Ferrere d'Asti

AutoriLeggero, Roberto
Anno Compilazione2005
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Astigiano
Abitanti
1559 [ISTAT 2007].
Estensione
13,93 kmq [ISTAT 2000].
Confini
A nord Cantarana, a est San Damiano d’Asti, a sud Cisterna d’Asti, a ovest Montà e Valfenera.
Frazioni
Borgogno, Bosticchi, Cantoni, Gherba, Guarene, Longaria, Molino Rocca, Mottura, Novarino, San Defendente, San Giuseppe, San Grato, San Rocco, San Secondo, Serra Di Balla.
Toponimo storico
«Ferraria». Ferrere d’Asti compare in un documento di transizione tra il monastero di Nonantola e i conti di Pombia del 1034 [Bordone 1976, p. 117]. Il termine latino significa fucina o miniera. Da scartare la seconda ipotesi, valida invece in altri casi come quello di Ferrera di Varese o di Ferrera Erbognone (Pv). Papa, nel dizionario di toponomastica Utet, si limita a registrare il passaggio da «Ferrariis» a «Ferrarie» a «Ferere» che prelude alla forma moderna e a notare come il toponimo sia molto diffuso quale denominazione di località minori; proprio per questa ragione venne aggiunta la determinazione «d’Asti» [Dizionario di toponomastica 1990, p. 271]. Anche Bigatti dedica una lunga analisi al toponimo ma senza giungere a un risultato certo [Bigatti 1966, pp. 11-13].
Diocesi
Asti dal 1817 e prima di tale data Pavia (tranne negli anni compresi tra il 1704 e il 1717 durante i quali Asti venne aggregata alla diocesi di Acqui), ma esistono posizioni diverse circa il momento nel quale si sarebbe avuta l’aggregazione a quest’ultima [Giannoni 1974; Settia 1991]. Innanzitutto Savio afferma che, originariamente, tale zona era sottoposta alla diocesi di Vercelli [Savio 1898, pp. 5-6] e solo nel IV-V secolo si sarebbe avuta l’istituzione della diocesi di Asti. Daniela Giannoni ritiene che l’aggregazione a Pavia sia anteriore al 1018, data nella quale emerge nell’Astigiano la presenza del vescovo di Pavia quale possessore: sarebbero proprio tali possessi a determinare l’aggregazione alla diocesi pavese. La tesi appare superata dal lavoro di Aldo A. Settia che, più prudentemente, pone invece l’aggregazione a Pavia tra il 1094 e il 1095 in seguito ad una donazione di re Corrado confermata da Onorio II solo nel 1217.
Pieve
Dusino [Bosio 1894, p. 120].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Ferrere d’Asti compare in un documento di transizione tra il monastero di Nonantola e i conti di Pombia del 1034 [Bordone 1976, p. 117]. Tra le terre dell’Astigiano che spettavano al monastero c’era anche l’area «orientale dell’altopiano – dove le terre di S. Silvestro di Nonantola comparivano già alle coerenze di pezze commerciate nel secolo precedente – a Valfenera, a Ferrere e lungo il rio Traversole». La transazione appare come una evidente diminuzione dell’influenza locale del monastero a favore di una maggiore presenza laica [Bordone 1980, p. 148]. La parrocchiale venne inaugurata nel 1642 in seguito all’abbattimento della chiesa antica, deteriorata e dedicata a S. Secondo (in seguito anche a S. Felicita). Sui colli chiese di S. Secondo, S. Rocchetto, S. Defendente, S. Antonio abate. Nella relazione del vescovo di Asti Vincenzo Rottario del 1622 vengono ricordate anche le cappelle di S. Bernardo, S. Rocco, S. Sebastiano, S. Giuseppe, S. Defendente, S. Andrea e della SS. Annunziata «prope castrum». Inoltre viene nominato l’oratorio dei Disciplinati della Beata Vergine Annunziata [Bigatti 1966, p. 51].
Assetto Insediativo
Ferrere è collocata nella valle del rio Stanavasso, proprio laddove i due affluenti, lo Stanavasso e il Valmaggiore, si uniscono prendendo il nome del primo e scorrono verso la pianura. Lo Stanavasso incomincia il suo corso a poca distanza dal capoluogo ed è generato da varie fonti che scaturiscono dai colli vicini. Il Valmaggiore, invece, ha origine nei pressi del comune di Cisterna e divide il territorio di Ferrere da quello di San Damiano [Casalis 1840, p. 608]. La valle dove scorre il Valmaggiore era, secondo quanto scrive Casalis, paludosa e vi abbondavano la selvaggina e gli uccelli acquatici.
      Ferrere
sorge in un’area caratteristica del territorio astigiano, caratterizzata dalle cosiddette “false colline” o “colline negative” poiché esse sono più basse della pianura circostante essendosi formate per effetto dell’erosione delle acque. Risalendo il corso dello Stanavasso si incontra lo sperone del colle sul quale sorge il Castel Rosso. Ai piedi di tale colle è la porzione preponderante del comune di Ferrere.
     Due i castelli sorgevano nel territorio di Ferrere, uno “vecchio” e uno “nuovo”. Essi sono attestati nel 1142 come di proprietà di tal Dodo e del figlio Oddone «alla metà del XII secolo, dunque, i domini di Ferrere possedevano due castelli, dei quali, si direbbe, almeno quello nuovo in consortile con altri tre nuclei signorili». Tuttavia è molto difficile stabilire l’ubicazione dei due castelli «a causa delle profonde trasformazioni che l’insediamento ha subito nel periodo successivo». Il primo centro abitato si situava, «con ogni probabilità sulle colline ad est dell’attuale, nella località detta oggi Torre San Secondo, dove sorgeva l’antica chiesa parrocchiale del paese, dedicata a questo santo […]. Si reputa generalmente che il trasferimento dell’abitato dalla collina di San Secondo alla valle sia avvenuto intorno all’inizio del secolo XIV, ma non è improbabile che già in precedenza sorgesse ivi una fortificazione». Perciò i due castelli ricordati nel 1142 potrebbero essere sorti, quello vecchio, presso S. Secondo e, quello nuovo, nel sito dell’attuale Castelvecchio. Benché la collocazione delle due strutture possa far pensare che le forme dell’abitato siano state quelle di un insediamento sparso tra la valle e la collina, tuttavia lo stato della documentazione non consente di dare una risposta conclusiva [Bordone 1976, p. 117].
     All’inizio del secolo XIV sarebbe da collocare il trasferimento del villaggio dal colle di San Secondo alla valle. Qui i Garretti avrebbero costruito una fortificazione più a monte rispetto al luogo nel quale sorgeva una delle vecchie fortificazioni dei Ferrere. Dopo il suo trasferimento, nell’ultimo quarto del XIV secolo, Ferrere venne cinto da mura, sempre per iniziativa dei Garretti [Bordone 1976, p. 119].
     Secondo Bigatti [Bigatti 1966, p. 45 da accogliere con prudenza], furono la catastrofica inondazione del 1630 e la peste attestata in quello stesso anno, a spopolare la zona di Cantarana (come evidente dal toponimo un’area paludosa) e a determinare la dispersione della popolazione sui sei colli circostanti: il colle di S. Secondo, di S. Giuseppe, di S. Defendente, di S. Rocco o di S. Rocchetto, di S. Antonio e di S. Grato. Bigatti accenna alla possibilità che tali località fossero già esistenti e popolate e afferma che da esse, lentamente, la popolazione ripopolò il vecchio abitato. Nel corso del XVIII secolo, secondo Bigatti, sorsero tre piccoli insediamenti a poca distanza da Ferrere, uno ai piedi del colle di S. Giuseppe (il Borghetto, Burghét), uno ai piedi del colle di S. Rocco (S. Rocchetto) e uno all’inizio della strada che sale a S. Rocchetto (il borgo delle catene, d’ le cadene).
Luoghi Scomparsi
Non risultano.
Comunità, origine, funzionamento
La comunità di Ferrere si sviluppò probabilmente in stretto contatto con i domini loci identificati come i de Ferraris. Tale gruppo famigliare derivava la sua intraprendenza locale, con ogni probabilità, dall’essere parte dell’entourage militare del vescovo di Asti. Numerosi indizi sembrano sostenere tale ipotesi: l’appoggio dato ai de Gorzano contro il comune di Asti, il fatto che essi tengano beni di personaggi legati al vescovo di Asti o che uno dei de Ferraris diventi canonico della cattedrale nel 1230 [Bordone 1976, p. 118]. La localizzazione della comunità e il precoce doppio incastellamento rendevano assai importante Ferrere in quanto essa consentiva di controllare il transito nella valle dello Stanavasso. L’altro fattore che giocò certamente un ruolo importante nella vita della comunità locale fu il progressivo ritirarsi verso Asti del gruppo famigliare dei de Ferraris e la contemporanea crescita d’importanza dei Garretti. È ad opera di questi ultimi che nel 1358 si procede a cingere Ferrere con un giro di mura grazie all’accordo della comunità presso la quale i Garretti acquistano la calce e predispongono la cottura dei mattoni in una fornace oggi scomparsa. Nello strumento di transizione tra i Garretti e la comunità di Ferrere si dispone anche circa la sabbia e all’acqua necessarie alla costruzione del muro, al luogo dove collocare i mattoni crudi e si promette di fornire ai muratori tutto il necessario per procedere alla realizzazione.
Sappiamo che la comunità era dotata di propri statuti poiché nel 1540, al momento di rinnovarli vennero ricordati quelli composti «dai loro antenati» che, in parte, saranno stati conservati in quelli di Età moderna come avviene solitamente. Tuttavia, non essendo sopravvissuti i primi possiamo farci di essi un’idea soltanto in base a quelli del 1540. Per quanto riguarda l’Età moderna benché i Garretti per ragioni economiche non riuscirono a mantenere nelle loro mani tutto il feudo di Ferrere, tuttavia, come scrive Renato Bordone, essi conservarono «il contatto diretto con la popolazione […] furono essi, infatti, d’accordo con i consiglieri della comunità, a ordinare l’aggiornamento degli statuti nel 1540».
L’articolo 110 dello statuto di Ferrere approvato nel 1540 dalla comunità, conferiva ai signori di Ferrere la possibilità, «a loro arbitrio», di eleggere
et deputar in Podestà et giusdicente in esso logo quello et quelli, quale et quali vorranno, et che esso eletto avanti il Consiglio di detto logo et nelle mani de i Sindaci debba giurar annualmente […] salvar, custodir, mantener et deffender gl’homini di detto luogo di Ferrere et ivi habitanti, ne i beni et persone […] et ministrar la giustizia […] se però parebbe bono a detto Podestà et dodici sapienti dil Conseglio di mudar, augmentar o diminuir qualche cosa in detti Statuti, che lo possano fare mentre però siino tutti concordi et non altrimenti né in altro modo [Bigatti 1966, pp. 40-41].
La clausola dell’articolo 110 non significa, naturalmente, che gli abitanti di Ferrere fossero totalmente soggetti al podestà come infatti risulta dallo stesso articolo laddove si specifica che soltanto l’accordo tra il podestà e la comunità può determinare un cambiamento degli statuti stessi.
Le strutture amministrative del comune facevano capo, dopo la riforma dei Pubblici del 1775 promossa da Vittorio Amedeo III, al consiglio comunale che era composto da tre consiglieri ordinari e da tre supplenti. Tra gli ordinari il più anziano ricopriva la carica di sindaco per sei mesi. Dopo di che cessava di far parte del consiglio e veniva sostituito nella carica dal consigliere più anziano. Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 a Ferrere il consiglio della comunità era composto da tre “soggetti”. Il segretario della comunità era il notaio Ferrero «persona di capacità ad esperir cotal ufficio».
Statuti
Statuti quattrocenteschi [Bigatti 1966, pp. 37-38], nuovi statuti vennero approvati nel 1540 con l’approvazione di Giovanni Battista de’ Garretti, consignore del luogo.
Catasti
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753:
stante che il cadastro ultimo formato nel 1675 è informe confuso e lacero, e non essendo i Libri di Trasporti tenuti a dovere, sarebbe necessario di devenir ad una misura generale del territorio, ma essendo ciò incompatibile con le tenui forze della comunità, questa non è [putamente?] al caso di procedervi ciò non ostante si è procurato nelli anni scaduti di fare porre qualche fondo per convertirlo assieme ad altri ad un tal uso; ed intanto si è ordinato a quelli amministratori di far formare un libro de trasporti quale possa servire nell’occasione de contratti che si fanno in detto luogo [B.A., Relazione dell’intendente (1753)].
Ordinati
Bandi campestri dell’8 marzo 1578; del 29 giugno 1588 [Bigatti 1966, p. 33]; Delle comunanze, strade e rippe di rivi del 1740 [Bigatti 1966, p. 62]. Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 in quell’anno era pendente la lite tra la comunità e i Garretto «per il fatto de’ bandi campestri» [B.A., Relazione dell’intendente (1753)].
Dipendenze nel Medioevo
Nel 1142 a Ferrere sono attestati due castra di proprietà di tal Dodo e del figlio Oddone dei quali almeno quello nuovo in consortile con altri tre nuclei signorili. Bordone ha scritto che nonostante l’impossibilità di accertare chi fossero i condomini di Dodo analoghi casi di consignoria portano a ritenere che appartenessero al suo stesso consortile famigliare. Nella seconda metà del XII secolo compaiono poi personaggi diversi tutti indicati come de Ferraris. Nel 1198, Manfredo e il nipote Giacomo de Feraris giurano fedeltà al comune d’Asti e nel 1202 Giacomo «è investito dal comune di ciò che tiene in castronovo et veteri Ferrerium» [Bordone 1976, p. 117]. Si può ipotizzare che domini locali fossero legati alla sede episcopale astigiana come esponenti dell’aristocrazia militare che gravitava attorno al presule.
Bordone ha scritto che «il trapasso dei poteri di controllo sul districtus dal vescovo al comune [di Asti], benché sentito dal comune come esigenza primaria nello stabilimento di un regime autonomo in grado di garantirsi la sussistenza, non avvenne certo in maniera sempre pacifica e in modo omogeneo su tutto il territorio […] ma ciò che preme qui sottolineare è che il comune, nel suo sforzo espansionistico, pur cercando alleanze e sottomissioni dei signori del contado, mira al controllo di un’area omogenea attorno alla città che si pone già come una circoscrizione territoriale omogenea e come tale resterà sotto l’amministrazione laica.»
Tuttavia Ferrere non risulta citata nel documento di Federico Barbarossa del 1159 con il quale l’imperatore riconosce alla città il suo distretto [Bordone 1977, p. 607]. Non sorprende perciò scoprire che Ferrere aderisce alla associazione signorile dell’area sud-occidentale dell’Astigiano che legava i vassalli del vescovo di Asti, il commune Astixii, ed è proprio alla fase di pacificazione con Asti che va ascritta la seconda investitura dei de Ferraris del 1202.
Feudo
Dall’ultimo quarto del XIII secolo i Ferrere sembrano perdere «il loro interesse per Ferrere», come afferma Bordone, e non è improbabile che essi abbiano incominciato a risiedere ad Asti. In coincidenza con il venir meno dell’interesse dei Ferrere emerge un altro gruppo famigliare, i Garretti [Bordone 1976, pp. 118-119]. A partire dal XIV secolo la signoria dei Garretti su Ferrere è sempre più solida, benché non sia del tutto chiaro a chi spetti l’alta signoria, se al comune di Asti o al vescovo d’Asti. Tuttavia nel 1418 è il governatore di Asti a investire Matteo Garretti.
L’integrità del feudo si mantenne nelle mani dei Garretti fino al 1503, quando ne venne alienato un dodicesimo ai Bruno. Nel 1509 un altro dodicesimo venne alienato ai Malabaila. Nel 1535 un ventiquattresimo venne alienato a Giacomo Crispino e una quota non specificata passò nel 1561 a tale Bertone. Alla fine del XVI secolo la parte dei Malabaila passa a Marcantonio Ricci. Nel secolo successivo, per ragioni matrimoniali riceve l’investitura di porzioni di feudo Catalano Alfieri di Castagnole (1672) e poi, nel 1770, il figlio Carlo Giacinto. Nel 1716 Margherita Garretti vende «un mese [cioè un dodicesimo] e otto giorni» del feudo al cavalier Maurizio Cerruti il cui figlio viene investito nel 1754.
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 in quell’anno, oltre ai Garretti erano presenti in qualità di feudatari anche il conte Luigi Alfieri di Magliano e il conte Dionigi Riccio di S. Paolo. I tre mulini presenti nella comunità erano di proprietà dei feudatari: il primo, denominato «della Rocha» era dei Garretti e di Alfieri di Magliano, il secondo, denominato «del molinazzo» esclusivamente dei Garretti e l’ultimo, detto «di Pettagliato» del conte Riccio di San Paolo. In Età moderna, oltre ai Garretti ebbero in feudo Ferrere i Morozzo della Rocca. Nel 1851, dopo sei secoli di presenza a Ferrere, ai Garretti subentrarono i Gromis di Trana [Bigatti 1966, p. 69].
Mutamenti di distrettuazione
Ferrere, era troppo vicina topograficamente al nucleo dei castelli sud-occidentali che creano il commune Astixii per non subirne l’attrazione. Inoltre alcuni signori locali era legati ai Gorzano, leaders dell’iniziativa che legava i vassalli del vescovo di Asti. I signori locali di Ferrere giurano infatti nel 1198 fedeltà ad Asti ma poi essi cambiano bandiera. Un nuovo giuramento di fedeltà ad Asti avrà luogo nel 1202 ma poco dopo Ferrere è tra i luoghi dell’Astisio alleati di Alba. Solo nel 1207, con la definitiva sconfitta del marchese del Monferrato e dei suoi alleati Asti riuscirà a riportare la situazione definitivamente sotto controllo. Nell’ultimo quarto del XIII secolo, però, si ripropone una situazione di ribellione dei Gorzano ad Asti. Questa volta essi si schierano con Carlo d’Angiò e anche Ferrere segue i ribelli. La reazione del comune è immediata per cui non sono forse prive di fondamento, benché scarsamente documentate, le affermazioni di quegli storici che ritengono che nel 1275 Ferrere abbia subito una scorreria astigiana [Bordone 1976, p. 119]. Il comune di Asti perde la propria autonomia nel 1312 con la dedizione al re Roberto d’Angiò. Nel 1355 Giovanni II marchese di Monferrato viene investito del feudo da parte dell’imperatore Carlo IV. Ai Visconti la città di Asti offrirà la piena balia nel 1379. Nel 1380 Gian Galeazzo Visconti istituisce il capitaneatus Astesane. Nel 1575 la contea di Asti passa ai Savoia. Nel 1735 il feudo imperiale transita definitivamente ai Savoia. Alla fine del XVIII secolo le vicende della Rivoluzione produrranno un effetto anche sul Piemonte che venne in parte annesso alla stessa nazione francese. Al Piemonte viene applicata la divisione in dipartimenti, già dal 1799, quindi 3 anni prima dell’effettiva annessione al territorio francese. I dipartimenti del 1799 comprendono quello del Tanaro (Alessandria) che nel 1801 si sdoppierà in quelli di Marengo (Alessandria) e Tanaro (Asti) per ritornare, nel 1805 al solo dipartimento di Marengo (Alessandria). La nuova organizzazione, motivata dall’aggregazione della Liguria all’Impero, comportò la soppressione del dipartimento del Tanaro e l’assegnazione ad altri dipartimenti dei tre arrondissements di cui era composto (Asti, Acqui, Alba). Asti cessò di essere capoluogo e venne aggregata per l’amministrativo a Marengo (Alessandria) e, per quanto riguarda l’ecclesiastico, alla diocesi di Acqui (che era stata aggregata a Montenotte). Come capoluogo di dipartimento Asti era stata sede di prefettura mentre come capoluogo di arrondissement essa divenne sede di sottoprefettura. Nel 1817 la situazione si modifica nuovamente e la diocesi di Asti riprende la titolarità sulla zona mentre l’area viene reintegrata nei domini dei Savoia. Capoluogo di provincia resterà Alessandria fino al 1935 quando venne creata la provincia d’Asti. Dopo l’8 settembre 1943, sorse la necessità di coordinare, attraverso un organismo superiore, l’azione dei comandi delle formazioni partigiane e del C.L.N. Si formò quindi una Giunta di Governo per la zona liberata dell’Astigiano, la cui sede venne collocata presso i locali dell’albergo Fons Salutis di Agliano [Bordone 1976, pp. 156-157; Bordone 1978, pp. 146-147; Bussi 2000, p. 178; Laiolo 2002].
Mutamenti Territoriali
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 Ferrere risultava confinante con «li territori di S. Damiano, della Cisterna, della Montà, di Valfenera e di Cantarana» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)]. Tali confini muteranno quando, durante il ventennio fascista, il comune di Cantarana venne aggregato a quello di Villafranca d’Asti che divenne così comunità confinante con Ferrere. Dopo la fine del ventennio fascista il comune venne disaggregato e attualmente le comunità confinanti coincidono con quelle della relazione del 1773.
Viene datato al 1963 l'accorpamento della frazione Gherba (prima del comune di Cisterna d'Asti) a quello di Ferrere [Bigatti 1966, p. 87], ma il decreto presidenziale che sanciva tale mutamento territoriale era di 13 anni prima [DPR 1130, 08/09/1950- Dati SISTAT].
Comunanze
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 in quell’anno non c’erano beni comuni occupati né venduti senza le dovute «solennità» e gli affari pubblici erano bene «maneggiati». Era pendente solo la lite tra la comunità e i Garretto «per il fatto de’ bandi campestri». Per quanto riguardava i boschi la relazione afferma che la comunità era provvista di una «ragionevole quantità di boschi cedui» i quali, tuttavia, a causa del terreno sabbioso non davano frutti abbondanti. Di pessima qualità anche i gerbidi «e riducendosi infecondi di erbaggio a pena servano per li pascoli communi» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Liti Territoriali
È ascrivibile al 1480 una lite che coinvolge San Damiano da una parte e San Martino, Celle e Ferrere dall’altra. La sentenza venne regolata con sentenza arbitramentale dai delegati del marchese Guglielmo del Monferrato e del governatore d’Asti il 12 agosto 1480. In essa si afferma che, relativamente al ripiantamento dei termini di confine, nell’aprile del 1574 il delegato di Piemonte Rumone e quello del Monferrato Risico avevano proceduto ad una nuova ispezione dei confini tra Celle e San Damiano. In base a tale ricognizione si approvava la sentenza del 1480 e si ordinava di piantare i termini con lievi modifiche [Brunazzi 1964-1965, pp. 10-12].
Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 in quell’anno non c’era alcuna lite territoriale pendente, né beni comuni occupati né venduti senza le dovute «solennità» e gli affari pubblici erano bene «maneggiati». Era pendente solo la lite tra la comunità e i Garretto «per il fatto de’ bandi campestri» [BAt, Relazione dell’intendente (1753)].
Sappiamo invece da un documento compilato dal misuratore Bartolomeo Rubiolio che nel 1759 Ferrere aveva una controversia aperta con la ben più estesa comunità di San Damiano d’Asti per terreni che in quell’occasione non vennero computati nella misura del territorio.
Fonti
A.C.F. (Archivio Storico del Comune di Ferrere). Vedi inventario.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S 3, Vol.e di Documen.ti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna Coll’Indice, e Tipi (1480-1616).
A.S.T.,  Paesi, Monferrato, Confini, S 3, Vol.e di Documen.ti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna Coll’Indice, e Tipi (1480-1616), Tipo dei confini tra i territori di San Damiano e San Martino, s.d. Vedi mappa.
A.S.T.,  Carte topografiche e disegni, Disegni Monferrato Confini. mazzo 3, Volume S,  Tipo dei territori di Govone e San Martino. San Damiano - 1480-1616. Volume di documenti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall'altra, e qualche poco anche la Cisterna. Coll'Indice, e Tipi. s.d.    Vedi mappa.
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 7, Confini (1574-1621): [...]; n. 14, Nota delle differenze de confini, che vertono tra diverse Terre del Monferrato, con quelle del Piemonte [cam.]; [...]; n. 24, Relazione del Senatore Fausto Crova Delegato del Duca di Monferrato della Visita fatta col Senatore Roasenda Delegato dal Duca di Savoja de Siti contentiosi tra S. Damiano, e S.t Martino [...] Col Parere del Senato di Monf.o sulla d.a Relazione e con Copia di varj Documenti, de’ quali si sono li detti Delegati serviti p. la terminazione di tali differenze (1612) [Fausto Crova al duca di Monferrato, Casale 13 agosto 1612]; [...]; Instrumentum Transactionis sequutae inter Communitatem Sancti Damiani / Ac / Condominos, Communitatem, et ho.i. es Sancti Martini De ano, c. 11v sgg. 1564 [copia, …12 luglio 1564].
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, S, n. 3, Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna (1480-1616): Istromen.to di Divisione dei Confini di S. Martino, e S. Damiano [...] (1564), cc. 7-16, 17-22; Sussidiali del Giusd.te di S. Martino a quello di S. Damiano p. astringere alcuni del suo distretto, li quali in vigor della sud.a transaz.e, si trovano posseder beni soggetti a S. Martino, p. farli descrivere nel Registro di questo Luogo (1565), c. 25; Sussidiali del Giusd.te di S. Dam.o a quelli della Cisterna, Ferrere, Cantarana, Tigliole, Govone, S. Martino, Antignano, e Celle, p. astringere alcuni della lor giurid.ne a soddisfar i pesi reali p. i beni, che nel suo distretto posseggono (1566), cc. 26, 27; [...]; Requisitorie del Giusd.te di S. Damiano a quelli di Cisterna, Ferrere, Tigliole, Celle, Antignano, S. Martino, e Govone p. il pagam.to delle taglie di quei beni che alcuni dei loro distrittuali possedono sulle fini di S. Damiano: Colla Nota di quei debitori (1577), cc.90-91; Altre Requisitorie come s.a, ed Atti contro li renitenti (1579, 1580) cc. 92-98; [...]; Atti della lite degli Accensatori della tratta d’Astiggiana contro Petrino Cappellino di S. Damiano, le Bestie di cui furono ritrovate, e prese in un suo Prato al di qua del Rivo d’Azello in Marlaccia nell’atto di voler passar quel Rivo p. portarsi verso S. Damiano, perlocché si pretesero cadute in commesso, costando dalle Informaz.i essere l’accenn.o Prato del terr.io di S. Martino, e divisorio di quei due finaggi l’anzid.o Rivo (1608), cc. 220-49; [...]; Informazioni prese dal Giusd.te di S. Damiano per verificare la preda di 2 Vacche stata fatta dai Soldati della tratta d’Asti nella Marlaccia, e nel Prato di Gio.no Giacomo Ballicora (Prato, che vien nominato nella predesignata Transazione tra S. Damiano, e S. Martino): E p. giustificazione d’essere quel sito del terr.io di S. Damiano (1612), cc. 269-81; [...]; Informazioni tendenti a provare che i beni del fu Gorgio Falletti (dei quali si fa pur menzione nella succenn.a Transazione) in Marlaccia, son quelli che attualm.te si possedevano da Gio.no M.a Buzzolino di S. Martino, e che situati siano nel terr.io di S. Damiano (1612) cc. 298-304; [...]; (1612); Atti di Visita della Marlaccia controversa, fatta dai sud.i Delegati, con produzione dei Docum.ti rispettivam.te favorevoli alle Parti cc. 313-21 [cc. 313r-17v]; Lett.e dei sud.i Delegati, dalle quali ricavasi, trall’altre che dal canto nostro s’impugnasse la Sentenza del 1574, perché non costava d’alcuna Ratificanza del Duca (1612), cc. 307-12, 322-38; Descrizione de’ terreni di Marlaccia posti in contesa, colla loro Misura, e verificazione di chi fossero al tempo dell’accenn.a Sentenza, e da chi sieno attualm.te posseduti:Con alcuni Incombenti delle Parti (1612), cc. 339-53; Informazioni prese dal Giusd.te di S. Dam.o p. verificare, che ‘l luogo, ove furono arrestati due Uomini della Montata con robbe, fosse di quel territorio, cioè in un Prato contiguo al Mollino della Rabbia(1616), cc. 354-61.A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 1, n. 3, Stato delle liti, che hanno vertenti le Città, e Communità della Provincia d’Asti [cc. non num.te 1r-16v] (Intendente Granella, Asti, 16 ottobre 1717).
B.A. (Biblioteca Astense). Vedi catalogo.
B.A.  Relazione dell’intendente sullo stato generale della Provincia di Asti 1753.
Bibliografia
Archeologia in Piemonte, 3, Il medioevo, a cura di Mercando L., Micheletto E., Torino, Umberto Allemandi & C., 1998.
Atlante dei Comuni del Regno d’Italia, Roma 1938.
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Descrizione Comune
Ferrere d'Asti
     Le prime notizie relative a Ferrere ci mostrano già una situazione complessa dal punto di vista insediativo e politico-sociale. Sono infatti presenti due castra e un consortile familiare (o forse due) che si divide il possesso e la proprietà di tali strutture. Si può ipotizzare che questo antico gruppo familiare, come i de Ferraris che prendono il loro posto nel corso del XII secolo, fossero legati alla sede episcopale di Asti. Si tratterebbe dunque di esponenti dell’aristocrazia militare episcopale che hanno tratto benefici dall’aver prestato il proprio servizio a favore del presule. Rappresentando i proprietari locali più importanti essi hanno provveduto a far incastellare la località onde ottenere un aumento della propria influenza sul territorio e del proprio prestigio “politico”.
     Dalla descrizione che ancora dà Casalis della struttura di Ferrere, si può ipotizzare che le forme dell’abitato fossero a maglie larghe. Infatti, scrive Casalis, compongono il comune di Ferrere «varii cascinali qua e là sparsi, ed aventi il nome di un santo; uno di essi è denominato da S. Antonio, un altro da S. Rocco, un terzo da S. Grato, un quarto da S. Defendente, un quinto da S. Giuseppe, ed uno infine da S. Secondo» [Casalis 1840, pp. 607-612].
     Peraltro Ferrere si presentava come una località interessante dal punto di vista della sua posizione e delle risorse presenti. Essa si trova al centro di una vasta area nella quale si ritrovano località, per varie ragioni, assai importanti (come Dusino a nord o Gorzano a sud). Anche l’assetto viario appare estremamente interessante, considerando che da Ferrere si staccavano sei assi viari che tendevano verso Cellarengo a ovest, verso Montà a sud-ovest, verso Cisterna a sud, verso San Damiano d’Asti a sud-est, verso Cantarana a nord-est e, infine, verso Valfenera a nord. Si trattava di strade, come scrive Casalis «che serpeggiano sui colli di questo paese, non si puonno se non molto difficilmente, praticar con vetture, nell’invernale stagione» e, tuttavia, esse sono anche il segno di una rilevanza geografica di Ferrere nella mobilità locale. Ma si accennava poco sopra anche a risorse di tipo economico: l’area che tendeva verso San Damiano e Cantarana, infatti, come ricorda anche Casalis, descrivendo una situazione ormai scomparsa, «prima che si disseccassero le paludi già esistenti nella valle denominata Valmaggiore ai confini di S. Damiano e Cantrarana vi abbondavano il selvaggiume e gli augelli acquatici: scarseggiano essi di presente» [Casalis 1840, pp. 607-612].
     L’ascesa locale dei Garretti ebbe degli effetti sulla comunità di Ferrere ed anzi, proprio a causa di tale presenza Ferrere conobbe forse la distruzione nel 1275. Come ha affermato Bordone, si tratta di una congettura non priva di fondamento perché proprio in quell’anno Asti agì militarmente contro i Garretti. Peraltro le fortune della famiglia non furono compromesse se Andrea Garretti poté essere nominato consigliere dell’imperatore Enrico VI e assistere nel 1311 a Milano all’omaggio che i vescovi lombardi prestarono all’imperatore. I Garretti furono tra i primi a riconoscere a Amedeo V di Savoia il dominio di Asti che gli era stato assegnato nel 1313 da Enrico. Il possesso feudale di Ferrere venne riconfermato ai Garretti dai Visconti, come risulta dallo strumento dotale di Valentina Visconti. Nel 1339 Ridolfo de Garretti era uno dei saggi che compilarono gli statuti del comune di Asti. Casalis ricorda che «dal nome dei quali [i Garretti] appellavasi in Asti una contrada» [Casalis 1840, pp. 607-612].
     Fu forse proprio l’episodio del 1275, ammesso che esso si sia verificato, a determinare, all’inizio del XIV secolo, il trasferimento del villaggio dal colle di S. Secondo alla valle e alla realizzazione delle mura di Ferrere su iniziativa dei Garretti e con il contributo e l’apporto della comunità locale. Nella nuova località i Garretti avrebbero costruito una fortificazione più a monte rispetto al luogo nel quale sorgeva una dei vecchi castra di Ferrere. Il ruolo che avrà giocato la comunità locale in tali spostamenti sarà stato decisivo. Infatti sono molti i casi in cui risulta evidente come non sia sufficiente che un centro di potere stabilisca lo spostamento di un nucleo abitativo perché tale spostamento avvenga e, soprattutto, abbia successo. Purtroppo nel caso di Ferrere la documentazione non ci soccorre ma il ruolo della comunità è oggetto del documento con il quale vengono specificate le condizioni della realizzazione delle mura, ciò che spinge a considerare il rapporto che dovette esistere tra gli abitanti di Ferrere e i Garretti. È ipotizzabile che la lunga consuetudine con i signori locali avesse reso la comunità abile al confronto politico. Analoga considerazione occorrerà fare per la stesura degli Statuti che non possono essere interpretati se non come una forma di mediazione tra la comunità locale e l’aristocrazia locale.
     Allo spostamento “dal monte al piano” di Età medievale corrispose, in Età moderna, un analogo spostamento dell’abitato “dal piano al monte”. Se il movimento “ascendente” delle comunità dopo l’Età romana trovava la sua ragione nel fatto che «nelle zone collinari, sottoposte ad un equilibrio erosivo-sedimentario più stabile» e che perciò «le opere stradali potevano avere maggiori possibilità di durata, il deterioramento delle strade romane doveva essere invece accelerato in pianura, a causa del progressivo deposito alluvionale, e nelle aree montane, soggette a forti fenomeni erosivi. In pianura i problemi maggiori erano rappresentati dal continuo interro del fondo stradale e dalle difficoltà di attraversamento dei grandi corsi d’acqua» [Cagnana, Mannoni 1998, p. 41], nel caso di Ferrere il cambiamento di localizzazione dell’abitato avvenne proprio a causa di un fenomeno naturale: la distruzione di Ferrere in Età moderna, nel 1630, a causa di una inondazione dovette, necessariamente, modificare sia le forme dell’abitato sia l’espressione visibile del potere locale. I Garretti, provvidero a edificare una nuova residenza. Infatti, se il segno tangibile di un potere locale sul territorio è sempre rappresentato attraverso le strutture che quel potere crea, in un certo senso esse, in virtù della loro persistenza, possono prevalere sull’efficacia reale del potere che esse rappresentano, potenziandolo; per questo è così importante distruggerle. Se nel pieno Medioevo l’espressione del potere locale consisteva nelle strutture dell’incastellamento, in Età moderna ciò si realizzò nella costruzione di dimore prestigiose. A Ferrere il «palazzo di bellissimo aspetto, di cui diede il disegno il celebre architetto Castelli, contornato di viali di carpini simmetricamente disposti. Ed è proprio di S.E. il signor conte di Ferrere».
     Secondo la Relazione generale dell’intendente sullo stato della Provincia d’Asti del 1753 a Ferrere:
di mediocre qualità è il terreno de campi e delle vigne e dei prati e di infima qualità sono li boschi e gerbidi. Essendo tal territorio situato la maggior parte in collina e decorrendo per le valli varii rivi, questi inondano li prati che ivi esistono li quali a causa della situazione delle acque si rendono infecondi d’erbaggio e siccome gli agricoltori non coltivano a dovere il terreno, stante massime la mediocre qualità d’esso non ponno ritraherne quella quantità di granaglie che resta necessaria per il loro mantenimento a segno tale che per supplirvi sono costretti per bona parte dell’anno a prestare la loro opera a beneficio altrui si nel vercellese nella mietitura de risi, che nel Piemonte in quella de grani. E altro mezzo non hanno per ridurre di miglior condizione il territorio se non che con meglio coltivarlo poiché il medesimo non è a proposito per il germoglio de’ moricelli [B.A., Relazione dell’intendente (1753)].
Di nuovo la Relazione ricorda come i boschi fornissero un “tenue” frutto. Di altro tenore, invece, la descrizione che darà circa settant’anni dopo Casalis secondo il quale «vi sono in copia boschi cedui di castagni e di roveri che formano un notevole ramo di commercio e di ricchezza. Nelle altre più favorevoli posizioni si veggono ben coltivati vigneti ed alberi fruttiferi di varie sorta onde si ricava un grande profitto» Si tratta di una descrizione completamente diversa da quella data poco meno di un secolo prima. Prosegue Casalis:
quantunque il suolo non sia molto produttivo di cereali, se ne fanno tuttavia delle ricolte che bastano al mantenimento della popolazione. La ricchezza maggiore del comune, proviene dal molto e ottimo vino che vi si fa vendesi facilmente in Torino e in altri luoghi del Piemonte. Per la scarsezza del fieno non si mantengono che poche bestie bovine. Un prodotto assai considerabile è quello dei bozzoli che si vendono per lo più in Asti e a Carmagnola [Casalis 1840, pp. 607-612].
Evidentemente se il “disseccamento” delle aree paludose aveva eliminato una risorsa ne aveva creata un’altra aumentando la superficie coltivabile.
     Per quanto riguarda, infine, cambiamenti lungo i confini della comunità, non sembrano rilevabili fenomeni evidenti di mutazione del territorio anche se si rileva una certa sensibilità dell’area meridionale del territorio di Ferrere, fors’anche per ragioni orografiche. In primo luogo sappiamo che alla metà del XVIII secolo le comunità di Ferrere e San Damiano d’Asti avevano una controversia aperta per terreni che, proprio per questa ragione, non vennero computati nella misura del territorio del 1759.
     Tuttavia il fatto che la frazione Gherba di Cisterna d’Asti, collocabile poco più a sud di una linea ideale passante per Gorzano-Cellarengo, chieda e ottenga negli anni Sessanta del Novecento di essere aggregata a Ferrere può essere un indicatore.