Maggiora

AutoriColombo, Emanuele
Anno Compilazione2008
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Novara
Area storica
Novarese
Abitanti
1664 (819 M, 845 F, dati Istat censimento 2001)
Estensione
10 kmq
Confini
Boca, Borgomanero, Cureggio, Gargallo, Valduggia (VC)
Frazioni
Cascina Santa Caterina, Fornaci, Via per Borgomanero. Vedi mappa.
Toponimo storico
Il toponimo “Maxoria” potrebbe derivare dal nome “Liguri” o “Lygori” o “Gori”, il cui nome pronunciato con la G aspirata suonava come “ori”. In seguito, i celti l’avrebbero chiamata “Mag-oria” [Minazzoli, Maggiora dalle origini, p. 1].
Diocesi
Fa parte storicamente della diocesi di Novara.
Pieve
Prima del 1133 Muzano faceva capo alla pieve di Santa Maria di Cureggio. Divenuta parrocchia autonoma nel Quattrocento (nel 1436, v. altre presenze ecclesiastiche), Maggiora entra in seguito a far parte del vicariato di Romagnano con la riforma bascapeiana della distrettuazione ecclesiastica [Bascapè].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Maggiora ebbe la sua prima parrocchia solo nel 1436, ricavata da un’antica cappella dedicata a Santa Maria nel preesistente comune di Muzano. Verso il 1540 fu eretta una nuova cappella intitolata a S. Spirito, che nel 1576 diventava sede parrocchiale con decreto del vescovo Archinto, a causa della lontananza di S. Maria dall’abitato, che si era nel frattempo spostato. Seguiva, nel 1577, l’ampliamento di S. Spirito, che terminò di essere ricostruita completamente solo un secolo più tardi.
A questo punto, si ha a quanto pare un’alternanza del titolo parrocchiale: dal 1567 all’incirca (prima relazione consultabile di una visita pastorale) al 1602 (vista bascapeiana) la parrocchia è S. Maria; dal 1602 al 1632 è S. Spirito (in questo periodo, la chiesa di S. Maria veniva rifatta ex novo); fino al 1669 si ha alternanza, tanto che nel 1663 il vescovo Odescalchi impartiva la cresima ai maschi in S. Maria e alle femmine in S. Spirito. Dal 1669, infine, S. Spirito è definitivamente la parrocchiale del paese, in seguito a un nuovo ingrandimento che ne mutò ancora la struttura architettonica. Pur declassata, la chiesa di S. Maria continuò però ad essere officiata grazie alla “divotione dei tanti che sentirebbero volentieri la messa in detto oratorio”, secondo le parole del vescovo Odescalchi del 1663 [ASDN, Vp, 181, 1663]. Alla devozione aveva certo contribuito il fatto che ab antiquo lo spazio tutt’attorno a S. Maria veniva utilizzato per seppellire i morti. In ogni caso, ancora nel 1669 “l’elemosine et rendite di detta chiesa sono comuni con quelle della chiesa parochiale di S. Spirito, et vi si fa una sol borsa” [Inventario delli beni, 1699, ASDN, Teche Maggiora, 1]. Il totale delle rendite era pari a questa data a circa 719 lire. Nella chiesa esisteva un beneficio perpetuo che, nel 1721, permetteva di officiare tre messe alla settimana, di giuspatronato della comunità e della confraternita del SSmo Sacramento [ASN, Teche Maggiora, 1, 21/6/1721].
Oltre alle due chiese principali si contano in Maggiora parecchi altri luoghi di culto, sorti perlopiù tra Sei e Settecento. Dell’oratorio di S. Rocco, ancora esistente, abbiamo una prima menzione in un inventario del 1617, in un luogo decentrato detto alle fornaci, sulla strada che portava verso Borgomanero. A quanto pare, era stato fondato dalla famiglia Marucco nel 1605 (che, in effetti, possedeva beni che circondavano completamente l’oratorio). Un altro oratorio, intitolato a S. Antonio da Padova, venne costruito dalla comunità nella seconda metà del Seicento, come sussidiario della parrocchiale. Una cappella di S. Croce, sorta sulla strada per Grignasco, figura per la prima volta nella visita del vescovo Volpi del 1628. Nella seconda metà del Seicento, su di essa venne costruito ex novo un altro oratorio, su iniziativa della famiglia Antonelli. Nel 1754 sorse poi l’oratorio della Vergine Addolorata, su un luogo dove in precedenza esisteva un’altra cappella. Nel 1819 la chiesa divenne sede della compagnia della Beata Vergine dei sette dolori. Oltre a queste, le visite pastorali attestano la presenza di svariate cappelle sparse in località decentrate rispetto al “corpo” del paese: tra queste S. Giovanni Battista alla Vatascera, S. Pietro alle cascine Perolini, S. Caterina alle cascine Bastaroli. Bisogna inoltre citare anche il caso della cappella di S. Pietro, ora nel territorio di Borgomanero ma un tempo giurisdizione di Maggiora [Minazzoli 1988].
Sono poi da segnalare varie associazioni laicali. Anzitutto, è presente fin da inizio Cinquecento la confraria del S. Spirito, con le consuete funzioni caritative e rituali (nel 1617 il vescovo Taverna segnala un “abuso” consistente nella distribuzione del pane ad amici nel corso di feste). La confraternita del SSmo Sacramento viene ufficialmente fondata il 3 gennaio 1584. Fino al 1591 essa ufficiava davanti all’altar maggiore di S. Spirito, ma in quello stesso anno ricevette dal vicario generale il diritto di costruire un proprio oratorio in un corpo di casa adiacente alla chiesa, rifatto poi nel 1703 per l’aumento dei confratelli. Certamente precedente era la nascita della confraternita di S. Marta, tanto che Speciano nella sua visita del 1590 la definisce “antiquitus erecta”. La confraternita ufficiava in un proprio oratorio, costruito nel 1683. Vi erano poi una società del SSmo Rosario, eretta il 9 giugno 1602 presso la cappella della Madonna del Rosario in S. Spirito da un padre domenicano; una società del suffragio dei morti, eretta su legato di Gio. Batta Quirico il 30 gennaio 1731 presso la cappella di S. Anna in S. Spirito; una compagnia della dottrina cristiana, sorta a quanto pare molto tardi nel 1792 presso l’oratorio di S. Marta, dopo plurimi inviti di vari vescovi a fondarla; una compagnia di S. Vincenzo, nata su iniziativa della comunità nel 1762 in onore di S. Vincenzo Ferreri protettore dei raccolti, originata da una questua in grano fatta in occasione di una carestia, in seguito ampliata anche a vino e cereali; infine, una compagnia della Beatissima Vergine Addolorata, sorta nel 1819 nell’omonimo oratorio [Minazzoli 1988].
Assetto Insediativo
Originariamente, esisteva un territorio formato da tre terre tra loro separate: Boca, Piazo e Muzano. Maggiora sorse tra il 1311 e il 1342, in un luogo detto “Mazoria”, in precedenza una piccola frazione di Muzano in un luogo in cui esisteva un’antichissima cappella dedicata a S. Maria. In seguito, tuttavia, l’abitato si spostò dall’antica Muzano, di cui si perse completamente la denominazione.
L’insediamento, come tipico della zona (ma in maniera meno accentuata rispetto ad  altre località), ha storicamente presentato alcuni nuclei abitativi sparsi sotto forma di cascina e di mulino. Fra essi rientrano le cascine Perolini, oggi integrate nel corpo del comune, presenti nel catasto teresiano ma certo più antiche; le cascine Bastaroli, a nord del centro abitato, e che formano una piccola frazione (tanto da esservi al loro ingresso una cappelletta con l’effigie del crocifisso di S. Caterina); il cascinotto S. Pietro, sito in un’area di confine con Borgomanero, e pure dotato di una sua cappella [Le cascine, 2009, pp. 282-89].
Comunità, origine, funzionamento
Fino al Trecento, Maggiora non esiste come entità autonoma. Nel 1311 venne distrutto il castello di Boca, attorno al quale era costituito il paese; poco dopo, “incolae Casalis Municipalis Mazoria, quod extabat in territorio Muzani, factionum causa sese separaverunt ab hominibus Muzani efformantes proprium, et separatum territorium” [Maggiora dalle origini, p. 5], da cui ebbe origine il comune di “Mazoria”, cioè Maggiora. Nel 1342 abbiamo la prima attestazione del comune, che viene nominato in una lite contro gli homines de Rasco. Nel 1436 S. Maria fu eretta a parrocchia autonoma e a metà Quattrocento venne costruito un castello contestualmente all’infeudazione ai Tornielli.
Il primo ordinato della comunità è del 1665. In precedenza, stante anche l’assenza di statuti, non si ha notizia dell’esistenza di un consiglio comunale. Esso era formato da “duoi sindici, e ventiquattro regenti, dodici de quali ogn’anno per l’urgenze ordinarie con detti sindici, e tutti li ventiquattro per le straordinarie” [ASMAG, Ia categoria, carte riguardanti l’amministrazione, 1, memoriale della comunità del 15/1/1683].
A partire dal 1775, con il Regolamento dei pubblici, il consiglio è formato da cinque membri, di cui uno funge da sindaco. In periodo napoleonico la municipalità di “Maggiora ed uniti” comprende anche Boca ed è formata da cinque consiglieri (di cui tre di Maggiora e due di Boca).
Statuti
Nel 1561 sono emanati degli Ordines Comunitatis Maxoriae, cioè bandi campestri articolati in 23 punti, che, in modo abbastanza tipico, prescrivono minutamente come regolarsi in caso di danni ai boschi e ai pascoli. Nel 1582 venivano emessi nuovi bandi, in 35 punti, che intervenivano in maniera più diffusa sulla vita della comunità, stabilendo le regole di convocazione del sindacato dei capi di casa da parte dei consoli o alcune privative, come quella dei forni (veniva fatto divieto esplicito di cuocere in forni diversi da quelli della comunità) [Maggiora dalle origini, p. 14-17; fonti in ASN, Notarile, Giovanni Battista Del Conte Crovarini].
Catasti
In archivio storico-civico non c’è traccia di catasti, molto stranamente per una comunità con ampi beni comunali come Maggiora. Le uniche carte rimaste per l’età moderna sono il quinternetto dell’estimo rurale del 1684, che raccoglie tutti i contribuenti rurali e la loro quota d’estimo, che rimanda ad un catasto però attualmente inesistente [ASMAG, 48aa, fasc. 6, Estimo rurale della Comunità di Maggiora cioe le lire di stimma o sia inventario che caduno per i suoi beni tiene come nel cattastro d’essa Comunità, 1684].
Il primo catasto rimasto della comunità è dunque quello redatto sotto Carlo VI in periodo austriaco (1723), conservato presso l’archivio di stato di Milano e in copia presso ASMAG. Cfr. anche il Quinternetto delle squadre dei boschi e brugo comunale del 1775 [ASMAG, 48].
Ordinati
In ASMAG sono presenti gli ordinati della comunità in forma continua dal 1665  in poi [categoria I, Registri 1-29, 1665-1910].
Dipendenze nel Medioevo
Fino al X secolo Maggiora, che era unita a Boca, fa parte dei possedimenti dei conti di Piombia, passando ai Biandrate alla fine del XII secolo. Nel 1083 Guido da Biandrate donava sedici mansi ai monaci di Cluny, ma Boca rimaneva suo patrimonio familiare. Nel 1222-23 si ebbe una guerra tra Novara e Vercelli, in seguito alla quale Boca passò assieme alla Valsesia sotto il dominatus di Vercelli, pur rimanendo infeudata ai da Biandrate. Poco dopo, nel 1257, troviamo un Giacomo da Maggiora che in qualità di ambasciatore della comunità della Valsesia stese a Gozzano un accordo che sanciva l’autonomia giuridica, finanziaria e amministrativa della valle da Novara. A inizio Trecento, Boca appare sotto controllo novarese [Maggiora dalle origini]. Nel 1354 Galeazzo Visconti divide il territorio novarese in quattro squadre, assegnando Maggiora (da poco costituitasi in comunità autonoma) a quella del Sesia.
Feudo
Il 20 ottobre 1449 Maggiora, assieme a Barengo, Briona e Solarolo viene infeudata a Giovanni Tornielli Lorena, famiglia che in seguito divenne Gerbeviller con Carlo Gioacchino che ereditò il titolo di marchese dalla moglie Anna di Chatelet. Nel 1728 i Gerbeviller ottennero il diritto di alienare le terre feudali, che furono vendute, mentre il feudo venne devoluto alla Regia Camera il 22 giugno 1730. Dopo un fallito tentativo di redenzione da parte della comunità, il 12 luglio 1730 venne acquistato dal conte Paolo Gaudenzio Bagliotti, di Novara, per 17.000 lire imperiali, che lo tenne fino all’abolizione della feudalità nel 1797 [Maggiora dalle origini; Dessilani, Feudi e feudatari].
Mutamenti di distrettuazione
A partire dal 1535 il Novarese, come parte dello Stato di Milano, entra a far parte dell’impero spagnolo. Verso il 1560 nasce il Contado di Novara, istituzione intermedia tra la Regia camera e le comunità con scopi prevalentemente fiscali, nata dalla contrapposizione tra le campagne e le città per la definizione dell’estimo. Maggiora non faceva parte delle 29 terre vocali, aventi cioè diritto di parola alle congregazioni.
Per un breve periodo, dal 1713 (trattato di Utrecht) al 1738 (pace di Vienna) il Novarese passa sotto la dominazione austriaca.
Nel 1738 il Novarese passa ai Savoia, venendo così unito al Piemonte, fino al 1798, anno in cui vi fu la conquista napoleonica. Nel 1799-1800 vi fu la breve parentesi dell’occupazione austro-russa. Nel maggio del 1800 tornarono al potere i napoleonici. Il 7 settembre 1800 un decreto di Napoleone istituiva il Dipartimento dell’Agogna, con confine sul Sesia, che aveva come capoluogo proprio Novara. Il Novarese entra così a far parte del Regno d’Italia con capitale Milano, mentre il resto del Piemonte è incorporato nell’impero francese. La legge del 25 fiorile anno IX (13/5/1801) riorganizzava i dipartimenti; quello dell’Agogna comprendeva cinque distretti: Novara, Vigevano, Domodossola, Arona, Varallo Sesia. Nel 1814 il Novarese passa di nuovo ai Savoia. Maggiora viene a far parte del mandamento di Romagnano. Nel 1815 nel mandamento di Romagnano viene compresa Ghemme mentre Boca e Maggiora passano in quello di Borgomanero.
Mutamenti Territoriali
Maggiora è sorta tra il 1311 e il 1342 da tre luoghi precedentemente uniti: Mazoria, Muzzano e Boca. Nel 1723 si accerta che “Maggiora ha sempre fatto Comune da sé né a mia notizia è mai seguita divisione né separazione alcuna di quota da questo Comune” [ASM, Confini parti cedute, 23 bis, fasc. 22, interrogatio del 23/3/1723 di Francesco Fasola, cancelliere della comunità]. In età napoleonica la municipalità di Maggiora comprende per qualche anno quella di Boca. In età napoleonica Maggiora sostiene di essere contraria all’aggregazione “ad altra comune, ma bensì aggregargliele le sudette due comuni di Boca e Vergano, come furono aggregate anticamente per il ramo giudiziario e nell’anno settimo pel ramo amministrativo, per riguardo alla sua popolazione, che va sempre di anno in anno crescendo e non decrescendo […] come per la sua situazione in genere di commercio […] nel genere della calce, e per la sua struttura amena del caseggiato e suo vasto territorio” [ASN, Prefettura dell’Agogna, 552, risposta del comune al prefetto relativamente alla proposta di aggregazione dei comuni di seconda e terza classe, 14/9/1807]. Boca risponderà invece di preferire l’aggregazione a Cavallirio, opponendosi con pervicacia all’unione con Maggiora appena realizzata. In un loro ricorso, gli abitanti di Boca facevano notare che “la comune di Boca, che ha una popolazione di mille e più anime, che sin da tempo immemorabile ebbe una amministrazione propria e che perciò fu sempre in grado di difedere i propri diritti contro chiunque tentasse di lederli, ora (non si sa per quali erronei riflessi di economia) veniva aggregata a quella di Maggiora, e così fu avvilita, degradata, resa dipendente da un’amministrazione estranea, inabilitata alla difesa de di lei diritti” [ASN, Prefettura dell’Agogna, 553, ricorso di Boca del 7/2/1811]. Tornati i Savoia, Boca ritornò a essere comune indipendente.
Comunanze
Nel 1602 Maggiora possedeva una quantità di terreni comunali assolutamente preponderante, pari a 7.860 pertiche novaresi contro 260 di terreni ecclesiastici, 5.151 rurali e nessuna proprietà cittadina [ASM, Feudi Camerali p.a., 412].
Nel 1723 “possede la nostra comunità da sei mila pertiche di beni comunali, cioè boschi da taglio, pascoli e zerbi, e non li affittiamo ma li godiamo noi, tutti privativamente, come pure non andiamo né abbiamo ragione di andare a pascolare né men noi sulli altrui comunali”. Oltre a ciò, il comune detiene “due molini di due ruote da macina per cadauno e due forni, una pista da canapa, li dazi di vino, prestino et scanatura” [ASM, Confini parti cedute, 23 bis fasc. 22, interrogatio del 23/3/1723 di Francesco Fasola, cancelliere della comunità].
Nel maggio del 1750 viene promossa la costruzione di un nuovo mulino comunale, il “molino del Pra’ Sasso”, per finanziare il quale il sindacato di tutti i capi di casa ordina una “taglietta di soldi dieci per caduno denaro d’estimo da contribuirsi da caduno delli estimati tanto personale che rurale” (in pratica: tutta la popolazione, avesse o meno proprietà) “in tante giornate d’homini, donne, o con bestiami d’ogni sorte o denaro” [Conto del molino del Pra’ Sasso fatto edificare dalla Comunità di Maggiora nel anno 1750 e 1751, ASMAG, 35, fasc. 1]. Chi si fosse rifiutato di contribuire, sarebbe stato inserito nella taglia generale e dunque tassato per la cifra corrispettiva. Da un “tiletto” del 1774, le entrate della comunità consistono in tre mulini (molino di mezzo, molino di sopra, molino nuovo del prato sasso), due forni (uno in piazza, uno a Valleggia), nella strada di S. Croce, e nei dazi del prestino, brenta e scannatura [ASMAG, 43, Tiletto a firma notaio Fasola, 14/11/1774]. Gli incanti avvenivano dopo la messa grande alla presenza di tutto il “popolo”. Tra gli incanti figura anche l’entrata del ponte di S. Spirito, di ragione della confraria di S. Spirito, consistente in fieno, “da pagarsi nelle mani de SSri Sindici, secondo il solito, che servano per provedere fasoli da distribuire in nome di detta Comunità il giorno di S. Michele” [ASMAG, 43, 13/6/1749] e, a metà del Settecento, un’osteria e un bettolino.
I beni comunali passarono indenni il periodo napoleonico [ASN, Prefettura dell’Agogna, 386, relativa ai fondi comunali di Maggiora], suscitando anche violenti scontri appena cominciata la Restaurazione [ASTO, Condono generale a tutti gli individui del Comune di Maggiora implicati negli atti di violenza commessi contro i fratelli Cobianchi di Intra acquisitori di beni Comunali, Paesi per A e per B, Macello-Monasterolo, 1, maggio 1815], per essere venduti in massa all’inizio del Regno d’Italia, con regio decreto del 27/11/1859 che approvava il precedente piano di dismissioni del consiglio comunale, “unicamente allo scopo di ovviare all’inconveniente d’aversi un capital giacente ed infruttifero” [ASMAG, 46, seduta del consiglio del 27/10/1859]. Furono alienati in lotti successivi la casa nel castello, il mulino di mezzo e del prato sasso, il forno di Valeggia e gran parte della brughiera. In questo clima furono avviate anche cessioni di diritti enfiteutici, la maggiore delle quali a favore del procuratore-capo Francesco Finazzi, cui fu concesso il diritto eminente (e dunque la proprietà piena) su sei stabili comunali in cambio della redenzione di un suo credito verso la comunità di circa 2.000 lire [ASMAG, 47, Affrancamento d’enfiteusi acconsentito dalla Comunità di Maggiora livellaria a favore dell’utilista signor causidico Procuratore capo Francesco Finazzi del 14/10/1860].
Liti Territoriali
Il nome di Maggiora compare per la prima volta proprio in una lite territoriale, originata da una convenzione stabilita tra gli homines di Rasco e quelli di Maggiora il 21 marzo 1342, allorché “ventum sit inter homines de Mazzoria & illos de Rasco ad instrumentum vicinantiae & communionis pascuorum super bonis circumscriptis” siti tra le coerenze di Borgomanero, Muzano, Boca e Soriso. Tra Quattro e Cinquecento, gli uomini di Rasco rivendicavano la pezza di terra in questione, in quanto da loro regolarmente coltivata; tuttavia, una sentenza del 1508 dava ragione a Maggiora [Arch. Molli, 291, Pro Communitate Mazzoriae cum hominibus de Rasco].
In seguito compaiono un paio di liti con comunità, una con Galliate [ASMAG, 4a, Serie del fatto in parte della Comunità di Maggiora contro la Comunità et homini di Gagliate] e l’altra con Vaciago [ASMAG, 32, fasc. 2 e 47, fasc. 7, Sentenza in lite tra Vaciago e Maggiora], che non riguardano però aspetti territoriali ma contestazioni relative ad alcuni crediti.
Fonti
A.M.B. (Archivio Molli, Borgomanero).
A.M.B.,  cart. 172, 11/3/1728 (decisione del Magistrato ordinario sulla comunità); A.M.B., cart. 291, Pro Communitate Mazzoriae cum hominibus de Rasco.
A.S.N. (Archivio di Stato di Novara).
A.S.N., Prefettura dell’Agogna, cart. 386, relativa ai fondi comunali di Maggiora; A.S.N.,Prefettura dell’Agogna, 552, risposta del comune al prefetto relativamente alla proposta di aggregazione dei comuni di seconda e terza classe, 14/9/1807; A.S.N.,Prefettura dell’Agogna, 553, ricorso di Boca del 7/2/1811
A.V.N. (Archivio Storico Diocesano di Novara).
A.V.N., : Teche Maggiora, 1 [Inventari dei beni]; Visite Pastorali [Vp], in particolare mazzi 85 [Taverna, 1617]; 115 [Volpi, 1628]; 179 [Odescalchi, 1663]; 372 [Morozzo, 1819].
Bibliografia
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Bascapè, C., Nouaria seu De ecclesia Nouariensi libri duo primus de locis, alter de episcopis, Novara, 1612
Casalis, G., Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1833-1856
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Maggiora dalle origini al XX secolo, Maggiora, 1996
Monferrini, S., Dai Visconti agli Sforza. L’integrazione del Novarese nello Stato di Milano, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di M. Montanari, Novara, 2002, pp. 145-193
Montanari, M., L’invenzione di un territorio. Dal comitato di Pombia al contado di Novara, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di M. Montanari, Novara, 2002, pp. 75-106
Silengo, G., Il Novarese nel Settecento sabaudo. Eventi militari e riforme amministrative, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Novara, 2003, pp. 223-274
Descrizione Comune
Maggiora
La caratteristica più interessante di Maggiora in età moderna è rappresentata probabilmente dal predominio dei beni comunali, che risultano di gran lunga più cospicui rispetto a tutti gli altri, essendo di un terzo più ampi delle proprietà rurali, mentre quasi inesistenti appaiono i terreni in mano alla chiesa e ai cittadini. La struttura della proprietà non è un unicum nell’area, essendo simile a quella della vicina Romagnano; conferma però il fatto che le forti proprietà comunali rappresentano un importante strumento di appoggio per i beni rurali, rendendo più difficile l’inserimento dei cittadini nel mercato della terra. A Maggiora, inoltre, i terreni non venivano incantati ma erano perlopiù goduti in comune ancora per tutta l’età moderna [mentre i mulini, i forni e la pista da canapa venivano affittati, quest’ultima a livello, cfr. ASMAG, 43, fasc. 1, Capitoli convenuti tra li Regenti della Comunità et Pietro Massino, s.d., che non mancano naturalmente di sottolineare la preferenza ai residenti rispetto agli stranieri per l’uso della pista, con pena la rescissione del contratto].
Da qui deriva una normativa molto serrata in materia di usurpazione di beni collettivi e di danni inferti contro i campi del comune. In un certo senso, il forte senso della proprietà comunale ne infonde uno per la proprietà privata, che è molto frazionata, nell’ottica secondo cui i beni collettivi costituiscono uno strumento di sviluppo per i possessi privati. È così che i bandi campestri puniscono i proprietari che affittano, poiché, lo si dice esplicitamente, l’affitto viene stipulato con stranieri o con nullatenenti e dunque con persone non responsabili e a cui occorre chiedere “sigurtà”: “Siccome li guasti più frequenti e rimarchevoli tendenti a rendere positivamente , e pressoché tanto i beni comunitativi, quanto li beni particolari di campagna sterili, vengono cagionati non meno dagli abitanti esteri, che s’introducono nel luogo di Maggiora, quanto dai terrieri nullatenenti, quali tutti ad altro non s’impiegano che alle continue usurpazioni e latrocini, dissipando i boschi del pubblico colli beni particolari, e trafugando eziandio di nottetempo qualunque sorta di generi, e di frutto ne’ campi, e vigne senza contegno; saranno perciò tutti quelli che possiedono case da affittarsi, niuno eccettuato, tenuti in proprio al pagamento sì verso la stessa Comunità quanto verso li particolari proprietari de beni in risarcimento de danni […] d’imporsi a loro privativo carico per l’impotenza de loro piggionanti, massari, affittuari, agenti e schiavandari, qualora li padroni stessi delle case non si fossero pria di ricettarli curati di farsi a loro cautela prestare una sigurtà responsale” [Bandi campestri formati dalla Comunità di Maggiora con atto consulare delli 5 Febbrajo 1794, ASMAG, 22, fasc. 4].
Un filo rosso percorre lungo questa direttrice tutta la storia di Maggiora, attraverso la continua riedizione di bandi campestri (tipicamente rivolti contro i danni da parte di animali, soprattutto pecore), i regolamenti di polizia rurale e, tra Otto e Novecento, le associazioni volontarie.
In tale ottica si può leggere anche l’assenza di statuti, che sono validamente rimpiazzati dai primi bandi campestri del 1561, non a caso chiamati Ordines Comunitatis. A ben guardare, i primi bandi non si discostano poi tanto da un documento quale il regolamento di polizia rurale, che ha per oggetto i danni causati dagli animali, pecore in particolare ma non solo [Regolamento di polizia rurale del 26/6/1879, in ASMAG, 22], con l’accento anche su aspetti molto particolari che rivelano una cura ossessiva per il “bene pubblico” [cfr. l’articolo 14 sui nidi: “è assolutamente proibito il perseguitare e distruggere i nidi degli uccelli per le campagne sui pubblici edifici. Cadranno in contravvenzione tanto quelli che li vendono che quelli che li comperano”].
A fine Ottocento queste attenzioni si coaguleranno in alcune associazioni volontarie, la prima che istituisce guardie straordinarie per sorvegliare le vigne, e la seconda invece contro i furti campestri. L’idea alla base delle associazioni era di formare “un consorzio tra i vari interessati [cioè i proprietari] anche sotto il patronato morale del comune di Maggiora”, che “potrebbe avere alle sue dipendenze le opportune guardie rurali per la sorveglianza e per fare le occorrenti contravvenzioni, facendole all’uopo abilitare in conformità di legge” [Associazione volontaria contro i furti campestri, ASMAG, 24, fasc. 1 bis].
La partecipazione collettiva, che avrà come sbocco l’associazionismo, è leggibile anche in altri eventi, primo fra tutti la costruzione di un nuovo mulino comunale (il terzo) nel 1750, allorché tutti i maggioresi (comprese le donne) partecipano allo sforzo “parte in giornate, altri con condotte, o legnami, denari, […] quali denari anno servito per pagare altri che anno fatto le giornate”, tanto che “anzi da vari particolari sono state fatte molte giornate di più del loro debito” [Conto del molino del Pra’ Sasso fatto edificare dalla Comunità di Maggiora nel anno 1750 e 1751, ASMAG, 35, fasc. 1].
La vita locale è dunque dominata dal binomio ruralità-beni collettivi. La rappresentanza della comunità, cioè il consiglio, reagisce in maniera duplice e apparentemente contraddittoria a questa struttura.
Da una parte, si produce un apparente disinteresse dei consiglieri.
Nel 1683 e nel 1737 emerge il problema che i consiglieri, nonostante vengano convocati, “non n’intervengono per non abbandonare i loro lavori, o interessi privati; unde ne aviene che gli affari della Comunità restano incagliati, per non esservi numero sufficiente. Anzi alcuno di essi tosto che resta eletto à tal carrica, ricusa di assumerla, et altri a suo arbitrio la dimette”. Per convincere i consiglieri a presenziare, si era deciso di accordare loro l’immunità dai tributi di carattere personale [ASMAG, Ia categoria, carte riguardanti l’amministrazione, 1, memoriale del 1737].
D’altra parte, a inizio Settecento si palesa anche un problema diverso e per certi versi opposto. Una lagnanza al podestà ci informa che quasi tutti i consiglieri erano “congiunti tra loro”, il che secondo gli estensori (tre della famiglia Fasola e un Ferrari) era causa di maneggi non sempre chiari, in particolare relativamente proprio ai beni comuni. Occorre peraltro notare come i Fasola fossero tra le famiglie storicamente più presenti nel consiglio, oltre a occupare altre posizioni di primo piano, quali il notariato della comunità. La soluzione individuata consisteva, in sostanza, nella formale suddivisione del governo politico in due parti, una dei primi estimati, che avrebbero dovuto eleggere un procuratore che vigilasse sull’andamento economico del comune, e un’altra “de poveri” con eguali poteri di controllo sui mandati da tre lire in su. Seguiva una decisione del Magistrato Ordinario milanese con la quale si dava facoltà a persona eletta dai maggiori estimati di assistere al consiglio comunale, ma senza diritto di veto: “Hunc autem, qui a maioribus estimatis nominabitur licere quandocumque consilio asistere non autem sufragium dare sed solum, ut scint, et relevare possit si quid contra bonum publicum vel in gravamen estimatorum sequitur” [Archivio Molli, 172, 11/3/1728]. Con ciò, pareva comunque scongiurato il tentativo di “serrata” da parte di una ristretta “oligarchia” rurale residente in loco da generazioni (e che pare appunto da ricondursi ai Fasola).
Stando ai processetti preparatori per il catasto di Carlo VI, dove a essere interrogato è proprio un Fasola in qualità di cancelliere della comunità, le maggiori ricchezze provenivano dall’affitto dei terreni. I terreni non erano affittati a denaro ma concessi alla parte, con un patto cosiddetto “a terzo” (due terzi del raccolto spettavano al massaro e un terzo al padrone per quanto riguarda i grani, mentre la spartizione era a metà per il vino e per le noci). La campagna era abbastanza varia: “Vi è d’ogni qualità di terreni di squadra”, da “aratori semplici, aratori avitati, poche vigne da zappa, e prati e beni comunali” (“beni comunali” è qui sinonimo per “boschi e pascoli”). Alcuni prati erano irrigati con le acque del torrente Sizzone. I terreni erano coltivati perlopiù a grano, segale, melga, “si fa vino e fieno e si fa poca canapa, e poche noci, che restano per nostro uso”. I raccolti si vendevano a Borgomanero.
Il commercio e le “industrie” avevano però già in età moderna un’importanza inusuale, se si considera che “Questo comune è censito in dodici cavalli et un quarto di tasso, e li carichi si distribuiscono un quinto sulli mercimoni et il manente tutto sopra il reale” [ASM, Confini parti cedute, 23 bis, fasc. 22, interrogatio del 23/3/1723 di Francesco Fasola, cancelliere della comunità]. La proporzione di un quinto non si aveva nemmeno a Novara città, in cui era pari ad un tredicesimo del carico fiscale.
Maggiora era infatti sede di parecchie fornaci per la produzione di calcina; la vicina comunità di Boca lamenta nel 1811 la “somma difficoltà di preservare i boschi comunali (sul reddito de quali è principalmente basata la prosperità del comune di Boca) dai guasti che loro vengono frequentemente cagionati dalla popolazione di Maggiora, che più d’ogni altra vicina scarseggia di legna da fuoco, a cagione dello straordinario consumo che ne fa nelle molte di lei fornaci da calcina” [ASN, Prefettura dell’Agogna, 553, ricorso di Boca del 7/2/1811 contro l’aggregazione a Maggiora]. Il commercio era aiutato dal fatto che Maggiora si trovava su una grande arteria commerciale: “Questa comune e quella di Boca, e Vergano trovansi situate sulla strada principale di commercio colla Vallesesia” [ASN, Prefettura dell’Agogna, 552, risposta di Maggiora al prefetto relativamente alla proposta di aggregazione dei comuni di seconda e terza classe, 14/9/1807].