Castagnole Monferrato

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2005
Anno RevisioneIn aggiornamento
Provincia
Asti
Area storica
Basso Monferrato.
Abitanti
1234 (dato aggiornato agli elenchi Istat del 2001).
Estensione
1726 ettari.
Confini
Grana, Scurzolengo, Refrancore, Montemagno, Portacomaro (e Migliandolo), Calliano, Viarigi, Asti e Castello di Annone (Al).
Frazioni
Valenzani; Valvinera; Case sparse.
Toponimo storico
«Castagnolis» nel 1261 [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, pp. 92-93], «Castagnolis de Montesenato» nel 1283 [ivi, p. 283; sic per «Monteferato»], «Castagnolis de ultra Versa» nel 1311 [COTTO, FISSORE, FRANCO 2002, pp. 228-229].
Diocesi
La dipendenza di Castagnole dalla diocesi di Asti è attestata sin dalla metà del XIII secolo, grazie ad atti di compravendita che videro coinvolti il capitolo della cattedrale e i presbiteri delle chiese del paese. Risale al 1311, per esempio, la Carta Rollandini Alferii, firmata «in canonica maioris ecclesie Astensis», con la quale «Alionus, rector et minister ecclesie Sancti Martini de Castagnolis de ultra Versa», acquistò un mutuo di 6 lire astesi dall’Alfieri con promessa di restituire la somma entro un anno. Tra i testimoni è registrato anche «Guillelmo, rectore et ministro ecclesie Sancte Eufemie» [COTTO, FISSORE, FRANCO 2002, pp. 228-29]. Guglielmo presenziò anche alla lettura di una dispensa accordata dal vescovo Guido a Giacomo, rettore delle chiese castagnolesi di San Martino e Santa Margherita, «Astensis diocesis», affinché, nonostante il dovere di residenza, potesse «per triennium ad studium huismodi profisci» [ivi, pp. 357-359, 30 maggio 1315]. Lo stretto legame tra il luogo e la diocesi trapela anche dalla presenza di vari notai o testi castagnolesi tra le carte dell’Abbazia di San Bartolomeo di Azzano, titolare di svariati beni sul territorio episcopale [COTTO, FISSORE, NEBBIA, 1997, vol. II, passim].
Pieve
Nessuna attestazione.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Da un elenco dei beni posseduti dalla Chiesa d'Asti a Castagnole stilato nel 1261 [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, pp. 92-93] risulta che all'epoca era presente in paese la chiesa intitolata a San Martino, con il sito della quale confinavano alcuni dei possedimenti misurati per l'occasione dal canonico Giacomo di Montemagno. Per lungo tempo fu l’unica parrocchiale, ma nel 1574
puoi che l’università et homeni del luogo di Castignole, territorio di Monferrato et diocesi d’Ast, conosendo l’incommodità et disagio grande che patischano per la distanza della chiesa parochiale di Sancto Martino, quale si trova situata fuori delle mura, et molto distante dal luogo, alla quale gli conviene andare con incommodo di fanghi caldi et freddi, cosa che il più delle volte è periculosa, massime alli fanciulli quali si portano al batesmo, et quali per li mali tempi puono facilmente venir a morte per viaggio in vece della vitta quale per meggio del battesmo andavano per acquistare
sindaci e consiglieri municipali chiesero e ottennero di potersi servire di un nuovo edificio da essi fatto costruire entro la cinta muraria «sotto l’invocatione di Sancta Maria Nova» [AsCC, Culto, m. 163, fasc. 1, supplica allegata al capitolato tra la comunità e il mastro costruttore Giovanni Petrino Capra di Casale, 15 agosto 1574]. La chiesa sarebbe stata retta mediante il beneficio riconosciuto a San Martino, incrementato per l’occasione, e officiata dallo stesso curato. Questi, anzi, «poiché essi homeni voleno degnamente conservar devotione et religione presso…Sancto Martino…per essere sua antiqua parochiale nella quale hanno di continuo tolti li sacramenti et…sepulto li suoi antecessori», avrebbe dovuto celebrarvi comunque una messa al giorno. Quanto a Santa Maria, secondo i patti con il Capra, fu edificata con materiali provenienti da Susa (per il tetto), Viarigi e Altavilla.
In effetti, in un atto non datato ma probabilmente di poco successivo, si dice che «populus Castignolarum est divisus in duas ecclesias parrochiales», una delle quali è San Martino; l’altra, però, è dedicata a Sant’Eufemia e per questa si richiede un nuovo parroco, non riuscendo don Giacomo Cotto a seguire la cura spirituale di entrambe [ivi, fasc. 11]. Lo stesso riferisce Saletta intorno al 1713: «Altre volte vi erano due chiese parochiali, cioè la sopradetta di San Martino, et l’altra di Sant’Eufemia sitoata fuori della terra in distanza di un quarto di miglia» [SALETTA, c. 55v; ma cfr. anche la voce Diocesi]. La chiesa di Santa Maria era, probabilmente, quella del castello, andata poi distrutta con l’edificio e con la cinta muraria [Castagnole Monferrato 1994].
Del 1623, invece, è la richiesta di poter ripristinare il culto presso la chiesa campestre di Santa Margherita, in territorio astigiano, nella quale «se gli celebrava con grandissima devotione sì dalli terrazzani como da forestieri»; il luogo sarebbe stato addirittura teatro di guarigioni miracolose [ivi, fasc. 2, supplica del 18 luglio]. Non si ha notizia di interventi immediati, ma la sopravvivenza dell’edificio è testimoniata dalle spese di restauro deliberate nel 1878. Con il tetto di Santa Margherita, fu riparato anche quello di un’altra chiesetta campestre, dedicata a San Rocco e forse posteriore alla pestilenza del 1630 [AsCC, Culto, m. 163, fasc. 16, 1878].
Negli anni Trenta del Settecento la municipalità decise di far costruire una nuova chiesa, ma il progetto restò lettera morta per almeno vent’anni: la legna «imbarcata o sia ammassata nel fosso del Pallone vicino a San Martino» in vista del cantiere fu piuttosto oggetto di furto da parte di Pietro Francesco Rosso, castagnolese, che si difese dicendo che «ne prendeva chi ne voleva, se ben clandestinamente, siccome della costruzione della nuova chiesa neppur più si parlava» [ivi, fasc. 7, 28 aprile 1753, deposizione rilasciata dal Rosso presso la curia di Asti].
Alla fine si optò per il restauro di Santa Maria, bisognosa di interventi di consolidamento della facciata: i lavori di «riparazione del cornicione esteriore…in diversi luoghi staccato…e prossimo a rovinarse con danno anche de’ passeggieri» furono deliberati nell’aprile del 1796, con un finanziamento di 300 lire utile anche a rifare il tetto [ivi, fasc. 10]. Ma anche l’antica parrocchiale di San Martino fu ricostruita sul sito della precedente per la quale, grazie al ritrovamento di due acquasantiere del 1489, è stata suggerita un’origine risalente almeno al XV secolo [Castagnole Monferrato 1994]. Tornata a essere il luogo di culto di riferimento dell’abitato, San Martino fu nuovamente restaurata nel biennio 1846-87, con interventi sulla torre campanaria e la rifusione delle campane [AsCC, Culto, m. 163, fasc. 13].
Tra il 1849 e il 1860 fu restaurata anche la chiesetta (detta «cappella») di Sant’Antonio della borgata Calcini-Valenzani, molto frequentata dagli abitanti della frazione [ivi, fasc. 14-15, appalti per i lavori e offerte dei fedeli].
Un cenno, infine, alle associazioni di culto laicali. Con circolare del 13 ottobre 1766, l’Intendenza di Casale promosse un’indagine su «quali e quante sieno le compagnie confraternite» della provincia [ivi, fasc. 8]. A Castagnole ne furono censite quattro: quella del Santissimo Sacramento; quella del Rosario; «una de disciplinanti sotto il titolo della Ss.ma Annonciata» e quella di San Michele. La Compagnia del Sacramento «non si può rinvenir da qual tempo sii eretta», ma era la maggiore, gestita da un priore eletto annualmente. Non possedeva beni immobili, ma sette censi capitali ammontanti alla cifra complessiva di £ 886 annue. Un solo censo, invece, toccava alla compagnia del Rosario, legata comunque a quella del Sacramento. La confraternita dei disciplinanti «è da tempo immemorabile che resta eretta», anche se riconosciuta da Roma solo con patenti del 19 agosto 1699. Si reggeva anch’essa tramite priore e con un consiglio di 12 membri; gli affiliati portavano «l’abito di tela grossa, con disciplina, a corto», e potevano far affidamento su alcuni «beni stabili tutti allodiali» (appezzamenti di vigneto, prato, bosco, gerbido), del valore di 400 lire circa. L’abito dei confratelli di San Michele, invece, era di stoffa bianca; statuti e regolamenti erano modellati su quelli dei battuti, e il sostentamento era garantito da 15 censi capitali che arrivavano a £ 1130.
Assetto Insediativo
Per la descrizione del luogo in età moderna, può valere l’incipit della voce che gli dedicò il segretario ducale Giacinto Saletta a inizio Settecento: «Castagnole, terra del Monferrato tra li fiumi Po e Tanaro, consiste in un recinto bislungo con muraglie tutto all’intorno, et quantunque, verso il mezogiorno, se ne trovi caduta qualche parte, è però capace a ripararsi dalle scorrerie accidentali. Altre volte vi era un castello nel sito alquanto più eminente appresso la chiesa intitolata di Santa Maria Nuova, di cui se ne vedono ancora le vestigia» [SALETTA, c. 55]. La forma oblunga, tuttora riconoscibile, pare frutto dei successivi arroccamenti del centro abitato, un tempo concentrato nelle vicinanze del castello (di origine medievale, ma andato distrutto nel corso del XVIII secolo), quindi spostatosi progressivamente verso la chiesa di San Martino, ritenuta periferica nel Cinquecento ma divenuta cuore della vita municipale, insieme con la casa comunale, già in Antico Regime. Saletta individuava anche l’esistenza di due borghi, «l’uno chiamato di San Sebastiano, verso l’occidente, l’altro di Molvetio, o sia capo di villa, verso il mezogiorno, nelli quali abita la maggior parte di quel popolo» [ibidem].
Il rinnovamento delle consuetudini igienico-sanitarie in epoca napoleonica e post-napoleonica, così come un discreto incremento demografico a inizio Ottocento, portarono infine alla costruzione di un nuovo cimitero negli anni 1832-33 [ASTO, Corte, Paesi per A e B, C, m. 31, fasc. 12].
Luoghi Scomparsi
Nessuna attestazione.
Comunità, origine, funzionamento
È nota la presenza di delegati di Castagnole ai parlamenti monferrini di Trino (1306) e di Chivasso (1309), al momento dell’insediamento della dinastia dei Paleologo. Per il periodo precedente, esattamente per il 1255, è attestata a Scurzolengo l'attività di «Petrus Varvellus de Castagnolis, notarius sacri palatii», il quale, il 9 maggio, rogò un contratto d'affitto tra Guglielmo Pagano, locatario, ed Enrico Marcoaldo [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, p. 74].
Catasti
Come per altre località monferrine, per Castagnole si dispone di un Catasto descrittivo piuttosto precoce, risalente al 1535 (ivi, m. 127). Si tratta di un registro voluminoso legato in pergamena, in folio, di circa 200 carte r/v (cc. I-CXIII; cc. 114-132; cc. non numerate), mutilo del frontespizio e privo di rubrica. Tra i particolari registranti (elencati per lo più in ordine alfabetico, ma di nome di battesimo) spiccano gli Albaretto e i De Santis, e si nota la presenza di forestieri (soprattutto di Grana, ma anche di Montemagno, Moncalvo, Felizzano…). Per l’epoca gonzaghesca, invece, non si ha attestazione di nuovi catasti o dell’aggiornamento del vecchio libro, salvo un Summarium registri universalis Castignolis redatto il 22 marzo 1600 dai ragionatori comunali Domenico Rosso e Ruffino Vaio [ivi, m. 139, fasc. 1]. Si dovettere attendere la dominazione sabauda perché anche Castagnole, come buona parte dei villaggi del Monferrato, fosse provvisto di mappe figurate. Sono raccolte ne Il Campagnolo, o sia libro figurato di tutti li beni esistenti sul territorio di Castagnole Monferrato estratto dalla mappa formata dalli sig.ri agrimensori Gianpietro Ferraris, di Giuglio Cesare, del luogo di Viarigi, e Gioanni Fresia, fu Giuseppe, del luogo di Pieja…li 13 aprile 1759, e corretta da me misuratore Piazzato, geometra sottoscritto, nelli anni 1764, 1765 e 1766 [ivi, m. 129; ne esiste una copia rivista del 1769, ivi, m. 130]. Per un elenco dettagliato dei toponimi delle località che facevano parte del territorio comunale si può scorrere l’Indice delle regioni del 1769 [ivi, m. 139, fasc. 6].
Dipendenze nel Medioevo
Ceduto a Guglielmo di Monferrato da Federico I nel 1167, il luogo rientrava comunque nel raggio di azione del Comune di Asti. La presenza di nobili astigiani sul territorio di Castagnole è attestata sin dal Medioevo: da un atto del 22 ottobre 1283 [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, pp. 277-279], mediante il quale Giribaldo Pelletta, emancipatosi dal padre Manfredo, rinunciò a tutti i diritti che poteva vantare nei confronti di Giacomino e Guglielmo Rotolo, si ricava che questi consistevano in beni, fitti e prerogative su «terris, vineis, possessionibus que fuerunt predictorum consurciorum de Castagnolis, quasi ipsi fratres tenent» e che prerogative simili avevano in loco i domini Rolandino e Raimondo Cacherano. Tuttavia, la signoria dei marchesi di Monferrato finì col prevalere a partire dall’opera di consolidamento del potere marchionale promossa da Teodoro I Paleologo e Castagnole, luogo di passaggio per le truppe impegnate a contrastare gli attacchi di Asti, Alessandria e Milano (nel 1391 vi alloggiò il celebre condottiero Facino Cane), seguì le sorti del territorio fino alla fine dell’Antico Regime.
Feudo
L'esistenza di domini di Castagnole emerge da un documento del 1266, redatto «in platea Sancti Martini de Castegnolis», con cui «Fredericus domini Iacobi de Castagnolis» cedette a Enrico de Fiareto e a Vercello Borchesso, anch'essi di Castagnole, tutti i diritti a lui spettanti «contra Cunradum Asparellum et contra Wilelmum eius fratrem», ammontanti a 11 lire astesi [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, pp. 101-102]. Vent'anni più tardi circa è attestata anche la presenza di nobili astigiani: da un atto del 22 ottobre 1283 [ivi, pp. 277-279], mediante il quale Giribaldo Pelletta, emancipatosi dal padre Manfredo, rinunciò a tutti i diritti che poteva vantare nei confronti di Giacomino e Guglielmo Rotolo, si ricava che questi consistevano in beni, fitti e prerogative su «terris, vineis, possessionibus que fuerunt predictorum consurciorum de Castagnolis, quasi ipsi fratres tenent» e che prerogative simili avevano in loco i domini Rolandino e Raimondo Cacherano.
In epoca gonzaghesca, nel 1531, alcune quote di giurisdizione del luogo furono vendute dalle eredi femmine del defunto marchese Giovanni Malaspina e acquistate dal conte Giovanni Battista Lodrone, ma a fine secolo la comunità chiese e ottenne di rientrare in possesso di alcuni beni allodiali [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 23, fasc. 3, supplica del 19 ottobre 1596, con decreto ducale favorevole]. Si trattò, di fatto, di un’infeudazione con poche ricadute sul territorio, dal momento che i Lodrone – nobili trentini legati a filo doppio alla corona spagnola in Lombardia – non ebbero particolare interesse a reggere il paese monferrino. Di qui la caducità dei beni del Lodrone la cui linea, estintasi senza eredi, perdette i diritti sul feudo già a metà Seicento. Verso la fine del secolo, avviò trattative per acquistarlo il nobile casalese Giovanni Battista Ardizzo [ivi, fasc. 8 e 9, s.d.; cfr. anche SALETTA, c. 56-59]. Intanto, il 17 gennaio 1606 di metà del feudo era stato investito il marchese Ippolito Gonzaga, cugino del duca Vincenzo I , il quale poi l’aveva alienata un anno più tardi al gentiluomo modenese Giacomino Rangone. L’altra metà, nel 1635, fu acquisita dal cavaliere dell’Ordine del Redentore Annibale Lanzoni, mantovano. Dai suoi discendenti, la porzione fu venduta ai Falletti di Barolo, e Girolamo Falletti, nel 1662, ne fu investito dal duca Carlo II Gonzaga Nevers. La famiglia continuò a possedere il feudo anche sotto i Savoia, con titolo di marchesato a partire dal 1749 e per tutto l’Antico Regime [MANNO, vol. II, p. 167].
Mutamenti di distrettuazione
Come le località limitrofe, dall’assegnazione del marchesato (ducato dal 1578) di Monferrato ai Gonzaga (1536) all’estinzione della dinastia (1708), Castagnole ha continuato a far parte del piccolo stato, restando compreso nella provincia di Casale istituita da Guglielmo Gonzaga negli anni Settanta del XVI secolo. Con il passaggio del ducato ai Savoia, la provincia e i suoi contorni restarono sostanzialmente invariati e nella documentazione fiscale d’inizio Settecento, Castagnole vi risulta sempre compresa [ASTO, Sez. Riunite, Prima Archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 1, fasc. 7, 1729, Ricavi e stati dell’ordinario…]. In seguito all’età napoleonica, e nel corso del XIX, fu soggetto al mandamento di Montemagno, a sua volta compreso nella provincia di Casale e nella divisione di Alessandria [CASALIS, p. 78]. Nel 1935, all’atto della costituzione dell’attuale Provincia di Asti, il comune di Castagnole fu infine ascritto alla nuova ripartizione amministrativa, e vi appartiene tuttora.
Comunanze
Tra le prime attestazioni documentarie rintracciate riguardo i beni comuni, può essere citata una vendita fatta dal conte Giovanni Battista Lodrone, il 14 aprile 1540, alla comunità di Castagnole di alcuni fondi «nelle contrade di Monzio, Pogiangio, Cisma di Martina, Majole, Martina, Castrovelle, Barcara, Valgiara, Serraprone, Bra di San Martino, Valmarza, Ostiolo, Valleriasca, Montealto, Ortello, Corno, Remondato, Prato bellino, Fiaretto, Laretto, Vadonia, Campobuono, Strosa, Monstifono, Prato Ghisberto, Valvineria, Stantia, Costafalla, Vallemorato, Malzapello e Vallescucifero» al prezzo di 600 scudi d’oro del sole [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Confini, C, 25, c. 10, 17]. Si tratta – come dimostrano alcuni documenti di fine Cinquecento [ASTO, Corte, Paesi, Feudi per A e B, m. 23, fasc. 3, memoriale del 19 ottobre] – di beni in parte venduti a privati del luogo, in parte gestiti poi dalla municipalità per sfruttare le risorse boschive.
È però nell’Ottocento che il dato delle comunanze si fa più evidente, con la vendita da parte della municipalità di suoi appezzamenti a privati [ASTO, Corte, Paesi per A e B., C, m. 31, fasc. 3, 1822; fasc. 15, 1843; ASCM, Beni comunali, m. 54, fasc. 5, Vendita beni comunali, 1855-56; 1891-1892; ivi, fasc. 9, 1876-77], o con la rivendicazione di terreni usurpati da terzi [ASTO, Corte, Paesi per A e B, C, m. 31, fasc. 9, 1830].
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Castagnole Monferrato).  Riordino e inventario di Doretta Freilino (2003-04)
Il fondo degli Ordinati comunali prende avvio con il registro 1621-33, ma è parzialmente lacunoso sia per il XVII secolo sia per la prima metà del XVIII (vol. II, 1647-53; vol. III, 1655-63; vol. IV, 1663-69; vol. IV, 1688-1724; vol. V, 1745-64). Risulta poi completo da metà Settecento a metà Ottocento.
Altrettanto parziale risulta la serie degli Atti di lite, che contempla pochi materiali seicenteschi e qualche lite di rilievo per il secolo successivo:
b. 33, fasc. 5, Della comunità di Castagnole Monferrato contro la comunità di Scorzolengo, Astigiano, 1744;
ivi, fasc. 6, Atti della comunità di Castagnole Monferrato contro particolari di Refrancore, 1752;
ivi, fasc. 7, Lite tra Castagnole e Grana per questioni territoriali, 1762;
ivi, fasc. 8, Transazione tra Castagnole e Refrancore, 1763;
ivi, fasc. 9, Transazione di questione territoriale fra le comunità di Annone, di Refrancore, prov. di Alessandria, e quella di Castagnole, prov. di Casale, 1763.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino ):
Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 23 (1589-1698);
ivi, Monferrato, Confini, C, 25;
Giacomo Giacinto SALETTA, Ducato di Monferrato descritto per il segretario Giacomo Giacinto Saletta, s.d. (ma inizio XVIII sec.), 7 voll., vol. II, Ducato del Monferrato tra li fiumi del Po e Tanaro e di là dal Po, cc. 55-62v;
ivi, Paesi per A e B, C, m. 31 (qui sono raccolti – corredati di tipi e disegni - gli atti di lite con Scurzolengo e Migliandolo per i secc. XV-XVII);
Sezioni Riunite, Prima Archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 1, fasc. 3, 1708-13, Stato delle debiture del Monferrato…dal 1573 in qua
Bibliografia
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Descrizione Comune
Castagnole Monferrato
Le caratteristiche che forse maggiormente colpiscono chi osservi le vicende storiche di Castagnole sono la dipendenza dalla città di Asti – nel Medioevo ma anche durante la prima età moderna – e nel contempo la piena appartenenza al Monferrato e alle sue strutture politico-amministrative. La prima è resa evidente dal raggio d’influenza e di autorità della diocesi di Asti, che si estendeva appunto fino a Castagnole, ai confini con le terre attribuite alla diocesi di Casale al momento della sua creazione (1476) e un tempo parte astigiane e parte vercellesi. Una delle più antiche attestazioni della presenza della Chiesa d'Asti sul territorio di Castagnole è data dall'elenco dei beni da questa posseduti in loco nel 1261 [COTTO, FISSORE, GOSETTI, ROSSANINO, 1986, pp. 92-93]. Secondo la ricognizione e la misurazione effettuata «per magistrum Iacobum de Montemagno Astensem canonicum», le proprietà, gestite da abitanti del luogo, erano dislocate in varie zone: «ubi dicitur in Serra Perono», nel concentrico del paese nei pressi della chiesa di San Martino, «in valle Moratii», «in Serra Leçano» e «in valle Moroni». Di varia estensione (da 1 a 6 stara), esse consistevano in orti, vigneti, prati e coltivi i cui proventi andavano destinati ai canonici di Asti. Si può ricordare che tra questi, già a partire dal 1237, si trovava un «dominus Willelmus de Castagnolis», presente alla stipula di alcuni contratti tra il capitolo della Cattedrale e alcuni privati [cfr. ivi, p. 36, 1237, settembre 9; p. 60, 1249, ottobre 15], e che per il 1295 si registra un altro canonico proveniente da Castagnole, Filippo, che permutò alcuni beni siti in territorio astese con Raniero Rotario [ivi, pp. 424-427, 1295, aprile 22]. Dalla dominazione Paleologo in avanti, tuttavia, Castagnole divenne parte integrante del Monferrato e come tale si vide riconosciuti gli Statuti e i maggiori diritti (nomina del podestà e esportazione gratuita dei vini) sia nel 1385 sia nel 1449, con ulteriori riconoscimenti sotto i Gonzaga e una nuova conferma del libro statutario nel 1671 [ASTO, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 23, fasc. 5, supplica del 23 novembre, con decreto ducale favorevole]. Durante la seconda metà del XVI secolo il paese subì presumibilmente un incremento demografico e uno spostamento del centro abitato; a questo, almeno, farebbe pensare la costruzione della parrocchiale di Santa Maria, voluta nel 1574 in alternativa all’antica parrocchiale di San Martino, ormai fuori dal recinto murario e luogo di culto esclusivamente cimiteriale [cfr. Altre presenze ecclesiastiche]. Tuttavia, la questione meriterebbe un approfondimento sulla base di un maggior scavo documentario. Sul Registro delle chiese della Diocesi di Asti del 1345 gli edifici di culto segnalati per Castagnole sono le «ecclesie Sancte Margarite et Martini…unitarum et invicem», debitrici di 18 lire alla pieve di Grana, e quella di Sant’Eufemia, che gliene pagava 20 [BOSIO 2003, pp. 124 e 525]. Le stesse titolature ritornano tra Cinque e Seicento, quando San Martino e Sant’Eufemia risultano essere due distinte parrocchiali e Santa Margherita una chiesetta campestre ancora frequentata per funzioni particolari. Si può forse supporre un cambio di denominazione per la parrocchiale eretta a fine XVI secolo, con il ritorno al nome di San Martino cui era più affezionata la popolazione (e lo è tuttora, essendo rimasta la chiesa l’unica parrocchiale) e l’utilizzo di Sant’Eufemia per gli abitanti del borgo meno centrale. È anche il periodo per cui si registra qualche attrito con la feudalità, a dire il vero non troppo presente nella vita della comunità. Già feudo dei Malaspina nel Quattrocento, quindi dei Lodrone a partire dagli anni Trenta del secolo successivo, Castagnole sembra avere con i suoi signori un rapporto intermittente, non foss’altro per l’effettiva lontananza dei vassalli di origine trentina. I Lodrone vendettero poi le loro quote di giurisdizione agli Ardizzi, di Casale, e al cugino del duca Ippolito Gonzaga, ma nel 1596 la comunità supplicò il Magistrato camerale di voler lasciare immuni alcuni beni riscattati dagli eredi del casato: erano divenuti, infatti, comuni e venivano o alienati o sfruttati direttamente dagli uomini del paese [ASTO, Corte, Paesi, Feudi per A e B, m. 23, fasc. 3, memoriale del 19 ottobre]. Due anni prima si era anche tentato, invano, di impedire che il reverendo Carlo Clemente Tizzone, beneficiario di parte del tasso ordinario di Castagnole, lo versasse alle monache di Santa Caterina di Casale come dote di sua sorella Clara [ivi, fasc. 2, supplica del 15 novembre, contestuale al contratto di cessione]. L’importanza dell’utilizzo di quei beni per la comunità è testimoniata da nuove rivendicazioni sporte in merito nel 1676 e nel 1698, in anni difficili per il peso delle contribuzioni militari e per la transizione del feudo ai Falletti [ivi, fasc. 7]. Ma al di là di queste dinamiche feudali (e di quelle sociali, cui qui non è possibile dedicare troppo spazio), Castagnole visse momenti cruciali per quanto riguarda la sua sistemazione territoriale, resa articolata dalla morfologia della zona e dalla prossimità di altri piccoli centri abitati dell’Astigiano, dunque sabaudi. Nella sistemazione dei confini di Castagnole fu importante, innanzitutto, il confronto con il luogo di Scurzolengo, appunto in provincia di Asti [Raviola 2003]. Un primo accordo tra le due comunità è datato 1443 ed è una transazione mediata dal governatore di Asti Ottolino Zoppi e il marchese Giorgio del Carretto, commissario del marchese di Monferrato [ASTO, Paesi, Monferrato, Confini, C, 25, cc. 6-9v]. In quell’occasione furono posti alcuni termini lapidei tra i boschi di Castagnole e quelli di Scurzolengo, in particolare «in capite Vallispolline», cioè in corrispondenza della strada «versus Montemgretonum», in una zona di terreni incolti e gerbidi. Si stabilì anche l’immunità dei carichi per gli abitanti di ciascuno dei due luoghi che avessero beni registrati nell’altro, e si fissarono anche meglio i confini con Calliano. Un secolo più tardi, tuttavia, la strada di Valpollina (o Valpollana) presso la quale era stato posto il discrimine divenne motivo di conflitto: nel febbraio del 1549 il sito fu visitato dal delegato marchionale Percivalle Callori [ivi, cc. 19-20], ma i nuovi termini furono ricusati e ulteriormente modificati nel 1578, a seguito dell’intervento del duca di Mantova e Monferrato Guglielmo Gonzaga e del suo commissario Antonio Nerli e, per parte di Asti e del ducato di Savoia, del senatore Nicolò Ayazza [ivi, cc. 25-35, 11-13 ottobre 1578]. Recatisi sul posto conteso, i visitatori trovarono su una collinetta «una piedra negra in piedi, longa un piede e mezzo,…con una croce in cima». Quella, per gli uomini di Castagnole, segnava l’inizio delle loro prerogative in regione Pollina. Per Scurzolengo, invece, la pietra giaceva al limite di terreni di proprietà di alcuni suoi abitanti (Ercole Bergoglio, Damiano Cusotto) e ugualmente dubbia, a loro parere, era l’appartenenza di una fontana, anch’essa detta Pollina. In zona si trovavano anche appezzamenti di particolari di Migliandolo (Guglielmo Raviola, Giovanni Bollano, etc.) e questo determinò l’insorgere di altre controversie territoriali: nel 1590 gli abitanti dell’attuale frazione di Portacomaro [Raviola 2003] furono accusati di aver volontariamente estirpato «un albero segnato con croce intagliata» che fungeva da termine [ASTO, Paesi, Monferrato, Confini, C, 25, cc. 42-43] e nei decenni successivi il conflitto assunse connotati sempre più violenti, fino a sfociare nell’omicidio di una donna, Anastasia Bottero, che si trovava a passeggiare in regione Valboscarda [ivi, cc. 56-69, 1665]. Il cadavere fu trovato dalle autorità in sito «puoco distante dalle fini dello stato di Savoia» [ivi, informativa del podestà di Castagnole del 15 marzo 1665, c. 57]. Si accertò subito che la vittima, «ferita nella golla et collo» da un colpo di archibugio, era figlia di «Bartholomeo Buttero, o sii Cachetto, qual sta sopra le fini di Migliandolo», e che era stata uccisa dai fratelli Carlo e Giovanni su mandato del marito tradito. Ma chi aveva il diritto di arrestare i colpevoli? La zona era finaggio di Castagnole, e dunque di pertinenza del duca di Mantova e Monferrato, o di Migliandolo, e dunque dipendente dal contado di Asti? Il problema giurisdizionale venne amplificato da uno scontro a fuoco tra gli assassini e un gruppo di soldati della milizia di Asti venuti a fare indagini sul delitto nella convinzione che fosse accaduto in territorio migliandolese. Secondo il Senato di Piemonte, «detti carcerati non solo sono originarii di Miandolo, terra del contado d’Asti, ma la captura d’essi è seguita in una vigna del territorio indubitato del detto luogo di Miandolo, e ne’ catastri d’essa registrata, restandovi anzi di là da detta vigna avanti che s’arrivi alla strada qual divide i due Stati, altri beni gerbidi et un bosco, tutti catastrati nel catastro predetto, et in consequenza, indubitatamente sottoposti alla nostra giurisdizione» [ivi, cc. 68-69, lettera del segretario Simoni al Senato di Monferrato, 14 aprile 1665]. I magistrati casalesi, che avevano in custodia i banditi, raccolsero invece testimoniali di segno opposto, come quello di Antonio Borello, dal quale emerge la complessità giurisdizionale della regione implicata: secondo lui era:
la pura verità che la strada qual comincia in un luogho detto la Moretta, o sii in fondo Timone, nel qual luogho v’è un montone di terra, termine divisorio tra li Stati di Milano, Piemonte et Monferrato, et seguita sino alla ponta de’ prati dell’Annunciata d’Asti e passa tra li beni del Cerretto di Quarto et del Sillano di Castagnole, traversando la valle de’ Cocini, e poi entra nella strada che viene da Asti a Castagnole,…è quella medesima strada ch’è sempre stata et è divisoria fra li due territori di Castagnole e Migliandole, cioè i beni che restano a banda dritta di detta strada verso levante sono indubitato finaggio di questo luogo di Castagnole, et posseduti da particolari e comunità del medesimo luogo, fra quali beni sono alcuni boschi feudali [ivi, c. 76].
Per di più, fecero sapere i casalesi al prefetto di Asti, «era grande ancora l’equivoco et errore suo, puoiché detta strada da lui indicata è un viotto, non haver faccia di strada come deve essere una strada divisoria de confini» [ivi, c. 80, relazione del patrimoniale Nicolò Gibelli, 22 aprile 1665]. La questione andò avanti per mesi, tra deposizioni, verifiche in loco e confronto con casi analoghi, come una lite recente tra Cocconato, Montiglio e Riva di Chieri (le prime due in Monferrato, l’altra in Piemonte) per l’alloggiamento di alcune truppe svizzere e sabaude [ivi, c. 98]. Si arrivò anche alla produzione di disegni esplicativi [ivi, cc. 110 e 150, anonimo], secondo una consuetudine che ha poche attestazioni per le epoche precedenti [COMBA 2002], ma prende invece piede in pieno Seicento, almeno in ambito padano [RAVIOLA 2007]. Non servì a un chiarimento, ma le carte e gli atti prodotti dalla parte piemontese – documenti estratti dall’archivio del Comune di Asti del 1550 e del 1580 – lasciano supporre che le ragioni di Migliandolo sulla regione Valboscarda fossero più solide e che la strada scelta come confine fosse effettivamente pubblica e usata sin dal Medioevo nei commerci tra Astigiano e Monferrato. Quanto alle liti di carattere territoriale che si sono conservate invece nell’archivio storico comunale, si tratta di materiali tardivi, di metà Settecento, concomitanti con le ricognizioni avviate dall’Intendenza e di poco antecedenti le operazioni di catastazione. La prima di cui si ha notizia riguarda ancora i confini con Scurzolengo, già riaggiustati nel 1677, e risale al 1744: Espone la comunità di Scorsolengo, in Astegiana, che fra le altre strade che trovansi sul di lei territorio ve n’è una denominata della Moia interamente sua propria privativamente alla comunità di Castagnole in Monferrato, luogo confinante: onde sempre per il passato, e sin a qui, li particolari di Scorsolengo et altri delle terre d’Astigiana in occasione di transito per essa con frutti et altre robbe, mai hanno levata alcuna bolla né pagato verun diritto di transito, il che avrebbero dovuto osservare quando veramente fosse stata di territorio di Monferrato. Il problema evidenziato dalla supplica di una delle due parti in causa [AsCC, b. 33, fasc. 5, 13 agosto 1744] è riconducibile alla più ampia questione dei transiti e dei diritti d’uso sul reticolato di strade di Monferrato e Piemonte. Si tratta, non a caso, di uno dei temi privilegiati dalla più recente storiografia sugli spazi sabaudi [CAVALLERA 2007; TORRE 2007].Per dimostrare la validità della sua richiesta di dazio, la comunità di Castagnole affermò che i beni di alcuni particolari di Scurzolengo contingui a quella strada erano accatastati a suo favore e che il tracciato viario soggiaceva alle stesse condizioni. «Trattandosi di differenza di territorii, l’uno della provincia d’Asti e l’altra di quella di Casale» [AsCC, b. 33, fasc. 5, 13 agosto 1744], i rappresentanti di Scurzolengo sporsero ricorso all’intendente di Alessandria Giovannini producendo «un estratto de’ libri di cattastro…da cui risulta che la strada di cui s’agisce non è stata descritta né dessignata per commune né divisoria del Monferrato a differenza d’altre strade quali, per esser state antichamente considerate per communi e divisorie col Monferrato, si sono ne’ detti catastri descritte» [ivi, 31 agosto, Nella causa di Scorzolengo Astiggiana sentita in persona del sig. dottor Lazari suo procuratore]. Il delegato di Castagnole, avvocato Ferrari, propose allora di effettuare una nuova ricognizione con il benestare del titolare del feudo, il marchese Falletti di Barolo [ivi, 23 settembre], ma il dato rilevante è l’importanza conferita al catasto quale mezzo dirimente in simili circostanze. Lo stesso accade in occasione di una controversia con Refrancore per l’esazione del «fumante» su alcuni terreni di confine. Castagnole se ne dichiarava autorizzata sin dai tempi di una concessione rilasciata dal marchese Giovanni di Monferrato il 9 maggio 1304 [ivi, fasc. 6, 15 giugno 1752, testimoniali dei delegati delle due comunità «avanti l’ill.mo sig. intendente generale e conservator generale delle Regie Gabelle» della provincia di Casale Secondo Domenico Bolla]. Riteneva perciò legittima la «pretesa d’esso fumante da forastieri d’alliena provincia, perché possessori di beni sul territorio di Castagnole». A suo sfavore, però, giocava un precedente giuridico: una sentenza del 1736 aveva infatti liberato dal vincolo del fumante castagnolese «li forensi di Scurzolengo» che possedevano terre in loco. E giocavano anche altri fattori: il fatto che il documento del 1304 non fosse stato «mai posto in esecuzione per il corso d’anni 360»; il fatto che quel diritto di esazione fosse già stato proclamato «nullo, vizioso ed inosservabile» da Carlo II Gonzaga Nevers nel 1661; il trattamento riservato in generale ai «forensi d’alieno stato, quando parlando indeffinitamente, dovevano anche così trattarsi li forensi di questa città di Casale, Grana e Montemagno, perché anche questi sono forensi rispetto a Castagnole»; un arbitrato del 1736 tra Asti e Quarto, che aveva esentato i particolari di quest’ultimo, e uno tra la stessa Refrancore e Viarigi, sempre a vantaggio dei forestieri [ivi]. L’Intendenza, dunque, si pronunciò contro le rivendicazioni di Castagnole. La vicenda è però spia della tensione che correva lungo i confini tra le due comunità; tensione che si fece manifesta nel 1763, quando, davanti a Carlo Emanuele Massa, intendente delle province di Alessandria e Lomellina, Castagnole e Refrancore si fronteggiarono nuovamente per sciogliere problemi secolari: Varie erano le questioni che al tempo della formazione del perimetro di Refrancore sono nate fra le suaccennate due comunità, e quelle poi si sono ristrette a due, cioè una l’aggregazione al loro rispettivo territorio una proprietà di terra infradescrivenda, e l’altra, cioè per parte della comunità di Castagnole, la proprietà delle due strade, una denominata di Barone e l’altra chiamata della Rapessina, o sia Spizzola [ivi, fasc. 8, Transazione di questione territoriale…, c. 3, 8 luglio 1763]. Castagnole esibì in merito un accordo del 7 febbraio 1447 rogato in Pavia tra la comunità e il vassallo di Refrancore mediante il quale venivano «date per proprie della communità di Castagnole le strade pubbliche che circondavano i confini del suo territorio». Descritte poi sotto Vincenzo I Gonzaga nel 1601, queste strade erano quelle di Barone, di Spizzola, di Braidola, di Valle dei Monti e di Timone [ivi, c. 4]. Per stabilirne l’appartenenza, l’Intendente si rifece invece al numero delle parcelle catastali corrispondenti ai tratti viari tra i due paesi, e decretò così che la strada di Barone spettava a Castagnole fino alla pezza n. 4388. Delineò quindi un nuovo perimetro confinario a partire dal «quadrivio di strade dette di Mongardino e di Montemagno» [ivi, c. 5v], garantendo a Refrancore parte dei diritti anche sulla Rapassina. Strade (commerci) e catasto (proprietà) andavano definendo i contorni di questa porzione di Monferrato già contraddistinta da una forte frammentazione giurisdizionale e dall’oscillazione tra Casalese e Astigiano. A essere coinvolte, a metà Settecento, erano le più recenti ripartizioni amministrative, ovvero le province facenti capo ai due centri urbani e quella di Alessandria, cui per esempio afferiva Annone, i cui screzi di confine con Castagnole e Refrancore furono composti in quello stesso 1763 [ivi, fasc. 9; e anche m. 139, fasc. 3, Ricognizione del territorio e verbali tra le comunità di Annone, Refrancore e Castagnole, 1761-65; 1781]. Vertevano anch’essi sulla riscossione di pedaggi lungo le strade ricordate e sull’intersezione fra queste e i confini comunali dei paesi in lite. Il catasto di Castagnole fu realizzato tra il 1759 e il 1767 sotto la supervisione dell’Intendente Sicco e grazie ai rilievi dei misuratori Gian Pietro Ferraris e Giovanni Fresia [cfr. Fonti]. Il territorio risultava allora diviso in 4320 parcelle suscettibili di prelievo fiscale (tra i maggiori registranti si notano esponenti delle famiglie Rosso, Maggiora e Ferraris). Al confine con Quarto predominavano le proprietà della famiglia Valenzano, quella che diede il nome alla principale frazione di Castagnole e all’attuale frazione Quarto-Valenzani di Asti. Qualche contrasto di natura territoriale va registrato anche per l’Ottocento, per esempio per il 1815 quando il conte Agostino Biglione di Viarigi, «sulla proposizione fatta alla comunità di Castagnole di Monferrato…di costrurre un edificio di molino in quel territorio servendosi dell’acqua del piccolo torrente detto Gaminella», incontrò l’opposizione del municipio [ASTO, Corte, Paesi per A e B, C,m . 31, fasc. 1]. Ma a dominare il dibattito comunale interno nel XIX secolo fu la questione delle strade, da migliorare o da costruire. La documentazione dell’archivio storico comunale (ASCM, mm. 170-174) è piuttosto abbondante e testimonia, a partire dal 1757 e negli anni centrali dell’Ottocento, una forte attenzione per le strade consortili Rotaldo-Grana, Boana e Barcara e per quelle aderenti al consorzio stradale Calliano-Montemagno. I lavori di costruzione della strada per Valenzani risalgono al trienno 1875-78 (ivi, m. 171, fasc. 6). Si tratta di una rete a uso prevalentemente locale e provinciale, funzionale al commercio dei generi di prima necessità e del bene di punta del territorio di Castagnole. Sul piano economico, infatti, il luogo è sempre stato forte produttore di uva e di vino: come osservò Saletta, «benchè porti la denominatione di Castagnole, non abonda però di castagne», ma piuttosto di vigneti [SALETTA, c. 55v]. Anche l’economia contemporanea si basa prevalentemente sull’attività viti-vinicola, i cui risultati raggiungono punte di eccellenza nella produzione di Ruchè, Barbera e Grignolino. È ancora in vigore la prassi di tenere il mercato settimanale di martedì, come richiesto e ottenuto all’Intendenza di Casale e al governo di Torino nel 1837 [ASTO, Corte, Paesi per A e B, C, m. 31, fasc. 13]