divignano. Il progetto non andò in porto per l’opposizione del ministro dell’interno della RSI, Buffarini-Guidi. Ordini del comune relativi alla riunificazione delle comunità separate (ASNo, Contado di Novara, b. 317).
Comunanze
Al momento della separazione del comune di Varallo Pombia in due comuni distinti fiscalmente, quello dei «nobili» e quello dei «poveri», ciò che avviene nel 1661, la comunità possedeva 102 giornate e un quarto di beni propri (ASNo, Contado di Novara, b. 256).
Il 31 marzo del 1679 viene emanata dal governatore dello Stato di Milano una grida «con proibizione a qualsiasi comunità del Novarese di trasferire, vendere, concedere né alienare e sotto qualunque titolo» i beni comunali destinati per pascoli comuni, «non entrati in quota d’estimo» sotto pena di 500 scudi per timore che in mano ai privati per affitti bassissimi, venissero utilizzati per ampliare le colture e «conseguentemente manchi l’abbondanza delle grassine» (ASNo, Contado di Novara, 285).
Risale al 1834 la ricognizione dei boschi soggetti alla vigilanza dell’amministrazione forestale esistenti nei comuni dei vari mandamenti (Borgo Ticino per Varallo Pombia; ASNo, Intendenza generale, Affari generali, b. 56).
Negli anni compresi tra il 1860 e il 1910 il comune mette all’incanto le piante dei boschi comunali e le «granaglie comunali» (ASNo, Prefettura, Affari speciali dei comuni, I versamento, b. 940).
Tra gli anni 1928-1931 si registrano diversi atti di vendita, acquisto e affitto di terreni comunali mentre, in quegli stessi anni, si vendono ancora le granaglie prodotte dai livelli comunali (ASNo, Prefettura, Affari speciali dei comuni, I versamento, b. 938).
Anche nel XX secolo si registra la presenza di boschi comunali (ASNo, Prefettura, Affari speciali dei comuni, II versamento, b. 582).
Fonti
A.C.V. (Archivio Storico del Comune di Varallo Pombia).
A.S.N. (Archivio di Stato di Novara).
A.S.N.,  Prefettura, Gabinetto, b. 492, fasc. 1, lettera del 7.12.1944 (Il Capo della Provincia di Novara Enrico Vezzalini al Ministero dell’Interno);
A.S.N., Contado di Novara, b. 256;
A.S.N., Prefettura, Affari speciali dei comuni, I versamento, b. 940;
A.S.N., Prefettura, Affari speciali dei comuni, II versamento, b. 582.
Bibliografia
Andenna G., Le pievi della diocesi di Novara. Lineamenti metodologici e primi risultati di ricerca, in Le istituzioni ecclesiastiche della «societas christiana» dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi parrocchie, Milano 1974, pp. 487-516.
Andenna G., Da Novara tutto intorno, Torino 1982.
Le carte dello Archivio Capitolare di Santa Maria di Novara (729-1034), I, a cura di F. Gabotto, A. Lizier, A. Leone, G.B. Morandi, O. Scarzello, Pinerolo 1913 (BSSS 78).
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Maspero, Torino 1853, pp. 811-813.
Cognasso F., Storia di Novara, Novara 1971.
Consignationes beneficiorum dioecesis Novariensis factae anno MCCCXLVII tempore revendissimi domini Guglielmi episcopi, I, a cura di L. Cassani, G. Mellerio, M. Tosi, Pinerolo 1937 (BSSS 165).
Dessilani F., I comuni novaresi. Schede storiche, Novara 2001.
Favini P., Appunti di geologia sulle località di Pombia e di Varallo Pombia, in «Bollettino Storico della Provincia di Novara», (1972), pp. 106-117.
Giardina G., Pombia e Varallo Pombia nei tempi andati, Oleggio 1995.
Insediamenti medievali tra Sesia e Ticino. Problemi istituzionali e sociali (secoli XII-XV), a cura di G. Andenna, Novara 1999.
Novara e la sue terra nei secoli XI e XII. Storia documenti architettura, a cura di M.L. Gavazzoli Tomea, Milano 1980.
Olivieri D., Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia 1965.
Percorsi storia e documenti artistici del Novarese. Bellinzago Novarese, 14, Novara 1998.
Pievi della pianura novarese, a cura di G. Andenna, Novara 1997.
G. Strafforello, Provincia di Novara, Unione Tipografico Editrice, Torino 1891 (rist. anast. Interlinea, Novara 1993).
Villa Soranzo, Novara 1994.
Descrizione Comune

Varallo Pombia

     Intorno al 1450 la situazione di Pombia, dal punto di vista dell’insediamento e dell’economia era caratteristica: «Varallo era ormai divenuta molto più importante di Pombia, giacché contava 80 fuochi contro i 50 dell’antico centro comitale; anche i redditi dei dazi del pane, vino, carni e transverso erano superiori a Varallo, 80 lire invece delle 30 fornite da Pombia. La medesima osservazione va fatta per l’onere dell’imbottato». Tuttavia, conclude Andenna «pur sommando i dati dei due centri abitati, 130 fuochi, due castelli e 110 lire di reddito, la conclusione rimane sempre negativa» dal punto di vista del funzionario pubblico incaricato di stilare l’indagine dallo Sforza: «in rapporto ad Oleggio e ad Arona il feudo di Pombia e Varallo forniva una resa economica pressoché insignificante».
La gestione del feudo da parte dei Nibbia ma soprattutto la crisi determinata dalla morte di Martino Paolo (avvenuta tra il 1480 e il 1485) determinò una fuga degli abitanti da Pombia e da Varallo Pombia. Il podestà dei Nibbia, infatti, temendo di non vedersi riconosciute le sue spettanze, aveva agito con tale decisione sulla popolazione locale da provocare quasi una rivolta, ciò che richiese, su sollecitazione degli stessi feudatari, l’intervento di un commissario novarese per proteggerne i diritti feudali. Tuttavia, nel corso del Quattrocento la situazione peggiorò tanto da indurre i consoli locali a scrivere al duca protestando una continua fuga di concittadini da Pombia e da Varallo
Bisognerà attendere il XVII secolo per vedere raddoppiare i fuochi a Varallo Pombia: quando Luigi Nibbia nel 1659 rientrò in possesso del feudo sul quale dominava con Camillo Caccia a Varallo Pombia c’erano 163 fuochi, a Pombia 103. La parte di dominio dei Nibbia venne stimata di 9700 lire.
Nel 1634 i sindaci e il Contado di Novara sottoscrissero uno strumento «di obbligo e promessa» verso i Velati e Recalcati, banchieri, a favore della comunità di Varallo Pombia che era debitrice agli stessi di una somma di 2000 £, prese a prestito per pagare un altro creditore, Alessandro Caroelli (ASNo, Contado di Novara, b. 172).
Nel 1661, come s’è detto, la comunità venne separata in due comuni fiscalmente divisi, il «comune dei Nobili» e il «comune dei Poveri». A quell’epoca il comune di Varallo Pombia aveva più di 32.000 lire di debiti. Le motivazioni della separazione risiedevano proprio nel carico fiscale che la comunità subiva. Come conseguenza della divisione agli «estimi maggiori» vennero assegnati 8 cavalli, due quarti e un sedicesimo di tasse da pagare mentre agli «estimi minori» restavano 4 cavalli e un sedicesimo (ASNo, Contado di Novara, b. 256).
Risale al 17 ottobre 1700, anche in questo caso dietro la pressione di ragioni di carattere fiscale ed economico, la «Riunione dei comuni di Varalpombia uno detto il comune dei Nobili, ed altro detto il comune de’ poveri approvata dal magistrato». Tale riunificazione dà origine il 29 gennaio 1701 all’«Ordine del Signor Conte Pio Visconte Borromeo Arese commissario per che li carichi d’allog[gia]ti, soccorsi etc prestati da Varalpombia maggiore e minore siano ripartiti in un solo estimo, stante la riunione in un solo comune». Tuttavia, nel dicembre del 1720 la comunità invia un memoriale al Magistrato della comunità di «Varalpombia», che si doveva all’iniziativa di alcuni «particolari», per ottenere l’equiparazione della loro quota affinché fosse possibile formare «un comunetto separato, ossia il comune de’ poveri» (ASNo, Contado di Novara, b. 317).
Nel 1807, rispondendo alla richiesta del prefetto del Dipartimento dell’Agogna, il sindaco della comune di Varallo Pombia inviava al Dipartimento una serie di informazioni. Il progetto di aggregazione voleva «stabilire definitivamente prima del giugno 1810 li confini de’ Dipartimenti, de’ Distretti, de’ Cantoni, e de’ Comuni».
All’interno dunque del progetto di sistemazione amministrativa del territorio, il prefetto del Dipartimento dell’Agogna fa conoscere ai comuni le proprie necessità informative: quale è la distanza tra i comuni e i comuni confinanti? Quale lo stato delle strade? Il comune ha una parrocchia? È dotato di una mappa del territorio? Possiede beni con altri comuni? Con quali tra quelli vicini ha «maggiori relazioni di commercio, d’industria, d’agricoltura, ed uniformità d’abitudini»? Infine «se […] vi sia qualche ragionevole motivo, che consigli la di lui aggregazione piuttosto all’uno, che all’altro Comune». Come si può notare, soprattutto le ultime due domande, in parte prescindono da dati oggettivi. Il sindaco di Pombia rispondeva:
Primo. Questa comune di Varallo Pombia è confinante a mattina col fiume Ticino, a mezzogiorno col comune di Pombia che trovasi distinto meno di due miglia, a ponente col comune di Divignano in distanza di un miglio, a ponente colli comuni di Borgoticino in distanza di un miglio e mezzo e con quello di Castelletto sopra Ticino in distanza di tre millia. Secondo. La strada che conducono [sic] ai detti comuni sono praticabili in qualunque stagione dell’anno, salvo quella che conduce a Divignano per picola tratta montuosa. Terzo Questa Comune ha una sola parrochia e non estende ad altra comune. Quarto. Tutto il territorio è censito e ha mappa che prefig[ura] i confini. Quinto. Non possiede beni con indivisi né pascoli promiscui con altre comuni, e non concorre per qualsivoglia titolo a spese. Sesto. Col comune di Pombia avvi maggior relazione d’agricoltura. Settimo. L’opinione del sudetto sarebbe che l’aggregazione a questo comune per portarla al maximum delle comuni di Pombia e Divignano, stante la maggior vicinanza ed uniformità d’agricoltura e consuetudini (ASNo, Prefettura del Dipartimento dell’Agogna, b. 552).