Pomaretto

AutoriTron, Daniele
Anno Compilazione1996
Provincia
Torino.
Area storica
Pinerolese.
Abitanti
1128 (ISTAT 1991).
Estensione
853 ha (ISTAT 1991); 841 ha (SITA 1991).
Confini
A nord Meano e Perosa Argentina, a est Pinasca e Inverso Pinasca, a sud Pramollo, a ovest Perrero.
Frazioni
2 centri: Chianavasso, Pomaretto (municipio), e 9 nuclei. Vedi mappa.
Toponimo storico
«Pomarius» (-etum); «Pomaretum». Secondo Casalis «ebbe il nome dalla quantità dei pomi, che da età remotissima si coltivano nel suo territorio» (Casalis 1847). Lo stemma del comune, concesso con decreto del Presidente della Repubblica in data 30 giugno 1963, «d’azzurro all’albero al naturale radicato su campagna verde, caricato da sette pomi d’oro ed accostato nel cantone sinistro del capo da una mitria d’argento», vuole ricordare, nell’albero, le vaste culture di pomi, dai quali il comune ha tratto la propria denominazione e, nella mitria, l’infeudazione da parte di Adelaide all’abate mitriato dell’abbazia di Pinerolo; nella campagna di verde, vuole ricordare la fertilità del suolo (Baret 1979, p. 7).
Diocesi
Pinerolo (prima del 1748, anno di creazione della nuova diocesi pinerolese: Torino). Va però sottolineato che, per un lungo periodo, l’effettiva influenza della diocesi di Torino fu marginale, in quanto alla fine del sec. XI, l’intera valle del Chisone era stata sottomessa alla giurisdizione dell’abbazia di S. Maria del Verano, presso Pinerolo (Carutti 1893, p. 67).
Pieve
Prima del 1688 Pomaretto faceva parte della parrocchia di S. Genesio di Perosa Argentina, anche se – a dire di Caffaro – una chiesa di S. Nicolao è ricordata già nel 1255, e visitata ancora nel 1569 dall’abate di S. Maria di Pinerolo. Di essa non risulta più traccia già all’inizio del sec. XVII, probabilmente perché demolita nel biennio 1592-93, in occasione dell’occupazione di tutta la val Perosa da parte delle truppe ugonotte di Lesdiguières. Risale al 1688 la creazione di una nuova parrocchia di patrocinio ducale (e poi regio), con dotazione e nomina del parroco, sotto il titolo di S. Nicolao (6 dicembre). Nel 1759 i Cattolici erano 46 ed i Valdesi circa 300 (Caffaro 1903, p. 86).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Compagnia del SS. Sacramento, rilevata dalla visita del vescovo di Pinerolo mons. Charvaz, nel 1835 (Caffaro 1903, p. 86). «Vi esistono due cimiteri, uno per i Cattolici, che sta nel concentrico del paese, e l’altro pei barbetti; quest’ultimo giace di rimpetto al loro tempio» (Casalis 1847). Per quanto concerne il luogo di culto del Peui, vari storici, fra i quali Jalla lo hanno individuato nel tempio dei Pons di Pomaretto (Jalla 1931); secondo Baret dovrebbe trattarsi invece di un luogo di culto situato in un minuscolo villaggio, chiamato appunto il Peui, posto a monte di Perosa, a 986 m, sulle pendici del Bric Blecié, ove infatti la tradizione afferma esistessero non solo un tempio, ma anche un cimitero (Baret 1979, p. 21).
Luoghi Scomparsi
Non esiste attestazione di luoghi scomparsi.
Comunità, origine, funzionamento
Nel 1325, il principe Filippo di Acaja concede al monastero di Pinerolo «il pagamento annuo di 47 moggia e 3 emine di frumento che le comunità della valle di Perosa avevano accettato di pagare, secondo questa ripartizione: Perosa 28 moggia, Pinasca 8 moggia e 6 staja, Villar 15 staja e 1 emina, Pramollo 6 moggia e 5 staja, San Germano 5 staja e 1 emina, Porte 9 staja e 1 emina» (Statuta Vallis Perusiae 1568; Giolitti 1964, p. 46). Quindi, a questa data, vediamo le comunità della valle già pienamente operanti. Il documento conservato nell’ Archivio di Stato di Torino, che reca la data del 13 aprile 1360 (ed è il primo ad essere conservato in copia manoscritta dell’epoca), ci da la piena conferma che forme di organizzazione delle comunità di valle fossero a quell’epoca non solo presenti, ma già pienamente consolidate (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 11, f. 7: Estratto dei privilegi e franchigie concesse dal Conte Amedeo di Savoia [il Conte Verde, che per circa 3 anni governa le terre degli Acaja] a favore della Comunità della Valle di Perosa). Durante questo secolo e i due successivi, verranno poi stipulati alcuni altri affrancamenti; con questi «affranchimenti» le «communitates hominum» – in genere al termine di lunghe o lunghissime trattative – convocatesi in presenza di un notaio, sancivano con i loro signori la liberazione da determinate servitù, pedaggi, gravami, diritti, ecc. mediante un compenso in denaro: esso veniva liquidato generalmente con una somma una tantum, e con l’erogazione annuale perpetua di un censo in denaro, e talvolta in natura (ad esempio grano, quando si trattava di mulini). Gli affrancamenti non erano generali, non riguardavano, cioè, tutte le servitù e gli obblighi, ma solamente quelli in oggetto della specifica transazione: e, poiché i diritti signorili da cui ci si voleva emancipare potevano interessare più signori o più soggetti, ognuno con una sua quota percentuale, era necessario iterare più volte l’atto con relative porzioni di pagamento. Cosi vediamo, il 25 novembre 1400, Amedeo d’Acaja vendere alle comunità della valle di Perosa tutti i suoi redditi, cioè: taglie, banni, fitti di prati, censi dell’affranchimento del borgo di Perosa, decima della canapa, ecc. in cambio di 3.300 fiorini d’oro (Giolitti 1964, p. 50; Statuta Vallis Perusiae 1568). Ma si deve giungere a un affrancamento del sec. XVI per vedere le comunità liberarsi, almeno parzialmente, dal peso delle decime ecclesiastiche: il nome della nostra compare per la prima volta tra le altre comunità della valle nel documento datato 11 aprile 1585: «affrancamento del cardinale Guido Ferrero abate commendatario di S. Maria di Pinerolo delle terze vendite, successioni etc., alle quali siano soggetti i beni della Perosa, Pomaretto, Pinasca, Inverso Pinasca, Porte, Inverso Porte, Pramollo, Villar Perosa e S. Germano» (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 11, f. 7). La dinamica di questo affrancamento è esemplare: gli uomini della valle (a quell’epoca in gran maggioranza professanti la «Pretesa Religione Riformata», come si diceva all’epoca), contestavano i diritti abbaziali relativi alla riscossione delle decime, censi e canoni enfiteutici, di cui rifiutavano il pagamento all’agente dell’abate, adducendo anche l’imposizione fatta loro di recente da Emanuele Filiberto di versare nelle casse ducali annualmente mille scudi d’oro: le comunità si erano dichiarate disposte a pagare tributi al duca, oppure all’abate, ma non più ad entrambi. L’abate allora le trascinò in giudizio dinanzi al Senato di Torino, la più alta magistratura del Ducato di Savoia, ottenendo una sentenza a lui favorevole, ma gli abitanti ricorsero al duca Carlo Emanuele I, il quale emanò lettere patenti in data 22 febbraio 1584, che non solo confermavano i diritti e i privilegi abbaziali, ma ne accordavano di nuovi. Le comunità presentarono allora al cardinale Ferrero un progetto di affrancamento che prevedeva il pagamento di una somma in denaro, comprensiva delle annualità arretrate, poi stabilita in 12.000 scudi d’oro, più la corresponsione di un canone fisso ripartito fra le varie comunità; in cambio l’abbazia rinunciava a ogni diritto presente e futuro sugli uomini della val Perosa. Questa transazione, accettata dall’abate, fu successivamente approvata e omologata dal duca il 7 febbraio 1586 e dal papa Sisto V con bolla del 30 aprile 1587 (Croset-Mouchet 1845; Giolitti 1964, pp. 57- 62). Essa resse per più di due secoli: ancora a fine Settecento, le comunità versavano regolarmente la loro quota del canone annuale alla Mensa vescovile di Pinerolo, subentrata all’abbazia nel godimento dei suoi antichi diritti e prerogative (Manno 1895). 
Statuti
Degli statuti della valle di Perosa sono rimaste ben tre edizioni a stampa – del 1568, 1610, 1738 – e una copia manoscritta del 1451: in tutti i casi, però, il testo che possediamo è il risultato di modifiche più o meno profonde apportate agli statuti originali, perduti. Probabilmente essi erano anteriori al 1246, data del passaggio di Perosa sotto casa Savoia (almeno secondo l’ipotesi di Pittavino [Pittavino 1963, p. 41]), e in ogni caso anteriori alla lettera patente di Amedeo VI del 1360, che confermava antichi statuti, privilegi, usi, convenzioni, franchigie ed immunità, con l’aggiunta di altre concessioni, tra cui quella che gli abitanti non potessero essere tratti in giudizio fuori della loro valle (Giolitti 1964, p. 71). Nel 1451, gli statuti venivano riformati, e portati dai precedenti 65 capitoli a 89: lo si apprende da una sentenza del 1737 «in causa Comitis Aloysii Piccon Locorum Perusie et Vallis Vassallis contra Comunitate Perusie et Vallis» in cui si parla di una concessione del 4 aprile 1443 in 65 «capitula statutorum» e di un’altra del 21 maggio 1451 «in qua pro confirmatione novorum statutorum supplicaverunt» (Fontana 1907, pp. 237-38); così modificati vennero approvati dal duca Ludovico di Savoia con patenti del 25 maggio 1451. Sotto la Francia, il re Carlo IX, nel marzo 1567, li confermò e, «con lettere del 2 maggio dello stesso anno, gli confermò pure tutte le franchigie ed immunità di cui già esso godeva» (Casalis 1847). Subito dopo, senza dubbio in connessione con la conferma regia, gli statuti di Val Perosa vennero pubblicati a Pinerolo dal De Rubeis nel 1568 (Statuta Vallis Perusiae 1568) e poi ancora ripubblicati nel 1610 (Statuti, Privileggi, e Concessioni 1610, esemplare conservato presso la Biblioteca Civica di Pinerolo), una volta ritornata la valle sotto i Savoia. La terza ristampa, fatta in Torino a opera dello Zappata nel 1738 (con il medesimo titolo della prima), è senza dubbio da mettere in relazione con la causa svoltasi l’anno precedente fra il conte Piccon (detentore dei diritti signorili) e le comunità della valle (un’approfondita analisi del contenuto degli statuti si può trovare in Giolitti 1964).
Catasti
Il primo documento catastale conservato nell’archivio comunale è costituito da un Registro della Comunità di Pomaretto del 1670 (AC Pomaretto, mazzo 42), seguito da un vero e proprio catasto del 1773 (AC Pomaretto, mazzo 45), corredato da un Figurato o sia libro in mappa del territorio della Magnifica Comunità di Pomaretto del 1775 (AC Pomaretto, mazzo 48). Il catasto del 1775 è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino (AST, Camera dei Conti, Finanze, Catasti, Catasto Antico (1775), Allegato D, v. 119; Alleg. A pf., n. 54; AST, Camera dei Conti, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Pinerolo, Pomaretto [1869]).
Ordinati
La serie documentaria è attualmente presente nell’archivio comunale a partire dal 1713, con qualche lacuna.
Dipendenze nel Medioevo
Comitato di Torino fino al sec. XI, abbazia benedettina di Santa Maria di Pinerolo (dal 1064), conti di Savoia (dal 1246), Principato di Acaia (1295-1418) e poi Ducato di Savoia.
Feudo
Abbazia di Santa Maria di Pinerolo dal 1064 (Il gruppo dei diplomi Adelaidini, pp. 323-332). Nel 1275 il feudo venne ceduto dall’abate Aimone al conte Tomaso III di Savia, dal quale passò successivamente ai principi d’Acaja, a Pietro e Daniele Provana di Carignano, il 20 ottobre 1361; a Pietro e Andreone Solaro di Asti il 6 aprile 1378. Estinti i Solaro, il feudo venne acquistato dal cardinale Lancellotto Lusignano di Cipro il 20 aprile 1449 (Baret 1979, pp. 13-15). Ma non tutti i diritti signorili erano evidentemente stati ceduti dall’abbazia di Pinerolo, se si riscontra, in data 31 maggio 1520, una «convenzione tra l’abate di S. Maria di Pinerolo Giovanni di Savoia e gli uomini e comunità della Perosa e Valle riguardo alla ricognizione dei beni semoventi dal diretto dominio dell’abbazia» (AST, Corte, Prov. di Pinerolo, m. 11, f. 7, n. 10). Devoluto il feudo a Carlo Emanuele I di Savoia, e – nel quadro del generale processo di rifeudalizzazione del Piemonte già constatato dagli studiosi –, dal duca venduto a Emanuele Filiberto Goveani il 2 maggio 1619, venne poi da questi ceduto a Daniele Gilberto di San Martino il 12 febbraio 1670. Il 9 giugno 1700, dopo che la sponda sinistra della val Perosa era tornata dalla Francia al Piemonte, Vittorio Amedeo II concedeva l’infeudatura comitale di Perosa, del cui comprensorio faceva parte Pomaretto, ai fratelli Francesco, Giuseppe e Luigi Piccon. Il generale di S.M. conte Luigi Piccon cedette poi il feudo a Giacomo Marcello Gamba, conte di Maretto, la cui famiglia si estinse in Polissena, sposa di Giuseppe Antonio Turinetti, marchese di Priero. Passato sotto la giurisdizione di Pinerolo il 9 settembre 1744, venne ceduto a Giuseppe Girolamo Bianchis l’8 agosto 1745. Estintasi questa famiglia in Alfonso, passò per regio decreto alla sorella Flavia Maria Burgos il 10 maggio 1803, a cui successe il figlio Camillo nel 1805 (Baret 1979, pp. 13-15; Casalis 1847). 8 agosto 1745: investito il senatore Giuseppe Girolamo Bianchis col titolo comitale; 2 ottobre 1756 investito il figlio Francesco Enrico (Manno 1895, p. 314).
Mutamenti di distrettuazione
Il territorio comunale, non ancora autonomo da Perosa, passato ai Savoia dopo la dominazione francese del 1536-1574, venne assegnato all’antica provincia di Pinerolo, rimanendovi anche in occasione della seconda oc­cupazione della val Perosa da parte del re di Francia (1631-1697), che interessò solo il versante orografico sinistro della valle, mentre tutto l’Inverso rimase ai Sa­voia, la frontiera essendo definita dal percorso del torrente Chisone. Fu in quel­l’occasione a essere reso indipendente da Perosa. Solo per il breve periodo 1704-1708, sotto il regime d’occupazione delle truppe francesi di La Feuillade, fece parte della «Serenissima Repubblica di Val San Martino, Pomaretto, Inverso Pinasca, e Chianaviere», con capitale a Perrero, nota anche derisoriamente come “Repubblica del sale”, perché la prerogativa principale di essa era quella di conce­dere il sale – monopolio di stato – a due soldi la libbra, un prezzo assai conve­niente (Armand Hugon 1945, pp. 10-24). Durante l’amministrazione francese del periodo napoleonico, venne aggregato al cantone di val Perosa e, con la Restaura­zione, fece parte del mandamento di Perosa (compreso nel circondario di Pine­rolo), rimanendovi fino al 1923, anno di abolizione di questa circoscrizione ammi­nistrativa.
Mutamenti Territoriali
Si deve segnalare che il riordino sabaudo del secolo XVI, pur non introducendo per Pomaretto alcun mutamento territoriale – in quanto il trattato di Cavour del 1561 tra i Savoia e i Valdesi prese implicitamente atto dei confini originari –, tracciò una delimitazione interna relativa alle proprietà dei «religionari» valdesi, che dovevano limitarsi alle zone collinari del comune. Infatti nella zona di Pomaretto e Perosa, ove pure i nuclei valdesi erano assai consistenti, l’accordo non autorizza il culto pubblico nelle località di fondovalle, ma ne limita l’esercizio a un minuscolo borgo di montagna noto come il Podio (m 986), a monte di Perosa, sulla riva sinistra del Chisone (Balmas 1972, p. 129). Dopo l’aggregazione a Perosa Argentina del 1928, Pomaretto torna a essere comune indipendente nel 1955.
Comunanze
Usi civici: tot. 243.2649 ha; categ. «A»: 243.2649 ha; categ. «B»: 0 ha (CLUC, prov. di Torino, cartella 197: Pomaretto; CLUC, prov. di Torino, fasc. 183 [Perosa Argentina]; elenco delle terre di uso civico classificate nelle due categorie dell’art. 11 della Legge sul riordinamento degli usi civici 16 giugno 1927 N. 1766 [datato 27 novembre 1934]). Ex comune di Pomaretto: usi civici 243 ha, 26 are, 49 centiare.
Liti Territoriali
Non risultano liti nell’archivio comunale di Pomaretto né in Archivio di Stato di Torino.
Fonti
A.C.P. (Archivio Storico del Comune di Pomaretto).
A.C.P., mm. 42, 45, 48.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Camera dei Conti, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Pinerolo, Pomaretto [1869].
A.S.T., Camera dei Conti, Finanze, Catasti, Catasto Antico (1775), Allegato D, v. 119; Alleg. A pf., n. 54.
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A.S.T., Corte, Provincia di Pinerolo, m. 11, f. 7: Estratto dei privilegi e franchigie concesse dal Conte Amedeo di Savoia [il Conte Verde, che per circa 3 anni governa le terre degli Acaja] a favore della Comunità della Valle di Perosa.
B.N.F. (Bibliothèque nationale de France, Paris). Vedi catalogo.
B.N.F., département Cartes et plans, GE D-13120 Le Duché de Milan et les Estats du duc de Savoye partie de ceux de Mantoue et de la république de Gênes avec les diverses routes ou passages de France et d'Allemagne en Italie par les Alpes... / par N. de Fer ; Jacqueline Panouse, sculp. 30 milles [Auteur: Guérard, Nicolas (1648?-1719); Auteur: Panouse, Jacqueline. Graveur; Auteur: Fer, Nicolas de (1647?-1720). Cartographe.Éditeur, s.n.; Date d'édition: 1703]. Vedi mappa.
C.U.C. (Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici, Torino).
C.U.C., prov. di Torino, cartella 197: Pomaretto.
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Descrizione Comune

Pomaretto

Le modalità di creazione della comunità di Pomaretto sono un caso di separazione circoscrizionale che possiamo definire come “invenzione amministrativa”, operata dall’esterno e dall’alto. Pomaretto fu infatti reso autonomo da Perosa ed elevato al rango di comunità qualche tempo dopo che le truppe di Richelieu occuparono Pinerolo e tutto il versante destro della val Chisone: la divisione della valle fra due Stati, che sembrava, nel 1630, dover essere provvisoria, si rivelava essere invece duratura, ciò che costrinse il territorio rimasto piemontese a organizzarsi in comunità autonoma ma, si noti, solo per l’aspetto “civile”, non per quello ecclesiastico. La situazione particolare della bassa val Chisone di metà Seicento, ci è ben rappresentata da Jean Léger, quando descrive le chiese riformate de Villar & de S. Germain, jointes ensemble en la Vallée de Peyrouse [...], celle de Pinache & celle de la Chapelle, comprenant les Communautés du Pomaret & du Mean: en ces 3 Eglises les Pasteurs demeurent sous le domaine du Roy, quoy que partie de leurs Eglises soient sur les terres du Due de Savoye; par ce que par l’accord fait par ce Prince avec le Roy de France l’an 1633 qu’il s’est retenu la moitié de cette Vallée-là, pour avoir le passage libre en sa Ville de Pinerol, fut arresté que l’on n’innoveroit rien pour ce qui regarde l’Écclesiastique: de sorte que les 3 Pasteurs qui les servent, ne laissent pas d’estre membres du Synode des Vallées, & ne peuvent méme estre du Synode du Dauphiné qui est de France (Lèger 1669, I, p. 10). Questa situazione perdurerà fino al 1697, quando Pinerolo e l’intera val Perosa ritorneranno ai Savoia: il fatto che questo avvenimento non abbia comportato la riunificazione amministrativa del comune è cosa che non può essere spiegata unicamente con il notevole intervallo temporale trascorso (64 anni), che indubbiamente aveva consolidato poteri e gerarchie locali interessate a mantenere la separazione. Per quanto la questione non sia mai stata studiata, possiamo ipotizzare che anche la struttura della distribuzione spaziale degli insediamenti abbia svolto un ruolo in tal senso. In Pomaretto, infatti, troviamo una quindicina di borgate fino a un’altitudine di 1200 metri slm e comprendenti, fino al secolo scorso almeno, il 75 per cento della popolazione, anche se sono oggi quasi completamente disabitate, salvo le poche di fondovalle. Ci troviamo di fronte a una evoluzione degli insediamenti del territorio comunale in cui non emerge con chiarezza un centro principale, e diversi nuclei tendono a restare in sostanziale equilibrio tra loro; l’importanza politico-amministrativa delle diverse località che costituivano i vari territori comunali può essere variata nel tempo, ma senza che questo abbia comportato forti egemonie. La dispersione di gran parte della popolazione fra diversi centri e vari nuclei sta in genere a indicare un processo storico di segmentazione politica, amministrativa e religiosa tra diverse istituzioni non disposte gerarchicamente, e che non insistono sul territorio di un unico comune. E così in effetti è stato per il territorio di Pomaretto (e per tutta la val Chisone). A partire dalla seconda metà del secolo XVI, interviene un fattore strutturale profondo: l’avvento della Riforma protestante in un territorio già fortemente pervaso, nei due secoli precedenti, da fermenti eterodossi ed ereticali, quali il movimento valdese (Merlo 1977). Questo fenomeno si manifesta in contemporanea alla crisi di rappresentanza dell’abbazia di Santa Maria di Pinerolo, che continuava a esercitare prerogative giurisdizionali e signorili sulla valle: per compensare la diminuzione delle rendite dovuta alla svalutazione monetaria ricorreva al cumulo degli incarichi: a un unico titolare venivano assegnati più benefici ecclesiastici. Il titolare, che non risiedeva sul posto e si limitava a riscuotere e amministrare la rendita delle decime, nei casi migliori si faceva sostituire da dei vicari, in genere salariati con prebende miserevoli, e aventi una formazione e preparazione culturale piuttosto rudimentale. Essi venivano a costituire una sorta di “proletariato ecclesiastico”, incapace di far fronte ai nuovi ministri di culto calvinisti preparati e motivati. Fu questa non l’ultima delle cause che favorirono l’impetuoso affermarsi della Riforma verso la metà del Cinquecento, unitamente alla prospettiva per gli abitanti di liberarsi dalle decime e dagli altri balzelli ecclesiastici. Non c’è bisogno di sottolineare la portata delle conseguenze che questo fatto ha comportato sul piano della competizione e del conflitto tra istituzioni differenti (tra le due diverse strutture ecclesiastiche, tra queste e quelle civili a carattere locale e sovralocale, con forze esterne che potevano inserirsi negli equilibri interni, ecc.), a cui ha corrisposto una frammentazione territoriale: basterà qui solo accennare al fatto che l’avvento della Riforma non solo segna una frattura tra Valli valdesi e pianura cattolica, ma interviene anche nei processi di definizione dei singoli territori comunali. Punto di partenza è senza dubbio l’accordo di Cavour del 1561, concluso con i Savoia dopo un fallito tentativo di repressione militare: esso, oltre a porre fine alla prima guerra di religione sancendo una tolleranza di diritto e non solo di fatto per i Valdesi, definì anche i limiti territoriali nei quali era consentito ai sudditi «religionari» possedere beni ed esercitare il loro culto. Tale trattato mirava a confinare la popolazione valdese nelle parti alte delle valli Pellice, Chisone e Germanasca, a volte incapsulando l’intero territorio comunale, oppure tracciando limiti e confini all’interno di una stessa comunità, come nel caso di Pomaretto. «Il primitivo tempio dei Valdesi minacciava di cadere per vetustà, onde fu demolito nel 1828, epoca in cui si costrusse su elegante disegno il loro novello tempio, di cui si è fatto cenno qui sopra: per la fabbricazione di esso l’imperatore delle Russie fece ai Valdesi un donativo di 12.000 franchi» (Casalis 1847). Nel 1698 la popolazione era di 299 anime. Nel 1734 la popolazione era di 333 anime (Dossetti 1981, pp. 543 e 547). Nel 1759 i Cattolici erano 46 e i Valdesi circa 300 (Caffaro 1903, p. 86). Nel 1777 la popolazione assommava a 458 anime (di cui 44 cattoliche e 414 valdesi) (Caffaro 1893, p. 660). Nel 1847 i Cattolici erano 104 ed i «barbetti» – a dire di Casalis – 700. Nel 1853 siamo a 837 unità (Caffaro 1893, p. 648), mentre nel 1881 scendiamo a un totale di 757 persone (Caffaro 1893, p. 661).