Montechiaro d'Acqui

AutoriGiana, Luca
Anno Compilazione2002
Anno RevisioneVersione Provvisoria
Provincia
Alessandria
Area storica
Val Bormida di Spigno e Valle Erro. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Vedi mappa 3.
Abitanti
585 [ISTAT 1991].
Estensione
17,51 Kmq.
Confini
A nord Ponti e Castelletto d’Erro, a est Cartosio, a sud Malvicino e Spigno Monferrato, a ovest Mombaldone e Denice.
Frazioni
Montechiaro Piana, Varianda. Vedi mappa.
Toponimo storico
La forma più diffusa del toponimo nella documentazione dei secoli medievali è quella di «Monsclarus», sin dalla prima attestazione nel 1199 (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 172). Dal 1863 il paese, che prima si chiamava semplicemente Montechiaro, assume l’attuale denominazione: Montechiaro d’Acqui.
Diocesi
Acqui, Montechiaro è attestato sotto la giurisdizione della diocesi di Acqui a partire dal 1367 (cfr. Monumenta aquensia, vol. II, col. 609, n. 118 del 1367).
Pieve
Casalis menziona l’esistenza di una pieve, non documentabile, identificandola in una chiesa campestre dedicata alla visitazione di Maria e a S. Elisabetta elevata a pieve dal vescovo di Acqui nel 1057. Questa, amministrata dai monaci di S. Quintino di Spigno, fu in seguito abbandonata con il trasferimento della parrocchia in Montechiaro, forse intorno al 1100, con la costruzione di una cappella appena fuori il castello. La pieve intitolata a Santa Maria è situata a poche centinaia di metri da Montechiaro Piana al centro della Valle Bormida, sulla riva destra del fiume, accanto alla strada statale. In seguito all’accorpamento dei due comuni, Montechiaro e Denice (1929-1946), e al progressivo spostamento della popolazione verso la valle, la chiesa della pieve ritorna ad essere parrocchia nel 1933 (ASVA, Montechiaro, N. S. della Pieve, fald. 1, cart. 3, fasc. 1).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La parrocchia intitolata a S. Giorgio, edificata nel 1595 sulla preesistente chiesa di Santa Caterina, ha cinque altari: l’altare maggiore, quello della SS.Spina, della Madonna del Rosario, di proprietà della Compagnia del Rosario, di San Giuseppe ed infine quello di S. Antonio, patronato di Carlo Guerrieri. La vecchia chiesa parrocchiale abbandonata fu ristrutturata e venne edificato l’oratorio di Santa Caterina, sede della Confraternita dei Disciplinanti. Nella parrocchia erano inoltre attive le compagnie del S. Sacramento e del S. Rosario. Le altre chiese locali sono: la chiesa della pieve intitolata alla visitazione di Maria Vergine, la chiesa del santuario della Carpeneta, la cappella campestre di S. Sebastiano e quella di S.Eusebio (ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S.Giorgio, fald. 1, cart. 2, fasc. 10). Nel 1786 il parroco di Montechiaro si lamenta delle interferenze sulla cura dei parrocchiani operata dai suoi predecessori. Sostiene che questi, lasciato l’incarico in parrocchia, abusano dell’ignoranza dei fedeli e praticano stregonerie sui bambini, o contro le tempeste. Comunica al vescovo che è in grado di annientare queste credenze retaggio del passato, con «l’educazione dei fedeli e togliendo di mezzo alcuni vecchi preti che le fomentano». La devozione alle reliquie è una delle pratiche usate dal parroco per distogliere suoi parrocchiani dalla magia, infatti vengono inventariate, proprio in questo periodo, quattordici reliquie, tutte senza autentica. Infine, guidato in questo anche dalla famiglia Guerrieri, il parroco provvede a istituire, tramite la concessione di Pio VI, 200 giorni di indulgenza a chiunque passasse «con cuore contrito e devotamente» e recitasse le litanie della B.V.Maria, dalla cappella campestre del S. Nome di Maria. La cappella di Maria è posta vicino a Satragni, sulla strada tra Montechiaro e Montechiaro Piana. L’elevazione, da chiesa campestre a santuario, avviene sotto l’egida della famiglia Guerrieri. Proprio la famiglia dei conti Guerrieri, estintasi a metà XIX secolo, si faceva seppellire nel santuario. Nel XX secolo la parrocchia è quasi abbandonata ma ciò non sembra solo dovuto all’allontanamento dalle pratiche religiose della popolazione. Infatti il parroco, nella relazione del 1955, lamenta che i suoi parrocchiani frequentano altre parrocchie «perché diverse frazioni sono distanti dalla chiesa da sei a otto chilometri». Dal 1933 le parrocchie nel comune di Montechiaro sono due: S. Giorgio di Montechiaro e Nostra Signora della Pieve.
Luoghi Scomparsi
Nessuna notizia.
Comunità, origine, funzionamento
Nel 1284 la comunità risulta politicamente organizzata in occasione di una convenzione stipulata con il marchese del Carretto: nel documento si fa riferimento a due sindaci della comunità di Montechiaro su richiesta dei quali i marchesi del Carretto, signori del luogo, promettono di non contravvenire alle consuetudini, ben specificate, che regolano la vita della comunità. Il documento risulta ulteriormente interessante poiché si precisano i confini dell’esistente zona fortificata (castrum) e di alcuni «castricia» esterni al castello (forse successive porzioni fortificate della cittadina), nonché di altre parti del territorio all’interno dei quali sono valide tali consuetudini (Monumenta aquensia, vol. II, col. 693, n. 182).
Non sappiamo altro dell’attività comunale, che probabilmente rimane subordinata al volere marchionale, fino al 1425, quando gli uomini di Montechiaro stipulano un accordo con il comune di Cartosio (Le carte medievali, doc. 291).
Una copia di un documento del 1297, esibita nel 1660, tratta della vendita alla comunità della giurisdizione tenuta dai capitoli di Asti (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 27). Il 13 novembre 1338 si conserva una dichiarazione della comunità di Montechiaro in cui si sostiene che il giuramento di fedeltà prestato ai Francesi fu fatto solo sotto la minaccia delle armi. Si ha poi notizia di una rappresentanza della comunità di Montechiaro nei «patti e convenzioni tra Gio Galeazzo Visconti Conte di Milano e le comunità di Montechiaro e di Cinzano» il 24 aprile 1381 (AST, Corte, Provincia d’Asti, 18, mazzo 17).
Gli statuti della comunità risalgono al 1384 (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 27).
Statuti
Gli statuti della comunità risalgono al 1384 (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 27).
Catasti
Il primo catasto integro è quello del 1718.
Ordinati
 L’archivio comunale di Montechiaro conserva gli ordinati comunali e alcune delibere apartire dal 1834.
Dipendenze nel Medioevo
Alla fine del secolo XII, il luogo fortificato di Montechiaro, con distretto e giurisdizione, è ceduto, con investitura, dal marchese del Bosco agli Alessandrini con l’accordo che passerà definitivamente al comune in caso di sua morte senza eredi maschi (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 171 del 1199). Tuttavia, un documento dello stesso anno ci presenta una petizione da parte del marchese del Carretto con cui egli accusa gli Alessandrini di essersi indebitamente appropriati di Montechiaro in seguito alla pace stipulata fra loro. Si precisava che la località era tenuta da Dalfino, marchese del Bosco, a
nome di Ottone del Carretto, del partito marchionale (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 172 del 1199).
      Non sappiamo come la vicenda si sia conclusa, sappiamo però, che Montechiaro era stato motivo  di guerra tra il comune alessandrino e i marchesi del Carretto (Cartario alessandrino, vol. I, doc. 250 del 1203). Nel 1210 gli uomini di Montechiaro giurano fedeltàal comune di Alessandria (Savio 1967, p. 218, doc. 440 bis).
Feudo
Al 1284 risale la notizia del’esistenza di un castellano in Montechiaro, probabile
rappresentante dei signori del momento, ossia i marchesi del Carretto (Monumenta aquensia, vol. II, col. 693, n. 182). Nel 1367 Manfredo del Carretto marchese di Savona concede Montechiaro in feudo al nobile Giorgio Asinari rappresentante anche di altri familiari; l’atto fa riferimento a una precedente investitura fatta dal marchese Giacomo del Carretto ad altri due esponenti della medesima famiglia (Monumenta aquensia, vol. II, col. 609, n. 118).
     Secondo il Casalis, in seguito alla conquista sforzesca della regione il luogo di Montechiaro fu ceduto (1454) a un esponente della famiglia del Carretto, signore di Bossolasco, il quale, a sua volta, nel 1461 lo avrebbe alienato agli Scarampi di Cairo.
       Il 12 marzo 1661 venne concessa l’investitura dal governatore dello stato di Milano a favore del marchese Alessandro Scarampi Crivelli, del castello e luogo di Montechiaro. Nel diploma imperiale del 27 luglio 1669, il re di Spagna infeuda Ambrogio Antonio Scarampi dei feudi di Montechiaro, Vignarolo, Montenotte e Vinchio pervenutigli per successione dal nonno materno. Alessandro Scarampi nel 1677 giura fedeltà alla Spagna confermando la sua aderenza a Carlo V, questo permette alla Camera Reale dei conti di Milano di amministrare il feudo alla morte del feudatario senza eredi avvenuta il 9 aprile 1668. In seguito fu Luigi Scarampi Crivelli ad ottenere l’investitura del feudo da Carlo V nel  28 marzo 1699, muore Antonio Crivelli Scarampi, senza eredi, e i suoi beni vengono
suddivisi tra i fratelli: l’abbate Giuseppe Scarampi, il marchese Filippo Maria, il cavaliere
Vittorio, il conte Ludovico e il cavaliere Ottavio (AST, Corte, Langhe 55, R mazzo J, 1; vedi anche ASM, fondo Feudi Camerali, 715 e 716).
     I feudi e le porzioni di essi trasmessi erano Montechiaro, un ottavo di Vinchio, un dodicesimo di Belvedere e diversi beni feudali di Castellazzo e Mombercelli. Questa investitura era stata concessa dal gran cancelliere di Carlo II dello stato di Milano, la stessa investitura venne poi concessa da Filippo V, re di Spagna, il 1 ottobre 1701. Nel 1702 ritroviamo però anche un’investitura a Cacherano Giuseppe, conte di Villafranca.
      Dopo l’annessione ai Savoia, il 19 gennaio 1709, il Duca Vittorio Amedeo chiede ai vassalli di Montechiaro di prestare il giuramento di fedeltà entro due mesi e di rinnovare le investiture. Il feudo viene devoluto, in seguito all’estinzione della linea dei conti di Villafranca (1753), a Tapparelli Francesco, conte di Langasco. Il figlio di Francesco Tapparelli, Alessandro, morto senza prole, lasciò il feudo senza eredi. Dal 1786 Montechiaro venne quindi ereditato dal cugino Rosa Giannazzo Francesco Alessandro di Pamparato (Guasco di Bisio 1911, vol. III, p. 16).

 
Mutamenti di distrettuazione

Nel XVII secolo durante la dominazione sabauda, l’antica famiglia dei conti Guerrieri si estinse a favore della famiglia Serventi (cfr. Ponti). Queste due famiglie emergenti entrano in competizione con i del Carretto e gli Scarampi già a fine Seicento.

Montechiaro viene aggregato, insieme agli altri comuni della zona, nella provincia di Acqui negli anni Trenta del Settecento.

In seguito alla dominazione napoleonica, venne accorpato, in un primo tempo (1797) al dipartimento del Tanaro, e in un secondo a quello di Montenotte (1804). Venne ricostituita la provincia di Acqui nel 1819 e nel 1863 il luogo viene denominato Montechiaro d’Acqui. Con il riordino e l’accentramento delle province, del 1880, il comune di Montechiaro viene definitivamente aggregato alla provincia di Alessandria.

Nel 1929 il comune di Montechiaro viene accorpato a quello di Denice nell’unico comune di Montechiarodenice. Il comune viene trasferito, insieme all’archivio, a Montechiaro Piana, al centro della valle tra i due comuni aggregati. Montechiaro e Denice sorgevano, uno sulla collina sulla destra orografica del Bormida e l’altro sulla sinistra. Questo nuovo insediamento edificato attorno alla stazione ferroviaria e alla strada statale tra Acqui e Savona, legittima, nel 1933, l’istituzione della nuova parrocchia: la N. S. della Pieve.
Anche in questo caso assistiamo ad un’alternanza dello spostamento della popolazione, su lungo periodo, tra valle e collina: in epoca medievale le case sparse in quella porzione della Valle Bormida si aggregavano già attorno alla pieve. Questa fu abbandonata, per la nuova parrocchia sulla cima della collina a partire dal XV secolo. Furono infatti approvati diversi investimenti nelle chiese “alte” fino ai primi decenni del XX secolo (cfr. il lemma ‘Altre presenze ecclesiastiche’), poi la popolazione ritornò a spostarsi verso la valle e venne istituita la parrocchia della pieve.
     In anni recenti ha aderito alla Comunità Montana Alta Valle Orba, Erro e Bormida di Spigno, dal 2005 denominata Comunità Montana “Suol D'Aleramo”.
Mutamenti Territoriali
Da un documento del 1284 si possono trarre alcune indicazioni sui  onfini del territorio di Montechiaro verso il torrente Erro, i fossati Bozolasco, Ruagrosso, Castelletto e Berbisino, il monte Arbiglia (Monumenta aquensia, vol. II, col. 693, n. 182). Nel 1484 Malvicino, appartenente al territorio di Montechiaro, viene reso indipendente, infeudato agli Asinari su concessione del Monferrato (cfr. Malvicino). Il 3 ottobre 1545 vengono ridefiniti i confini tra Malvicino e Montechiaro: la terra contesa è la riva verso Malvicino del torrente Berbesini, presente negli antichi registri della comunità di Malvicino, che viene elevato a confine e delimitato. I termini del confine vennero piantati nei pressi della contrada detta i «Rocchini», lì vennero fatte due croci «in groppo» sulla linea retta dell’Erro fino alla contrada detta «Romanis Brunis», un termine venne posto in contrada «Verruta», uno in «Comunalia» comunità di Malvicino, uno al limitare del bosco di Stefano Roffredi di Cartosio, ed uno infine in «Contrada Novello» (AST, Corte, Monferrato II, mazzo 50).
 
Comunanze
Nel documento del 1284 vengono citati: un bosco nel Vado, che confina con ifossati di Castagneto e Aseperello e con la via che porta al monte Arbiglie e un’altra stradasuperiore verso Castagneto Cavasiore, per il quale gli abitanti chiedono ai marchesi delCarretto l’esclusiva dell’uso per tre anni. Un altro bosco sul quale gli abitanti di Montechiaro vantano diritti è quello di Deiva.
      A Montechiaro esisteva inoltre un pedaggio dal quale vengono esentati gli uomini di Spigno, Meladio, Sassello, Varagine, Pareto, Stella, e viceversa: gli uomini di Montechiaro sono esenti dal pedaggio nelle dette località (Monumenta aquensia, vol. II, col. 693, n. 182).
      Si ha notizia, nel 1821, di una protesta degli uomini di Montechiaro contro i loro amministratori comunali per via di alcuni boschi dati in affitto. Gli uomini di Montechiaro
vogliono infatti che i beni boschivi siano mantenuti in uso comune (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 27).
Fonti
L’archivio comunale di Montechiaro conserva gli ordinati comunali e alcune delibere apartire dal 1834. Solo alcuni frammenti catastali risalgono al XVII secolo. Il primo catasto integro è quello del 1718. In seguito all’accorpamento del comune di Montechiaro con quello di Denice l’archivio venne trasferito a Piana. Nel 1946 venne poi riportato a Montechiaro, nella vecchia sede. Un ulteriore spostamento negli anni Settanta causò la perdita di gran parte dell’archivio storico. Un registro di ordinati del municipio di Montechiaro, risalente al 1799, è conservato nell’archivio vescovile di Acqui (ASVA, Montechiaro, Parrocchia S. Giorgio, fald. 5, cart. 1, fasc. 1).
      In questo archivio vengono conservati molti processi contro i sacerdoti accusati di inadempienze, furti, contrabbando, associazione per delinquere, condotta immorale, e alcune liti confinari  con le comunità di Malvicino e Ponti (tutte queste carte riguardano la prima metà del XVII secolo). Nel caso della lite confinaria con Malvicino, i beni in gioco sono un bosco di castagne e un pascolo; la lite verte infatti sui profitti provenienti da questi (ASVA, Montechiaro, Processi, fald. 8, cart. 1, fasc. 2). Mentre nel caso di Ponti la lite verte sul  pagamento di alcune tasse sui confini contesi dai due comuni (ASVA, Montechiaro, processi, fald. 8, cart. 1, fasc. 4).
      I tredici notai distrettuali di Montechiaro, conservati ad Alessandria, rogano tutti tra il 1601 e il 1881, e sono: Canonica Carlo Antonio 1761-1797, Delorenzi Domenico Francesco 1700-1743, Molinari Gio Antonio 1849-1881, Scaiola Gio Battista 1727-1740, Serventi Carlo Antonio 1695-1737, Serventi Gaetano 1817-1830, Serventi Gaetano Francesco 1736-1784, Serventi Gio Battista 1668-1705, Servento Guido Francesco 1716 -1763, Servento Michele 1669-1716, Suardo Gio Francesco 1631-1693, Suardo Gio Pietro 1601-1631, Suardo Gio Pietro 1680-1723 (ASA, Notai distretto di Acqui, Montechiaro D’Acqui).
      Rodolphe Schovani, capitano ingegnere geografo dell’esercito, nel 1805 indice una ricognizione di alcuni paesi della Val Bormida di Spigno per realizzare la carta generale dei campi di battaglia o «carte des marches». Le lettere di risposta dei sindaci all’inchiesta sono conservate a Vicennes (SHAT, mr. 1364).
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Descrizione Comune

Montechiaro d'Acqui

          I dati ISTAT danno notizia dell’abbandono delle contrade poste sulla collina per le frazioni di Montechiaro Piana, a partire dai primi anni del secolo. Montechiaro Piana raccoglie negli anni Trenta, gli abitanti che convergono verso la valle sia di Montechiaro che di Denice. Questo spostamento verso la valle fu incoraggiato dalla politica fascista che, in seguito all’accorpamento dei due comuni, aveva destinato Piana anche a centro amministrativo del comune di Montechiarodenice (1929-1946). Il calo della popolazione, nella seconda metà del XX secolo, si è accompagnato con la scomparsa di molte frazioni (585 abitanti nel 1991, 614 nel 1981, 686 nel 1971, 847 nel 1961 e 960 nel 1951, dati ISTAT), delle sei frazioni censite nel 1951 ne sono rimaste solo due. L’unica frazione menzionata nel censimento del 1991, oltre a Piana, è quella di Varianda, posta a poche centinaia di metri da Castelletto d’Erro, sul crinale percorso dalla strada che unisce i due comuni. Anche il numero degli abitanti delle case sparse, circa la metà della popolazione complessiva nel ventennio 1951-1971, si riduce drasticamente, seguendo quanto accade per gli altri luoghi censiti (271 abitanti nel 1991). La frazione Piana raddoppia invece la sua
popolazione tra il 1951 e il 1961 (179 abitanti nel 1951 e 397 abitanti nel 1961), per poi perdere altrettanto velocemente la metà circa degli abitanti nel 1991. Le stime dell’ISTAT e quelle parrocchiali del 1921 e 1932 coincidono, sono attestati infatti 1050 abitanti.
I dati successivi al 1933 non possono più essere confrontabili con i dati ISTAT perché le parrocchie di Montechiaro diventano due. Abbiamo a disposizione i dati della parrocchia di San Giorgio ma, nonostante manchino i dati della parrocchia di N. S. della Pieve di Piana,
si conferma quanto descritto sopra (770 abitanti censiti dal parroco nel 1950, 530 nel 1955, 385 nel 1960, 315 nel 1965).
La relazione di Rodolphe Schovani ci illustra che i 140 abitanti rimasti a Montechiaro registrati nel 1805 e divisi in cinque borgate sono i superstiti di una popolazione tre volte più consistente. L’abbandono della zona è motivato dalla mancanza di commercio e dalla sterilità della terra sulla motta dove sorge il paese: «vi è una fiera il 4 di agosto che non prosecuta», è venuta a mancare «l’unica risorsa del comune, mancante di qualunque genere di commercio, attesa l’infelice situazione locale e sterilito del terreno, motivo per cui i due terzi della popolazione è costretta ad emigrare cercando altrove il loro sostentamento» (SHAT, mr. 1364).
Da queste relazioni è possibile osservare chi sono le persone che non hanno lasciato il paese alto. La parrocchia di S. Giorgio è posta nel paese di Montechiaro e nel 1965 il parroco scrive che i suoi parrocchiani sono agricoltori, piccoli proprietari, non ci sono operai o grandi proprietari e solo 20 persone vanno a lavorare fuori. Le altre categorie di lavoratori assenti si presuppone siano tutte stanziate a Montechiaro Piana. Inoltre occorre considerare che gran parte della popolazione si è spostata in centri industriali e in centri urbani (Cairo, Carcare, Acqui, Alessandria e Savona). Parte della popolazione che vive sull’agricoltura certamente costituisce anche gli insediamenti di Piana. Chabrol rileva che già nel XIX secolo le terre migliori dove si coltivano le «2000 giornate a campi, vigne e prati», si trovano proprio nei pressi della pieve.
Le 1050 persone censite tra il 1921 e il 1932 a Montechiaro rimangono la punta massima di popolazione presente negli ultimi quattro secoli. Le Consegne de focolari fatte dalli vassalli e dalle comunità dei Feudi Imperiali e delle Langhe, per un Imposto a medesimi feudi e comunità nominati nel manifesto camerale delli 29 maggio 1743, censiscono a Montechiaro 138 focolari di cui solo 63 sono tassabili. Si tratta in totale di circa 700 persone (AST, Camera dei conti 534). Pochi decenni dopo, il parroco censisce sempre 660 abitanti (1786; ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S. Giorgio, fald. 1, cart. 2, fasc. 10).
All’inizio del XIX secolo, Chabrol censisce 572 abitanti utilizzando i dati provenienti dall’archivio parrocchiale (Chabrol 1824, p. 332; ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S. Giorgio, fald. 2, cart. 4, fasc. 3). Ancora nel 1823 i parrocchiani di Montechiaro sono 700, raggruppati in 140 nuclei familiari a conferma del fatto che, tra metà Settecento e metà Ottocento circa, gli abitanti del comune si attestano su queste stime.
A Montechiaro nella seconda metà del XVII secolo si riscontra una situazione di disordine sia pubblico che religioso: vengono infatti presi provvedimenti sia contro la gestione dei beni pubblici del comune da parte dei sindaci e dei consiglieri (AST, Corte, Provvidenze economiche 131, mazzo 11, 1747-1759), sia contro alcune pratiche religiose diffuse nella parrocchia (ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S. Giorgio, fald. 1, cart. 2, fasc. 10).
Se si esaminano gli investimenti in devozione alla fine del XVII secolo si ha notizia di una sola famiglia che tra XVII e XVIII secolo erige un giuspatronato: la famiglia Guerrieri.
Questi sono gli unici a possedere il patronato dell’altare di S. Antonio nella chiesa parrocchiale di S. Giorgio e a erigere la cappella funebre di famiglia nella chiesa della Madonnna della Carpineta. I Guerrieri, provenienti da Ponti e in competizione con i del Carretto per l’egemonia sull’area in questione (cfr. Ponti) si fanno promotori di una riorganizzazione territoriale di Montechiaro a fine Settecento: creano il santuario della Carpineta (ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S. Giorgio, fald. 1, cart. 2, fasc. 10). Spostano quindi il centro della devozione fuori dal paese istituendo il luogo di pellegrinaggio. Il potere dei Guerrieri a fine Settecento era ormai affermato, e viene rinsaldato tramite l’erezione del santuario. Questi avevano infatti sconfitto un’altra famiglia emergente: i Serventi (cfr. Ponti).
Nel 1786 viene intrapresa dal vescovo e dal parroco un’omogeneizzazione delle pratiche religiose sul territorio. Il processo, seppure molto in ritardo rispetto a quanto accade negli altri luoghi circostanti, è quello di gerarchizzare le pratiche religiose attorno alla parrocchia e al santuario ed eliminare gli altri centri devozionali.
La documentazione fin qui analizzata non ci permette di osservare le relazioni tra il santuario e la parrocchia, non sappiamo quindi se erano in antitesi. Di fatto il santuario è riconosciuto dalla parrocchia e dal parroco e nella documentazione non traspaiono segni evidenti di screzi. Le notizie che ci dimostrano che ancora nel 1786 esistevano diversi centri devozionali extraparrocchiali ci provengono dalla relazione del parroco; questi lamenta interferenze sulla cura dei parrocchiani da parte di altri sacerdoti. Il parroco accusa infatti, alcuni «vecchi sacerdoti», non meglio precisati, che accudiscono i suoi fedeli con pratiche religiose poco ortodosse: praticano stregonerie sui bambini, e scongiuri contro le tempeste.
Insiste però anche nel ribadire che più che essere il frutto di eresie si tratta di tradizioni popolari, retaggi di tempi passati.
L’accusa è delegittimante più che fondata, non possiamo però sapere chi siano questi sacerdoti e cosa facciano esattamente, il dato certo è che distolgono i parrocchiani dalla pratiche religiose della parrocchia.
Il disposititvo messo in atto dal parroco, per rimediare a questa interferenza, passa attraverso la strutturazione di due pratiche religiose importanti che potremmo definire del “possesso dello spazio”: l’istituzione del santuario e la devozione delle reliquie.
La prima pratica religiosa è appunto la creazione di un importante centro devozionale controllato dal vescovo, dal parroco e dalla famiglia Guerrieri: il santuario della Carpineta. Il papa Pio VI istituisce, il 26 aprile 1786, duecento giorni di indulgenza a chiunque passi e reciti le litanie della B. V. Maria alla cappella campestre del S. Nome di Maria della Carpineta. La cappella di Maria è posta vicino a Satragni sulla strada tra Montechiaro e Montechiaro Piana. È l’accesso al paese e inoltre costituisce parte della strada di mezzacosta parallela alla sottostante strada di fondovalle, quella più praticata dai locali. La cappella, come l’unico altare della parrocchia, è dotata dalla famiglia Guerrieri. Non conosciamo le relazioni che intercorrono tra questi e il parroco ma sappiamo che sono la famiglia emergente a fine Settecento. Inoltre, in questo tipo di documentazione, non compare l’altra famiglia antagonista ai Guerrieri, i Serventi.
La seconda pratica religiosa è costituita dalla devozione delle reliquie. La devozione delle reliquie, con le conseguenti feste dei santi e processioni, esprime una forte connotazione del possesso e un forte legame con il territorio. Ricordiamoci che le processioni servono anche per delimitare i possedimenti della parrocchia o delle cappelle compestri a cui sono legate. Nel caso di Malvicino, le quattordici reliquie censite sono tutte nella chiesa parrocchiale (ASVA, Montechiaro, Parrocchia di S. Giorgio, fald. 1, cart. 2, fasc. 10). Le reliquie sono tutte senza autentica e non sono mai state censite prima del 1786, ciò prova che prima non erano ritenute importanti.
Al momento attuale della ricerca non è possibile risalire a chi ha fatto pervenire le reliquie nella parrocchia, sarebbe importante indagare su questo punto per meglio definire questa situazione particolare a fine XVIII secolo.
Alcune liti confinarie, conservate nell’archivio di Stato di Milano, ci dimostrano come anche per Montechiaro fosse determinante mantenere aperte le vie di transito sul suo territorio. Questo tipo di documentazione è importante per individuare i modelli politici, anche non istituzionali, usati per organizzare il territorio attorno alle risorse locali. Francesco Nano, un celebre bandito di Spigno, bloccava la strada pubblica che da Spigno conduce a Montechiaro, rapinando costantemente chiunque passasse (ASM, Feudi Imperiali 638, Spigno, n. 4).
Il casus belli era avvenuto nel 1611 quando un messo di Montechiaro e uno di Alessandria si erano recati nei pressi della cascina dei Nano per dirimere una contesa confinaria tra questi e la comunità di Montechiaro. I Nano, Francesco e Gabriele, avevano picchiato selvaggiamente i messi. In seguito a questo episodio era stato inviato un contingente di soldati da Acqui perché catturasse i due banditi, che furono processati con molti capi d’accusa.
I documenti della lite con gli uomini di Montechiaro descrivono i Nano come poveri ignoranti, ma rivelano anche che essi erano protetti dagli uomini di Spigno che davano ricovero ai banditi dopo le loro scorrerie. Questa connessione tra banditi e uomini di Spigno è attestata dagli indici dei sommari che descrivono le carte processuali come vertenze «per eccessi commessi dagli abitanti di Spigno contro quelli di Montechiaro».
Leggendo le carte inerenti questi episodi si ha l’impressione che la lite sia una semplice questione di ordine pubblico. Le stesse carte assumono un altro significato se ci si sofferma sui luoghi e sui modi in cui vengono rapinati i viandanti: i delitti non avvengono nelle campagne o nei boschi, infatti i due banditi aspettano che gli abitanti di Montechiaro si portino sulla strada pubblica, e poi li rapinano. I banditi, molestando i passanti per la strada pubblica modificano di fatto il transito nella zona, perché li costringono a cercare vie alternative più sicure. Essendo in gioco una strada pubblica, ed essendo una prerogativa della popolazione di Montechiaro il transito da quella strada, la lite viene letta come giurisdizionale. I banditi, una volta conclusa la rapina, si rifugiano velocemente a «Castelmerlino», a Spigno, dove sono protetti dalla città.
L’intervento del Senato milanese è dettato dal fatto che i senatori intravedono il pericolo di un abbandono della zona e del transito tra Spigno e Montechiaro, situazione che danneggerebbe proprio il feudo di Montechiaro.
Il mantenimento delle strade di accesso al feudo di Montechiaro e il loro controllo è l’oggetto anche delle liti con le altre comunità; ciò dimostra quanto sia importante nel XVII secolo il controllo dei transiti. Nello stesso periodo infatti sono aperti altri contenziosi simili a quello analizzato per Spigno: con Cartosio e Malvicino (AST, Corte, Monferrato Confini, carta di Cartosio, E, vol. C, n. XIII). Di natura diversa è invece la lite tra Montechiaro e Denice riguardante una disputa sui confini sul fiume Bormida (cfr. Denice, AST, Corte, fondo Langhe 55, R mazzo J, 1).
Questa tensione sulle vie di comunicazione si esaurisce nel XVII secolo con l’annessione ai Savoia. Da questo momento in poi non si trovano più controversie esterne alla comunità ma solo problemi di gerarchizzazione del territorio interni al feudo (vedi sopra).
Solo con l’accorpamento del 1929 di Montechiaro a Denice, si assiste ad una modifica sostanziale, seppur temporanea, dell’area amministrativa del comune. Questo accorpamento, però, modificò in modo sostanziale e permanente la distribuzione della popolazione e degli insediamenti nell’area creando, di fatto, il nuovo centro del comune nella valle. Il ripristino del comune nella sede originaria nel 1946, non ha invertito il processo insediativo della popolazione verso la valle.