Tavagnasco

AutoriLurgo, Elisabetta
Anno Compilazione2011
Provincia
Torino.
Area storica
Bassa Valle della Dora Baltea (antica Valle di Montalto).
Abitanti
820 (censimento 2001); 794 (dati ISTAT 2009).
Estensione
0,8 ha (ISTAT).
Confini
Brosso, Quassolo, Quincinetto, Settimo Vittone, Traversella.
Frazioni
Non sono presenti frazioni.
Toponimo storico
Il toponimo, nella forma "Tavagnascum", è già attestato nel 1225 [Il libro rosso del Comune di Ivrea, 198: Banna tempore potestarie domini Rogerij de Pirovano] e in un atto di vendita del 1232 [Le carte dell'archivio vescovile di Ivrea, I, doc. CXXIX, pp. 177-180, copia del XV secolo]: a questa forma si alterna nel XIII secolo la lezione "Tavagnaschum" [Le carte dell'archivio vescovile di Ivrea, I, doc. CLXXVII, pp. 243-245, marzo 1242, copia del 1270: Simone di Magdalena, capitano imperiale di Ivrea, pronuncia sulla vertenza fra il suo chiavaro e gli uomini di Guglielmo e Pietro di Montestrutto in Tavagnasco e Settimo Vittone riguardo ai fodri imposti da detto chiavaro], utilizzata anche negli statuti del Comune approvati nel 1291 [Statuti di Tavagnasco, 146 e 150]. La forma Tavagnascum prevale, con numerose ricorrenze, a partire dal XIV secolo [Statuti del Comune di Ivrea, I, 203: Statutum de capris non tenendis rubrica; p. 308: De riperia Durie deverssus Bayum altanda; 311: De fossato faciendo in riperia Covaçolii et Bay; II, 97: Additio super statuto de hominibus Yporegie manutenendis in eorum iuribus]: nel 1329 è documentata la lezione "Tehavagnaschum", che rimane un unicum [Statuti del Comune di Ivrea, II, 10: Statutum de massoneria facienda per illos de Bayo Covaçoli et Tavagnasci].
Diocesi
Tavagnasco appartiene alla diocesi di Ivrea. Il villaggio faceva parte dei possessi della mensa vescovile già nella prima metà dell'XI secolo, insieme alla quasi totalità dell'antica Valle di Montalto, che si estendeva da Ivrea verso settentrione fino oltre a Carema, giungendo al colle del Lys, che costituiva il confine naturale con la Valle d'Aosta, appartenente al regno di Borgogna. La diocesi di Ivrea fu suffraganea di Milano fino al 1515, quando Torino fu elevata a sede metropolitana: nel 1803 le fu aggregata la soppressa diocesi di Aosta, restaurata nel 1817 [AsTo, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Ivrea, mazzo 2, fasc. 7: Stato delle città e terre e luoghi dipendenti dalla diocesi di Ivrea, con designazione dei governi e prefetture da' quali dipendono e loro provincia].
Pieve
L'attuale chiesa parrocchiale, intitolata a Santa Margherita, è stata consacrata nel 1785 e si erge sul luogo della più antica chiesa di Santa Margherita, demolita nel 1762 [Benedetto, 275; AST, Sezione I, Serie 38, mazzo 34: Chiesa parrocchiale, 1762-70], che era stata edificata nel 1409 ed eretta a pieve nel 1444. Prima di tale data Tavagnasco dipendeva dalla pieve di San Lorenzo in Castello di Settimo Vittone, fondata fra il VII e il IX secolo [Cracco, Storia della Chiesa di Ivrea, 103; Il "liber decimarum" della diocesi di Ivrea, 43]: per raggiungere la pieve gli abitanti di Tavagnasco dovevano attraversare la Dora con un naviglio ancorato sulla riva destra del fiume, dietro il pagamento di un pedaggio ai signori di Settimo Vittone. Lo smembramento della parrocchia di Tavagnasco dalla pieve di San Lorenzo e la costruzione della chiesa di Santa Margherita, a spese del comune e dei capifamiglia, fu approvata dal vescovo Bonifacio di Ivrea il 9 luglio 1409: la comunità si impegnò a costruire una chiesa con annesso cimitero accanto alla casa della confraria dello Spirito Santo. La costruzione fu approvata dal duca Amedeo VIII di Savoia il 13 luglio dello stesso anno e Tavagnasco è indicata come sede di parrocchia già nel 1433 [Statuti del comune di Ivrea, III, 151: Rubrica quod consules et homines villarum districtualium teneantur iurare]. Negli anni immediatamente successivi si scatenò un lungo contenzioso per i diritti di matrice con il pievano di San Lorenzo, Vincenzo Ubertino dei signori di Settimo Vittone: dopo un fallito tentativo di accordo nel 1432, il comune ricorse al tribunale vescovile di Ivrea, che il 19 marzo 1444 sentenziò la definitiva separazione della villa di Tavagnasco dalla plevania di San Lorenzo, erigendo a pieve la chiesa di Santa Margherita, con giurisdizione su tutto il territorio del comune [AST, Sezione I, Serie 19, m. 28: Il vescovo di Ivrea e conte Giovan San Martino di Parella conferma l'erezione della parrocchia di Tavagnasco, decretata dal predecessore Bonifacio della Torre e risultante dallo smembramento della pieve di Settimo, 19 marzo 1444]. L'erezione della nuova pieve fu sancita da Felice V, il duca Amedeo VIII, il 5 novembre 1448 [Gracco, Storia della Chiesa di Ivrea, 453-454]. Al pievano di San Lorenzo fu riconosciuto il diritto di esigere il pagamento di 6 soldi dalla comunità di Tavagnasco, per i diritti di matrice: nel 1491 il pievano Martino de Advocatis rinunciò al diritto di riscossione, ma ne scaturì una lite con i signori di Settimo Vittone, conclusasi con sentenza arbitrale del 2 luglio 1493, con la quale fu annullato ogni diritto di matrice rivendicato dalla plevania di Settimo Vittone [AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 2: Atti di lite della comunità contro il plebano e altri di Settimo Vittone, 1443-1444]. Lo sfaldamento della struttura plebana nel corso del XVI secolo portò al tentativo di rafforzare l'autorità parrocchiale organizzando le parrocchie in vicariati foranei, che dovevano rappresentare un tramite fra diocesi centrale e periferia. All'inizio del XVII secolo il vescovo di Ivrea Cesare Ferrero organizzò la diocesi in nove vicariati foranei: la parrocchia di Tavagnasco fu sottoposta al vicariato di Carema, che comprendeva anche le parrocchie di Borgofranco, Borgomasino, Montalto, Montestrutto, Nomaglio, Quassolo, Quincinetto e Settimo Vittone. Nel 1646, sotto il vescovo Ottavio Asinari, Tavagnasco risulta nel vicariato foraneo di Settimo Vittone, mentre nel 1699, sotto Lambert de Soryer, fu aggregata al vicariato di Montalto (AsTo, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Ivrea, mazzo 1, fasc. 1: Stato de' luoghi che sono sotto l'Intendenza di Ivrea, 16 luglio 1744, in cui Tavagnasco compare come sede di chiesa con cura d'anime); nel 1753, infine, la diocesi di Ivrea fu divisa in 17 vicariati e Tavagnasco tornò sotto il vicariato di Settimo Vittone [Erba, Storia della Chiesa di Ivrea, 27-47]. Il comune esercitò fin dal 1409 il patronato attivo sulla chiesa parrocchiale, che ancora nel 1923 risultava di sua proprietà [Benedetto, Tavagnasco, 266-267; AST, Sezione IV, Serie 7, mazzo 142: Chiesa parrocchiale di Santa Margherita: relazione sulla proprietà e sui documenti d'archivio concernenti la chiesa, 1923]; la manutenzione della chiesa fu affidata, dalla prima metà del XVI secolo, a due procuratori nominati dal comune.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Prima del XV secolo sembra che a Tavagnasco esistesse solo una piccola chiesa, intitolata ai santi Margherita, Sebastiano e Barnaba, demolita forse già nel Quattrocento [Benedetto, Tavagnasco, 62]. Nel 1540 fu costituita la confraternita della Madonna degli Angeli e del Santissimo Nome di Gesù, con sede nella chiesa parrocchiale: dopo numerosi contrasti con il parroco, nel 1585 i confratelli portarono via i loro arredi dalla chiesa, accordandosi per acquistare il terreno su cui sorse la chiesa Del Gesù, aperta al culto già nel 1642, attualmente abbandonata [Benedetto, Tavagnasco, 85-89]. Fra il 1712 e il 1713 fu eretta la chiesa della Beata Vergine Annunziata, con annesso cimitero dal 1867 [Vassarotti, 134; Benedetto, Tavagnasco, 214-215]. In regione Luvia, dove esisteva già una più antica cappella che segnava il punto di partenza dei terreni comunali per il pascolo caprino, fu costruita nella prima metà del XVII secolo una cappella campestre dedicata ai santi Bernardo e Barnaba, travolta da un'alluvione nel 1667: nel punto da cui era partita la frana, tra le regioni Rossen, Feipiano e Pianetto, fu costruita dal comune nel 1710 la cappella di San Bernardo. All'imbocco di una frana provocata dal torrente Piovano fu costruita intorno alla metà del XVIII secolo la cappella di Santa Maria di Piazzo e dei santi Pietro e Germano, riedificata nel 1810. La cappella campestre di Santa Maria Maddalena fu edificata vicino all'alpeggio comunale dei Piani all'inizio del Settecento e, dopo essere stata restaurata più volte, fu ricostruita nel 1850 come cappella di Santa Maria Maddalena e sant'Anna, due anni dopo l'edificazione della cappella campestre di San Germano. La cappella campestre di Santa Caterina, infine, fu edificata dopo una frana nel 1666 [Benedetto, Tavagnasco, 215-220; Vassarotti, 122-136]. Le cappelle campestri, di proprietà e patronato comunale, erano amministrate dal parroco e da due procuratori di chiesa nominati dal comune.
Il più antico sodalizio di Tavagnasco è la confraria dello Spirito Santo, retta da un priore eletto annualmente e controllata dal console e dai credenzieri [AST, Archivio della Confraria dello Spirito Santo, mazzo 1]. I confratelli distribuivano cibo a Natale, nelle feste dell'Ascensione, del Corpus Domini e dell'Assunzione, organizzando un banchetto a Pentecoste: la confraria possedeva un mulino con diritto di macinazione dei cereali e pesta della canapa, alcuni stabili e una casa con un torchio da vino, presso cui sorsero la casa del comune e la chiesa parrocchiale. La confraria era già attiva nel 1291, quando furono approvati gli statuti del comune «in platea Tavagnasci prope domum Confrarie» [Statuti di Tavagnasco, 150]. Le addizioni agli statuti, confermate nel 1383, stabilivano che tutti i confratelli, uomini e donne, dovevano pagare alla confraria «vinum in vindemiis et bladum in Sancto Michaele et denarios in Sancto Martino» [Statuti di Tavagnasco, cap. XLIII, 159].
Fin dalla seconda metà del XIII secolo risulta in funzione la podesteria, tribunale della comunità, che si riuniva sulla piazza davanti alla casa della confraria, ed era presieduto da un podestà eletto ogni anno [Benedetto, Tavagnasco, 171-173]. Con i Regi Editti del 6 agosto 1716 e del 25 giugno 1721 furono costituite le Congregazioni di Carità, alle quali furono assegnati i beni già appartenenti alle confrarie dello Spirito Santo: il 12 agosto 1721 il console di Tavagnasco e il priore della confraria consegnarono al governatore di Ivrea i beni, i mulini, i forni, l'alpe Campassi con 261 giornate di terra, i canoni e le prestazioni in di vino, biade e castagne spettanti alla confraria. Il comune protestò rivendicando la proprietà dei mulini e dei forni, in quanto il patrimonio della confraria era considerato come «un medesimo corpo colla comunità» [Erba, Storia della chiesa di Ivrea, 934, n. 13; Benedetto, Tavagnasco, 244-245]. Il ricorso fu respinto, ma la questione rimase aperta, come risulta da un'inchiesta regia degli anni 1752-1754, in cui si afferma, a proposito degli edifici e del mulino propri della Congregazione, che «non se ne sa la natura né con qual titolo detta Congregazione li tenga» [Rezia di Mombello, Descrizione, f. non numerato]. La Congregazione di Carità, dipendente dal vescovo di Ivrea, era amministrata dal parroco: i banchetti nella festa dell'Ascensione e nei tre giorni di Pentecoste fino al Corpus Domini continuarono a essere organizzati per alcuni anni nel locale della Congregazione, finanziati da privati come protesta contro la soppressione della confraria. Nel 1724 la proprietà dell'alpe Campassi fu riconosciuta al comune, ma la Congregazione continuò ad avere un rapporto conflittuale con la comunità, soprattutto per la gestione del canale del mulino di sua proprietà, la cui manutenzione era sempre stata a carico dei particolari di Tavagnasco, che rivendicavano dunque diritti su di esso. Nel 1775 la Congregazione fece chiudere l'imboccatura del fosso costruito sotto il canale del mulino, opponendosi all'uso dell'acqua a scopo irriguo: ne nacque una lite che rimase insoluta [Benedetto, Tavagnasco, 244-254; AST, Archivio della Congregazione di Carità, Serie I, mazzo 1, Atti costitutivi; Serie 12: Mulino e roggia del mulino]. Nel 1828 la Congregazione, trasformata nel 1801 in Comitato di Beneficienza, comprò le alpi comunali di Bonze e Barmaz [Benedetto, Tavagnasco, 257; AST, Archivio della Congregazione di Carità, Serie 11, Alpi Bonze e Barmaz]. Attestata in epoca piuttosto precoce è la confraternita di San Sebastiano, sorta dopo il 1313, la cui sede era probabilmente sul luogo dell'antica chiesa di Santi Margherita, Sebastiano e Barnaba: la confraternita fu soppressa nel 1873 [Benedetto, Tavagnasco, 83]. Nel Cinquecento fu istituita la già ricordata confraternita della Madonna degli Angeli e del Santissimo Nome di Gesù, i cui cappellani erano nominati dalla credenza e fungevano anche da maestri di scuola [Benedetto, Tavagnasco, 89]. La confraternita del Santo Rosario risulta possedere un altare nella chiesa parrocchiale già nel 1600, mentre la confraternita della Dottrina Cristiana, fondata nel XVII secolo, si estinse nel corso del Settecento, come la confraternita del Santissimo Sacramento, che organizzava una processione per le vie del paese la terza domenica di ogni mese [Benedetto, Tavagnasco, 84].
Assetto Insediativo
Il villaggio di Tavagnasco si sviluppa sulla destra orografica della Dora Baltea, alle falde del Monte Gregorio. Il territorio del comune si estende verso le cime del monte Drosit e del monte Gregorio, formando tre valli: la Costa Brusà, attraversata dal rio Luiva, e le coste Pianello e Biolly, solcata dal rio Piovano. Il territorio comunale risulta suddiviso, a partire almeno dal XVI secolo, in numerose località o regioni su cui sorgevano gli alpeggi comunali Pianello, Piani, Giasso, Muanda, Giacetto e Corno, Muanda Corno. Non è documentata l'esistenza di un castello con una curtis in epoca medievale, ma, fra XIV e XV secolo, sembra che la comunità avesse tentato di costruire fortificazioni, di cui non rimane traccia leggibile, per difendersi dalle incursioni dei mercenari al soldo del marchese del Monferrato [Settia, L'illusione della sicurezza, 30, n. 69; Statuti di Tavagnasco, 163, cap. LVI: la comunità di Tavagnasco ha il diritto di costruire fortificazioni per difendersi da aggressioni esterne].
Nel 2001 l'ISTAT ha riconosciuto un centro con poche case sparse.
Luoghi Scomparsi
Il censimento del 1871 registrava sul territorio del comune il villaggio di Tavagnasco, i casali Pomarei, D'Apino, Capellino, Ronco e le borgate Chiosure, Vignasse e Mandea: nel censimento del 1881 quest'ultima risultava l'unica borgata insieme al villaggio di Tavagnasco, mentre i casali e le altre due borgate non erano più registrati; nel 2001, come si è già osservato, l'ISTAT ha riconosciuto soltanto il centro di Tavagnasco e alcune case sparse.
Comunità, origine, funzionamento
Secondo Benedetto [Tavagnasco, 10] Tavagnasco esisteva come comune già nel X secolo: il primo documento che attesta un'organizzazione comunale sono, però, gli statuti approvati il 25 febbraio 1291 nella piazza pubblica, davanti alla casa della confraria dello Spirito Santo [Statuti di Tavagnasco, 139-160]. Costituiti da 35 capitoli, essi furono concessi dal console Giacomo di Settimo Vittone, alla presenza dei vassalli che detenevano porzioni di giurisdizione in Tavagnasco, appartenenti al consortile di Settimo Vittone. Il console, nominato dai signori del consortile, risulta coadiuvato da quattro credenziari o sindaci e dalla vicinanza, il consiglio dei capi di famiglia, convocato sulla piazza pubblica su decisione del console, dietro approvazione dei consignori. Il comune aveva il diritto di eleggere ogni anno il segretario della podesteria, tribunale presieduto dal podestà eletto annualmente dai consignori, che contestarono a lungo la validità degli statuti e il diritto del segretario di ricevere il giuramento del podestà sul rotolo degli statuti, a nome della comunità [Benedetto, Tavagnasco, 171-173, 92-102; AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 2: "Atti di lite nanti il consiglio ducale, iniziato gennaio 1500 e terminato nell'anno 1512 colla sentenza di ratificanza arbitrale in pergamena"; mazzo 3: Atti di lite della comunità contro i signori di Settimo Vittone, 1512]. Chi veniva arrestato aveva il diritto di essere giudicato dalla podesteria sulla piazza di Tavagnasco e non nei castelli di signori, a meno che non si trattasse di gravi fatti di sangue [Statuti di Tavagnasco, 164, cap. LVIII: i «domini consortes de Septimo, Castellecto, Monteastruto et de Quinto ac de Yporegia» non possono processare uomini di Tavagnasco fuori dai confini del comune «nisi esset casus gravis pene sanguinis mortis»]. Negli statuti pubblicati il 25 ottobre 1474, con undici nuovi capitoli aggiunti nel 1383 e diciassette nel 1404, il console sembra eletto dalla vicinanza; dall'inizio del XVII secolo i consoli diventano due, eletti per votazione fra una terna proposta dal console uscente e dai credenzieri, nei giorni di San Giovanni Battista (24 giugno) e di San Giovanni Evangelista (27 dicembre), e restano in carica per sei mesi [Benedetto, Tavagnasco, 38; 138]. I credenzieri erano eletti per acclamazione dalla vicinanza e dietro approvazione del console, il quale, se quelli scelti su acclamazione non erano di suo gradimento, aveva la facoltà di nominarne altri: questi ultimi, tuttavia, non potevano occuparsi degli affari della comunità senza una procura speciale dai credenzieri eletti dai capifamiglia. La vicinanza era convocata anche per la nomina del parroco, scelto solitamente fra i preti oriundi [Benedetto, Tavagnasco, 39; Bertolotti, V, 66; AsTo, Materie ecclesiastiche, Benefizi di qua da' monti, Benefizi divisi per paesi dall’A alla Z, mazzo 103, Tavagnasco: Supplica per il prete d. Giorgio Maria de Iohannes di Tavagnasco al Re per essere stato già eletto dalla comunità e popolo per parroco di Tavagnasco ma non ha potuto prendere il possesso di quella parrocchia, 6 dicembre 1753].
A partire dalla fine del XVII secolo i consoli non vengono più nominati dai capifamiglia, ma scelti fra una rosa di sei candidati selezionati dal consiglio comunale [Benedetto, Tavagnasco, 237]. Con il Regio Editto emanato da Vittorio Amedeo II nel 1704 il console divenne di nomina regia: egli, alla fine del mandato, con la consulenza della vicinanza sceglieva tre persone e ne trasmetteva i nomi al referendario del Regio Patrimonio di Ivrea, poi Intendenza della Provincia di Ivrea, che nominava il console fra le tre persone segnalate. Nel 1728 risulta che a Tavagnasco il console era nuovamente eletto dal comune ogni 3 anni, mentre il consiglio comunale era formato da sei membri che giuravano sugli statuti davanti alla vicinanza [Benedetto, Tavagnasco, 236]. Con Regio Editto del 1733 il consiglio fu ridotto al sindaco e due consiglieri e fu abolita la figura del console. La comunità fu sottoposta al controllo del podestà, che riceveva il giuramento del sindaco e dei consiglieri: la vicinanza non aveva più diritto di voto e si limitava ad assistere alla pubblicazione delle deliberazioni, che avveniva tramite pubbliche grida. Durante il periodo napoleonico fu soppressa la podesteria e il comune di Tavagnasco fu sottoposto prima alla giudicatura di pace del tribunale di Ivrea, poi a quella di Settimo Vittone [Benedetto, Tavagnasco, 308-309].
Gli statuti regolavano i diritti di caccia e pesca nel fiume Dora [Statuti di Tavagnasco, 160, cap. XLIX: gli uomini di Tavagnasco avevano il diritto di «piscari venari cum filatis ingeniis naxis et retibus ad quascumque venationes et pisces capiendos tam in flumine Durie quam in sortibus et comugniis finium Tavagnasci»] e i diritti di utilizzo del mulino per la macinazione dei cereali e la pesta della canapa, di proprietà della confraria dello Spirito Santo, il cui sfruttamento era concesso ai capifamiglia nati e residenti in Tavagnasco [Statuti di Tavagnasco, 162, cap. LV; Benedetto, Tavagnasco, 40; 107].
Statuti
L'archivio comunale conservò a lungo gli statuti del comune, collazionati in un rotolo pergamenaceo nel 1474, e alcune copie eseguite tra la fine del XV e il XVIII secolo, fra cui una traduzione italiana dell'inizio del Seicento. Gli statuti contenevano 63 capitoli divisi in 3 sezioni: la prima, comprendente 35 capitoli, rappresentava il testo approvato il 25 febbraio 1291 sulla piazza pubblica del comune, davanti alla casa della confraria dello Spirito Santo. La seconda sezione, composta di 11 capitoli, era stata approvata il 21 giugno 1383; gli statuti così definiti erano stati nuovamente confermati il 3 maggio 1404, mentre nel 1474 furono aggiunti gli ultimi 17 capitoli. Il testo ebbe una prima approvazione ducale nel 1581 [Benedetto, Tavagnasco, 29] e una seconda da Bianca di Savoia il 5 marzo 1496. Il rotolo del 1474 e quello del 1291 erano presentati al podestà perché vi giurasse il giorno dell'insediamento: la pergamena del 1291, menzionata in un inventario del 1524 [AST, Sezione I, Serie 11, mazzo 19: Inventari di documenti conservati nell'archivio, 1524-1717; Statuti di Tavagnasco, 140-141], era forse ancora presente nel 1667 [Statuti di Tavagnasco, 140; Benedetto, Tavagnasco, 28-29]. Gli statuti furono editi nel 1929, insieme alle conferme concesse da Bianca di Savoia nel 1496, da Filiberto nel 1498, da Carlo I nel 1509, da Emanuele Filiberto nel 1561, da Carlo Emanuele I nel 1581 [Statuti di Tavagnasco, 139-175].
Il nuovo statuto del comune di Tavagnasco, approvato con deliberazione del Consiglio comunale il 14/01/1992, è stato modificato con deliberazione del 30/07/2009 (http://autonomie.interno.it/statuti/statuti/tavagnasco.pdf): tuttavia esso risulta ancora «in costruzione» ad aprile 2011 (http://www.comune.tavagnasco.to.it/pagina.asp?p=statuto).
Catasti
Presso l'archivio storico comunale sono conservati numerosi documenti catastali, i più antichi dei quali sono un registro di consegnamenti compilato fra il 1630 e il 1632 e due libri dei trasporti compilati fra il 1666 e il 1687 e fra il 1703 e il 1715 [AST, Sezione I, Serie 1, mazzo 171, n. 1: Registro del catasto con le consegne fatte dalla comunità e dagli uomini di Tavagnasco dei beni posseduti in Tavagnasco; n. 3: Libro di trasporti o mutazioni; n. 4: Libro di mutazioni segnato "libro quarto"]. Sono presenti inoltre un Broliazo terzo figurato di campagna per Tavagnasco del XVIII secolo [AST, Sezione I, Serie 1, mazzo 171, n. 5], probabile studio preparatorio per il catasto e il Libro campagnolo figurato compilati nel 1778 [AST, Sezione I, Serie 1, mazzo 172, n. 7: Catasto di Tavagnasco compilato dal geometra Giovanni Battista Schiera da Castiglione nello Stato di Milano; n. 8: "Libro campagnolo figurato della communità di Tavagnasco, nel quale si ritrovano separatamente figurate e descritte tutte le regioni e possessori che compongono questo territorio", compilato e illustrato dal geometra Giovanni Battista Schiera da Castiglione], a cui sono da riferire anche i cinque fogli di mappe del 1777 [AST, Sezione I, Serie 1, mazzo 173: Mappe di bozza del catasto del 1777] e la mappa del territorio del comune compilata nello stesso anno, conservata insieme a una mappa con indicazioni catastali del 1797 [AST, Sezione I, Serie I, mazzo 175, 17: Mappa generale del territorio di Tavagnasco del geometra Schiera; n. 18: Mappa con indicazioni catastali]. Si segnala inoltre un rotolo con la pianta della Dora Baltea e dei campi a essa adiacenti nel territorio di Tavagnasco, disegnata nel 1727 [AST, Sezione I, Serie 1, mazzo 174: Tipo della Dora Baltea e dei campi adiacenti nel territorio di Tavagnasco, rilevato dal misuratore Franchino per ordine dell'intendente Fornaca il 14 giugno 1727].
Ordinati
L'archivio storico comunale conserva gli ordinati dal 1735 al 1786, con lacune [AST, Sezione I, Serie 6, mazzo 13-14-15: Proposte e ordinati] e alcune carte sciolte di ordinati della credenza e del console fra il 1522 e il 1529 [AST, Sezione I, Serie 6, mazzo 16: Ordinati sciolti del consiglio di credenza e del console]. Sono conservati in registri gli ordinati del consiglio comunale dal 1818 al 1896 con lacune [AST, Sezione III, Serie 7, mazzi 56-57-58-59-60]; gli ordinati della giunta municipale dal 1863 al 1897 [AST, Sezione III, Serie 7, mazzo 61], le deliberazioni del consiglio comunale e della giunta municipale dal 1897 al 1926, le deliberazioni della giunta municipale e del podestà dal 1920 al 1929, del consiglio comunale e della giunta municipale dal 1947 al 1962 [AST, Sezione IV, Serie 2, mazzo 179].
Dipendenze nel Medioevo
All'inizio dell'XI secolo il luogo di Tavagnasco era parte della Valle di Montalto e con questa sottoposto alla giurisdizione della mensa vescovile di Ivrea [Andar per castelli IV, 77]. Benedetto [Tavagnasco, 22-23] cita un diploma di Corrado il Salico del primo aprile 1027, con cui l'imperatore dichiara Ivrea sotto la giurisdizione vescovile, confermando al vescovo Ugone le terre della Valle di Montalto: il documento, segnalato in un inventario del 1616 nell'archivio vescovile di Ivrea, non è stato più rintracciato e si trattava, probabilmente, di una falsificazione trecentesca [Le carte dell'archivio vescovile, I, 12-13, doc. II: Corrado imperatore dona molti possessi e privilegi alla chiesa d'Ivrea, 1 aprile 1027]. Il papa Onorio III confermò con privilegio del 17 luglio 1223 al vescovo di Ivrea il possesso di Settimo Vittone, Montestrutto e loro dipendenze [Le carte dell'archivio vescovile, I, 149-151, doc. VIII: Papa Onorio III conferma i possessi ed i privilegi del vescovo di Ivrea e gliene concede di nuovi, 17 luglio 1223]. Intorno alla metà del XII secolo la valle di Montalto entrò nell'influenza politica del comune di Vercelli, che aveva iniziato a espandersi verso i territori a settentrione di Ivrea: la valle era un punto importante di transito per le merci provenienti dalla regione valdostana e destinate ai centri lombardi e pedemontani. Il comune di Vercelli si sostituì progressivamente alla giurisdizione vescovile di Ivrea nella Valle, bloccando l'avanzata dei marchesi del Monferrato verso il settore settentrionale della regione pedemontana. Dopo la prima metà del Duecento il comune di Ivrea rimise in discussione gli equilibri di potere nella regione canavesana, rafforzando nuovamente la propria posizione e riuscendo infine a imporsi nella Valle di Montalto, sottraendo il territorio all'influenza di Vercelli. Il luogo di Tavagnasco compare come terra infeudata alla mensa vescovile di Ivrea in un atto di vendita del 1232, ratificato dal vescovo Oberto [Le carte dell'archivio vescovile I, 177-180, doc. CXXIX: Merlo del fu signore Oberto Turpis di Settimo e Giacoma sua madre vendono a Guglielmo e Peronino del fu s. Nicolò di Montestrutto quanto possedevano in Settimo Vittone, Nomaglio, Cesnola, Carema, tutta Val Montalto «et in Tavagnasco et eius territorio», 27 agosto 1232]. Nel 1254 la Valle di Montalto risulta tra i feudi maggiori di cui il vescovo di Ivrea ha investito il marchese del Monferrato [AsTo, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Ivrea, mazzo 1, fasc. 3: Transunto di dichiarazione de' feudi maggiori, mezzani e minori spettanti al vescovado di Ivrea e chiesa d'Ivrea, 15 settembre 1254], che nel 1257 prestò fedeltà e omaggio al vescovo per le terre di cui era stato investito [Le carte dell'archivio vescovile, I, 369-370, doc. CCLXVI: Guglielmo VII del Monferrato presta fedeltà ed omaggio per parecchi feudi al vescovo di Ivrea, 1257]. Nel 1351 il vescovo di Ivrea infeudò il conte di Savoia dei castelli e luoghi di Montestrutto, Nomaglio, Settimo Vittone, Castelletto, Cesnola, Castruzzone, Quincinetto e Tavagnasco [AsTo, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Ivrea, mazzo 2, fasc. 8: Investitura domini d. d. Iacobi Episcopi Ipporeg. In favorem d. Comitis Amedei de Sabaudia, 30 ottobre 1351, copia semplice del 1750]. Fra il 1354 e il 1357 il consortile di Settimo Vittone ottenne dai Savoia l'investitura per Settimo Vittone e le terre vicine, fra cui il luogo di Tavagnasco [Mola, Feudalità e blasoneria, 33, 222-223; Andar per castelli, IV, 72-73]. Il dominio dei Savoia sulle terre dell'antica Valle di Montalto fu definitivamente stabilito nel 1404, dopo la sconfitta del marchese Teodoro II del Monferrato. Il 25 settembre 1481 Filiberto di Savoia approvò e confermò gli statuti del comune di Tavagnasco, pubblicati nel 1474 [Benedetto, Tavagnasco, 28].
Feudo
Nel XII secolo i vescovi di Ivrea avevano concesso in feudo la Valle di Montalto ai signori di Settimo: negli statuti di Tavagnasco approvati nel 1291 risultano consignori del luogo i domini di Settimo Vittone, Montestrutto, Castelletto e Ivrea [Statuti di Tavagnasco, 150]. Si tratta della castellata di Settimo Vittone, un consortile signorile composto da famiglie discendenti dai visconti di Ivrea e dai signori di Vallesa: la castellata si suddivise all'inizio del XIII secolo in quattro rami principali, con porzioni di giurisdizione in Settimo, Montalto, Montestrutto e Tavagnasco. Dal ramo dei signori di Settimo si formarono almeno cinque famiglie nel corso del XIV e XV secolo: i Giampietro, gli Enrico (che assunsero il cognome Setto dal XVII secolo), i De Meo, i De Alberto e i Castelletto. Questi ultimi, investiti di Montalto nel 1355, risultano consignori di Tavagnasco fino al 1602, quando le loro quote di diritti furono devolute al Patrimonio ducale e infeudate ai Giampietro [Mola, Feudalità e blasoneria, 33]. Il ramo di Montestrutto compartecipò alla giurisdizione di Tavagnasco fino al 1573, anno dopo il quale la famiglia non compare più nei consegnamenti feudali [Mola, Feudalità e blasoneria, 51-52]. I signori di Ivrea citati negli statuti sono la famiglia Soleri di Ivrea, che detenne porzioni di giurisdizione in Tavagnasco fino al XV secolo e patrocinò la costruzione della chiesa di Santa Margherita, San Sebastiano e San Barnaba [Benedetto, Tavagnasco, 62]. Nel 1474 gli statuti furono pubblicati alla presenza dei consignori «Arnaldus filius q. domini Iohannis ex dominis Septimi Victoni, Arnaldus condominus Montiastruti filius q. domini Anthonii condominusque dicti loci» [Statuti di Tavagnasco, 146], appartenenti ai rami di Settimo Vittone e Montestrutto del consortile di Settimo.
Il Casalis [XX, 744-745] ricorda come feudatari di Tavagnasco i Giampietro di Montestrutto, i Lasbianca e i Roasenda di Nomaglio, conti del Melle. I primi discendevano, come si è già osservato, dal consortile di Settimo e furono una delle più influenti famiglie canavesane: signoreggiarono su Settimo Vittone, Nomaglio, Montestrutto, Quincinetto, Tavagnasco e Cesnola [Mola, I Giampietro, 217-223]. Le prime attestazioni sulla presenza dei Giampietro a Tavagnasco si hanno nel 1578, quando il notaio Bernardo Giampietro è investito di beni e ragioni feudali nel villaggio [AM, doc. 7: Investitura a favore di Bernardo Giovanni Pietro di vari beni e ragioni feudali di Montestrutto, Nomaglio, Settimo Vittone, Tavagnasco, Quincinetto, 27 novembre 1578]. Ardizzone Giampietro giurò fedeltà a Carlo Emanuele I in qualità di procuratore patrimoniale e fiscale della comunità di Tavagnasco il 12 febbraio 1582 e fu investito di giurisdizione in Tavagnasco nel 1586 [Mola, I Giampietro, 228-229; AM, doc. 10: Investitura a favore del s. Ardizzone Giovampietro, 9 agosto 1586]. Nel 1591 Ardizzone acquistò i diritti signorili e le ragioni feudali spettanti in Tavagnasco alla famiglia Ponzone d'Azeglio, altro ramo del consortile di Settimo [Mola, Feudalità e blasoneria, 54; AM, doc. 257: Cessione di diritti signorili e ragioni feudali sovra li territori di Settimo Vittone, Quincinato e Tavagnasco, 8 febbraio 1591] e nel 1594 ottenne la parte di giurisdizione su Tavagnasco appartenente a Cesare Tagliante [Mola, I Giampietro, 228]. Nel 1602 i Giampietro furono infeudati con patenti ducali delle porzioni di giurisdizione su Tavagnasco appartenute ad Antonio De Castelletto, morto senza eredi (AM, doc. 13: Infeudazione dei castelli e giurisdizioni dei luoghi di Settimo Vittone, Cesnola e Tavagnasco a favore di Ardizzone Giampietro già spettanti al fu Antonio Castelletto, 22 gennaio 1602]. Nel 1662 Fabrizio Giampietro permutò la sua parte di giurisdizione e diritti feudali su Quincinetto con la parte di Tavagnasco che competeva ai De Enrico o Setto, discendenti dei signori di Settimo, concentrando nelle sue mani tutte le ragioni feudali di Tavagnasco [AM, doc. 305: Permuta: i conti Carlo e Gottofredo di Settimo cedono a Fabrizio Giovanni Pietro i diritti feudali e giurisdizioni sui luoghi di Tavagnasco, 8 agosto 1662). Nel 1665 il feudo di Settimo Vittone e castellata, comprendente Tavagnasco, Quincinetto, Cesnola e Nomaglio, detenuto da Fabrizio Giampietro, fu eretto a comitato [AM, doc. 23: Dignità comitale concessa a Fabrizio Giovanni Pietro già conte di Montestrutto e suoi eredi di Settimo, Nomaglio, Quincinato, Tavagnasco e Cesnola, 4 settembre 1665; AsTo, Materie economiche, Materie economiche per categorie, Perequazione del Piemonte, mazzo 2, fasc. 14: Titoli de' beni feudali della Provincia di Ivrea, 1730]. Nel 1734 Giuseppe Massimo Giampietro ottenne da Carlo Emanuele III l'investitura con titolo comitale di tre quarti del feudo di Tavagnasco [AM, doc. 54: Investitura del feudo di Tavagnasco (tre quarte parti) a Giuseppe Massimo Giovanni Pietro di Settimo Vittone, 29 maggio 1734]: la figlia Clara rinunciò nel 1772 alle ragioni che le spettavano sulla primogenitura dei beni di Settimo, Nomaglio, Montestrutto e Tavagnasco in favore della famiglia Mola di Beinasco, discendente dai signori di Carmagnola, nella quale si estinse la famiglia Giampietro [AM, doc. 622].
La famiglia dei Rovasenda o Roasenda deteneva nel 1734 un mese di giurisdizione in Tavagnasco [Mola, Feudalità e blasoneria, 40 e 77, n. 125] I Rovasenda comparvero come presenza feudale nella castellata di Settimo Vittone nel 1666, con le nozze fra Ludovico di Rovasenda e Delia dei Lasbianca, famiglia oriunda di Tavagnasco che si era distinta come notabile almeno dal XIV secolo [Benedetto, Tavagnasco, 124-125; 178-179]. I Lasbianca furono nobilitati nel 1587 e investiti di parte di Tavagnasco: dopo la morte senza eredi maschi di Prospero Lasbianca, i suoi feudi passarono a Ludovico di Rovasenda [Mola, Feudalità e blasoneria, 45-46]. Nel 1715 furono ridotte a mano regia le parti di giurisdizione spettanti a Giuseppe Antonio e Emanuele di Rovasenda, ma ancora nel 1720 Carlo di Rovasenda consegnò in feudo nuovo 6 mesi in 25 anni della giurisdizione di Tavagnasco; l'ultima investitura a favore di un Rovasenda fu concessa nel 1778 a Luigi Benedetto [Mola, Feudalità e blasoneria, 56-57] e ancora nel 1932 i Rovasenda risultavano consignori di Tavagnasco [Spreti, V, 837-840].
Fra il XV e il XVI secolo molti sudditi non nobili nel ducato di Savoia erano entrati in possesso di terre nobili comportanti giurisdizione, acquistandole dagli antichi proprietari o per cessione da parte del demanio ducale: tra le famiglie che possedettero beni feudali rusticali in Tavagnasco ci furono i Franchino, che emersero intorno alla metà del XVII secolo [Benedetto, Tavagnasco, 75, 87, 118, 179; Mola, Feudalità e blasoneria, 70]. I Girodo di Tavagnasco il 14 settembre 1663 consegnarono molti beni feudali nel villaggio, che derivavano probabilmente da un acquisto fatto nel 1583 dai De Enrico di Settimo e dai San Martino di Baldissero e Parella [Benedetto, Tavagnasco, 123-124; Mola, Feudalità e blasoneria, 71]. Questi ultimi condividevano diritti sulla castellata da tempi molto antichi, ma nel 1574 cominciarono ad alienare molti beni ai Giampietro [Mola, Feudalità e blasoneria, 58-59; AM, doc. 218: Giovanni Pietro acquista altre ragioni feudali nel luogo di Tavagnasco da Giovanni Antonio Baldesserio, 25 novembre 1574]. Un'altra famiglia che acquistò ragioni feudali in Tavagnasco dai San Martino di Baldissero furono i Marchetti di San Martino di Muriaglio, originari forse di Strambino [Spreti, IV, 357-358; Manno, Il patriziato, XV, 191-195]. I Marchetti di San Martino acquistarono parte di Nomaglio e Tavagnasco dai San Martino e dai De Castelletto fra il 1522 e il 1553 [Manno, Il patriziato, XIV, 311-318]; acquisirono inoltre ragioni feudali dalla famiglia De Meo, discendente dai signori di Settimo, che detenne fino al 1567 canoni, censi e debiti annuali che la comunità e gli uomini di Tavagnasco pagavano in biada, castagne, vino, noci, soldi, avena, grossi e servizi, oltre a diritti sulla barca e sul pedaggio per il transito sul fiume Dora. Nel 1593 i De Meo cedettero le loro parti di giurisdizione ai Lasbianca [Mola, Feudalità e blasoneria, p. 47-49; Benedetto, Tavagnasco, 121-122, 293-294].
Risultano inoltre aver detenuto ragioni feudali in Tavagnasco: il ramo di Monjovet della famiglia Di Castruzzone, che le alienò nel 1581 [Mola, Feudalità e blasoneria, 33-34]; i Chiappo di Bard, investiti nel 1572 [Mola, Feudalità e blasoneria, 75, n. 66]; i Lamural di Monjovet, estintisi nel 1642 [Mola, Feudalità e blasoneria, 44-45], e i savoiardi Vuillet, i quali nel 1561 possedevano diritti di giurisdizione in Tavagnasco che cedettero ai Giampietro fra il 1573 e il 1577 [Mola, Feudalità e blasoneria, 63-65; AM, docc. 223 e 224].
Il 13 luglio 1782 la parte di Tavagnasco spettante alla famiglia Giampietro, che era stata devoluta al Regio Patrimonio, fu infeudata con titolo comitale ai Leone, famiglia originaria di Piverone [Benedetto, Tavagnasco, 226-227; Mola, Feudalità e blasoneria, 46; AM, doc. 383: Inventario dell'eredità in beni stabili, mobili e denari lasciata da Giuseppe Massimo, 14 ottobre 1744; Manno, Il patriziato, XIV, 246-250]; i Leone risultavano ancora conti di Tavagnasco nel 1931 [Spreti, IV, 92-93].
Mutamenti di distrettuazione
Fra XIV e XV secolo Tavagnasco si trovò stabilmente inserito nei domini sabaudi, compreso nella provincia di Ivrea. Nel 1799, con l'inizio del dominio napoleonico, le province o intendenze di antico regime furono sostituite da dipartimenti: Tavagnasco fu aggregato al dipartimento dell'Eridano e, nel 1801, a quello della Dora. Alla fine della dominazione francese furono restaurate le antiche province e nel 1818 queste ultime furono raggruppate in quattro divisioni: la provincia di Ivrea, della quale faceva parte Tavagnasco, fu sottoposta alla divisione di Torino. Nel 1850 il comune risultava aggregato alla divisione di Torino, provincia di Ivrea, mandamento di Lessolo, comprendente anche i comuni di Bajo, Fiorano Canavese, Quassolo e Quincinetto [Casalis, XX, 744]. Nel 1859 le province di antico regime, denominate circondari, persero la propria autonomia e furono raggruppate in province di dimensioni più ampie: Tavagnasco fu, così, aggregato alla provincia di Torino e al circondario di Ivrea. Nel 1882 il mandamento di Lessolo fu soppresso e il comune di Tavagnasco fu inserito nel mandamento di Settimo Vittone. [Vedi dati:Aggregazione dei comuni di Quincinetto, Quassolo e Tavagnasco, circondario d'Ivrea, al mandamento di Settimo Vittone", 20.06.1882], come peraltro aveva richiesto già nel 1870 [AST, Sezione III, Serie 42, mazzo 69: Domanda del comune per l'ammissione al mandamento di Settimo Vittone]. Nel 1911 il comune risultava parte del mandamento di Settimo Vittone, insieme ad Andrate, Borgofranco d'Ivrea, Carema, Cesnola, Montestrutto, Nomaglio, Quassolo e Quincinetto [Dati ISTAT 1911]. Nel 1927 fu costituita la provincia di Aosta, formata con i comuni dei circondari di Ivrea e Aosta, appartenenti entrambi alla provincia di Torino: fu soppresso il mandamento di Settimo Vittone e Tavagnasco entrò a far parte della nuova provincia [Vassarotti, 115; Sturani, Il Piemonte, 150, n. 61]. Nello stesso anno, tuttavia, il comune di Tavagnasco fu soppresso e trasformato in una frazione del nuovo comune di Settimo Tavagnasco [Dati ISTAT 1931; Vassarotti, 115]. Nel 1945 i comuni già appartenenti al circondario di Ivrea tornarono nella provincia di Torino e nell’ottobre del 1946 fu ricostituito il comune di Tavagnasco [AST, Sezione IV, Serie 1, mazzo 82: Ricostituzione dei comuni di Settimo Vittone e Tavagnasco; Vedi sito.]. Nel 1973 Tavagnasco fu inserito nel nuovo circondario di Ivrea; nel 1975 è entrato a far parte del comprensorio di Ivrea [Sturani, Il Piemonte, 151, n. 71]; attualmente è compreso nella Comunità montana Dora Baltea Canavesana.
Mutamenti Territoriali
Fra il 1679 e il 1697 il comune acquistò i due alpeggi delle Muande, entro i confini di Quincinetto [AST, Sezione IV, Serie 5, mazzo 104, n. 543: Alpeggi comunali fittanze: alpeggi Pianello, Piani, Giasso, Muande, Giacetto e Corno, Muanda Corno, 1928-1962].
Comunanze
Nel 1925 il segretario comunale di Tavagnasco preparò una relazione per il Regio Commissariato agli Usi Civici del Piemonte, volta ad accertare l'esistenza di usi civici sui 360 ettari di terreno comunale: dalla relazione risultava che molti siti comunali alpestri e pianeggianti erano consacrati al pascolo e alla raccolta di erbaggi, dietro il pagamento di una tassa [CUC, Tavagnasco, Usi civici soliti a favore di 96 famiglie indigene su ettari 360 di terreno comunale rimboschibile: Relazione del segretario comunale Carlo Benedetto, 29 novembre 1925]. Ognuno doveva denunciare al comune il numero di capi che intendeva pascolare e farsi bollare con un timbro la falce con cui raccoglieva l'erba: la sorveglianza era affidata alle guardie comunali. Sui siti comunali alpestri erano presenti molti castagni, noci e pioppi piantati da particolari, che pagavano una tassa annuale per sfruttarli e avevano il diritto di abbatterli quando diventavano improduttivi. Il godimento dei beni comunali era disciplinato da un apposito regolamento approvato nel 1879 [AST, Sezione III, Serie 37, mazzo 68: 1879-1887: verbali di approvazione e modifica del regolamento per l'uso dei beni, 1879-1887]; le pecore dei privati erano affidate dal 1809 a un pecoraio pubblico che le pascolava sulle alpi e sui siti comunali [Benedetto, Tavagnasco, 330], mentre il pascolo estivo era gestito da pastori che pagavano un canone al comune per l'affitto degli alpeggi. Il segretario osservava come tutto ciò rappresentasse non uso civico, ma una concessione che aveva origine negli statuti ed era stata approvata da una legge comunale nel 1859. Negli statuti pubblicati fra il 1291 e il 1474 numerosi capitoli disciplinavano, in effetti, lo sfruttamento dei beni civici. La raccolta di erba e foglie su siti comunali in pianura era proibita, mentre su quelli alpestri era concessa ai membri maschi di ogni famiglia soltanto dopo il primo agosto [Statuti di Tavagnasco, capp. XX e XXI]; era proibito ai forestieri raccogliere ghiande sui siti comunali prima che fosse esplicitamente permesso dalle grida e nessuno poteva abbattere piante nel comune se non per uso proprio e su licenza del podestà e dei consoli [Statuti di Tavagnasco, capp. XXXIX e XLI]. Il comune disponeva dunque liberamente dei propri beni e il pascolo era regolato dagli statuti, dal podestà, dai consoli e in alcuni casi dalla vicinanza: il primo bando che regolava il pascolo delle capre nei castagneti del comune fu, infatti, approvato dalla vicinanza nel 1553 [Benedetto, Tavagnasco, 44].
Nel corso del XVII secolo, a causa delle spese sostenute per l'alloggiamento di truppe, la comunità contrasse vari debiti ponendo come garanzia beni propri [Benedetto, Tavagnasco, 204-205]. Nel 1709 il comune fu misurato per la perequazione generale [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Seconda Archiviazione, Perequazione generale del Piemonte, capo 21, mazzo 1: Nota alfabetica de' territori stati misurati coll'indicazione dell'annata nella quale seguì la misura]: il terreno allodiale fu calcolato in 929 giornate, composte di alteni prativi, orti per cipolle, gerbidi, alcuni prati e campi, castagneti, un bosco di legna da ardere; i gerbidi comuni misuravano 372 giornate, mentre un prato, un campo e una vigna appartenevano alla parrocchia, un campo e un prato risultavano invece proprietà del capitolo della cattedrale di Ivrea [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Seconda Archiviazione, Perequazione generale del Piemonte, capo 21, mazzo 310: Ristretto delle misure territoriali de' beni e loro reddito, provincia di Ivrea, 1709]. Nel 1712 il comune acquistò l'alpe Pianello o Campassi, che divenne il più importante alpeggio comunale [AST, Sezione I, Serie 26, mazzo 31, n. 131: Alpi, 1711-1793; n. 132: Boschi e pascoli, 1661-1800; n. 142: Stato dei beni e dei redditi della comunità di Tavagnasco, 1798; Benedetto, Tavagnasco, 221-223]. Nel 1729 il console e i credenzieri di Tavagnasco dichiararono che la comunità possedeva 40 giornate di «boscho da fuoco di pochissimo valore» nella regione detta «La Montagna», dove sorgeva la cappella di Santa Maria Maddalena, confinante con terreni di particolari e con i comuni di Brosso e Quassolo, a cui si aggiungevano circa 145 giornate di pascoli e gerbidi nella regione Bruere [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Seconda Archiviazione, Perequazione generale del Piemonte, capo 21, mazzo 77, Consegne de' beni immuni e comuni della provincia di Ivrea, 1729; mazzo 226: Informazioni prese nell'anno 1729 sovra il reddito naturale de' beni siti nella provincia di Ivrea; mazzo 235: Tabelle del reddito naturale de' beni risultante dalle informazioni prese nel 1729 per la provincia di Ivrea]. Nel 1741 il comune acquistò gli alpeggi Bonze e Balmaz da Giovanni Perrone di Donnaz, che li riscattò nel 1749, sollevando la comunità da ogni spesa [Benedetto, Tavagnasco, 225-226]: le parti di bosco intorno alle alpi Bonze e Barmaz, comprese nel patrimonio della confraria dello Spirito Santo, passarono alla Congregazione di Carità, che le vendette fra il 1873 e il 1900 [AST, Archivio della Congregazione di Carità, Serie 11, mazzo 6: Appalto e vendita del bosco delle alpi Bonze e Barmaz]. Il comune alienò numerosi beni a privati nella seconda metà dell'Ottocento [AST, Sezione III, Serie 37, mazzo 67, n. 341: Atti d'incanto e vendita di beni stabili di proprietà della comunità a favore di diversi particolari, 1843-1844; mazzo 68, n. 346: Atti di vendita di pascoli e gerbidi comunali, con relazioni di perizia, 1844-1878] e nel 1925 i 360 ettari di terreni comunali rimasti risultavano suddivisi fra gli alpeggi Piani, Giasso, Pianello e Muanda e le regioni Vallereis, Marcorino, Senge, Foulane di Usseglio, Giampiovano, Lettola, Feipiano, Sosplos, Tresenda, Pian delle Vigne, Rossen, Daie, Biollio [CUC, Usi civici soliti: lettera del regio sorvegliante, 2 novembre 1925]. Nel 1932 furono liquidati usi civici di pascolo e nel 1934 il perito istruttore del Regio Commissariato per la liquidazione degli usi civici, dopo un sopralluogo a Tavagnasco, scriveva che nessuna autorità comunale aveva saputo fornirgli indicazioni sulla distinzione fra beni demaniali e beni patrimoniali: molte particelle di terreni comunali, inoltre, erano castagneti poco produttivi, appezzamenti coltivi di piccola estensione non più riutilizzabili e casolari alpestri destinati al ricovero del bestiame. Il perito accennava alle antiche concessioni vantate dal segretario comunale nel 1925, scrivendo che «molti abitanti pretendono ed effettivamente esercitano diritti di proprietà e di possesso su piante di alto fusto esistenti qua e là sui beni comunali», per i quali pagavano un canone annuo, ma che non esistevano «documenti che comprovino l'origine e la natura di queste utenze, né deliberazioni o atti che ne regolino l'uso»: egli affidava al commissario eventuali accertamenti [CUC, Tavagnasco, Relazione per la destinazione delle terre di uso civico appartenenti al Demanio comunale di Settimo Tavagnasco, 1934]. Il Regio Commissariato emanò nel 1938 un'ordinanza per la sistemazione di diritti piantivi dei privati sui terreni comunali [CUC, Tavagnasco, Atti relativi alla pratica di sistemazione dei diritti piantivi, 12 febbraio 1938]. Nel 1975 il perito istruttore incaricato dal CUC di eseguire i rilievi per il riordinamento degli usi civici osservava che il comune aveva un demanio formato da alcuni incolti e ghiaieti siti lungo la Dora Baltea e da un vasto comprensorio montano. L'uso del pascolo risultava regolato dal comune, che concedeva in affitto quinquennale terreni e malghe alpine, mentre il patrimonio forestale avrebbe costituito una ricchezza «se si aprissero strade di accesso» [CUC, Tavagnasco, Relazione del perito istruttore al progetto di reintegra, 20 ottobre 1975]. Dai rilevamenti risultava, inoltre, che il comune aveva proceduto, in varie epoche, ad alienazione di stabili e terreni senza l'autorizzazione alla vendita del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste: fra il 1976 e il 1979 il comune provvide, quindi, alle conciliazioni con i privati per la reintegra di particelle del comprensorio di uso civico della comunità detenute in possesso arbitrario [CUC, Tavagnasco, fascc. 1531-1532-1590: Conciliazione]. Nel 1977 il Ministero per l'Agricoltura e per le Foreste ha autorizzato il comune di Tavagnasco a mutare di destinazione 318 mq di terreni di uso civico per l'ampliamento dell'area cimiteriale comunale, con la clausola che, «nel caso venisse a cessare lo scopo per il quale è concessa l'autorizzazione», il terreno, soggetto alla normativa demaniale civica, «tornerà all'originaria destinazione» [CUC, Tavagnasco, Autorizzazione a mutare destinazione, 6 agosto 1977].
Liti Territoriali
All'inizio del XVI secolo il comune decise di prolungare il canale o roggia del mulino della confraria, azionato dai rii Luvia e Fontana, verso il torrente Dora. Dal 1518 al 1534 furono indennizzati i proprietari di Tavagnasco e di Quincinetto danneggiati dai lavori di prolungamento del canale, ma nel giugno del 1539 il castellano di Quincinetto, che deteneva il castello a nome dei signori di Montalto e di Settimo Vittone, si oppose al completamento dei lavori sui fini di Quincinetto: nell'agosto dello stesso anno il castellano accettò un indennizzo dal comune, che ancora nel 1552 dovette pagare ulteriori risarcimenti ai proprietari danneggiati [Benedetto, Tavagnasco, 105-111]. Nel 1547, a causa di una frana, il letto del fiume Dora subì una modifica e il canale del mulino rimase senz'acqua: alcuni abitanti di Quincinetto si opposero a nuovi lavori di scavo e la comunità di Tavagnasco ricorse al duca di Savoia, che le confermò i diritti sull'acqua della Dora. Terminati i lavori, gli abitanti di Quincinetto costruirono una piccola diga, che otturò l'imbocco del canale, e distrussero la bocchetta: il comune di Tavagnasco ricorse nuovamente al duca, che nel 1552 prese il canale sotto la sua protezione, ordinando di erigervi gli stemmi ducali [Benedetto, Tavagnasco, 111-113]. La contesa, tuttavia, non si esaurì con l'intervento ducale: nei due secoli seguenti il comune di Quincinetto contestò a più riprese agli abitanti di Tavagnasco la manutenzione e lo sfruttamento del canale per il mulino, alimentato dalla Dora [AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 8, n. 25: Lite contro Quincinetto relativa al demanio e alla roggia del mulino, 1547-1749]. Le frane e le esondazioni dei torrenti sul territorio di Tavagnasco scatenarono altre liti con Quincinetto nel 1654, quando il torrente Renanchio esondò e invase i confini del comune [AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 8, n. 25: Pratiche di comunità contro Quincinetto pel fatto del Renanchio e lite con Quincinetto pei confini, 1654], fatto che si ripeté nel 1753, alimentando una causa trentennale fra i due comuni [Benedetto, Tavagnasco, 296].
A sfociare in liti plurisecolari fu però soprattutto la tensione con il comune di Montestrutto, nei confini del quale la comunità di Tavagnasco possedeva beni allodiali stabili già all'inizio del XV secolo. Nel 1480, dopo numerose liti, il comune aveva concordato di partecipare con la comunità di Montestrutto per la quarta parte delle tasse e oneri imposti a quest'ultima dalla dominazione ducale [Benedetto, Tavagnasco, 130]. Quando, però, nel 1520, il comune di Tavagnasco vendette la gran parte di beni che possedeva in Montestrutto, esso pretese una diminuzione del carico fiscale: la lite fu risolta da una conciliazione sancita nella chiesa di Sant'Andrea a Settimo Vittone nel luglio del 1577, con la quale il comune di Tavagnasco si impegnava a concorrere per la quinta parte delle spese e oneri con il comune di Montestrutto per il passaggio e l'alloggiamento delle truppe, ma non per la manutenzione dei canali [Benedetto, Tavagnasco, 131]. Nel 1595 il comune di Montestrutto chiese di aumentare il contributo di Tavagnasco per l'alloggiamento delle truppe: gli abitanti di Tavagnasco, che avevano già supplicato il duca di esentarli dal fornire armi e vettovagliamenti ai soldati [Benedetto, Tavagnasco, 132-133], si appellarono a quanto convenuto nel 1577, ma i consoli e credenzieri di Montestrutto ordinarono ai campari di sequestrare il bestiame e le derrate degli uomini di Tavagnasco che transitavano sul territorio del comune per recarsi al mercato di Ivrea. La comunità di Tavagnasco aprì una causa contro quella di Montestrutto, ma nel luglio 1600 il prefetto di Ivrea e del Canavese ordinò di aumentare gli obblighi per Tavagnasco rispetto a quanto pattuito nel 1577. Il comune ricorse al tribunale ducale di Torino, ottenendo di partecipare alle spese con Montestrutto solo per la fanteria: il senato sentenziò, però, che Tavagnasco doveva concorrere con Montestrutto per la quinta parte del tasso ducale [Benedetto, Tavagnasco, 149-152]. La causa si trascinò fino al 1662, quando Tavagnasco fu definitivamente esentato dalla quinta parte di tasso che pagava con Montestrutto [AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 5: Atti di lite con Montestrutto per tassi ducali; Benedetto, Tavagnasco, 152]. Nel corso dell'Ottocento i comuni di Tavagnasco e di Montestrutto furono coinvolti in nuove liti per esondazioni della Dora e sconfinamenti territoriali da parte di proprietari di Tavagnasco: nel 1831 fu ordinata una ricognizione dei rispettivi confini [AST, Sezione III, Serie 2, mazzo 54, n. 274: Atti di lite, ricognizione dei confini col comune di Montestrutto; n. 278: Atti di lite contro il comune di Montestrutto, 1854, 1860-61, 1876-78; Benedetto, Tavagnasco, 298].
Questioni territoriali contribuirono anche ai secolari contrasti della comunità con i consignori, che furono particolarmente aspri quando, nel 1744, Giacomo Antonio Giampietro ottenne dal fratello Giovanni Battista una procura per amministrare le ragioni feudali che la famiglia deteneva in Tavagnasco. Giacomo Antonio autorizzò Giovanni Antonio Pecco a costruire un mulino sulla Dora, di proprietà dei Giampietro, sul territorio di Montestrutto, ma davanti al gerbido comunale Gori, nelle fini di Tavagnasco [AM, doc. 385]. Il mulino fu collegato, tramite una barca, con la sponda tavagnaschese della Dora e la comunità di Tavagnasco ricorse alla Camera dei Conti, ritenendo di avere il diritto di esercire i mulini per i propri abitanti e per tutti i rivieraschi della Dora: il comune, inoltre, rivendicava diritti sul cosiddetto porto o naviglio della Dora nel territorio di Montestrutto, per via di alcuni acquisti effettuati dalle famiglie De Mero, Vuillet e Riccarand, che nel XVI secolo detenevano ragioni feudali in Tavagnasco [Mola, I Giampietro, 248; Benedetto, Tavagnasco, 291-296, che peraltro a pp. 122-123 ricorda le permute e le alienazioni fatte dai De Meo e dai Riccarand fra 1557 e 1567, ma poi confonde Giacomo Giampietro con Giacomo Setto di Settimo Vittone]. I diritti dei tavagnaschesi sulle aree confinanti con i comuni di Montestrutto e Settimo Vittone erano stati all'origine anche di un'altra lite con Fabrizio Giampietro che, dopo aver ottenuto il titolo comitale nel 1665, voleva inibire ai particolari di Tavagnasco la caccia e la pesca sui confini dei due comuni: appellandosi agli statuti [Statuti di Tavagnasco, cap. XLIX, 160], la comunità intentò causa, che si chiuse con sentenza favorevole al comune nel 1665 [Benedetto, Tavagnasco, 197-199; AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 4: Atti di lite contro il conte Fabrizio Giovanni Pietro di Settimo, 1665-1670].
Un lunghissimo contenzioso si scatenò con un altro consignore, Giacomo Filippo Setto, che aveva costituito una società per lo sfruttamento di un filone d'argento in regione Vallereis, aprendo forni e canali. La comunità accampò diritti di proprietà sul terreno e la causa si prolungò ben oltre la morte di Filippo, nel 1747: la miniera fu aperta soltanto nel 1847 e chiusa poco dopo a causa degli scarsi profitti che se ne ricavavano [Mola, I Giampietro, 248, n. 146; Benedetto, Tavagnasco, 296; Rezia di Mombello, Descrizione, f. non numerato, in cui un forno di ghisa risulta di proprietà del conte Setto].
Fonti
Fonti edite
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A.S.T., Corte, Materie economiche, Materie economiche per categorie, Strade e ponti, mazzo 4 di prima addizione, fasc. 1: Conto generale dei fondi e delle spese per le riparazioni delle strade col rispettivo bilancio, 1779-1781; fasc. 14: Parere dell'Azienda delle strade sovra la supplica della comunità di Tavagnasco provincia di Ivrea per trasposizioni di strade e soccorsi sulla cassa delle medesime, 29 gennaio 1783.
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A.S.T., Sezioni Riunite, Ufficio Generale delle Finanze, Seconda Archiviazione, Perequazione generale del Piemonte, capo 21, mazzo 1: Nota alfabetica dei territori misurati coll'indicazione dell'annata nella quale seguì la misura, 1709; mazzo 2: Stato del tasso dovuto da tutte le comunità del Piemonte con il ricavo di tutte le alienazioni principiate nell'anno 1572 et riconosciute per tutto il 1703; mazzo 2bis: Stato de' tributi che pagavano le comunità del Piemonte prima del Regio Editto di perequazione delli 5 maggio 1531; mazzo 77: Consegne de' beni immuni e comuni della provincia di Ivrea, 1729; mazzo 226: Informazioni prese nell'anno 1729 sovra il reddito naturale de' beni siti nella provincia di Ivrea; mazzo 235: Tabelle del reddito naturale de' beni risultante dalle informazioni prese nel 1729 per la provincia di Ivrea; mazzo 253: Reddito comunicativo della provincia di Ivrea nell'anno 1730; mazzo 310: Ristretto delle misure territoriali de' beni e loro reddito, provincia di Ivrea, 1709
A.S.T., Sezioni Riunite, Ufficio Generale delle Finanze, Seconda Archiviazione, Vassalli, titoli, giurisdizioni e cavalcate, capo 22, mazzo 7: Consegnamenti fatti da' vassalli e possessori de' beni feudali per le cavalcate ingiunte dal Regio Editto 9 maggio 1742 per le provincie di Cuneo ed Ivrea.
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Descrizione Comune

Tavagnasco

Ancora nel secolo XIX l'«impetuosità de' fiumi e torrenti, i quali gonfi talvolta a strabocco atterrano ed esportano tutto quanto loro si para davanti», era, secondo l'intendente generale di Ivrea, la principale causa della rovina finanziaria di comuni come Tavagnasco [AsTo, Paesi, Paesi in genere e per province, mazzo 56, Ivrea, fasc. 14: Relazione dell'intendente generale della città e provincia di Ivrea, 22 settembre 1824]: il paese subì infatti, nel corso dei secoli, diverse frane e alluvioni che ne indebolirono il fragile assetto economico. Nel 1615, nel 1641, nel 1649 e nel 1666 i torrenti Fontana, Luvia e Renanchio esondarono provocando rovinose frane: i danni furono ispezionati da agenti ducali fra il 1666 e il 1667 e nel marzo del 1668 il duca Carlo Emanuele II condonò per dieci anni alla comunità di Tavagnasco la sesta parte dei tassi ducali [Benedetto, Tavagnasco, 205-208]. Nell'aprile 1677 il comune chiese una nuova ispezione per prorogare il condono ma le frane continuarono negli anni seguenti [AST, Sezione I, Serie Mazzo 19, n. 73: Incartamenti delle frane Rovere e Piozzo; visita delle frane Rovere e Piozzo dall'anno 1614 al 1728; n. 75: Esondazioni della Dora, del Renanchio e di altri corsi d'acqua; note di beni inondati e relazioni di periti, 1656-1796; n. 76: Relazioni, rapporti e atti di visita concernenti i danni provocati dalle tempeste, 1693-1758; Benedetto, Tavagnasco, 208-213]. Il comune si vide costretto a rafforzare più volte gli argini dei torrenti e a riparare i danni provocati dalle acque sulla strada comunale verso Aosta, incontrando feroci opposizioni da parte dei proprietari a cui si chiedeva di vendere parti dei loro terreni per allargare il passaggio: nel 1783 il comune dovette rivolgere una supplica al re per obbligare i proprietari a cedere i terreni necessari al miglioramento della strada [AsTo, Materie economiche, Materie economiche per categorie, Strade e ponti, mazzo 4 di prima addizione, fasc. 1: Conto generale dei fondi e delle spese per le riparazioni delle strade, 1779-1781; fasc. 14: Parere dell'Azienda delle strade sovra la supplica della comunità di Tavagnasco provincia di Ivrea, 29 gennaio 1783].
L'impetuosa Dora Baltea, che si frapponeva fra i due comuni di Tavagnasco e di Settimo Vittone, era però anche una delle maggiori ricchezze per il comune, che con le sue acque alimentava i mulini e vi esercitava diritti di pesca: per questo motivo il controllo dell'acqua e dell'attraversamento del fiume risultava una questione di vitale importanza, che alimentò nei secoli innumerevoli liti, soprattutto con il limitrofo Settimo Vittone e i signori del consortile. Si è già accennato come l'erezione a pieve della chiesa di Tavagnasco fosse stata richiesta soprattutto per evitare l'attraversamento della Dora, per il quale pretendevano un pedaggio i signori di Settimo Vittone: il torrente si attraversava con un naviglio, una barca ancorata sulla riva destra, nell'attuale regione La Barca, su cui si caricavano le merci e il bestiame. Il naviglio fu proprietà dei signori di Settimo fino al 1557, quando Domenico De Meo chiese un prestito alla famiglia Rincarand di Settimo, garantendolo con il pedaggio sul naviglio della Dora: nel 1567 i De Meo vendettero al comune di Tavagnasco i diritti sulla barca e sul pedaggio per il transito del fiume. L'acquisto fu contestato dai Rincarand, ma nel 1589 Carlo Vuilliet, governatore di Montestrutto e di Tavagnasco, sentenziò un risarcimento per la famiglia, mentre il comune di Tavagnasco ottenne l'investitura del naviglio, che mantenne fino al periodo napoleonico [AST, Sezione I, Serie 26, mazzo 31, n. 133: Atti di lite, transazioni, sentenze, procure, investiture concernenti la barca sulla Dora, 1547-1745; n. 134: Barca sulla Dora: estimo e proventi, 1631-1782; n. 135: Ordini e deliberamenti concernenti la barca sulla Dora e i battellieri, 1650; n. 136: Capitolazione concernente l'affitto della barca, 1650; Benedetto, Tavagnasco, 121-123]. All'inizio del XIX secolo fu istituito un fondo per l'edificazione di un ponte sulla Dora [Benedetto, Tavagnasco, 307; AST, Sezione II, Serie 15, mazzo 41: Ponte sulla Dora, 1801] e nel 1828 la comunità ne deliberò la costruzione, chiedendo le necessarie autorizzazioni [AsTo, Paesi, Paesi per A e per B, T, mazzo 2, fasc. 1: Spese straordinarie del comune, aprile 1828; AST, Sezione III, Serie 51, mazzo 72: Ponte sulla Dora, 1832-1892]. Il primo ponte fu ultimato nel 1835: solo quattro anni dopo fu distrutto da un'alluvione e dovette essere ricostruito con archi in muratura nel 1884 [AST, Sezione III, Serie 51, mazzo 72, n. 412: Costruzione e riparazioni del ponte sulla Dora, 1832-1885; Sezione III, Serie 38, mazzo 69: mutuo della cassa centrale dei depositi e anticipazioni per ricostruzione del ponte sulla Dora, 1843-1891], ma fino al 1921 il comune continuò a riscuotere il pedaggio per l'attraversamento [AST, Sezione IV, Serie 5, mazzo 102: Atto di vendita della casa del ponte, di proprietà comunale, 1921].
Gli abitanti di Tavagnasco, comune «infimo», nel quale non esistevano monumenti pubblici di valore né chiese di pregio né edifici notevoli [AsTo, Paesi, Paesi in genere e per province, Ivrea, mazzo 57, fasc. 1: Risposta ai quesiti di storia fisica e naturale del sig. dott. Zuccagni-Orlandini, 10 marzo 1835], dovettero battersi per rivendicare diritti, come quello per il pedaggio sul fiume Dora, acquisiti nel corso dei secoli, soprattutto contro le pretese dei consignori: le liti con questi ultimi vedono la comunità agire come soggetto giuridico inquieto ma organizzato. Furono soprattutto i Giampietro a scontrarsi più volte con il comune, contestando la validità dei diritti sanciti negli statuti: la famiglia discuteva l'autorità della podesteria e pretendeva di giudicare gli abitanti della castellata accusati di un reato nel castello di Settimo Vittone, facoltà concessa dagli statuti solo in casi di eccezionale gravità [Statuti di Tavagnasco, cap. LVIII, 164]. La comunità si oppose violentemente alle pretese dei consignori, ma perse la causa contro Fabrizio Giampietro nel 1665 [AM, doc. 24: Concessione della prima appellazione nelle cause civili e criminali tra gli abitanti di Settimo Vittone, Montestrutto, Nomaglio, Cesnola e Tavagnasco; cfr. anche i docc. 25 e 26; Mola, I Giampietro, 234]. Anche il diritto di patronato sulla chiesa parrocchiale, esercitato dal comune, fu motivo di controversie con Fabrizio Giampietro, che fece porre nella chiesa un banco con il proprio stemma di famiglia, imitato da Prospero Lasbianca. I tavagnaschesi, che vi si erano opposti vivacemente, una notte entrarono nella chiesa, prelevarono i due banchi e li bruciarono sulla pubblica piazza: Lasbianca e Giampietro ne fecero subito costruire altri e si riservarono il diritto di seppellire i propri defunti nelle cappelle della chiesa. Il comune di Tavagnasco ricorse alla curia di Ivrea, che si mostrò favorevole ai consignori: ma il tribunale della Sacra Rota emise due sentenze a favore del comune, intimando di asportare i due banchi di famiglia. Dopo l'intervento ducale si giunse a un accordo con Fabrizio Giampietro: egli pagò le spese della causa e in cambio ottenne il diritto di tenere il banco di famiglia nella chiesa parrocchiale [AM, doc. 970: Atti procedurali della causa davanti alla curia vescovile di Ivrea tra Fabrizio Giovanni Pietro di Settimo Vittone e la comunità e particolare del luogo di Tavagnasco per il diritto di tenere un banco nella chiesa parrocchiale di Tavagnasco a causa del suo condominio di giurisdizione, quale diritto gli fu da detta comunità per lungo tempo contestato anche con atti di violenza, furtivi, minacciosi ed insidiosi, 1659; doc. 971: Atti e lettere monitoriali seguiti in via d'appellazione avanti la Curia del Nunzio apostolico di Torino, 1660-1662; docc. 972-973-974-975: Titoli diversi, attestazioni e informazioni giudiciali presentati in detta causa; doc. 976: Ricorsi in via repressiva e decreti ducali ottenuti per il fatto di detto banco, 1660-1667; AST, Sezione I, Serie 3, mazzo 6: Atti di lite contro Fabrizio di Settimo per il banco di patronato in chiesa, 1661-1664]. La lite dovette assumere un significato particolare per gli abitanti di Tavagnasco, tanto da dare luogo a una singolare leggenda pseudo-agiografica, tramandata oralmente ancora nei primi decenni del XX secolo [Benedetto, Tavagnasco, 181-184]. Secondo questa tradizione, Prospero Lasbianca, dopo aver rinunciato al banco di famiglia, si era ritirato in una sorta di eremitaggio sui monti di Tavagnasco: raggiunta una ormai veneranda età, era stato chiamato dal curato perché si presentasse in pubblico almeno per la messa pasquale. Il vegliardo, ormai irriconoscibile, entrato nella chiesa affollata, si era prostrato davanti all'altare, «colle braccia aperte, come un antico orante delle catacombe cristiane», ed era morto pregando, mentre riceveva l'ostia del perdono davanti all'intera comunità.
Oltre che nello sfruttamento delle acque della Dora e dei torrenti suoi immissari e nella difesa di antichi diritti, gli abitanti di Tavagnasco si impegnavano nell'allevamento di ovini e bovini, le cui carni rivendevano sulla piazza del paese [Rezia, Descrizione]. Secondo una relazione dell'intendente della provincia di Ivrea, scritta fra il 1746 e il 1748, i gerbidi comuni erano appena sufficienti per il pascolo e non potevano, quindi, essere convertiti a coltura [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Prima Archiviazione, Provincia di Ivrea, mazzo 1, fasc. 18: Relazione ed informative dell'Intendente di Ivrea con stati della coltura e raccolto de' beni, del personale e bestiami di cadun territorio della Provincia, 1746-1748]: lo stesso intendente osservava, in una seconda relazione, che il terreno coltivato nel comune era poco esteso, ma si andava lentamente ampliando «a misura che rispinge l'acqua della Dora e del Renanchio che costeggia il territorio» [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Prima Archiviazione, Provincia di Ivrea, mazzo 1, fasc. 1bis: Provincia di Ivrea, relazione di quel sig. Intendente formata nell'anno 1748 dello stato e coltura de' beni de' territorii della città e comunità di detta provincia]. I campi erano adibiti alla coltivazione della segala e della canapa; uva da vino, noci, castagne e mele erano coltivate esclusivamente ad uso della popolazione locale, che tentò anche, a più riprese, di sfruttare i piccoli giacimenti di ferro, oro e argento che si trovavano sul territorio. Oltre a Giacomo Setto, che costituì una società per sfruttare i giacimenti dando luogo alla secolare disputa di cui s'è detto, numerosi particolari chiesero autorizzazioni al Corpo delle Miniere dello Stato per sfruttare filoni e giacimenti di ferro, rame, pirite, piombo, argento e rame fra il 1872 e il 1936 [AsTo, Distretto minerario del Piemonte, I versamento, Piemonte, Miniere, Permessi di ricerca, Provincia di Torino, mazzo 56, fasc. 5: Permesso di ricerca di ferro e rame, località Barzino e Li Piani, 1900-1909; fasc. 6: Permesso di ricerca di pirite e calco pirite, località Feipian, 1893-1937; fasc. 9: Permesso di ricerca di pirite arsenicale e galena, località Getti e Vallereis, 1896-1918; fasc. 10: Permesso di ricerca di oro, argento, piombo, rame, località Vallereis, 1886-1936; Permessi e Concessioni, Provincia di Torino, mazzo 75, fasc. 320: Ricerche minerarie di pirite, rame ed argento del sig. Girodo Antonio, regione Chiosi o Fojni, 1874; fasc. 629: Ricerca di minerali di ferro, piombo, rame, oro ed argento del sig. cav. Oreste Bianchetti, reg. Fey Piani, 1872-1874; fasc. 924: Ricerca di minerali d'argento e piombo del sig. Daubier Pietro, reg. Pino o Chiapej, 1876-1885; Materie economiche, Materie economiche per categorie, Miniere, mazzo 2, fasc. 28: Progetto di certo Giovan Antonio Grosso per la pesca dell'oro nei fiumi Orco, Dora Baltea, Sesia, Elvo e Po]. Tracce di attività estrattiva sarebbero riferibili già al XV secolo [Vassarotti, 70], ma notizie certe riguardo a fucine in cui si lavorava il ferro estratto da piccoli giacimenti sul territorio del comune si hanno solo dal Settecento [AsTo, Ufficio Generale delle Finanze, Prima Archiviazione, Miniere, mazzo 1, fasc. 22: Relazione riguardo ad alcune miniere scoperte nella Valle di Brosso, 1727-1746; Paesi, Paesi in genere e per province, mazzo 57, Ivrea, fasc. 1: Risposta ai quesiti di storia fisica e naturale del sig. dott. Zuccagni-Orlandini, 10 marzo 1835, da cui risultano tracce di filoni di piriti di ferro, aurifere e argentifere a Tavagnasco; Di Gangi, L'attività mineraria, 78]. Alcune gallerie da cui si estraeva piombo, ferro e pirite risultavano ancora in attività tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento [AST, Sezione III, Serie 47, mazzo 70: Miniere, 1867-1897; Sezione IV, Serie 11, mazzo 163, n. 799: Miniere, 1900-1925; n. 800: Corrispondenza con la società dell'alluminio italiano per l'apertura e la manutenzione di una cava, 1949-1955; AsTo, Distretto Minerario del Piemonte, I versamento, Piemonte, Miniere, Permessi di ricerca, Provincia di Torino, mazzo 56, fasc. 8: Pratiche relative alla miniera Getti e Vallereis, 1897-1907; Vassarotti, 66-71].