Moncalvo

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2003
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Basso Monferrato.
Abitanti
3356 (dato aggiornato agli elenchi Istat del 31 maggio 2007).
Estensione
17,66 km2.
Confini
Grazzano Badoglio (At), Penango (At), Grana (At), Ponzano (Al), Ottiglio (Al), Alfiano Natta (Al), Castelletto Merli (Al), Cereseto (Al).
Frazioni
Castellino, Gessi, Patro, Santa Maria, San Vincenzo e Stazione.
Toponimo storico
Nel Medioevo «Mons Calvus», poi «Montecalvo» [cfr. per esempio COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO 1986, pp. 213-214: il 18 febbraio 1277 il rettore della chiesa di San Giorgio della Croce di Asti prende a mutuo 34 soldi astesi da «Anselmo de Brancengo de Montecalvo»; COTTO, FISSORE, NEBBIA 1997, vol. I, p. 196: nel 1286, alla stipula di un contratto d’affitto tra l’Abbazia di San Bartolomeo di Azzano e Rolando Sismondo di Montemarzo, è presente «frater Henricus de Montecalvo», tra i religiosi di stanza nel monastero]. In una supplica di fine Cinquecento è ancora attestata la lectio «Mont Calvo» [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 21, Suppliche, lettere.., lettera dell’ingegner Lorenzo Bertazzoli al Magistrato camerale, 1° agosto 1575], ma dalla prima età moderna tende a prevalere la forma attuale.
Diocesi
Dipendente dalla diocesi di Asti sin dall’Alto Medioevo, ma progressivamente soggetta all’influenza politica dei marchesi di Monferrato, Moncalvo entrò a far parte della diocesi di Casale all’atto della sua costituzione, nel 1476 [LUPANO 1899, p. 40; SETTIA 1990]. A questa, nonostante si trovi in provincia di Asti, afferisce tuttora.
Pieve
Nel Medioevo la pieve di Moncalvo, così come quella di Montiglio, era soggetta al controllo della diocesi di Vercelli, che premeva sul confine di quella astigiana [SETTIA 1974; BORDONE, 1980, p. 34]. Pare inoltre che una piccola chiesa campestre detta «La Pieve» si trovasse in frazione Gessi sin dal V secolo e che di lì avesse avuto origine la prima parrocchia di Moncalvo [LUPANO 1899, p. 25]. Preso il nome di San Pietro in Vinculis, l’antica pieve restò parzialmente in uso – per processioni e festività specifiche – fino alla fine del XVII secolo, quando l’edificio andò in rovina. Solo nel 1744 ne fu ricostruito un altro, di piccole dimensioni, con la benedizione del vescovo Pietro Girolamo Caravadossi. Un’iscrizione lapidea di epoca romana lascia supporre che il sito fosse già oggetto di culto in epoca paleocristiana [ivi, pp. 30-31].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Con il trasferimento dell’abitato verso l’alto, verificatosi nel corso del Medioevo, la parrocchiale di frazione Gessi fu progressivamente abbandonata a favore della chiesa sulla piazza del mercato. Quando questa, intorno al 1530, andò in rovina a causa delle guerre italiane d’inizio secolo, il luogo di culto principale della comunità divenne la confraternita di San Michele Arcangelo - «luogo indecente e sordidissimo» nel 1584 [ASDCM, Visita mons. Montiglio, 1584, c. 50] - utilizzata con dedica alla Madonna fino al 1623. Dopo quella data fu designata come parrocchiale la chiesa di Sant’Antonio abate, già della Compagnia dei disciplinanti dei Ss. Pietro e Paolo; ciò in attesa che sulla piazza principale si costruisse un nuovo edificio secondo le indicazioni fornite da Mons. Monale, arcivescovo di Viterbo, in occasione della sua visita apostolica del 1584-85. Il progetto, però, non si concretizzò mai e solo nel 1774 Moncalvo scelse di servirsi di una nuova parrocchiale, lasciando la confraternita e trasferendo gli uffici di culto presso la chiesa di San Francesco, di antica fondazione francescana e già cara ai Paleologo. L’inaugurazione solenne della nuova sede si ebbe nel 1783 e San Francesco restò parrocchiale anche durante la dominazione napoleonica [LUPANO 1899, pp. 25-29]. Tra le sue reliquie, Saletta annoverava una porzione del legno della croce e uno degli occhi, «ancora vivo» di Santa Lucia [SALETTA, c. 149v]. Vi si riunivano, inoltre, le confraternite dei Disciplinanti, della Morte, del Carmine e della Dottrina Cristiana [ibidem]. Il Comune di Moncalvo entrò in possesso dell’antico convento di San Francesco nel 1843, acquistandolo per 2250 lire dal Regio Patrimonio [ASTO, Corte, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 54].
Saletta, per il XVIII secolo, riferisce anche di tre conventi ancora attivi a inizio Settecento: quello dei Minori conventuali «fatto fondare…nel sito detto il Belvedere» dagli Aleramici; quello di San Bernardino fuori le mura e quello dei Cappuccini, con la chiesa di San Maurizio sorta nel 1624 sotto la protezione del duca Ferdinando Gonzaga. Il convento delle Orsoline, che ospitò tra l’altro Orsola Caccia negli anni della sua maturità artistica, si appoggiava invece alla chiesa di San Giuseppe [ASDCM, visita Radicati, 1725, cc. 192v-197v]. Quella dedicata a San Marco, poi, veniva anche detta «Hospitale», e con i suoi proventi si dotavano le povere bisognose [SALETTA, c. 150]. Tra le chiese campestri, oltre all’antica pieve di San Pietro, si annoveravano quelle di San Sebastiano, fuori dalla Porta della Brigna, verso Asti, di patronato degli eredi Manacorda; quella di San Rocco; la cappella di San Giacomo; una chiesetta titolata a San Grato nel cantone di Penango, che a metà Seicento contava trenta fuochi [ASDCM, visita mons. Miroglio, 1660, c. 61v]; il «chiericato» di San Vittore a Cioccaro (su cui torneremo tra breve); la chiesa della Croce a Patro, verso Grazzano, e quella di Santa Caterina a Castellino, verso Cereseto; infine la nuova chiesa di San Giovanni Battista precursore, costruita dopo la porta per Casale [SALETTA, c. 151]. L’abbazia di Lucedio possedeva in territorio moncalvese due grange [ivi, c. 151v].
Tra gli edifici di culto delle borgate moncalvesi merita ancora attenzione la chiesa di San Vittore, oggi a Penango, in frazione Cioccaro. Risalente probabilmente al XII secolo, e sorta in luoghi sui quali esercitava influenza anche il monastero aleramico di Grazzano [RAVIOLA, scheda Grazzano], essa è quindi annoverata nella visita apostolica di mons. Regazzoni del 1577 [PIA, MIGHETTO, VILLATA 1998]. Il prelato ordinò che fosse restaurata e continuasse a essere sede di celebrazioni per gli abitanti del borgo, e nuovi lavori di ristrutturazione furono previsti a inizio Settecento, non a caso dopo la separazione di Cioccaro e Penango da Moncalvo. Assegnata come beneficio al Sant’Ufficio di Casale nel 1607, in antico regime la chiesetta restò legata anche ai domenicani del capoluogo diocesano. Quindi, insignita del rango di parrocchia nel 1769, dopo il rifacimento del celebre architetto Francesco Ottavio Magnocavalli, fu frequentata fino alla fine del XIX secolo. Il cantone di «Penanco», intanto, a metà Seicento contava circa 30 fuochi e si serviva della chiesa.
Un cenno, infine, alla religiosità popolare: in età moderna Moncalvo contava almeno 30 associazioni devozionali e tre confraternite, dedicate queste ultime al Nome di Gesù, a San Michele e a San Pietro e Giovanni. La presenza di tre oratori – numero pari a quelle del vicino paese di Tonco, e superiore agli uno, due oratori della maggior parte delle località monferrine – è anzi spia di una particolare partecipazione della comunità alle pratiche del culto [PAROLA 1999, pp. 22-23, 25, 27]. Altra peculiarità di Moncalvo è la presenza di «compagnie di mestiere» che «raggruppano tutti i membri che esercitano uno stesso mestiere, ma senza regole e interventi nelle questioni di lavoro» [ivi, p. 29]; tipiche di centri urbani ben strutturati, come Torino e Venezia, il fatto che avessero attecchito a Moncalvo può essere un ulteriore segno della sua dimensione cittadina.
Assetto Insediativo
A dominare l’abitato, ancora in età moderna, era il castello di Moncalvo, eretto «sul colle pendente verso il Settentrione di sopra la strada che conduce da Casale, et al prospetto della piazza del mercato, in forma di quadrilungo»; tra i due torrioni si apriva la porta che immetteva in centro [SALETTA, c. 153]. Durante la prima età moderna il luogo, addossato su un’altura, era ritenuto tra i migliori da fortificare: «il recinto della terra di Moncalvo è tale per la parte voltata a settentrione e firmata sopra rocca per la magior parte et continuata con discesa grande sino in una valle assai grande. Questa parte, se sarà scarpata et anco scarpati in alcuni lochi quali escono fori di linea, sarà sicura perché resterà inacessibile» [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 21, Suppliche e lettere diverse, informativa al duca Vincenzo I Gonzaga di Girolamo Grasso, da Moncalvo, 30 maggio 1596]. La modifica più significativa – come si dirà più diffusamente nella parte narrativa della scheda – riguarda senz’altro la separazione di Penango, Cioccaro, Patro e Castellino dal territorio moncalvese. Separazione decisa dalle quattro località a inizio Settecento, in piena agonia gonzaghesca, e motivata sulla base dell’eccessiva pressione fiscale esercitata dal capoluogo sulle frazioni. Per Moncalvo significò perdere una porzione di territorio piuttosto fertile e cospicua, nonché un numero di fuochi non esattamente quantificabili, ma certo consistenti a livello fiscale. Solo Patro e Castellino, tra l’altro, rientrarono a far parte dei suoi confini amministrativi: Penango restò comune aggregando Cioccaro come frazione (si veda la scheda Penango), mentre Castellino, confinante con Cereseto, e la località denominata Quarzi – già di pertinenza di Cereseto – furono assegnate a Moncalvo l’uno nel XIX secolo, l’altra nel XX [CAFFU’ 2007].
Luoghi Scomparsi
Nessuna attestazione.
Comunità, origine, funzionamento
Un «Rollandus de Montecalvo» fu tra i testimoni di un atto del 1196 con cui Guido, prevosto di Vezzolano, cedette a Bonifacio, marchese di Monferrato, una casa in Val della Torre, da questi ceduta a frate Gioffredo della mansione di Santa Maria di Bethune [DURANDO, 1908, p. 25]. La presenza di una comunità piuttosto vivace nel periodo immediatamente successivo è testimoniata da una serie di compravendite effettuate da particolari del luogo tra il 1240 e il 1263, quasi tutte a favore di Giacomo di Borgocanino, o Burcanino, e riguardanti siti di confine [ASTO, Corte, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 1-7].
La partecipazione attiva di Moncalvo alla difesa del territorio monferrino e del suo stesso castello valse alla comunità l’esenzione da tutti i carichi, concessa dal marchese Bonifacio Paleologo con decreto del 19 giugno 1491, confermato poi da Guglielmo IX in data 8 febbraio 1509 [SALETTA, c. 154v]. La maggior parte delle prerogative moncalvesi furono peraltro ribadite anche in epoca gonzaghesca, senza che il luogo manifestasse insofferenza per la nuova dominazione: anzi, nel 1559, il consiglio prestò un giuramento di fedeltà a Margherita Paleologo, tutrice di Guglielmo Gonzaga, ribadendo l’aderenza di Moncalvo alla casata e all’Impero in funzione antifrancese. Il saccheggio che ne seguì portò all’approvazione degli antichi Statuti in 116 capitoli sia da parte di Guglielmo (30 ottobre 1567) sia da parte del figlio Vincenzo I (luglio 1589), quindi da parte di Carlo I Gonzaga Nevers (13 febbraio 1635) e di Carlo II (22 gennaio 1672) [ivi, cc. 157-159v; cfr. anche ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 12, e ivi, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 10, 1565]. Secondo l’inchiesta del segretario ducale Evandro Baronino, nel 1604, Moncalvo era tra i centri più popolosi del Monferrato, con 495 fuochi e 2495 bocche [MINOGLIO 1877, p. 12].
Dipendenze nel Medioevo
Nel corso del IX secolo il luogo fu retto dai signori di Graffagno, che si fregiavano del titolo di visconti di Moncalvo, ma nell’888 passò sotto l’autorità del vescovo di Asti che aveva esteso la sua influenza sino a quella porzione di Monferrato [LUPANO 1899, p. 37]. Proprio per via di questa sua appartenenza territoriale, però, Moncalvo entrò presto a far parte dei domini degli Aleramici, che se ne videro riconoscere il possesso con il noto diploma dell’imperatore Federico I del 1164 (BANFO 2007). Nel 1190 la curia astigiana cedette i suoi ultimi diritti sul posto al marchese Bonifacio III, e da allora Moncalvo fu uno dei centri principali del Monferrato paleologo (fino al 1533) e gonzaghesco (dal 1536 al 1708) [RAVIOLA 2003].
Feudo
Appartenente, come si è accennato, ai Graffagni che rinunciarono ai loro diritti sul luogo intorno alla metà del XIII secolo, Moncalvo passò tra i possedimenti di Manfredo IV di Saluzzo, governatore del Monferrato (1307-30), a inizio Trecento. Questi, nel 1305, lo cedette a Carlo d’Angiò, re di Napoli, che a sua volta, tre anni dopo, lo conferì a Teodoro Paleologo. Salvo una breve parentesi durante la quale il marchese lo diede in pegno al genovese Opizzino Spinola, il luogo tornò quindi tra i domini immediati della dinastia, che ne fece una delle sue capitali [GUASCO 1911, p. 509].
Nonostante la relativa autonomia territoriale acquisita nel corso dei secoli XV e XVI, Moncalvo fu quindi infeudato dai Gonzaga ai marchesi di Canossa – già titolati di Calliano - nel 1604, nel pieno del processo dello «sminucciamento de’ feudi» evidenziato dall’allora segretario ducale Evandro Baronino e spiegato dalla storiografia con il progressivo indebitamento della dinastia per la costruzione della cittadella di Casale [ROSSO 1997; RAVIOLA 2003]. Ma il titolo di conte di Moncalvo, per Galeazzo Canossa, durò poco e nel 1617 il luogo passò al casato dei Natta, ben più radicato tra Astigiano e Monferrato. Il 2 novembre 1637 Achille Maurizio Natta fu anche nominato comandante del castello di Moncalvo, che continuava a essere uno dei presidi di punta del sistema difensivo del ducato [ASTO, Corte, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 13]. I Natta, per tutto il XVII sec., godettero in loco di numerose ragioni feudali, in particolare su acque e mulini, come quello sul torrente Colobrio [cfr. per esempio ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 14, 1683, Relazione…nella causa vertente tra la comunità di Moncalvo e G.B. Bertana affittavole d’un molino della contessa Maddalena Zolla Natta; e ivi, fasc. 15, 1685; ivi, fasc. 18, 1700]. Passato il Monferrato ai Savoia, Moncalvo restò a lungo libera dal vincolo delle infeudazioni, fino a che, nel 1785, Vittorio Amedeo III lo diede in appannaggio al figlio Maurizio Maria, duca del Monferrato, unito ai luoghi di Nizza e Roccavignale [GUASCO 1911, p. 510].
Mutamenti di distrettuazione
Piuttosto prossimo a Casale, Moncalvo era tra i centri maggiori della sua provincia, creata da Guglielmo Gonzaga sul finire del Cinquecento e divenuta via via più definita nel corso del sec. XVII. Con il passaggio del Monferrato ai Savoia, le suddivisioni amministrative della zona restarono sostanzialmente invariate e Moncalvo, politicamente e fiscalmente, restò di pertinenza della stessa provincia. Dopo la parentesi napoleonica, rientrò a far parte della ricostituita provincia di Casale, inclusa nel 1818 nella divisione di Alessandria e ridotta a circondario della provincia di Alessandria nel 1859. Con la creazione della provincia di Asti decretata dal governo fascista nel 1935, Moncalvo fu tra le località smembrate dal territorio alessandrino e assegnate alla nuova realtà amministrativa.
Comunanze
Nel 1573 la comunità di Moncalvo reclamò la proprietà di un sito detto «Le peschiere» ai confini con Grana, richiesto alla camera dal cavalier Guglielmo Guazzo; si trattava di 25 giornate di prato adibite a uso comune [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 2]. Appezzamenti comuni si trovavano anche nella zona definita delle «fosse», a ridosso del castello medievale: un centinaio di orti di dimensione variabile tra le 4 e le 8 tavole, messi in affitto dalla municipalità a particolari del luogo [ivi, fasc. 13, 1677]. Altro sito di proprietà e gestione del comune è quello detto «del Rivellino» ceduto nel 1791, con approvazione regia, a Giovanni Battista Baiardo per l’ampliamento e l’uso «dell’edifizio per la sega de’ marmi esistente nella regione detta di Valdocco, sul territorio di questa città» [ivi, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 25, concessione del 29 settembre]. Ma alcuni terreni già nullius sono ormai demaniali, come un sito nei pressi delle «antiche fortificazioni di Moncalvo all’oggetto di costrurre una piccola casa» accordato dal generale delle Finanze a Giovan Battista prada dietro il canone annuo di £ 3 [ivi, fasc. 27, 28 marzo 1797].
La cessione di terreni comuni a particolari prosegue in epoca di Restaurazione [si veda ivi quella di «un tratto di strada comunale» concessa al cavalier Del Pozzo, fasc. 29, 1819], negli anni della risistemazione di alcuni impianti (per es. i forni) e della rete viaria locale [ivi, fasc. 30-30, 1820-24; fasc. 37, 1825, alienazione di un gerbido a Pietro Giovanni Pasquini; fasc. 41, 1829].
I catasti moncalvesi, moderni e ottocenteschi, restano da studiare accuratamente, ma nel 1939, XVII E.F., previe verifiche a tenore della nota ministeriale del 29 luglio 1935 sulla liquidazione degli usi civici, «il patrimonio terriero del Comune soggetto a sistemazione» risultava essere di «ettari 2 12 60, in parte pascolivo e boschivo, in parte seminativo e prativo». Assegnato al demanio, di pertinenza del Ministero dell’Agricoltura e foreste, il podestà, secondo la legge, avrebbe potuto alienarlo «mediante richiesta al Ministero» [A. C. Usi Civici, Provincia di Asti, Moncalvo, fasc. 69, decreto del 6 maggio 1939]. Le rilevazioni, in ossequio alla legge 16 giugno 1927, erano state effettuate a partire dal 1928 a opera del geometra Bonetto. Nel ’25, rispondendo a una prima inchiesta del Commissariato di Torino, il sindaco di Moncalvo aveva risposto «che in questo Comune non esistono usi civici e servitù di sorta, e nemmeno si accampano pretese di sorta» [ivi, lettera del 5 settembre 1925, firma illeggibile]; la notizia era stata confermata dal podestà Caligaris due anni più tardi: «nel territorio di questo Comune non esistono usi civici. Esiste il diritto di uso dell’acqua di alcune sorgenti di acqua potabile site in terreno privato, ma sempre, da tempo immemorabile, usufruite dalla popolazione» [ivi, lettera del 24 aprile 1927]. Da ulteriore accertamento risulta che tali sorgenti erano una «fontana denominata “Bol davanti”, sita in questo territorio, frazione Castellino, su proprietà di certo Rampone Benvenuto» e un altro fontanone «in regione Sotto Spinerolo, territorio di questo capoluogo, su proprietà di certo Rabbione Secondo»; a queste andava aggiunto un «canale o bedale che in passato alimentava un molino, ora distrutto, e la cui acqua spettava ai proprietari di detto molino, detto “Molino di Moncalvo”» ormai in stato di abbandono e dunque da ridurre, secondo il nuovo podestà Stefanis, al vincolo di uso pubblico [ivi, lettera del 25 marzo 1928]. Anche Penango, ormai comune e ancora dipendente – nei primi anni Trenta – dalla provincia di Alessandria, aveva beni comuni per ettari «2 79 77», sempre di natura mista; non risultano, tuttavia, negli atti ricognitivi cenni all’antica separazione da Moncalvo o a eventuali problemi di confine protrattisi dal Settecento.
Fonti
A.C.M. (Archivio Storico del Comune di Moncalvo). Vedi inventario.
Poiché l’archivio è ancora in fase di riordino (agosto 2008; incarico di Antonio Barbato), l’inventario non è al momento disponibile. Le serie principali, tuttavia, sono individuabili e ben rappresentate: gli Ordinati comunali, per esempio, partono dal 1533 e sono continuativi per tutta l’età moderna, con poche lacune seicentesche.
Tra le liti territoriali, quella di maggior rilevanza è la controversia che oppose i cantoni di Penango, Cioccaro e Patro alla comunità di Moncalvo, risoltasi con la separazione dei primi tre dal territorio del capoluogo nel 1704 e con strascichi amministrativo-fiscali protrattisi nel corso del secolo (n. 2).
Il catasto, ornato da un pregevole frontespizio ad acquerello, è del 1765 (Catasto in cui sono descritti tutti li beni esistenti sul territorio della città di Moncalvo a cadun possessore accolonnati col loro alibramento relativo alla misura generale l’anno 1765, fatta da Pietro Giovanni Petrino, architetto e geometra, classificazione provvisoria: B).
I vari fascicoli sono provvisti di un numero di corda continuativo: a questo, e non all’unità di condizionamento (busta, faldone, etc.), andrà fatto e si farà riferimento nella citazione dei documenti.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
Corte, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48
Ivi, Materie economiche e altre;
Ivi, Monferrato, Giacomo Giacinto SALETTA, Ducato di Monferrato descritto per il segretario Giacomo Giacinto Saletta, s.d. (ma inizio XVIII sec.), 7 voll., vol. III, Ducato del Monferrato tra li fiumi del Po e Tanaro e di là dal Po, cc. 149-182v.
Ivi, Paesi per A e B, M, m. 17 (in particolare, per i confini, il fasc. 17, 1717, Atti per la misura generale del territorio e formazione di un nuovo catastro per li tre cantoni di Penango, Patro e Chiocaro)
Ivi, Provincia di Casale, m. 4, fasc. Moncalvo, docc. 1-8, in particolare il n. 5, 1718, 2 agosto, Parere del presidente Spirito Giuseppe Riccardi sovra il ricorso della città di Moncalvo per la reunione dei cantoni di Penango e Patro;
Ivi, Paesi per A e B, m, m. 17;
Sezioni Riunite, Prima Archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 1; ivi, m. 2, fasc. 8, 1771-73, Pareri dell’Ufficio del Procuratore generale sovra li ricorsi della città di Moncalvo per la conferma de’ suoi statuti e pertinenza delle particolari gabelle del vino al minuto, del dacito delle pelli, dell’altro de’ banchi e di quello dello stajo o misura delli animali porcini;
ivi, Provincia di Casale, m. 1;
ivi, m. 2;
Seconda archiviazione, Capo 26, Monferrato, n. 13, Convocati delle città e comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente generale in data delli 19 dicembre 1781.
A.V.C. (Archivio Storico Diocesano di Casale Monferrato).
Visite pastorali: Visita di monsignor Carlo di Montiglio (1584), cc. 80-84; visita di mons. Miroglio, 1656, vol. I, cc. 132v-134; visita di mons. Miroglio, 1660, vol. II, cc. 61-63; Visita di mons. Radicati, 1725, vol. II, cc. 188-227.
Archivio del Commissariato per la liquidazione degli Usi Civici, Sede di Torino Provincia di Asti, fasc. 69, Moncalvo.

 

Bibliografia
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Descrizione Comune
Moncalvo
     La rilevanza politico-economica del luogo è indubbia e fa leva, come anche nel Medioevo e in età moderna, sull’equidistanza tra Asti e Casale, che lo rende al tempo stesso centro autonomo e punto di raccordo tra il Basso Monferrato e l’attuale porzione astigiana della regione storica. Di qui la vocazione commerciale e urbana di Moncalvo, eretto a città nel 1705 ma già prima tra le capitali dei Paleologo itineranti. Come ebbe a scrivere il segretario ducale Giacomo Giacinto Saletta,
Moncalvo è una delle terre più insigni ch’habbia il Monferrato tra li fiumi Po e Tanaro, cinta di antiche muraglie con fossi et posta in collina domestica, quasi nel cuore della detta provincia. Si vede civilmente fabricato sì ne’ pubblici che privati edificii, con numeroso popolo, per la maggior parte dedito alli traffichi et negotii, massime per il mercato, il quale, sin dal principio della sua fondatione, si stabilì, et non s’è mai interrotto (eccettuati li tempi di peste o di contagio) ogni giovedì, e tuttavia continua con gran concorso delle genti del Piemonte, dello Stato di Milano e del Genovesato, oltre le nationali del Monferrato [SALETTA, c. 149].
L’antichità dell’insediamento di Moncalvo è provata dal ritrovamento di una necropoli attribuibile al periodo longobardo [BORDONE, 1980, p. 26], ma non mancano studi – a dire il vero piuttosto datati e da sottoporre a nuove verifiche archeologiche – che suppongono per il luogo origini romane [MINOGLIO 1877].
La zona era d’influenza astigiana, ma era lambita dalle estreme propaggini della diocesi di Vercelli che per un certo periodo controllò la pieve di San Pietro [SETTIA 1974; BORDONE 1980, p. 34]. La posizione di Moncalvo la rendeva strategica, specie sul piano economico, e il Comune di Asti giocò su questa dimensione per intensificare le relazioni con il luogo, entrato peraltro a far parte della diocesi nell’888.
Il fatto che Moncalvo, sin dai secoli dell’Alto Medioevo, costituisse uno snodo commerciale di vitale importanza tra Astigiano e Monferrato è provato da un insieme di pratiche consuetudinarie protrattesi per secoli, come anche da fonti indirette: leggendo, per esempio, il contratto d’affitto di alcune terre concesso nel 1273 da Salamone di Chieri, canonico di Vezzolano e priore di Santa Maria di Crea, a tale Giacomo della Piscina, si nota che il canone annuo di «staria quinque pulcri, mundi et bene sichi frumenti» avrebbe dovuto essere calcolato «ad mensuram Montiscalvi» [DURANDO, 1908, p. 63]. Fiere e mercati locali erano già importanti, e il sistema di misurazione moncalvese fungeva da punto di riferimento per un’area piuttosto estesa.
Sede della corte itinerante dei Paleologo – che frequentavano e dotavano la chiesa di San Francesco – Moncalvo si sviluppò precocemente anche come comunità e fu al centro, per la sua stessa posizione, di numerose vicende politico-istituzionali che fecero del suo castello uno dei principali presidi militari dei marchesi di Monferrato. Non si può però qui indulgere sulle vicende militari, assai movimentate per il Medioevo e la prima età moderna tra occupazioni, assedi e alloggiamenti [cfr. tra gli altri MINOGLIO 1877, pp. 32 sgg., ma anche una cronaca come quella di G. B. VASSALLO 2004].
Per i due periodi, invece, come si diceva, è ben documentabile la vocazione al transito, e non solo per via della buona rete di strade che circondava il luogo e lo connetteva piuttosto facilmente con Casale, Trino, Pontestura, Asti, Alba, San Damiano, Alessandria e Torino [SALETTA, c. 182v]. Il cap. XXV degli Statuti, per esempio, insiste sulla libertà della comunità di Moncalvo di «far fere et mercati nel detto luogo secondo le concessioni antiche de’ principi di Monferrato, et sempre osservate, cioè quattro fere ogni anno, cioè la prima nella festa dell’Assontione di Nostro Signore…La seconda nel giorno del Corpus Domini…La terza nella festa dell’Assontione della Santissima Vergine…et la quarta nella festa della Natività della medesima Santissima Vergine. Li mercati poi ogni giovedì di ciascuna settimana» [SALETTA, c. 161-161v]. A inizio Settecento si teneva addirittura una fiera in più, nel giorno di Ognissanti [ivi, c. 167v]. Da ciò derivava una serie di prerogative daziarie che, se esentava Moncalvo dal pagamento delle maggiori imposte ducali, gli garantiva la possibilità di esigere pedaggi e gestire in autonomia i principali, come quello sul vino [si veda ivi, c. 165v-166v, il cap. CXV degli Statuti, ma anche le concessioni del 1589 e del 1594 in ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 3 e 4], o quello del moleggio di Pontestura [SALETTA, cc. 170v-171]. I mercati e le fiere moncalvesi erano tra i più frequentati della regione e la Camera tendeva a tutelarle dalla concorrenza dei paesi limitrofi. Nel 1676, a fronte della richiesta delle comunità di Tonco e Alfiano di poter tenere un mercato settimanale il mercoledì e una fiera annua, il Magistrato camerale presieduto da Carlo Aldegatti si espresse negativamente: non risultava che in precedenza si fossero svolte fiere e mercati in quei luoghi e non era il caso di «innovare cosa che le possa essere pregiuditiale et ve n’è il dubio per gli sfrosi che ponno commettere essendo Tonco e Alfiano limitrofe et di più estimiamo che detto mercato e fuera saria di gran danno a quello di Moncalvo, il che, per nostro debolissimo parere, non deve permettersi da V.A.S. per esser uno de’megliori nervi dell’impresa» [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 65, Tonco, fasc. 14, 28 settembre 1676].
Tra i motivi di tanta prosperità va annoverata, a Moncalvo, la presenza di una forte comunità ebraica, ben tollerata – come nel resto del ducato – dai Gonzaga e pienamente inserita nell’ambito delle attività mercantili e creditizie [LUPANO 1899, pp. 156-157; FOA 1950; BERENGO 1999, p. 499; DOLERMO 2005]. Oltre ai loro banchi, era attivo anche un Monte di pietà istituito nel 1603 nella canonica della parrocchiale di Sant’Antonio [ASDCM, Visita mons. Radicati, 1725, c. 213].
Gelosa delle proprie prerogative, la municipalità di Moncalvo si spese nella difesa dei suoi beni comuni e dei suoi confini. Nel 1573, a fronte della richiesta del nobile casalese Guglielmo Guazzo di poter «ottener…certi prati di vinticinque giornate in circa che sono sopra le fini di Moncalvo e si chiamano le peschiere, insinuando…che siano di tre giornate in circa et che siano palludi inutili, il che non è però vero» [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, M, m. 48, fasc. 2, 5 aprile 1573, Informazioni prese da Pompeo Magno, castellano di Moncalvo, d’ordine del duca di Monferrato circa la qualità, valore e reddito del sito detto le Peschiere]. La cessione, per giunta, avrebbe potuto far «facilmente nascere controversie de’ confini tra detta comunità di Moncalvo et gli homini di Grana». Secondo la relazione stesa dal podestà Magno, si trattava di un terreno di 15 biolche dove «altre volte erano tre belle peschere, anchor che hora sieno ripiene, e quasi ridutte in prato, sì che, per la piacevolezza del sito, li signori marchesi passati solevano alle volte andarsene a spasso a falconi et ancho a far pescare». Per consuetudine se ne servivano ora la comunità e il castellano, motivo per cui Magno si pronuncia a favore della prima e del suo interesse personale. Dall’indagine, però, non emergono notizie circa liti effettive con il paese di Grana e va detto che per gli anni centrali del XVI secolo –momento di acuta frizione tra molte località monferrine – così come per il successivo, Moncalvo non pare aver sofferto o causato problemi giurisdizionali e confinari. I dissidi più significativi, anche nel corso del Seicento, furono semmai interni, motivati da scontri in seno al consiglio municipale e a un difficile rapporto con le autorità ducali, dal governatore al Magistrato camerale. Così almeno pare di capire da una serie di relazioni stese intorno agli anni Sessanta del XVII secolo, sulle quali, però, non è forse opportuno soffermarsi in questa sede [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 21, Suppliche, lettere…, resoconti del Senato di Casale del 25 settembre 1663 e del 16 marzo 1665].
Momento rilevante per la definizione dei confini di Moncalvo fu invece la separazione dalla comunità dei suoi tre cantoni di Penango, Cioccaro e Patro, avvenuta nel 1704. I cippi furono fissati nel 1705, a partire da un «termino lapideo ab antiquo plantato super ripa vie communis et in bonis cultivis domini colonnelli Johannis Alexii, de oppido Montiscalvi, que via erat et stat divisoria territoriorum Montiscalvi modo vero dictorum trium vicorum» [AsCM, m. 2, fasc. 2, c. 34, Plantatio terminorum…]. La prima pietra distava 105 trabucchi dalla strada. Il confine proseguiva poi «ad summitatem collis Cerrine et iuxta medietatem circiter nemoris de juribus Mm. Rr. Pp. conventus San Bernardini, oppidi Montiscalvi», e così via, secondo le misure degli agrimensori di callianesi Felice Serra e Domenico Mascarana e secondo i confini già esistenti con le località di Grazzano e Calliano.
La vicenda non fu senza strascichi, specie sul piano amministrativo e fiscale: «Sembra non esser giusto – scrisse la municipalità nel 1707 – il gravame che ha sofferto e soffre la città di Moncalvo per l’indebite pretese del comune de tre cantoni nel voler partecipare de’ redditi che non se gl’aspettano come che non sono più né accessorii né parte della medesima città» [AsCM, n. 2, c. 5, supplica del 10 ottobre 1707]. E il punto non era solo questo: restava difficile capire chi, dopo il decreto di separazione, avesse voce in capitolo nel dirimere la questione tra le parti, «essendo sempre stato solito dello stesso concedente ser.mo signor duca di Mantoa e del suo supremo consiglio di questo Stato ad ogni richiamo sopra l’obietione di qualche sovrano comando decretare». Ora che l’autorità di Carlo Gonzaga Nevers era messa pesantemente in discussione dai fatti internazionali, dai rapporti con l’Impero e dai successi sabaudi, Moncalvo non sapeva a chi far ricorso per rintuzzare le richieste delle sue tre antiche borgate. Due anni dopo si cercò di chiarire come fosse stato ripartito il registro: 275 lire toccavano ai tre cantoni, 38 lire ad altre due frazioni – Castellino e San Vincenzo – che si erano distaccate e unite in comunità. A Moncalvo spettavano 330 lire per un totale di 644 lire complessive [ivi, c. 8]. «Dopo la dismembratione» furono ripartiti anche i debiti camerali: Moncalvo doveva annualmente 250 scudi di ordinario, 224 scudi per il tasso della cittadella e 171 per le caserme. I quattro cantoni divisi dovevano invece complessivamente 244 scudi di ordinario, 231 per la cittadella e 162 per le caserme [SALETTA, cc. 182-182v]. I contrasti, però, non cessarono, amplificati anche dall’appartenenza feudale della nuova unione comunale ai beni del marchese Mossi e, nonostante la mediazione dei Cappuccini di Moncalvo, la causa finì a Casale, di competenza del Senato di Monferrato, e a Torino in appello [ivi, cc. 23 sgg., 1718].
Durante questo processo di risistemazione dei contorni locali, Moncalvo aveva intanto conseguito l’ambito titolo di città, conferitole dal duca di Mantova il 23 marzo 1705 in ossequio ai legami tra la comunità e le dinastie che avevano governato il Monferrato [ALLEMANO, BARBATO, SOGLIO 2005]. Castellino, separatasi nel 1705 sulla scia dei tre cantoni e denunciando l’eccessiva pressione fiscale di Moncalvo nei suoi confronti, si regolò come comunità autonoma per tutto il secolo e nel 1738 deliberò la confezione del suo catasto per mano del misuratore Pietro Paolo Varese, di Frinco [ASCM, n. 3, Libro de’ convocati dall’errezione della comunità seguita li 4 luglio 1705, prosseguito sino all’anno 1738, cc. 143v-144].
A Moncavo il catasto – che nel 1712 risultava «né antescritto né postscritto, maltenuto, vechio» [ASTO, Corte, Paesi, Provincia di Casale, m. 4, Moncalvo, fasc. 3, relazione del podestà Carlo Vittorio Maraldi, 4 giugno] - fu ultimato nel 1765, per mano dell’architetto e geometra Pietro Giovanni Petrino. La città, «cinta d’antiche mura e bastioni, di moggia 38, stara 5, tavole 2, piedi 4», risulta possedere beni equivalenti a 13 lire di registro: 118 moggia in tutto, compresi la chiesa campestre di San Rocco, le strade pubbliche e alcuni gerbidi [ASCM, Catasto, B, pp. 191-192]. Entrata a far parte dei domini sabaudi, come il resto del Monferrato, nel 1708, risultava essere una delle realtà più redditizie della zona, pagando, tra gabella generale e dazio dei corami, 50.929 lire annue [ASTO, Sez. Riunite, Prima Archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 1, fasc. 2, 1708, Conti e stato delle gabelle generali di Monferrato]. Il dazio di Moncalvo, riscosso per «le robbe e merci che passano sovra il suo territorio», costituiva in effetti la terza voce in capitolo delle gabelle generali, dopo il dazio complessivo e quello della città di Casale [ivi, fasc. 5, 1720, Relazione delle gabelle di Monferrato…]. E il luogo era tra i maggiori per il transito e lo smercio di sale, insieme con Casale, Acqui, Nizza, Pontinvrea e Fubine: nel solo 1709 l’affare fruttava, tra dazio e tasso, £ 30.325 [ivi, 1709, Dettaglio della gabella del sale di Monferrato al suo prodotto netto]. I debiti, calcolati a partire dal 1572, ammontavano invece a 1188 lire [ivi, fasc. 3, 1713].
Nel relazionarsi con la sovranità dei Savoia, Moncalvo fece sempre agio sulla sua antichità e sulle ampie prerogative godute durante le dominazioni precedenti. Ciò specialmente in materia economica: è del biennio 1771-73 una serie di petizioni sporte dalla municipalità al governo di Torino per ottenere la conferma degli Statuti e dei privilegi in materia di tasse:
Rappresenta il comune di Moncalvo che, già da antichissimo tempo prima del secolo decimo sesto usava di Statuti stati da essa formati ed approvati tanto dai marchesi di Monferrato che dal Senato di Casale, quali Statuti dice essere stati smarriti in occasione di saccheggio in detta città soffertosi dalle truppe francesi, ed essere perciò devenuta nell’anno 1565 ad una nuova compilazione [ASTO, Sez. Riunite, Prima Archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 2, fasc. 8, 1771-73, Pareri dell’ufficio del procuratore generale…, Parere dell’Intendente De Rossi, 23 novembre 1771].
Il dazio considerato più importante era quello del vino (vendita al dettaglio e transito) che, insieme con altre imposte minori, garantiva al comune introiti cospicui e sicuri (nel 1772 ammontavano a 7839 lire). Fu ribadito anche il diritto a fregiarsi del titolo di città, mai interinato dal Senato di Piemonte, e ottenuto nuovamente in quello stesso torno di anni [ASTO, Corte, Paesi, Provincia di Casale, m. 4, Moncalvo, fasc. 7, 1768, Sentimento del procuratore generale Brea…; ivi, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 18, relazione del 27 settembre 1771]. L’agevolazione delle attività commerciali moncalvesi da parte del governo centrale fu una costante, fino alla pubblicazione dei Bandi politici dell’illustrissima città di Moncalvo del 12 marzo 1794 [ivi, fasc. 19 e 20, interinazione del Senato del 24 aprile 1795].
Un aspetto non secondario di Moncalvo tra Antico Regime ed età contemporanea è la proliferazione devozionale, che si manifestò attraverso la nascita di numerose associazioni laicali: tra metà Seicento e fine Ottocento se ne contano almeno trenta, alcune delle quali – come le confraternite di San Michele, dei Ss. Pietro e Giovanni, del Suffragio, di Sant’Antonio da Padova e del Ss. Sacramento – piuttosto ben dotate [PAROLA 1999, pp. 33, 94-105]. Da rilevare anche la presenza di organizzazioni femminili, come la Compagnia delle Umiliate (dal 1742) e dell’Immacolata Concezione (dal 1789), e di altre legate a mestieri precisi (come la Compagnia di San Giuseppe dei falegnami, dal 1759) che, come ipotizzato più sopra, sembrano essere espressione di un tessuto sociale complesso e prettamente cittadino. La ricca documentazione conservatasi, ancora da esplorare nella sua interezza, servirà a mettere in luce i meccanismi di affiliazione degli abitanti di Moncalvo e a precisare i rapporti tra i confratelli dei vari gruppi e le istituzioni civili ed ecclesiastiche della comunità: nel 1891, per esempio, sorsero dissidi per il trasferimento della Compagnia della Beata Vergine Addolorata presso la parrocchiale di san Francesco che assorbiva ormai da tempo buona parte delle pratiche cultuali locali [ivi, p. 101]. Un dato di per sé emergente, e riconducibile alla riorganizzazione amministrativa del territorio moncalvese, è la sostanziale autonomia delle compagnie delle borgate staccatesi dal capoluogo: la sola Penango, per esempio, ne contava 7, e tra queste alcune – come le più consuete Compagnie del Rosario o del Ss. Sacramento, ma anche quella femminile delle Umiliate – portavano la stessa dedica di quelle moncalvesi.
Dal Cinquecento è attestato anche lo stretto legame degli abitanti di Moncalvo con il convento di San Bernardino, che pure si trovava «alquanto distante dalla terra»: gestito per un certo periodo dai Minori osservanti, i moncalvesi, verso la metà del secolo, chiesero che questi venissero «rimossi…et che in loro luogo fossero messi i Padri Rifformati di San Francesco» visto che, «nei tempi delle passate guerre…per difendere le sostanze del popolo, esposero i medesimi religiosi mille volte le loro vitte». Il fatto che fossero «la maggior parte di stato alieno, e piemontesi, non vi essendo in quella religione che sei o otto monferini» era giudicato un bene, non avendo essi interessi specifici in quel di Moncalvo [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 48, fasc. 21, Suppliche, supplica anonima, s.d.]. È piuttosto noto, infine, che il pittore Guglielmo Caccia, detto antonomasticamente il Moncalvo per il luogo d’origine, chiese e ottenne dal vescovo di Casale mons. Agnelli che il convento delle Orsoline di Bianzè presso cui alloggiavano le sue quattro figlie – tra le quali la sua erede artistica Orsola – fosse trasferito appunto a Moncalvo, dietro un obolo di 1000 scudi [MINOGLIO 1877, pp. 22, 104-105; il convento divenne presto meta di molte esponenti di famiglie monferrine illustri: cfr. ASDCM, Visita mons. Radicati, 1725, elenco delle consorelle, cc. 196v-197v]. Caccia, tra i grandi artisti del suo tempo [ROMANO 1970], fu certo motore di una stagione figurativa diffusa su tutto il territorio, dalla stessa Moncalvo, a Calliano, a Casale e a molti luoghi limitrofi.
Al respiro culturale corrisponde anche, in zona, la precocità di enti assistenziali destinati a lunga durata, come l’ospedale di San Marco, istituito a Moncalvo nel 1608 e tuttora funzionante in un edificio rimodernato nel biennio 1969-70 [Moncalvo… 1971, p. 157]. Così come corrispondono meccanismi sociali di aggregazione e autorappresentazione piuttosto complessi, determinati dall’appartenenza e dalla sponsorizzazione di una o più confraternite: nella Moncalvo del ‘700 è quella del Ss. Sacramento a scatenare contrasti e rivalità per il porto del baldacchino in occasione del Corpus Domini [ASTO, Corte, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 23, 1780, Sentimento del sig. conte Biandrà di Reaglie, prefetto, sulle…pretese elevatesi nella scelta delle persone pel porto del baldacchino: contrasti tra le famiglie Minotti e Cafassi].
A certe politiche fazionarie, oltre che all’ampia circolazione delle idee rivoluzionarie d’oltralpe, può essere ricondotta anche l’adesione di Moncalvo alla Repubblica Astese del 1797 e il tentativo di un’insurrezione della cittadina stessa [RAVIOLA 1998]: prova di un mai reciso legame (anche politico) con Asti, l’episodio non importa molto nell’economia della scheda, ma merita di essere ricordato velocemente perché preludio della più ampia partecipazione del ceto mercantile e professionale alle riforme di età napoleonica e al pieno ricupero di questa tradizione produttiva e commerciale durante la Restaurazione. Risale al 1820, per esempio, l’opera di risistemazione di quattro forni che, dal 1629, godevano del «diritto di bannalità»:
In un paese popolato e di gran commercio, fu sempre un grande incaglio quella bannalità, né tralasciava di produrre disordini. La sola abitudine antica sembrava alleviarne il peso. Ma questa cessata sotto il governo francese, vi sottentrò anzi l’abitudine ben più prevalente e più forte della natural libertà, di costruir forni e di cuocer pane a piacere. Essendo anche quest’ultima abitudine più conforme al bisogno di una popolazione aumentata e di varie popolazioni vicine che affluiscono ai mercati di quella città posta in una situazione comoda e concentrica a una infinità di terre del Basso Monferrato e dell’Astigiana, tal abitudine prese una tal radice e sì fattamente crebbe che divenne ella stessa un bisogno. Sei altri pubblici forni si costruirono…cioè uno nel 1805, tre nel 1809, due nel 1810 [ASTO, Corte, Paesi per A e B, M, m. 17, fasc. 30, 1820, Demolizione forni].
La chiusura dei vecchi forni, decretata dall’Intendenza di Casale nel 1820, e l’apertura di nuovi conformi ai regolamenti regi andava di pari passo con lo sviluppo di Moncalvo, «ché per la nuova strada ormai quasi ultimata da Asti a Moncalvo il commercio vi si fè più florido e il concorso di popolo più frequente, cosa che determinò de’ particolari a costruir nuove case e a moltiplicar gli alberghi» [ivi, supplica della città di Moncalvo del 18 giugno]. Anche così la città, sempre più orientata verso Asti, recideva gli antichi legami con il Monferrato: dimostrata, per esempio, «la natura feudale di que’ forni provenuti dalla Camera ducale del Monferrato che, come ognun sa, era esso stesso un gran feudo dell’Impero», la bannalità era decaduta, se non contestualmente all’annessione del ducato, con il regio editto del 29 luglio 1797.
Forni, bandi politici, fiere del bestiame e costruzione delle strade sono, peraltro, i temi di maggior spicco per la Moncalvo del XIX secolo, sempre attenta a conservare il maggior numero possibile di dazi [ivi, fasc. 38, 1827, Dazi comunali; fasc. 46-48, 1833-34, Dazi comunali] e a gestire da sé i beni comuni, come il sito del castello, ottenuto nel 1817 e ancora reclamato nel ’29 [ivi, fasc. 39]. Le risorse locali ricadevano sul territorio: se Moncalvo, in crescita, fece costruire un nuovo cimitero fuori le mura già nel 1784 [ivi, fasc. 24], anche la frazione di Castellino, sempre più popolosa, chiese e ottenne di ampliare il suo nel 1831 [ivi, fasc. 44]. I dati demografici riportati in calce rendono conto di quest’espansione, seguita da fasi di contrazione fisiologiche per l’area e il periodo in questione, ma pur sempre contenute rispetto a quelle di luoghi limitrofi.
Concludo, in proposito, con alcune brevi osservazioni sulla dimensione economica. Negli anni Settanta, a fronte della «veloce emorragia» che portava molti ad abbandonare i centri medio-piccoli e a inurbarsi nelle grandi città (in questo caso Torino, ma anche Milano), un osservatore locale faceva notare come Moncalvo riuscisse a contenere il fenomeno grazie a una buona presenza di attività di tipo industriale: «Il clichè di Moncalvo è quello di una comunità prevalentemente agricola con qualche interesse commerciale e industriale. “Sociologicamente” il centro monferrino è “agricolo” nel senso che l’interesse primo della maggior parte delle famiglie è il campo e il vigneto (i proprietari terrieri sono circa 1000)» [Moncalvo…1971, contributo di E. Ballone, p. 112]. Ma settore terziario, artigianato, commercio e piccola industria (macchine agricole, materie plastiche; cantine sociali; mulini) fornivano buona parte delle energie produttive e di impiego.
Il quadro odierno non è forse molto diverso e si registra anzi un’inversione di tendenza sul piano demografico.
Dati demografici:
Nel 1839 Moncalvo contava 3686 abitanti, suddivisi in 877 nuclei familiari [Informazioni statistiche, 1839, p. 29]. Nel 1881, sempre in dipendenza dal mandamento di Casale Monferrato, la popolazione era cresciuta fino a 4442 unità, suddivise tra il centro principale (3740) e le frazioni di Castellino (269), San Vincenzo (145) e Gessi (288) [Censimento, 1881]. A inizio Novecento la popolazione era scesa a 3950 unità, sempre considerando Moncalvo stessa (3463) e le frazioni Gessi e Castellino, registrata, quest’ultima, insieme con quella di San Vincenzo [Censimento, 1902, p. 10]. San Vincenzo e Castellino (339 ab.) risultano unite anche nel censimento del 1911 in cui, anziché la frazione Gessi, è rilevata anche la frazione Patro-Santa Maria (603 ab.); con Moncalvo città si giungeva a quota 4382 ab. [Censimento, 1911]. Dieci anni più tardi la popolazione complessiva era di 4352 ab., 3479 dei quali residenti a Moncalvo, 607 a Santa Maria (sic) e 332 a Castellino (sic) [Censimento, 1927]. Nuovamente più articolata la situazione emergente dal censimento del ’31: oltre a Moncalvo (3039 ab.), gli abitanti erano sparsi tra le frazioni di Santa Maria (301), Patro (269), Castellino (267) e la nuova località Stazione (464), posizionata in piano e piuttosto lontano dal centro della cittadina [Censimento, 1933]. Le guerre e la forte emigrazione –tutti i censimenti colgono un certo scarto tra la popolazione legalmente residente e quella presente di fatto- determinarono anche a Moncalvo e nelle sue frazioni un progressivo calo demografico: 3960 ab. complessivi nel 1937 fino a decrescere ai 3818 del 1951 [Censimento, 1937 e 1955]. Il primo censimento del dopoguerra, però, fotografa più chiaramente la complessità insediativa di Moncalvo: immediatamente attorno alla cittadina (2704 ab. in tutto) gravitavano le frazioni Chiosso, Gessi, Merli e San Bernardino, nonché alcune case sparse; Patro, con altre case sparse, contava 217 ab.; Santa Maria, con le frazioni di Costanzana, Minoglio, Peschiere e alcune case sparse 249; infine Moncalvo Stazione, con Menga, Valle San Giovanni e ancora qualche casa sparsa 432 ab. Tale articolazione, pur con cifre di riferimento differenti, esiste tutt’oggi ed è il frutto non solo delle più recenti modificazioni del centro urbano, ma anche e soprattutto della stratificazione del tessuto abitativo di origine medievale e moderna.