Borgo San Dalmazzo

AutoriPalmero, Beatrice
Anno Compilazione1996
Provincia
Cuneo.
Area storica
Cuneese. Vedi mappa 1.
Abitanti
10939 (censimento 1991).
Estensione
2225 ha (ISTAT 1991); 2371 ha (SITA 1991).
Confini
A nord Cuneo, a est Boves, a sud Roccavione,a sud-ovest Valdieri, a ovest Moiola, Gaiola, Roccasparvera e Vignolo.
Frazioni
Beguda, Madonna Bruna, Martinetto del rame. A seguito della legge di soppressione delle frazioni che non rispondevano agli attuali parametri demografici e amministrativi, sul territorio di Borgo San Dalmazzo si trovano anche dei nuclei abitati e case sparse: Cascina Bruna, Cascina Fioretti, Tetto Albaretti, Tetto Turutun sottano, «case sparse» (CSI 1991, Piemonte). A metà Ottocento invece erano presenti le frazioni di Alteni, Cassine, Beguda e Aradolo. Vedi mappa.
Toponimo storico
«Burgus Sancti Dalmatii» (Casalis 1834, vol. II, p. 483). Tra le prime attestazioni «suburbio Sancti Dalmatii», toponimo citato nel trattato sui confini tra Briga, Tenda e Garessio del 1163 (Beltrutti 1954, p. 23). Dal diploma imperiale del 1041, in cui compare il plebato di Pedona, ha origine il filone di studi storico-toponomastici che vorrebbe localizzare nell’antica «Pedo», l’insediamento primigenio da cui si è poi sviluppato Borgo S. Dalmazzo. In documenti del secolo XI si parla ormai di abbazia di S. Dalmazzo e villaggio omonimo (Comba 1973, p. 528 n. 42, p. 555). In seguito alle distruzioni della guerra del Monferrato (1231) il complesso conventuale risorse più spostato verso lo Stura, intorno a cui fu riedificato anche il Borgo (Riberi 1929, p. 24). Lo sviluppo medievale del Borgo si attesta più specificatametne tra il castrum (1153) e l’edificio monastico (Tosco 1996, p. 97). Toponimo di origine romana, «Pedo» era una stazione doganale lungo il confine tra Liguria augustea e la provincia delle Alpi Marittime (Serra 1953, p. 11). Casalis raccoglie la tradizione popolare che attribuirebbe ai Celti l’origine onomastica della «civitas Pedonensis», città romana con cinta muraria, che sorgeva alla foce del Gesso, in direzione della Provenza.
Diocesi
Le sue chiese fanno parte della diocesi di Cuneo dopo il 1816, data di costituzione di quest’ultima. Precedentemente erano ascritte nel distretto diocesano di Mondovì (Berra 1955, pp. 52-54) ed il vescovo era al pari abate. A seguito del primo riordinamento ecclesiastico, l’abbazia viene posta sotto la giurisdizione della nuova diocesi di Mondovì (1388), anche se di fatto ancora nel 1435 si rende necessario un arbitrato che stabilisca i confini tra la diocesi di Asti e Mondovì e assegni a quest’ultima il territorio tra il Tanaro e lo Stura. Il vescovo di Asti, a cui l’antica abbazia era stata donata con diploma imperiale all’inizio del X secolo insieme ai territori a lei soggetti, si era infatti opposto fermamente al passaggio di giurisdizione (Gacchi 1976, pp. 405 sgg.). In particolare il diploma imperiale del 969 confermava al vescovo di Asti il possesso dell’abbazia di S. Dalmazzo e della canonica di Pedona, gli dava facoltà di erigere fortificazioni difensive oltre che conferirgli ampi privilegi d’immunità. Il successivo diploma del 1041 aveva confermato al vescovo astense la giurisdizione sul comitato di Bredolo, in cui è espressamente citata l’abbazia. Le chiese Pedonenses (S. Dalmazzo, S. Maria e S. Giovanni Battista, le ultime due non meglio localizzate) furono prima del secolo X incluse nella diocesi di Torino (Giacchi 1976, pp. 413-419). Una recente analisi consente di formulare ipotesi di legami dell’abbazia con la diocesi di Nizza-Cimiez, precedenti al riassetto longobardo della diocesi di Torino (Tosco 1996, pp. 26 e 36).
Pieve
La «Plebs S. Mariae de Pedona» è nominata espressamente nel diploma imperiale del 1041, che attribuisce al vescovo di Asti il territorio del comitato di Bredulo: «cum canonica, abatiam Sancti Dalmatii cum valle Gexii, usque ad Fenestras, Rocha Corvaria et Rubulando et Alvergnando usque ad montem Cornium» (Il Libro verde della chiesa di Asti, p. 217, doc. 304). La chiesa di S. Maria compare per la prima volta nell’Additio Moccensis, in cui si parla anche di S. Giovanni Battista e di S. Dalmazzo, chiese con un’organizzazione tale da poter essere individuate come pievi rurali. Ora, nonostante la controversa datazione della fonte, l’abbazia dovrebbe già avere la sua organizzazione cenobitica, mentre Pedona è sede di una pieve distinta. Riberi aveva voluto individuare la chiesa di S. Maria con quella di Roccavione e quella di S. Giovanni Battista con quella di Demonte, attribuendo così ai due luoghi una sede pievana, e attribuire a S. Dalmazzo il ruolo di capoluogo di distretto pievano. Giacchi non mette in discussione l’esistenza di una pieve a Pedona, quanto piuttosto distingue la chiesa di S. Maria come sede della pieve pedonense, in ragione del fatto che in un passo successivo dello stesso documento si parla di «plebs erecta laetur ecclesia per Sanctum Dalmatium». Per cui dalla chiesa di Pedona dipendevano chiese e cappelle minori, mentre la chiesa di S. Dalmazzo di per sé doveva essere già organizzata in abbazia. Inoltre in atti successivi la chiesa di S. Maria è descritta come canonica dipendente dalla mensa abbaziale (Giacchi 1976, pp. 419-422).
Per ciò che concerne l’estensione del distretto pievano non si hanno notizie se non attraverso un documento tardo che registra le chiese dipendenti dalla diocesi di Asti (1345). Da questo risulta che le chiese disseminate nelle valli che sboccavano a Pedona erano soggette alla pieve di S. Maria di Cuneo. Il supposto trasferimento della pieve di Pedona a Cuneo dovrebbe coincidere con la fondazione di questa villanuova (1198), appoggiato dal monastero di S. Dalmazzo (Giacchi 1976, pp. 423-424). Una vertenza del 1205 tra il vescovo di Asti e l’abate di S. Dalmazzo pone la questione della giurisdizione dei due enti sulle chiese di Cuneo. Da qui emerge che i diritti e le decime concernenti la pieve di S. Maria e la chiesa di S. Michele spettavano al vescovo; mentre all’abate, che rivendicava l’autorità su tutte le chiese del comprensorio, venivano riconosciute solo su S. Maria del Bosco e su S. Michele (Camilla 1970, pp. 335-337). Nella bolla pontificia del 1246 però tra i possessi e privilegi dell’abbazia si ritrovano tutte le chiese cuneesi compresa la pieve (Riberi 1929, pp. 490-493). Al di là dell’esatta distrettualizzazione degli enti ecclesiastici, proprio questa incertezza, che deriva dalla controversia nelle fonti, mette in rilievo la forte concorrenza tra il vescovo e l’abbazia. Il documento del 1345 infine annovera nella pieve di Cuneo il monastero «de Burgo cum ecclesiis ad suam mensam pertinentibus» (Giacchi 1976, pp. 424-425), da intendersi come ulteriore esigenza di ribadire la supremazia della diocesi astense sull’abbazia di S. Dalmazzo e sulle chiese a questa subordinate.
Altre Presenze Ecclesiastiche
La tradizione agiografica vuole che l’antico monastero benedettino dedicato a S. Dalmazzo sorga nel luogo dove si credeva che il santo fosse stato martirizzato, attorno al 255 d. C. (Casalis 1834, vol. II, p. 485). La prima attestazione dell’esistenza di un luogo di culto si ricava dalla datazione tra il V e il VI secolo dell’omelia che consacrava l’edificio eretto sulla sepoltura del santo, appena fuori dalla città di Pedona (Tosco 1996, p. 23). Circa le distruzioni e rifondazioni dell’abbazia, la recente storiografia tende a ridurre la portata delle devastazioni attribuite sia alle incursioni saracene che alle successive invasioni barbariche, e riconduce piuttosto le modificazioni del riassetto dei centri abitati alle violente lotte per il potere. In relazione all’abbazia di Pedona i dati inconfutabili sono la cessione del monastero al vescovo di Asti nel 902 e il trasferimento delle reliquie del santo da Pedona a Quargnento prima del 948. A questa data effettivamente tutto lascerebbe pensare all’abbandono di Pedona e allo spostamento dell’intero nucleo conventuale per volontà del vescovo. Questo movimento è stato interpretato come un tentativo astigiano di espansione commerciale verso est, in un momento in cui i valichi alpini, presidiati dai Saraceni, non erano percorribili. Poiché contemporaneamente andava sviluppandosi un’area commerciale contrapposta, tra il Tanaro e il Bormida, sponsorizzata dal marchese Aleramo, può darsi che si volle sfruttare la capacità attrattiva delle reliquie per porre Quargnento in concorrenza commerciale (Settia 1988, pp. 300-302). Rispetto al secolo precedente il diploma del 1041 attribuisce all’abbazia di S. Dalmazzo un esteso territorio, che la identifica con uno strategico ruolo di controllo delle vie di accesso alla Provenza e Nizza. Varie ipotesi su una sua rifondazione attorno al XII secolo sono state formulate (Riberi 1929, p. 55), anche se non esistono conferme circa la tradizione agiografica che tramanda la consacrazione, da parte del vescovo di Asti, dell’edificio che accoglie le spoglie di S. Dalmazzo in Pedona, attorno al 1174 (Tosco 1996, pp. 57-59). Una fondazione altomedievale è messa in dubbio da Luigi Provero (Provero 1994).
Al di là del fatto che l’antica abbazia fosse sede pievana o meno, in quanto soggetta alla giurisdizione episcopale, prima di essere inclusa nel distretto diocesano di Mondovì, risulta avesse un territorio e delle chiese che le pagavano decime e banni. In seguito alla disgregazione del vasto distretto diocesano di Asti e del potere territoriale del vescovo astense, le rendite dell’abbazia vengono trasferite alla mensa di Mondovì, mentre i monaci lasciano detto luogo e raggiungono altri cenobi (1438) (Riberi 1929, p. 309). Per quel che riguarda questo periodo, recenti studi topografici segnalano una forte ingerenza signorile nelle sorti del monastero: gli Angioini annettono infatti alla struttura conventuale una loro cappella privata. Segue dunque un lungo periodo di crisi del monastero, a cui sopperisce la funzione parrocchiale, che si adegua alle esigenze della Controriforma. Solo nel Settecento si avviano consistenti restauri, promossi dal vescovo Isnardi dei marchesi di Caraglio (1703), pertanto la chiesa abbaziale viene riedificata insieme ad un palazzo con giardino (Tosco 1996, pp. 105-125).
L’antica abbazia è divenuta chiesa parrocchiale, mantenendo l’intitolazione a S. Dalmazzo e si segnalano dieci tra chiese e cappelle campestri del circondario (Manno 1893, vol. III, p. 192). Poiché l’abbazia coincide con la parrocchia del luogo, il vescovo di Mondovì è anche il parroco di questo paese. Annovera redditi notevoli in molini, canoni, decime e laudemio. Si avvale di un vicario e di due cappellani. In Ancien Régime si trovano presso gli altari della parrocchiale, la confraternita di S. Elisabetta e le compagnie del SS. Sacramento e del Rosario, oltre alla confraternita della Misericordia e di S. Croce. Quest’ultima ha una chiesa propria e un’altra intitolata a S. Anna è attestata «in campagna». La Congregazione di Carità si occupava di un piccolissimo ospedale per il ricovero dei pellegrini (BRT, Storia patria n. 855, Brandizzo 1753, p. 87). Legata alla devozione di S. Anna è rimasta la festività solenne dell’ultima domenica di luglio, celebrata presso il tempietto di S. Anna e S. Magno. In quell’occasione accorrevano «gran numero di forestieri», come per la «traslazione del corpo di S. Dalmazzo», la domenica seguente la Madonna del Rosario. Le località di Beguda e Aradolo hanno la propria cappella (Casalis 1834, vol. II, p. 483).
Luoghi Scomparsi
Tra i luoghi di cui non si ha più traccia è da annoverare la stazione doganale romana di Pedona, toponimo che persiste ancora lungo tutto il XII secolo per identificare il monastero benedettino, benché non esista corrispondenza effettiva tra l’oppidum originario né con il comune di Borgo né con il sito monastico primigenio. La tradizione storiografica ottocentesca pone l’accento sulla questione della localizzazione di Pedona e della ricostruzione del paese e del monastero, attribuendo particolare enfasi alle distruzioni saracene. Non è stato possibile identificare l’insediamento del Borgo con quello più antico di Pedona giacché le indagini archeologiche hanno stabilito che la stazione doganale romana sorgeva alla foce del fiume Gesso, dove giungeva da Cuneo la «via Moneta»; protesa sulla via Emilia verso la Provenza (Serra 1953, pp. 7-11). Mentre la nuova abbazia attorno a cui si è formato il centro abitato sorge piuttosto verso il fiume Stura (Riberi 1929, p. 182). Gli storici sono concordi nel collocare un primo insediamento del Borgo, formatosi pare intorno al secolo XI, attorno all’abbazia e nei pressi dell’antico sito romano (Comba 1973, p. 541 n. 73, pp. 555-557) e un successivo, dal quale prende le mosse l’attuale conformazione abitata, sviluppatosi verso la metà del XIII secolo, nello spazio tra l’abbazia ed il castrum. Alla luce dei recenti rinvenimenti di un impianto termale, la città romana potrebbe identificarsi a sud-est del Borgo medievale (Tosco 1996, pp. 95-103). Resta aperta l’ipotesi del ripopolamento dell’antica Pedona sulla base della valutazione strategica dell’insediamento del Borgo, come «chiave delle Alpi Marittime» (Coccoluto 1994, p. 45). Nel sistema dei valichi delle Alpi Marittime è infatti di difficile attestazione la considerazione di una ripresa del tessuto viario di tracciato romano prima del XIII secolo.
Comunità, origine, funzionamento
Che attorno all’abbazia di S. Dalmazzo si fosse costituito un insediamento abitato si ha notizia dalla bolla di Eugenio III che conferma i possessi al vescovo di Asti (1153): si parla infatti di abbazia di S. Dalmazzo, «cum castro, curte et valle Iecii usque ad Fenestras et plebem eiusdem loci cum omnibus ecclesiis ad se pertinendis» (Il Libro verde della chiesa di Asti, p. 203, doc. 315). L’attestazione toponomastica, nei diplomi della fine del secolo XI, dell’intitolazione dell’abbazia e di un villaggio omonimo, inserisce l’insediamento di S. Dalmazzo in quel movimento di ricostruzione dei villaggi presso siti di fondazione romana e attorno a più antiche fondazioni religiose (Comba 1973, p. 541 n. 73, pp. 555-561; Tosco 1996, pp. 95-97). Nel 1163 è citato espressamente il «suburbio S. Dalmatii», luogo della stipula nella vertenza dei confini tra Tenda, Briga e Garessio (Beltrutti 1954, p. 35). I rilievi topografici datano al XIII secolo il nucleo più antico del’abitato (Tosco 1996, pp. 95-97), e bisogna attendere il 1285 per avere attestazione degli uomini di Borgo S. Dalmazzo che prestano fedeltà al marchese di Saluzzo (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 1: Giuramento di fedeltà prestata dalli uomini del Borgo di S. Dalmazzo e forensi di Cuneo al Marchese Tommaso di Saluzzo [18 aprile 1285]). Quindi ancora nel 1260 sono i monaci dell’abbazia a firmare il trattato con i conti di Provenza, come se potessero rappresentare la comunità, in assolvimento delle funzioni politiche (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 6: Rattificanza del Capitolo de’ Monaci del Borgo S. Dalmazzo di detto Monastero e Carlo I Conte di Provenza [6 marzo 1260]). D’altra parte il nunzio apostolico, incaricato in appoggio alla Repubblica di Genova, di proibire l’appoggio ai Ventimigliesi ribelli, convoca nel 1220 il «pleno consilio» nella chiesa di S. Dalmazzo alla presenza dell’abate (I Libri iurium della Repubblica di Genova, 22 dicembre 1220).
Nella questione delle decime, sollevata dalla mensa vescovile monregalese a metà del secolo XV, si rintracciano le prime attestazioni di cariche e deleghe rappresentative degli uomini del Borgo. Diversamente non si conserva testimonianza dell’attività amministrativa fino ad arrivare alla metà Seicento, quando il comune si adegua alla burocrazia sabauda che aveva imposto la denuncia catastale e la verbalizzazione delle sedute del consiglio.
Statuti
Non si ha alcuna menzione degli statuti comunali.
Catasti
II primo registro catastale è datato 1662, mentre del 1770 è il volume dei trasporti (AC Borgo San Dalmazzo, Inventario comunale [1989]). Si ha il foglio mappale risalente alle misurazioni di età napoleonica (AST, Camera dei Conti, allegato A pf. n. 63, 1801).
Si segnala inoltre un fascicolo di vendite di terreni che riporta atti a partire dal 1481: Transatione delle terre delle Valli Gezzo e Vermenagna con l’illustre città di Cuneo (AC Borgo San Dalmazzo, mazzo 7, fasc. 6 [1601]).
La documentazione comunale riporta inoltre tutta una serie di fascicoli inerenti le misurazioni e la definizione dei limiti territoriali tra XVIII e XIX secolo: Verificazione della linea divisoria tra il territorio di Borgo S. Dalmazzo e Cuneo [1769-1838]; Memorie sui confini di Roccasparvera [1811]; Delimitazione dei territori comuni di Borgo S. Dalmazzo, Roccasparvera e Gaiola, montagna denominata Bosco di Quinto [1832].
Ordinati
L’archivio comunale presenta una recente inventariazione che riporta la presenza degli Ordinati dal 1682, per un totale di 65 volumi antichi. Proseguendo poi con ordine per quanto concerne le delibere del consiglio e della giunta (AC Borgo San Dalmazzo, Inventario comunale [1989]).
Dipendenze nel Medioevo
Il luogo del Borgo, inteso come castrum et curtes dell’abbazia di S. Dalmazzo, è stato certamente parte del comitato di Bredulo, ovvero nei domini di quell’incoativo principato ecclesiastico «inter Tanagrum et Sturam», che il vescovo di Asti cercò di consolidare con la donazione del 1041. Con la fondazione del comune di Cuneo (1198) i suoi abitanti furono attratti dalla villanuova e successivamente entrò a far parte del distretto angioino che aveva in Cuneo il capoluogo (1269). In seguito alla disgregazione del potere temporale del vescovo di Asti, minato dalle ambizioni territoriali dei signori locali, è stato oggetto naturale di tali espansioni, in particolare dei marchesi di Saluzzo (1282) (Bordone 1992, p. 125; Guglielmotti 1995, pp. 171, 174 e 177). Visse l’esperienza della concorrenza tra i marchesi di Saluzzo (1356) e i marchesi di Ceva, che si alternarono su detto luogo, fino all’affermazione del governo sabaudo.
Feudo
Nel 1372 i marchesi di Ceva prestano atto di vassallaggio al conte Amedeo di Savoia per detto feudo, insieme ai luoghi di Andonno, Entracque, Robilante, Roccavione e Valdieri (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 3: Promessa di retrovendere […] mediante la restituzione di fiorini 1500 d’oro per esso Marchese pagati per l’infeodazione de’ suddetti luoghi [10 gennaio 1373]). Comunque fino al 1392 i marchesi di Ceva restano investiti dei diritti feudali sul luogo (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 4: Investitura concessa da Bona di Boutbon Contessa di Savoia, tutrice del Conte Amedeo di Savoia a favore di Giorgio e Carlo de’ Marchesi di Ceva del luogo di Borgo San Dalmazzo et altri al medesimo adiacenti [28 ottobre 1392]) e ancora nel 1406 prestano atto di vassallaggio e giuramento di fedeltà ai Savoia (Beltrutti 1954, p. 132). In seguito il duca di Savoia assume personalmente «giurisdizione, beni e redditi» non solo su Borgo S. Dalmazzo, ma anche sulle valli Gesso e Vermenagna, «smembrando detti luoghi dalla giurisdizione della città di Cuneo» (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 5 [12 marzi 1459]). Successivamente il duca di Savoia concede investitura ai Fieschi e ai Forni (1619); poi i Solaro di Moretta (1672) che acquistano tutte le porzioni di rendite feudali per rivenderle ai Solaro di Dogliani. Infine ne diventano consignori i Giordano nel 1754 (Manno 1893, vol. III, p. 198).
Mutamenti di distrettuazione
Il comune di Borgo S. Dalmazzo si trovò dunque in periodi alterni sia tra i territori controllati dal marchesato di Saluzzo che tra quelli soggetti al marchesato di Ceva (Muletti 1972, p. 89). Annullati i diritti giurisdizionali che lo tenevano subordinato in qualche modo alla città di Cuneo, entrò a far parte dei domini diretti del duca. Con la creazione della provincia di Cuneo viene qui incluso, ed eretto capoluogo di mandamento su Roccasparvera. Attualmente è compreso nella provincia di Cuneo.
Mutamenti Territoriali
Aradolo è stato eretto comune nel 1761 in base all’assegnazione di una serie di beni comuni accatastati. Questi anticamente erano indivisi o fruiti comunitariamente tra i luoghi di Borgo S. Dalmazzo, Roccavione, Valdieri ed Entracque. In controtendenza con il proliferare di parrocchie e formazioni comunali, Aradolo viene ridimensionato a cantone del comune di Borgo S. Dalmazzo già nel 1828, anche se il processo di determinazione dei nuovi limiti comunali si protrae per tutto il secolo XIX. Nelle successive fasi d’intervento statale per la riduzione del numero dei comuni (1926-1945 e 1946-1950) non si pone tanto la questione di aggregare il quartiere o altre porzioni di territorio, quanto la rivendicazione da parte di altri comuni di terre di cui gli Aradolesi si erano appropriati e conseguentemente il comune di Borgo si era annesso con l’accorpamento (Sturani 1995, pp. 120 sgg.).
Comunanze
Attualmente censiti dal Commissariato per la liquidazione degli usi civici 118.4662 ettari di cui 113.9988 in categoria «A», mentre i restanti in categoria «N» (CSI 1991, Piemonte). Nel 1993 si è sciolta la questione relativa alla liquidazione di terreni ad uso civico in favore della società Italcementi a cui sono stati attribuiti i terreni richiesti, in accordo con i comuni di Borgo S. Dalmazzo e Valdieri (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 25 bis). I frazionisti di Andonno e Aradolo dimostrano di possedere il diritto di pascolo su un territorio determinato dai ricorsi del 1954, e definito nella piantina di divisione «Pineta di Andonno» (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 25).
Liti Territoriali
Fino ancora al secolo XIV gli uomini del Borgo e l’abbazia di S. Dalmazzo vivono in simbiosi, ma con la decadenza di quest’ultima entra in crisi un elemento importante nell’equilibrio dei poteri del territorio, tenuto insieme in qualche modo dal monastero. Per il comune si profilano elementi di contrasto in primo luogo con il vescovo di Mondovì, erede dei privilegi e delle rendite del monastero (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 2: Questioni insorte fra il vescovo di Mondovì e la Comunità e uomini di Borgo S. Dalmazzo per alcuni diritti pretesi dal Vescovo quale amministratore dell’Abbazia di Borgo S. Dalmazzo e negati dalla sopradetta Comunità per cui si fece compromessso nelle persone ivi nominate [14 gennaio 1473]; Scritture riguardanti la Mensa arcivescovile di Mondovì e abbaziale di Borgo S. Dalmazzo in abolizione delle decime [1435-1599]; Causa contro Mensa vescovile di Cuneo e contro vicario Martinengo per fatto di diritti parrocchiali [1766-1784, 1818]).
Perduta l’autorità giurisdizionale del monastero, che di fatto tutelava gli abitanti del Borgo e aveva messo in relazione il comune con un vasto territorio, senza soluzione di continuità, Borgo S. Dalmazzo si trova a dover fronteggiare delle rivendicazioni. I paesi vicini affermavano i loro diritti di sfruttamento su quelle aree, costituite principalmente da risorse boschive e pascolative, che si trovavano su un territorio «indefinito». Sorgono quindi le prime questioni che conducono Roccavione, Gaiolo, Roccasparvera, Valdieri, Vinadio ed Entracque ad una nuova delimitazione dei confini con Borgo (AC Borgo San Dalmazzo, mazzo 18 fasc. 129: Atti e scritture riguardanti la comunità di Borgo S. Dalmazzo, Roccasparvera e Gaiola, [1400-1702]; Atti e scritture riguardanti la comunità di Borgo S. Dalmazzo contro Valdieri, Vinadio, Entraque [1488-1626]; AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 3: Transazione tra le comunità di Roccavione e del Borgo S. Dalmazzo sovra le differenze tra esse sorte per la determinazione dei rispettivi loro finaggi [22 febbraio 1522]).
Tra Sei e Settecento tali questioni assumono le caratteristiche delle liti giurisdizionali che mirano a stabilire l’autorità sulle zone di condominio. Oltre alla registrazione di beni privati sui rispettivi catasti comunali (Manno 1893, vol. III, p. 199; AST, Camera dei Conti, art. 615, Sommario della lite e ragione della comunità del Borgo S. Dalmazzo per la registrazione de beni e pagamento de’ carichi della regione Pian di Quinto, contro la Comunità e Particolari di Rocca Sparvera e Gagliola, possidenti beni in essa regione; art. 616: Sommario nella causa della Comunità di Borgo S. Dalmazzo contro il sig. medico Antonio Odifredi e questo contro il sig. Gio Batta Bosio. Relatione Cappa [Proprietà di terreno]), si assiste a vere e proprie incorporazioni di insediamenti abitati in controversia con i signori locali (Aradolo) e a mutamenti distrettuali di rilievo (Piani di Quinto-Roccasparvera), che stravolgono il regime dei beni demaniali e il sistema degli usi consuetudinari (AC Borgo San Dalmazzo, Liti: Atti e scritture relative alla Comunità di Andonno [1592-1786]; Atti e scritture relative al luogo di Roccavione, Roaschia e Robilante [1600-1786]; AST, Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2: Entraque contro la comunità di Cuneo, Robilante e Borgo S. Dalmazzo [1673]; per la regione di Aradolo indivisa con Borgo S. Dalmazzo, Roccavione, Valdiero, Andonno. G.te 225 di beni catastali nel suo territorio [1668]; AC Borgo San Dalmazzo, Relazione di misura dei beni dei particolari di Aradolo per ordine della Comunità di Borgo S. Dalmazzo [1721]; Procura dei particolari di Aradolo. Rappresentanze del Marchese feudatario [1774]; Atti sommari civili della Comunità di Aradolo contro Comune di Borgo S. Dalmazzo [1767]; Aggregazione del cantone indiviso di Aradolo contro Comune di Borgo S. Dalmazzo [1828-1837]; Opposizione Comune di Roccavione [1828-1851]; Rivendicazioni dei beni comunali situati nel Cantone di Aradolo [1852-1957]; Pratica del pascolo degli Aradolesi nei beni comuni di Andonno [1866]; Aggregazione nuovi confini Roccasparvera [1928]; AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 5: Informazioni e sentimento del Vice Intendente sopra il ricorso della Comunità di Borgo S. Dalmazzo per il permesso di riedificare la cappella campestre dedicata ai SS. Grato e Bernardo già esistente nel recinto di detto luogo, regione del Piano di Quinto [16 aprile 1771]; fasc. 8: Supplica di Borgo S. Dalmazzo e di Roccasparvera onde poter derivare un canale dal torrente Gesso per l’irrigazione dei loro beni posti sulle fini di detti territori, regioni di Piani di Quinto [1789]; fasc. 8: Ricorso per ottenere ricognizione idraulica [1818]; fasc. 22: Vendita di beni comunali usurpati [1822]).
 Il ruolo di Borgo S. Dalmazzo sul «percorso della gabella del sale» pone questioni relative alla circolazione delle merci che affluiscono ai mercati cuneesi (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 7: Supplica della Comunità di Borgo S. Dalmazzo e controsupplica della città di Cuneo ed altre carte riflettenti i depositi delle mercanzie sia di transito che per dogana, introdottisi nel detto Comune di Borgo S. Dalmazzo. Sentimento dell’Intendente generale delle gabelle [1789]).
Fonti
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2: Entraque contro la comunità di   Cuneo, Robilante e Borgo S. Dalmazzo [1673]; per la regione di Aradolo indivisa con    Borgo S. Dalmazzo, Roccavione, Valdiero, Andonno. G.te 225 di beni catastali nel suo territorio [1668];
Camera dei Conti, art. 615, Sommario della lite e ragione della comunità del Borgo S. Dalmazzo per la registrazione de beni e pagamento de’ carichi della regione Pian di Quinto, contro la Comunità e Particolari di Rocca Sparvera e Gagliola, possidenti beni in essa regione; art. 616: Sommario nella causa della Comunità di Borgo S. Dalmazzo contro il sig. medico Antonio Odifredi e questo contro il sig. Gio Batta Bosio. Relatione Cappa [Proprietà di terreno];
Camera dei Conti, allegato A pf. n. 63 [1801];
Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 2: Questioni insorte fra il vescovo di Mondovì e la Comunità e uomini di Borgo S. Dalmazzo per alcuni diritti pretesi dal Vescovo quale amministratore dell’Abbazia di Borgo S. Dalmazzo e negati dalla sopradetta Comunità per cui si fece compromessso nelle persone ivi nominate [14 gennaio 1473]; fasc. 3: Transazione tra le comunità di Roccavione e del Borgo S. Dalmazzo sovra le differenze tra esse sorte per la determinazione dei rispettivi loro finaggi [22 febbraio 1522]; fasc. 5: Informazioni e sentimento del Vice Intendente sopra il ricorso della Comunità di Borgo S. Dalmazzo per il permesso di riedificare la cappella campestre dedicata ai SS. Grato e Bernardo già esistente nel recinto di detto luogo, regione del Piano di Quinto [16 aprile 1771]; fasc. 7: Supplica della Comunità di Borgo S. Dalmazzo e controsupplica della città di Cuneo ed altre carte riflettenti i depositi delle mercanzie sia di transito che per dogana, introdottisi nel detto Comune di Borgo S. Dalmazzo. Sentimento dell’Intendente generale delle gabelle [1789]; fasc. 8:  Supplica di Borgo S. Dalmazzo e di Roccasparvera onde poter derivare un canale dal torrente Gesso per l’irrigazione dei loro beni posti sulle fini di detti territori, regioni di Piani di Quinto [1789]; fasc. 8: Ricorso per ottenere ricognizione idraulica [1818]; fasc. 22: Vendita di beni comunali usurpati [1822];
Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 1, fascc. 2 e 6; mazzo 2, fasc. 1: Giuramento di fedeltà prestata dalli uomini del Borgo di S. Dalmazzo e forensi di Cuneo al Marchese Tommaso di Saluzzo [18 aprile 1285]; fasc. 3: Promessa di retrovendere […] mediante la restituzione di fiorini 1500 d’oro per esso Marchese pagati per l’infeodazione de’  suddetti luoghi [10 gennaio 1373]; fasc. 4: Investitura concessa da Bona di Boutbon Contessa di Savoia, tutrice del Conte Amedeo di Savoia a favore di Giorgio e Carlo de’ Marchesi di Ceva del luogo di Borgo San Dalmazzo et altri al medesimo adiacenti    [28 ottobre 1392]; fasc. 5 [12 marzi 1459]; fasc. 6: Rattificanza del Capitolo de’ Monaci del Borgo S. Dalmazzo di detto Monastero e Carlo I Conte di Provenza [6 marzo 1260].
Corte, Provincia di Cuneo, Roccavione, mazzo 7, fascc. 1-2;
C.U.C.(Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici, Torino), Provincia di Cuneo, cartelle 25 e 25 bis.
Bibliografia
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Riberi A.M., S. Dalmazzo di Pedona e la sua abbazia, Cuneo 1929.
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Sturani M.L., Il Piemonte, in Amministrazioni pubbliche e territorio in Italia, a cura di L. Gambi, F. Merloni, Bologna 1995, pp. 107-154.
Tosco C., S. Dalmazzo di Pedona. Un’abbazia nella formazione storica del territorio dalla fondazione paleocristiana ai restauri settecenteschi, Cuneo 1996.
Descrizione Comune

Borgo San Dalmazzo

     Il percorso di formazione del territorio comunale del Borgo è profondamente condizionato dalle vicissitudini del monastero. In seguito si trova a dover far i conti con la gravosa eredità di un vasto ed articolato “territorio”, su cui i limiti della giurisdizione comunale sono solo uno degli aspetti molteplici di definizione di un’area.
     Alla formazione dei possessi del monastero benedettino concorsero innanzitutto non meglio attribuibili donazioni imperiali. Inizialmente si parla dell’abbazia di S. Dalmazzo e della canonica di S. Maria ad essa sottoposta, che il diploma imperiale di Ludovico III subordina al vescovo di Asti (Il Libro verde della chiesa di Asti, fol. 96, doc. 303 del 902). Sebbene la donazione conferisse una vasta area del comitato di Bredulo, «inter Tanagrum et Sturam» al vescovo di Asti, questi dovette confrontarsi anche con una forza locale come quella del monastero. Per analizzare il potere dell’abate, in mancanza di documenti specifici prodotti direttamente dall’abbazia, come si ha invece per altri casi più fortunati, si possono ricavare i diritti, possessi e privilegi dalle conferme degli stessi che le autorità politiche ed ecclesiastiche via via concedevano. Per quanto riguarda il periodo altomedievale si possono supporre beni materiali, oggetto di donazioni attribuite al monastero («omnibus rebus […] pertinentibus», Il Libro verde della chiesa di Asti, doc. 308 del 969). Compare in seguito una generica supremazia del monastero sulla valle Gesso, sui territori che si estendono tra il colle delle Finestre e il monte Cornio (col di Tenda), in cui sono comprese la valle Stura e la valle Vermenagna, e in cui sono espressamente citati i luoghi di Roccavione, Robilante e Vernante. Il riferimento è al diploma del 1041, in cui compare una specifica attribuzione territoriale a S. Dalmazzo (Il Libro verde della chiesa di Asti, doc. 304). Si configura pertanto un’area di dominio dell’abbazia, caratterizzata dalla convergenza di valli interessate da percorsi, collegamenti e valichi, il cui controllo era di fondamentale importanza per garantire il transito a pellegrini, milites e negozianti. In questo senso l’abbazia s’inserisce negli investimenti imperiali mirati alla tutela delle strade di comunicazione, e la sua autorità si esercita nel controllo e nella garanzia dei flussi viari (Sergi 1988).
Proprio questo aspetto di giurisdizione territoriale, che l’abbazia sembra acquisire più specificamente intorno al secolo XI, la collocherebbe in quel “trend” di prosperità monastica sponsorizzata da vari poteri di carattere signorile. Sulla base di ciò è lecito supporre che l’abbazia, con la sua consolidata presenza sul territorio, abbia trovato appoggio e consenso economico presso quei signori locali, clientes del vescovo, ma allo stesso tempo in contrapposizione con il suo tentativo di costruzione di un principato ecclesiastico. Ad una risorgenza dell’abbazia probabilmente concorsero i poteri signorili insediati nella valle Stura e Gesso, oltre al vescovo di Torino e ai Centallo che si insediarono in seguito a Cuneo (Riberi 1929, pp. 235-239). Sicuramente beni provenienti dall’eredità dei signori del consortile di Morozzo andarono a costituire l’abbazia di S. Benigno di Fruttuaria, così come ulteriori dotazioni degli stessi potenziarono il priorato di S. Biagio intorno al 1100 (Coccoluto 1979, p. 90). S. Biagio andò piuttosto configurandosi come il monastero di famiglia (Guglielmotti 1990), ad ulteriore conferma del legame dei Benedettini con il potere territoriale. Comunque di donazioni dei signori di Morozzo, di Brusaporcello e di Samartorio non si ha certezza documentaria per l’abbazia di Borgo S. Dalmazzo. Allo stesso modo lo sviluppo fondiario dell’abbazia non può essere paragonato a quello delle limitrofe certose di Pesio e di Casotto. In questi casi infatti la formazione del patrimonio monastico avviene non solo per donazione dei signori locali e delle comunità limitrofe, bensì secondo una strategia mirata di acquisti e permute. Le certose tra XII e XIII secolo sono proiettate alla costruzione di una rendita fondiaria, ponendosi come vere e proprie aziende. In quest’ottica di sviluppo intendono procurare ai loro beni una continuità territoriale, più facilmente controllabile e sfruttabile (Conterno 1970, p. 379; Guglielmotti 1986). La dotazione di S. Dalmazzo invece mantiene uno specifico carattere giurisdizionale e risulta articolata piuttosto in diritti signorili oltreché in rendite ecclesiastiche e possessi terrieri. Il concorso dell’abbazia alla fondazione di Cuneo confermebbe la strategia di un potere territoriale nell’organizzazione del suo dominio, come si deduce da una tarda rivendicazione degli antichi diritti, sanciti negli statuti cuneesi (Camilla 1970, p. 91: «superioritas et jurisdicio tam in spiritualibus quam in temporalibus, decimis, aconciamentis et aquagis intra duo flumine fide et deffensione contra nobiles et dominus qui eos vi oprimere»). Pertanto anche la villanuova di Cuneo è stata legata a S. Dalmazzo da diritti, decime e omaggi, come presumibilmente già i nuclei abitati rientranti nel dominium dell’abbazia, come descritto dal diploma del 1041.
Nel secolo successivo, le maggiori attestazioni documentarie pongono l’accento sul ruolo di arbitro che l’abate di detto monastero svolge a più riprese nelle vertenze territoriali che interessarono i luoghi della val Vermenagna. Intrattiene relazioni di carattere diplomatico (intermediario, procuratore, difensore) con le diocesi di Ventimiglia e Nizza, che danno un’idea della sua influenza, e lo inseriscono a pieno titolo nel panorama politico dell’epoca. In un documento del 1234, l’abate siede al fianco dei principali signori territoriali per definire i diritti spettanti a ciascuno prima della fondazione di Cuneo e Mondovì (AST, Corte, provincia di Mondovì, mazzo 1, fasc. 2). Da qui emerge che l’abate esercita un potere signorile almeno sugli uomini di Borgo S. Dalmazzo, poiché solo dietro la sua autorizzazione quelli che risiedono in Cuneo sono tenuti a versare un canone annuo alla diocesi di Asti e pagare l’albergaria. Sulla base della bolla pontificia del 1251, pervenuta in copia del 1355, si può circoscrivere la giurisdizione del monastero. Oltre ai proventi delle elemosine dei fedeli, i suoi possessi consistevano nel luogo dove sorgeva l’abbazia, con tutte le pertinenze di Borgo, Cuneo e valle Gesso («villas cum pertinentiis earundem»). Aveva inoltre redditi e possessi in Sommariva Perno e in villis della valle di Tinée. Vantava diritti su alcune chiese, di cui ricordiamo nella diocesi di Asti: S. Antonino di Entracque, S. Martino di Valdieri, S. Maria di Alteso – santuario sulla antica via tra Andonno e Valdieri – S. Eusebio di Andonno, S. Maria di Aradolo, S. Maria di Borgo, S. Maria di Cuneo – divenuta in seguito cattedrale –, S. Maria della pieve di Cuneo oltre ad altre tre chiese di cui non si ha più traccia; nella diocesi di Torino: S. Maria di Centallo, S. Gennaro e S. Salvatore di Bra, S. Dalmazzo di Romanisio, S. Dalmazzo di Caraglio; nella diocesi di Albenga: S. Maria di Canneto di Taggia con le sue pertinenze; nella diocesi di Nizza e di Glandéves. A ciò si aggiunge l’immunità su prati, vigne, terre e qualsiasi altro bene, usi, pascoli, boschi, pianure, acque e mulini; ed esenzione dalle decime (Riberi 1929, pp. 490-491).
La prima metà del secolo XIII può essere considerata l’epoca di massima concorrenza giurisdizionale tra il vescovo di Asti e l’abbazia di S. Dalmazzo. La bolla d’Innocenzo III (1205) sentenzia infatti che il territorio compete all’abate, ma gli uomini al vescovo. In tale contrapposizione di forze, in cui i signori locali e le comunità stesse non mancano di compaire, s’inserisce la dominazione angioina. La costruzione di una subregione da immettere in un più vasto circuito di relazioni, oltre a decretare il fallimento del tentativo di “principato ecclesiastico” portato avanti dal vescovo di Asti, relega ad un ruolo marginale l’abbazia, che dovette rinunciare ai suoi privilegi su Cuneo (1259) (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 1, fasc. 6). A questo punto la dinamica delle forze locali si fa più complessa: il monastero e i signori di Saluzzo cercano di esercitare diritti signorili e si afferma un piccolo ceto imprenditoriale cuneese, sostenuto dal comune di Asti (Guglielmotti 1995, p. 174).
In una fase immediatamente successiva l’abbazia cerca di ristabilire il baricentro di un proprio “distretto” in Borgo. Rivendica la supremazia su Cuneo – come già ricordato – e trova l’appoggio delle comunità alpine e dei marchesi di Saluzzo: nel 1262 gli abitanti della valle Gesso giurano fedeltà all’abate e nel 1268 il marchese Tommaso di Saluzzo infeuda allo stesso i luoghi di Roccavione, Robilante, Vernante e Limone, riconfermandoli al successore nel 1270 (AST, Corte, Provincia di Cuneo, Roccavione, mazzo 7, fascc. 1-2). Attorno ai primi anni del Trecento il monastero prova quindi ad attrarre gli abitanti di Roccavione e Robilante all’interno della giurisdizione del Borgo, offrendo loro i privilegi di esenzione tributaria di cui godevano questi ultimi rispetto all’abbazia.
Dalla seconda metà del Trecento l’abbazia diventa piuttosto strumento di affermazione delle principali famiglie signorili del compensorio, che si alternano alla reggenza del monastero (Riberi 1929, pp. 489-495). Soprattutto grazie all’appoggio economico dei marchesi di Ceva e di Saluzzo, il monastero riesce a mantenere una certa autonomia dalla diocesi di Mondovì, a cui era stato assegnato dall’atto di erezione (1388), ma alla quale non si assoggetta di fatto fino a metà del secolo XV. A quest’epoca ormai il declino monastico è irreversibile: gravato dagli oneri dovuti alla Camera apostolica, cede diritti e proventi sulle sue terre. Una serie di terre del Borgo, dislocate tra la val Vermenagna e la valle Gesso, sono oggetto di transazioni con il comune di Cuneo tra il 1481 e il 1601 (AC Borgo San Dalmazzo, mazzo 7, fasc. 6).
Il declino dell’autorità del monastero su Borgo S. Dalmazzo, e comunque su un comprensorio a questo in qualche modo legato, crea la condizione per rivendicazioni da parte del vescovo di Mondovì e del comune di Cuneo. Con l’avvento dei Savoia si cerca a più riprese di ridimensionare il ruolo di Cuneo rispetto all’antica area di giurisdizione dell’abbazia, su cui stava realizzando un comprensorio subordinato alla città da relazioni economico-commerciale. Nell’ottica di contenere Cuneo, si dispone l’infeudazione di Giano di Savoia sulla valle Gesso e Vermenagna e sui beni e redditi a queste spettanti. Il diploma ducale concede infatti al signore facoltà di «disporre del feudo per smembrare» le località dalla giurisdizione di Cuneo, ovvero può utilizzare le rendite e i diritti feudali per frazionamenti ereditari, oppure per negoziarne porzioni (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 5 [12 marzo 1459]).
Già a partire dal 1424, quando i Savoia entrano definitivamente in possesso di Borgo S. Dalmazzo e di una quota del pedaggio di Roccavione, sia Cuneo sia gli abitanti del distretto godono dell’esenzione dalla gabella (Comba 1976, pp. 79-81). L’investimento sabaudo sul collegamento con Nizza, attraverso la strada del col di Tenda, il nuovo assetto dei traffici e l’introduzione dei monopoli tra i secoli XVI e XVII rivoluzionano il flusso delle merci (cfr. la scheda dedicata a Roccavione). Cuneo cerca quindi di compensare la perdita del distretto con una rivalsa economica, esercitando il privilegio di riscossione della gabella di tratta e dogana. A più riprese i comuni della val Vermenagna si opporranno alla gabella sulle merci che Cuneo tenta di esigere (cfr. la scheda dedicata a Vernante). Nei confronti del Borgo, eletto dal duca a sede di un «magazzino della gabella», Cuneo perde di fatto il controllo sul flusso delle merci, che stazionano in detto luogo (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 7).
Negli anni Trenta del Quattrocento a fronte della costruzione della «Bialera ‘d Coni», che doveva irrigare i terreni agricoli verso l’abitato di Cuneo, la comunità del Borgo costruisce un canale al di là del quale ampliano l’insediamento stesso (Coccoluto 1994, p. 45; Tosco 1996, pp. 101-102). Sulla base del nuovo sviluppo urbano, ma soprattutto in seguito all’inclusione nella diocesi monregalese – non a caso riconosciuta solo a metà Quattrocento –, e con l’avvento del vescovo di Mondovì nel ruolo di abate si generano notevoli tensioni. In particolare si discusse circa il pagamento del laudemio che il vescovo di Mondovì esigeva sulle compravendite dei terreni (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 2 [14 gennaio 1473]). La causa portò alla definizione del diritto di cittadinanza, che esonerava dalla tassa sul mercato fondiario: pertanto la gente originaria del Borgo che risiedeva stabilmente a Cuneo diventava “forestiera”, mentre chi dimostrava di abitare nel luogo da 20 anni era ritenuta esente dal pagamento (BRT, Storia patria n. 855, p. 88). Anche la decima era un tipo di tributo che, sulla base dell’immunità del monastero e delle sue pertinenze, non poteva essere richiesto agli abitanti del Borgo. La mensa vescovile di Mondovì avrebbe invece voluto uniformare tutte le parrocchie della diocesi, per imporre in egual misura la propria autorità (AC Borgo San Dalmazzo, Scritture riguardanti la Mensa arcivescovile di Mondovì e abbaziale di Borgo S. Dalmazzo in abolizione delle decime [1435-1599, 1766-1784]). La controversia rimane aperta fino all’abolizione delle decime a dimostrazione della contrastata integrazione della comunità del Borgo, che si adopera per mantenere i suoi privilegi all’interno della diocesi. D’altra parte la lontananza del vescovo e la gestione della parrocchia da parte del suo vicario ha consentito alla politica locale di portare avanti una certa autonomia. Senza rinunciare alla rappresentanza nella chiesa di S. Dalmazzo, la compagnia della Misericordia gestisce la propria chiesa dedicata a S. Croce. La cittadinanza e l’appartenenza alla compagnia della Misericordia rappresentano canali di affermazione della comunità del Borgo rispetto all’autorità vescovile. Costituiscono inoltre elementi di definizione della località, che si distingue per i suoi privilegi all’interno di un’area omogenena (diocesi). Se da una parte il Borgo dimostra di avere una spiccata propensione a delineare la comunità nei suoi diritti, non ha allo stesso modo facilità a definire il proprio territorio. Territorio che al dissolvimento della giurisdizione monastica risulta di difficile gestione per i pascoli e i boschi, nonché per gli usi civici disseminati in valle Gesso e in valle Stura. Con la decadenza del monastero, infatti il comune del Borgo aveva ereditato un «territorio indefinito», ovvero una situazione di beni collettivi a cui hanno accesso diverse comunità a vario titolo e un insieme di diritti sparsi su una vasta area.
Con l’avvento della perequazione sabauda, ma già a seguito delle precedenti riorganizzazioni amministrative, gli abitanti di Roccasparvera e di Gaiola avevano provveduto a registrare dei possessi nella regione di Pian di Quinto. Detta area di proprietà dell’abbazia e inclusa nella giurisdizione del Borgo, era stata concessa in uso anche agli altri luoghi, sudditi dei monaci. Attraverso la rivendicazione di tali possessi e degli usi civici lì esercitati i due comuni limitrofi tentano di spostare a loro favore i confini giurisdizionali (AST, Camera dei Conti, art. 615, Sommario della lite e ragione della comunità del Borgo S. Dalmazzo per la registrazione de beni e pagamento de’ carichi della regione Pian di Quinto, contro la Comunità e Particolari di Rocca Sparvera e Gagliola, possidenti beni in essa regione). Borgo S. Dalmazzo intenta un clamoroso atto possessorio per rivendicare tale regione: ovvero ricostruisce la cappella campestre dei SS. Grato e Bernardo. Si è già rilevata una certa corrispondenza tra alpeggi e boschi comunitari e la presenza di cappelle campestri. Luoghi di culto sono edificati su territori dal regime giuridico controverso per imporre una più forte autorità sull’area, attraverso il simbolico controllo dell’omaggio devozionale (cfr. la scheda dedicata a Ormea). La cappella campestre diventa uno strumento per ribadire la giurisdizione di un territorio: simbolo della frequentazione di un luogo in cui si esercitano degli usi civici, il provvedere alla cappella assume le caratteristiche di un atto possessorio, come condurre animali al pascolo o raccogliere la legna. Con la ricostruzione di uno spazio sacro «già esistente nel recinto del paese», Borgo S. Dalmazzo non solo ribadisce i limiti territoriali, ma ripristina una subordinazione dei paesi vicini che usufruiscono del luogo (AST, Corte, Paesi per A e B, mazzo 40, fasc. 5: Informazioni e sentimento del Vice Intendente sopra il ricorso della Comunità di Borgo S. Dalmazzo per il permesso di riedificare la cappella campestre dedicata ai SS. Grato e Bernardo già esistente nel recinto di detto luogo, regione del Piano di Quinto [16 aprile 1771]). La regione Piani di Quinto risulta infine spartita tra i tre comuni che ne comprovano lo sfruttamento. A Gaiola spetta la parte verso il fiume Gesso, cossicché Roccasparvera e Borgo devono chiedere il permesso per costruire un canale d’irrigazione che serva l’area.
Altro fronte di questioni territoriali, ben più articolato, è quello relativo ai boschi di Aradolo e ai pascoli di Andonno. La presenza monastica aveva infatti creato delle vaste aree di beni che venivano messi a disposizione dei suoi “sudditi” e concesse in enfiteusi ai feudatari locali. Questa situazione determina la mancanza di esperienza e l’incapacità per il Borgo di contrattare la condivisione di risorse con gli altri comuni, tanto da avere difficoltà a regolamentare e gestire le aree di condominio (cfr. la scheda dedicata a Chiusa Pesio). A fine Seicento, consistenti agglomerati abitativi, che risiedevano stabilmente su aree promiscue, vollero assumere una propria identità comunitaria, sulla base della proprietà territoriale. A ciò contribuì anche la riforma fiscale che rivalutava in particolare i terreni di montagna, attribuendo nuova capacità contributiva e autonomia finanziaria. Il caso della comunità di Aradolo, supportato dal marchese di Roccavione, feudatario del luogo, si profila come una contrapposizione economica sulle risorse pascolative tra il potere feudale e quello comunale (cfr. la scheda dedicata a Roccavione) (AST, Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2 [1673]; AC Borgo San Dalmazzo, Relazione di misura dei beni dei particolari di Aradolo per ordine della Comunità di Borgo S. Dalmazzo [1721]; Procura dei particolari di Aradolo. Rappresentanze del Marchese feudatario [1774]; Atti sommari civili della Comunità di Aradolo contro Comune di Borgo S. Dalmazzo [1767]). Gli abitanti del cantone di Aradolo ottengono l’erezione in comune nel 1761. È però una fase transitoria di autonomia, sia per il nuovo vigore che il comune del Borgo acquisisce all’interno dei domini sabaudi, sia per l’ingerenza di comuni limitrofi con ambizioni di espansione giurisdizionale. Il comune di Andonno cerca di attrarre gli Aradolesi e i beni a loro riconosciuti entro la propria giurisdizione, appoggiato dal comune di Valdieri, che intendeva potenziare le proprie risorse pascolative. Trova comunque l’opposizione non solo del Borgo, che con i diritti di Aradolo sui pascoli di Andonno riequilibra il rapporto delle sue risorse territoriali (cfr. AST, Camera dei Conti, I archiviazione, t. III, mazzo II, fasc. 2: tab. 4 delle statistiche 1741-1753), ma anche di Roccavione, che a questo punto avanza antichi diritti di sfruttamento su quell’area indivisa per lungo tempo (cfr. la scheda dedicata a Roccavione) (AC Borgo San Dalmazzo, Liti: Aggregazione del cantone indiviso di Aradolo contro Comune di Borgo S. Dalmazzo [1828-1837]; Opposizione Comune di Roccavione [1828-1851]; Rivendicazioni dei beni comunali situati nel Cantone di Aradolo [1852-1957]; AC Borgo San Dalmazzo, fasc. 6: Delimitazione dei confini comunali: Atti relativi all’aggregazione del cantone di Aradolo al Comune di Borgo S. Dalmazzo e regolarizzazione dei confini 1828-1849).
Tutte le successive fasi relative all’accorpamento statale dei comuni giostrano intorno alla ridefinizione dei confini comunali lungo l’area interessata dal condominio di Aradolo-Andonno, fermo restando l’espansione del comune del Borgo sul cantone di Aradolo. Il comune del Borgo afferma quindi la sua superiorità giurisdizionale rispetto ai comuni della val Vermenagna, mentre rispetto alla valle Gesso la ridistribuzione delle risorse territoriali è più complessa. Valdieri ottiene l’aggregazione di Andonno, anche se alcuni boschi vengono annessi ancora al Borgo (loc. La Bruna) (AC Borgo San Dalmazzo, mazzo 72: Verbale di delimitazione del territorio delle Comunità di Borgo S. Dalmazzo, Roccavione e Andonno in dipendenza dell’aggregazione dell’intero cantone d’Aradolo alla comunità del Borgo [1838]; Verbali di delimitazione del territorio comunale [1888-1894]). A fronte di questo assetto dei limiti comunali il territorio del Borgo risulta costellato da insediamenti abitati di più o meno piccole dimensioni, mentre è privo di beni demaniali “dispersi”, essendo riuscito a procurarsi una continuità territoriale dall’attribuzione prima incerta.
Lo scioglimento della promiscuità di pascolo fra le frazioni di Andonno (comune di Valdieri) e Aradolo La Bruna (comune di Borgo S. Dalmazzo) risale al 1954, quando vengono legittimate ai frazionisti delle due località porzioni di pascolo. Risulta invece ancora al 1993 l’uso civico di pascolo a favore del cantone di Aradolo sul comune di Valdieri (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella n. 25 [dicembre 1954]; cartella 25 bis.). L’ampio bacino di risorse economiche, anticamente controllato dal monastero, si prospetta alla fine del XV secolo come area di espansione delle comunità della valle Gesso e di Roccavione. Diversamente la val Vermenagna trova un’altra zona di sfruttamento, sulla rotta dei traffici intercomunali, costituita dai boschi di Robilante e Boves. Con difficoltà dunque, e non senza l’appoggio sabaudo, il Borgo riesce a garantire, nel lungo periodo, ai suoi abitanti, l’accesso al patrimonio collettivo di un’area più vasta rispetto a quella più ristretta, che va a circoscriversi nei confini territoriali, delimitati dalla capacità d’imporre l’autorità comunale.