Pomaro Monferrato

AutoriCaffù, Davide
Anno Compilazione2007
Provincia
Alessandria.
Area storica
Basso Monferrato. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2.
Abitanti
423 (ISTAT 2001); 400 (ISTAT 2007).
Estensione
13,57 Kmq. (ISTAT).
Confini
A nord Ticineto, a nord-est Valmacca, a est Bozzole, a sud Valenza, a ovest Giarole e Occimiano.
Frazioni
Non vi sono frazioni amministrative. Vedi mappa.
Toponimo storico
Nel 934 «Pomario» (Il Chartarium Dertonense, doc. 60, p. 76); nel 1280 «Pomiaurus» (Le carte dello Archivio capitolare di Tortona, doc. 604, p. 294).
Diocesi
Diocesi di Vercelli fino alla costituzione della diocesi di Casale nel 1474 (Settia 1991, p. 374).
Pieve
Nel 1299 la chiesa di Pomaro risulta appartenere alla pieve «de Mediliano», che sorgeva sul territorio di Lu (ARMO, XVIII p. 36; Settia 1983, p. 37; Cognasso 1929, p. 221).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La chiesa parrocchiale è intitolata a Santa Sabina martire e, secondo quanto riferì il parroco nel 1833, sarebbe stata consacrata nel 1309 (AD Casale, Visita pastorale del vescovo Monsignor Francesco Ignazio Ichieri di Malabalia [1830-1846]. Risposte, mazzo 496, c. 618). L’affermazione del parroco è coerente con le attestazioni della parrocchiale presenti nei registri delle decime della chiesa vercellese (ARMO, XVIII, p. 67, CIX, p. 235; Cognasso 1929, p. 221). Nel Settecento la chiesa di Santa Sabina disponeva di un beneficio di circa 47 moggia di terre fiscalmente esenti (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 13: Convocati delle città e comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente Generale in data delli 19 dicembre 1781).
     A Pomaro sono attestate anche la chiesa di San Rocco, gestita dalla confraternita dei Disciplinati (la confraternita risale al 1750); l’oratorio castrense di Sant' Antonio e la chiesa campestre della Beata Vergine della Neve. Nella visita apostolica del 1748 è menzionato anche a un «sacellum S.ti. Zenonis in districtu parocie Pomarij», che non è più ricordato nell’Ottocento (AD Casale, Visita pastorale del vescovo Monsignor Ignazio Della Chiesa [1746-1758]. Relazioni. Città e diocesi, mazzo 480, fasc. 495, c. 182). A Pomaro furono attive la compagnia del Santissimo Sacramento (dal 1587), quella del Rosario (dal 1718), la Società della Dottrina cristiana e la confraternita di San Rocco (AD Casale, Visite pastorali, Decreti della visita apostolica di Monsignor Girolamo Regazzoni [1577], vescovo di Novara, mazzo 458, c. 620v; AD Casale, Visita pastorale del vescovo Monsignor Ignazio Della Chiesa [1746-1758]. Relazioni. Città e diocesi, mazzo 480, fasc. 495, cc. 183-184).
Assetto Insediativo
Nell’alto medioevo Pomaro era un piccolo centro rurale, nel cui territorio aveva beni allodiali l’abbazia di San Benigno di Fruttuaria (cfr. il lemma ‘Dipendenza nel Medioevo’). Nel secolo XII i marchesi di Monferrato o quelli di Occimiano promossero la costruzione sul colle di una struttura fortificata, la cui prima attestazione documentaria risale al 1198 (Cartario Alessandrino, p. 218, doc. CLVI; Sergi 1986, pp. 383-384). Si trattava ancora di un recinto munito di difese, allestito sulla sommità del colle e in cui era inclusa verosimilmente la parte alta dell’abitato; nel punto più elevato di quest’area poteva ben essere sita la dimora di chi esercitava il potere, elemento destinato, attraverso una trasformazione che forse è già in atto, ad essere ampliato, potenziato e a diventare la struttura militarmente preminente (Sergi 1986, p. 384; cfr. Settia 1984, pp. 467 sgg.).
     Il castrum fu distrutto fra il 1198 e il 1199 dai Vercellesi (Cartario Alessandrino, doc. 172, p. 242) e ricostruito dai marchesi di Monferrato, che svilupparono le potenzialità strategiche del sito per la difesa della parte più meridionale del marchesato, però sottoponendo in tal modo Pomaro alle iniziative nemiche. La forte conflittualità a cui l’area fu sottoposta e il potenziamento del castello dovettero limitare la presenza di case sparse nel territorio circostante.
     Nel territorio di Pomaro svolse una funzione analoga il castello di Mogliole, che nel Duecento attrasse gli abitanti del vicino villaggio di Giarole e delle case sparse (Sergi 1986, p. 374; cfr. la scheda dedicata a Giarole). L’accresciuta consistenza demografica del sito di Mogliole e l’intraprendenza dei suoi signori portarono alla formazione di un territorio dipendente da Mogliole e alla sua progressiva separazione da Pomaro (cfr. il lemma ‘Mutamenti territoriali’).
Luoghi Scomparsi
L’originario insediamento di Giarole, che apparteneva al territorio di Pomaro, si spostò presso il castello di Mogliole e quindi si staccò dal territorio di Pomaro (cfr. la scheda dedicata a Giarole).
Comunità, origine, funzionamento
La prima attestazione di una comunità istituzionalmente organizzata risale al 1303, quando i signori di Mogliole si accordarono con il comune Pomarii per definire le rispettive competenze territoriali (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 1: Transazione seguita tra la comunità di Pomaro ed i signori di S. Nazario di Giarole e uomini pure di questo luogo sulle differenze tra essi vertenti per la pretesa della comunità di Pomaro che il castello e i beni di Giarole dipendessero dal suo territorio e dovessero con esso concorrere nel sopportare i pesi [27 novembre 1303]). Nell’atto che compone questa vertenza il comune di Pomaro risulta in grado di esercitare prerogative militari, giurisdizionali e fiscali sugli uomini e sui beni presenti «in poderio Pomarii» ed è dotato di «capitula», ossia di norme statutarie. Alla fine del Quattrocento la giurisdizione sulle cause criminali era ancora in mano al comune di Pomaro (Sergi 1986, p. 386).
Statuti
Nel 1303 si fa riferimento a un capitulum del comune di Pomaro, ma il testo statutario non si è conservato (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 1: Transazione seguita tra la comunità di Pomaro ed i signori di S. Nazario di Giarole e uomini pure di questo luogo sulle differenze tra essi vertenti per la pretesa della comunità di Pomaro che il castello e i beni di Giarole dipendessero dal suo territorio e dovessero con esso concorrere nel sopportare i pesi [27 novembre 1303]). Statuto comunale odierno, s.d. Vedi testo.
Catasti
Nell’archivio del comune di Pomaro Monferrato è conservata documentazione catastale a partire dalla seconda metà del Seicento: Catasto (1666-1779; 1779-1811 e 1850); Sommarione (1778 e 1836); Mappa (1782); Matricole dei possessori (1892-1899); Libro dei trasporti (1812 e 1851-1864); Catasto metrico (1812); Piano geometrico del territorio del comune di Pomaro (1807); Catasto storico (1807) (AC Pomaro, Sez. II, nn. 21-43). Alla fine del Settecento negli archivi comunali erano ancora disponibili un Catasto del 1663 (che non valutava la resa dei terreni agricoli ma la loro lontananza dal centro) e una misura e una mappa del territorio comunale del 1772 (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 13: Convocati delle città e comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente Generale in data delli 19 dicembre 1781). Nel 1779 l’Intendente di Casale fece verificare l’attendibilità della «mappa, perimetro, libro figurato, sommarione, colonnario, doppi caselarj, libri di stazione» (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 14: Ordinati delle città e terre della Provincia di Casale forniti in seguito alla circolare del sig. Intendente Generale del 2 agosto 1782; AC Pomaro, Sez. II, n. 27: Carte varie Catasto).
Ordinati
La serie dei Convocati inizia nel 1656 ed è continua (AC Pomaro, sez. VI, nn. 1-10, Convocati).
Dipendenze nel Medioevo
Nel 1055 Enrico III confermò all’abbazia di San Benigno di Fruttuaria alcuni beni prediali a Pomaro (MGH 1957, p. 461, doc. 338), che doveva essere un piccolo centro agricolo, come indicherebbe la formula «in loco et fundo Pomarii» presente in un documento del 1003 (Dizionario di toponomastica 1990, p. 506). All’inizio del secolo XII i marchesi di Monferrato o quelli di Occimiano (che riscuotevano la decima di Pomaro: Banfo 2001, p. 397) potrebbero aver avviato la costruzione di un castello per consolidare i propri interessi nell’area (Sergi 1986, p. 383). L’imperatore Federico Barbarossa nel 1152 donò Pomaro al vescovo di Vercelli Uguccione (non sembra però che la chiesa di Vercelli avesse precedenti diritti sulla località: Panero 2004, p. 132; I Biscioni, p. 124, doc. XXXVIII) e nel 1164 ne riconobbe il possesso a Guglielmo il Vecchio, marchese di Monferrato (MGH 1979, p. 378, doc. 467). Nel 1198 i marchesi di Occimiano si allearono con gli Alessandrini, che erano in guerra contro il marchese di Monferrato, e investirono il podestà alessandrino «de medietate castri et ville Pomarii» (Cartario Alessandrino, p. 218, doc. CLVI; Sergi 1986, p. 384; l’investitura non è ricordata in: Cognasso 1968, pp. 374-375). Nella seconda metà del secolo XII il controllo del castello di Pomaro sarebbe stato conteso dunque fra i marchesi di Monferrato e quelli di Occimiano. Tra il 1198 e il 1199 i Vercellesi, alleati degli Alessandrini e degli Astigiani, distrussero il castrum, che doveva, di conseguenza, in quegli anni essere stato controllato dai marchesi di Monferrato (Cartario Alessandrino, doc. 172, p. 242). Forse in seguito alla distruzione, fu il comune di Alessandria a prendere possesso di Pomaro e a controllarne il castello, perché negli accordi di pace il marchese di Monferrato rivendicò «medietatem […] ville et castri Pomari» con la giurisdizione e gli onori «ex cessione facta et datione a marchionibus de Ocimiano comuni Alexandrie» (Cartario Alessandrino, p. 248, doc. 174).
     A partire dal Duecento i marchesi di Monferrato consolidarono il proprio dominio su Pomaro e ne ricostruirono le strutture difensive. La somma di 3000 lire, che Guglielmo VI ottenne dai Pavesi cedendo in pegno Pomaro, si spiegherebbe infatti proprio con l’importanza della località (Valenza fu data in pegno per 4000 lire: Sergi 1986. p. 384). Oltre alle necessità finanziarie furono esigenze politiche e militari a spingere i marchesi di Monferrato a cedere Pomaro al comune di Pavia, che si occupò della sua difesa prima contro Manfredi Lancia e gli Alessandrini e poi contro Carlo d’Angiò (Sergi 1986, p. 385).
     Nelle guerre che fra Tre e Quattrocento videro i marchesi di Monferrato opposti ai Visconti il castello di Pomaro fu ripetutamente attaccato dalle truppe viscontee (Sergi 1986, p. 385; Conti, Tabarelli 1978, p. 96).
Feudo
Nel 1198 i marchesi di Occimiano investirono il podestà alessandrino «de medietate castri et ville Pomarii» (Cartario Alessandrino, p. 218, doc. CLVI; cfr. il lemma ‘Dipendenza nel Medioevo’).
     All’inizio del Cinquecento risultavano avere beni feudali a Pomaro i conti di Biandrate, ai quali nel 1506 il marchese di Monferrato donò «omnia loca et situs» esistenti sulle «ripas» che scorrono nel territorio di Pomaro con la facoltà di costruire nuovi mulini (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 2: Donazione del marchese Guglielmo di Monferrato a Gio’ Francesco e Teodoro fu Guido di S. Giorgio, conti di Biandrate, di tutti li siti esistenti sovra le ripe della Ritana e Riazzo ed altre acque decorrenti sovra li fini di Pomaro con facoltà di costruer mulini [4 ottobre 1506]). Tra il 1516 e il 1518 Guglielmo e Anselmo Visconti, signori di Lazzarone, acquistarono beni feudali e allodiali, che erano in parte appartenuti alla famiglia Broglio (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, nn. 3-6). Nel 1521 un quarto del feudo di Pomaro apparteneva ai monaci di Sant' Ambrogio di Milano (AST, Corte, Monferrato Province, Provincia di Casale, mazzo 4, n. 2: Quietanza dei monaci di S. Ambrogio di Milano verso la marchesa di Monferrato per lire 176 per le quote di Pomaro [25 gennaio 1521]; n. 3: Quietanza dei monaci di S. Ambrogio a favore della principessa Anna di Alençon marchesa di Monferrato, madre e tutrice del marchese Bonifacio per lire 132 per censo dell’annata 1519 per li quarti di Pomaro [1 marzo 1521]). Nel 1528 la reggente Anna d’Alençon concesse i proventi dei castelli di Pomaro e di S. Salvatore con alcuni beni fondiari, i ponti e il porto di Pomaro a Guglielmo de Pellico come garanzia di un consistente prestito (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 7: Dazione in paga fatta dalla marchesa Anna d’Alençon madre e tutrice del marchese Bonifacio di Monferrato a Guglielmo Pellico delle proprietà e beni di Giarole nelli fini di Pomaro ed altri beni e redditi delle Bozzole ivi specificati in libero e franco alodio in soddisfazione di scuti 6000 d’oro [12 novembre 1528]). Questi beni e redditi, a cui fu aggiunta anche la giurisdizione signorile, furono venduti tra il 1538 e il 1539 a Sigismondo della Torre e da costui a Guglielmo di Biandrate, la cui famiglia li tenne fino all’inizio del Seicento (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, nn. 8-10 e 16).
     Nel 1608 il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga vendette a Giulio Cesare Gonzaga, principe di Bozzolo (località del Mantovano), «castra, loca et territoria Pomari et Tricerii» con il «mero et mistro imperio» e la giurisdizione sia civile sia criminale di prima e di seconda istanza (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 23, Beni feudali, n. 9 [27 giugno 1608]). Giulio Cesare Gonzaga insieme ai beni ottenne anche il titolo marchionale. I suoi due figli si divisero i feudi e nel 1634 di Pomaro fu investito Alfonso Gonzaga (Sergi 1986, p. 386). Nel 1685 Giovan Francesco Gonzaga vendette il feudo a Ottaviano Ardizzone, signore di Borgo San Martino, che aggregò al feudo di Pomaro il porto sul Po del limitrofo centro di Bozzole (Sergi 1986, p. 388). Nel 1734 Lelio Ardizzone, figlio di Ottaviano, morì senza eredi maschi e del feudo di Pomaro fu investito il conte Luigi Curione (Sergi 1986, p. 388). Costui fu però privato di Pomaro nel 1745, perché una sentenza camerale riconobbe come legittimo feudatario Giuseppe Rolando Dalla Valle, nipote da parte di figlia di Lelio Ardizzone. I Dalla Valle tennero il feudo di Pomaro fino agli anni Venti del Novecento (Sergi 1986, p. 388).
Mutamenti di distrettuazione
Pomaro Monferrato apparteneva al marchesato, poi ducato, di Monferrato, e risultava fra le terre «al di qua del Tanaro» o della provincia di Casale.
     Dopo l’annessione del ducato di Monferrato agli Stati sabaudi – avvenuta nel 1708 e riconosciuta internazionalmente nel 1713 con il trattato di Utrecht – il comune di Pomaro fu inserito nella provincia di Casale. Tale assetto fu confermato dalla successiva sistemazione delle province piemontesi del 1749 e si mantenne tale fino alla conquista napoleonica del Piemonte avvenuta nel dicembre 1798 (Sturani 2001, p. 118). Le comunità della provincia di Casale furono aggregate senza sostanziali alterazioni a una circoscrizione di estensione variabile, che aveva come capoluogo Alessandria. Si trattò del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo periodo di occupazione francese (1799), e del dipartimento di Marengo, circondario (arrondissement) di Casale, in seguito al ritorno dei Francesi e alla riorganizzazione amministrativa del 1801. Il circondario di Casale non fu modificato dal successivo rimaneggiamento del 1805 (Sturani 2001). Vedi mappa.
     Dopo la parentesi napoleonica fu ripristinata la provincia di Casale, a sua volta inclusa nel 1818 nella divisione di Alessandria (Sturani 1995, p. 132). Nel 1859 la circoscrizione di Casale fu ridotta a circondario della provincia di Alessandria (Sturani 1995, p. 133). All’interno della circoscrizione di Casale, il comune di Pomaro fu inserito nel mandamento di Frassineto (AST, Paesi per Provincia in generale, mazzo 45, fasc. 26). Nel 1927 i circondari furono soppressi, per favorire il rafforzamento e il riordino delle prefetture, che per quanto riguarda Pomaro aveva sede a Casale Monferrato.
Mutamenti Territoriali
Una consistente amputazione territoriale si verificò nel Trecento con la separazione del territorio di Giarole da quello di Pomaro. Nel 1303 i rappresentanti del comune di Pomaro sostennero che il castello di Mogliole era «in territorio et districtu Pomari» e pertanto soggetto al comune di Pomaro giurisdizionalmente ed economicamente (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 1: Transazione seguita tra la comunità di Pomaro ed i signori di S. Nazario di Giarole e uomini pure di questo luogo sulle differenze tra essi vertenti per la pretesa della comunità di Pomaro che il castello e i beni di Giarole dipendessero dal suo territorio e dovessero con esso concorrere nel sopportare i pesi [27 novembre 1303]). I Pomaresi pretendevano che i Sannazzaro, «domini de Moiolis», rispettassero i «precepta comunis Pomarii», fornissero cavalieri all’esercito, amministrassero la giustizia come stabilito dagli statuti di Pomaro e pagassero «fodrum et collecta et dacita comunis Pomarii». L’atto prevedeva anche una somma di denaro dovuta dai Sannazzaro al comune di Pomaro, ma poiché la pergamena è rovinata non è possibile stabilire se si trattasse di un indennizzo oppure di un canone annuo. Nel 1383 il comune di Pomaro sostenne nuovamente che la «villa Glarolais», ancora denominata di Mogliole, era «in territorio et super territorio et posse Pomarii», ma Teodoro II procedette alla separazione del territorio di Giarole da quello di Pomaro (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 1: Copia di sentenza del marchese Theodoro di Monferrato sovra le differenze insorte tra li nobili di S. Nazario di Giarole e gli uomini di detto luogo e la comunità di Pomaro per la pretesa di questa comunità che il castello e il luogo di Giarole fosse del territorio di detto luogo di Pomaro, e che li beni di quel territorio dovessero concorrer per gli contributi per cui si è dichiarato detto castello e luogo di Giarole esser separato per le attenzioni ivi esposte [2 aprile 1384]). Ancora nei primi decenni del Cinquecento i signori di Pomaro rivendicavano una parziale giurisdizione sul territorio di Giarole (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 10: Retrovendita di Gio Guglielmo Pellico al presidente Guglielmo Biandrate di S. Giorgio dei beni e redditi di Pomaro e di Bozzole vendutigli dalla marchesa Anna d’Alençon per 6000 scudi d’oro [27 ottobre 1539]).
Comunanze
Verso la fine del Settecento, il bestiame dei Pomaresi aveva a disposizione per pascolare «le strade pubbliche ed il gerbido del Giarone», che era di circa 50 moggia (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 14, Boschi e selve 1771-1780, Provincia di Casale, cc. 189-191; AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 13: Convocati delle città e comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente Generale in data delli 19 dicembre 1781).
     Nel 1839 il comune di Pomaro ricavava 149 lire dall’affitto dei propri beni (AST, Corte, Paesi per Provincia in generale, mazzo 45, fasc. 26: Tabella generale delle entrate e spese comunitative e delle imposizioni fondiarie regie, provinciali e comunali [1830]).
Liti Territoriali
La definizione del territorio di Pomaro e delle norme relative al suo sfruttamento furono oggetto di continui contenziosi con le comunità e i signori dei villaggi circostanti. La prima fase di definizione territoriale risale al Trecento (1303 e 1384); la seconda al Cinquecento (1514, 1569 e 1573) e l’ultima al Settecento (1722, 1761, 1763, 1772 1779 e 1781). Alla fine del Settecento la comunità di Pomaro procedette a una nuova misurazione del proprio territorio e alla definizione di un confine lineare con i villaggi circostanti, che riaccese le rivendicazioni dei centri limitrofi. I conflitti originati dalla definizione di tale confine favorì un’abbondante produzione documentaria e la trascrizione della documentazione pregressa, che si è così potuta conservare.
Nel 1303 i Sannazzaro, signori di Mogliole, misero in discussione le prerogative che il comune di Pomaro esercitava su Mogliole, che era allora «in territorio et districtu Pomari» (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 1: Transazione seguita tra la comunità di Pomaro ed i signori di S. Nazario di Giarole e uomini pure di questo luogo sulle differenze tra essi vertenti per la pretesa della comunità di Pomaro che il castello e i beni di Giarole dipendessero dal suo territorio e dovessero con esso concorrere nel sopportare i pesi [27 novembre 1303]). Di fronte alle richieste dei rappresentanti del comune di Pomaro, che pretendevano prestazioni militari, economiche e giurisdizionali, i Sannazzaro offrirono una somma di denaro e riconobbero la giurisdizione di Pomaro sui beni che avevano nel territorio di Pomaro e sui beni che i Pomaresi avevano nel loro territorio. La dipendenza di Mogliole-Giarole da Pomaro fu risolta nel 1383, perché il marchese di Monferrato Teodoro II non accolse le richieste degli uomini e il comune di Pomaro, i quali pretendevano che la «villa Glarolais» fosse «in territorio et super territorio et posse Pomarii», e separò il territorio Giarole da quello di Pomaro (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 1: Copia di sentenza del marchese Theodoro di Monferrato sovra le differenze insorte tra li nobili di S. Nazario di Giarole e gli uomini di detto luogo e la comunità di Pomaro per la pretesa di questa comunità che il castello e il luogo di Giarole fosse del territorio di detto luogo di Pomaro, e che li beni di quel territorio dovessero concorrer per gli contributi per cui si è dichiarato detto castello e luogo di Giarole esser separato per le attenzioni ivi esposte [2 aprile 1384]). Nella seconda metà del Trecento anche i signori di Lazzarone richiesero che fossero delimitati l’area soggetta alla loro giurisdizione signorile e il territorio di Lazzarone (attualmente Villabella nel territorio di Valenza) rispetto ai limitrofi Pomaro, Occimiano e Mirabello (AC Pomaro, Sez. II, n. 28, Carte varie Catasto). Tale compito fu svolto dal vicario marchionale Ugolino Falcone, il quale stabilì che il confine fosse fissato «in loco dicto Prycio et ad Pallam Grossam» e che i beni dei Lazzarone presenti nel territorio di Pomaro fossero immuni. In questa prima fase di definizione territoriale la comunità di Pomaro dovette fronteggiare alcune famiglie signorili, che sfruttarono la propria intraprendenza politico-militare e la crescita demografica dei loro villaggi per rivendicare una maggiore autonomia da Pomaro.
Le liti cinquecentesche videro la comunità di Pomaro opposta ai signori di Giarole e alla città di Valenza (AC Pomaro, Sez. II, nn. 27-28, Carte varie Catasto). Le tensioni originate nel 1514 dalla registrazione a Pomaro dei beni che i Sannazzaro avevano nel territorio comunale portarono nel 1573 a una discussione dei precedenti accordi. Per i beni fondiari contesi, che erano di proprietà dei signori e degli uomini di Giarole, fu scelta una soluzione di compromesso che prevedeva la distinzione fra le prerogative giurisdizionali, che furono riconosciute a Giarole, e quelle fiscali, attribuite a Pomaro. Il comune di Pomaro poteva continuare a riscuotere i carichi sui beni degli uomini di Giarole presenti nel suo territorio e riceveva ogni anno 6 scudi d’oro dai Sannazzaro, i cui beni erano però immuni da ogni altra imposta. Nell’atto fu inoltre regolato il passaggio di animali nel territorio di Pomaro. Poiché per risolvere la controversia fu attribuito una notevole importanza alla proprietà dei fondi contesi risultavano avvantaggiate quelle comunità che erano economicamente aggressive e disponevano di precisi registri catastali.
Nel lasso di tempo intercorso fra questi due atti i rappresentanti di Pomaro e quelli del marchese di Monferrato si trovarono nel luogo detto Montembellum, presso la via pubblica che divideva i territori di Pomaro e di Valenza, e descrissero alcuni beni fondiari che la città di Valenza contendeva al territorio di Pomaro (AC Pomaro, Sez. II, nn. 27-28, Carte varie Catasto). La divisione fra i territori di Valenza e di Pomaro fu contestata dalla comunità di Lazzarone, che nel 1731 sostenne di essere stata privata di alcuni beni. Si trattava in prevalenza di terreni dell’oratorio di S. Rocco di Pomaro che i Pomaresi rivendicavano come loro, perché erano stati accatastati a Pomaro e appartenevano al feudo di Pomaro. A differenza di quanto era avvenuto in precedenza per dirimere la lite non fu più scelta una soluzione di compromesso, perché i beni contesi furono riconosciuti quasi completamente al comune di Pomaro proprio perché erano registrati nei propri catasti. Anche in questo caso stabiliti i terreni che appartenevano a Pomaro e a Lazzarone fu necessario regolare l’accesso alla strada delle Barre o Molinara e al ponte di cotto che gli uomini di Lazzarone usavano per recarsi a Valenza. La divisione fu accettata dai marchesi Dalla Valle, signori di Pomaro, e Busca, signori di Lazzarone, che così definirono anche le rispettive giurisdizioni. Tra il 1761 e il 1763 fu definito il confine tra Pomaro e Valenza, al cui territorio appartenevano sia Monte sia Lazzarone, con particolare attenzione alle regioni del «Bucchione di Monte», attribuito a Valenza, della Rostina, del Pozzo e della Bocca, contigua al rio Grana, attribuite a Pomaro (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 13, Province di ultimo acquisto, n. 25: Relazione delle questioni territoriali fra le comunità della Provincia d’Alessandria e le terre e comunità limitrofe ricavate dalli rispettivi verbali trasmessi a questo Ufficio).
Nel 1772 furono stabiliti i confini del territorio di Pomaro, che risultava separato da quello di Valmacca dal percorso della Roggia, da Giarole nel sito del «Prato Rosso», da Bozzole nella «Valle de’ Basti», da Ticineto nella contrada della «Sbaudata» e da Occimiano nella contrada del «Ruschetto» (AC Pomaro, Sez. II, nn. 27-28, Carte varie Catasto). Nel 1779 il perito dell’Intendente di Casale sostenne l’attendibilità della «mappa, perimetro, libro figurato, sommarione, colonnario, doppi caselarj, libri di stazione, il tutto continente l’intero territorio di detto luogo di Pomaro», anche se erano ancora attive delle liti con Lazzarone e Bozzole per la definizione del territorio comunale. Ancora nel 1781 il comune di Pomaro contese a Lazzarone beni fondiari per circa 145 moggia, che appartenevano agli uomini di Lazzarone ma erano accatastati a Pomaro (AC Pomaro, Sez. II, n. 27, Carte varie Catasto)
Fonti
AC Pomaro (Archivio storico del comune di Pomaro Monferrato):
Sez. II, n. 14, Imposte e causati (1777-1800); n. 19, Imposte e causati (1724-1772);
Sez. II, n. 21, Catasto trasporti (1851-1864); n. 22, Catasto sommarione (1778); nn.     23-27, Catasto (1666-1779; 1779-1811); nn. 27-28 Carte varie Catasto; nn. 31-34     Catasti (1850); n. 35 Catasto e matricole possessori (1892-1899); n. 36, Catasto e     Libro dei trasporti (1812); n. 37, Mappa (1782); n. 38, Libro dei trasporti (1812); n.     39, Abbozzo catastale (1812); n. 40, Sommarione (1836); n. 41, Catasto metrico     (1812); n. 42, Piano geometrico del territorio del comune di Pomaro (1807); n. 43,     Catasto storico (1807);
Sez. VI, nn. 1-10, Convocati.
ARMO (Acta Reginae Montis Oropae), Biella, Unione Tipografica Biellese, 1945 (i documenti XVIII, XXXIV e CIX sono editi a cura di Giuseppe Ferraris).
ASDC (Archivio storico diocesano di Casale Monferrato):
Visite pastorali, Decreti della visita apostolica di Monsignor Girolamo Ragazzoni     (1577), vescovo di Novara, mazzo 458, cc. 78-79;
Visita pastorale del vescovo Monsignor Ignazio Della Chiesa (1746-1758). Relazioni.     Città e diocesi, mazzo 480, fasc. 495, cc. 182-188;
Visita pastorale del vescovo Monsignor Francesco Ignazio Ichieri di Malabalia (1830-1846). Risposte, mazzo 496, cc. 618-636.
AST (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, II archiviazione, capo 13, Province di ultimo acquisto, n. 25:     Relazione delle questioni territoriali fra le comunità della Provincia d’Alessandria e     le terre e comunità limitrofe ricavate dalli rispettivi verbali trasmessi a questo Ufficio;
Camera dei Conti, II archiviazione, capo 14, Boschi e selve 1771-1780, Provincia di     Casale, cc. 189-191;
Camera dei Conti, II archiviazione, capo 23, Beni feudali, n. 9 [27 giugno 1608];
Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 13: Convocati delle città e     comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente     Generale in data delli 19 dicembre 1781; n. 14: Ordinati delle città e terre della     Provincia di Casale forniti in seguito alla circolare del sig. Intendente Generale del 2     agosto 1782; n. 41;
Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 1: Copia di sentenza del marchese Theodoro di Monferrato sovra le differenze insorte tra li nobili di S. Nazario di Giarole e gli uomini di detto luogo e la comunità di Pomaro per la pretesa di questa comunità che il castello e il luogo di Giarole fosse del territorio di detto luogo di Pomaro, e che li beni di quel territorio dovessero concorrer per gli contributi per cui si è dichiarato detto castello e luogo di Giarole esser separato per le attenzioni ivi esposte [2 aprile 1384]; n. 2: Donazione del marchese Guglielmo di Monferrato a Gio’ Francesco e Teodoro fu Guido di S. Giorgio, conti di Biandrate, di tutti li siti esistenti sovra le ripe della Ritana e Riazzo ed altre acque decorrenti sovra li fini di Pomaro con facoltà di costruer mulini [4 ottobre 1506]; nn. 3-6; n. 7: Dazione in paga fatta dalla marchesa Anna d’Alençon madre e tutrice del marchese Bonifacio di Monferrato a Guglielmo Pellico delle proprietà e beni di Giarole nelli fini di Pomaro ed altri beni e redditi delle Bozzole ivi specificati in libero e franco alodio in soddisfazione di scuti 6000 d’oro [12 novembre 1528]; n. 8: Vendita di Guglielmo Pellico, feudatario, a Sigismondo della Torre di tutti i beni, case, cascine e giurisdizioni, porti che aveva ottenuto nei territori di Pomaro e di Bozzole per 3700 scudi d’oro [6 novembre 1538]; n. 9: Vendita di Sigismondo della Torre al presidente Guglielmo di S. Giorgio della giurisdizione, beni e redditi che possedeva nelli fini di Pomaro e di Bozzole acquistati da Guglielmo Pellico […] per 4050 scudi d’oro [6 ottobre 1539]; n. 10: Retrovendita di Gio Guglielmo Pellico al presidente Guglielmo Biandrate di S. Giorgio dei beni e redditi di Pomaro e di Bozzole vendutigli dalla marchesa Anna d’Alençon per 6000 scudi d’oro [27 ottobre 1539]; nn. 13-16; n. 17: Relazione d’Antonio Lupocini della visita per esso fatto della Roggia di Pomaro, con suggerimento de’ mezzi per toglierne gli abusi [27 novembre 1604]; n. 20: Parere del Senatore Cozio nel processo criminale ordinato contro li particolari di Pomaro, che sono intervenuti alla rottura della chiusa ed incastro del molino del conte Presidente Vincenzo Natta [1660]; n. 21, n. 22: Relazione del Maestrato di Casale sull’annesso ricorso del marchese di Pomaro Alfonso Gonzaga di Bozzolo per conseguire un credito verso la comunità di detto luogo ne’ beni del cavalier Merlo [6 settembre 1663];
Corte, Monferrato Province, Provincia di Casale, mazzo 4, n. 1: Scritture riguardanti le differenze insorte tra la comunità di Pomaro, i successori del marchese Ardizzone già feudatario di quel luogo, altri particolari da una parte e la comunità di S. Salvatore dall’altra per causa del trasporto della roggia e permuta de’ terreni per la macerazione delle canape, che gli uomini di S. Salvatore volevano fare sul territorio di Pomaro [1744]; n. 2: Quietanza dei monaci di S. Ambrogio di Milano verso la marchesa di Monferrato per lire 176 per le quote di Pomaro [25 gennaio 1521]; n. 3: Quietanza dei monaci di S. Ambrogio a favore della principessa Anna di Alençon marchesa di Monferrato, madre e tutrice del marchese Bonifacio per lire 132 per censo dell’annata 1519 per li quarti di Pomaro [1 marzo 1521];
Corte, Paesi per Provincia in generale, mazzo 45, fascc. 6, 11, 15, 22, 26, 28, 33, 36, 46;
Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 1: Transazione seguita tra la comunità di Pomaro ed i signori di S. Nazario di Giarole e uomini pure di questo luogo sulle differenze tra essi vertenti per la pretesa della comunità di Pomaro che il castello e i beni di Giarole dipendessero dal suo territorio e dovessero con esso concorrere nel sopportare i pesi [27 novembre 1303]; n. 2: Vertenza tra la comunità di Pomaro e quella di San Salvatore per opere di fatto eseguite sulla roggia del Grana [1820]
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Bibliografia
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Le carte dello archivio capitolare di Casale Monferrato fino al 1313, a cura di F. Gabotto, U. Fisso, Pinerolo 1907 (BSSS 40).
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MGH, Diplomata Regum et Imperatorum Germaniae, X, 2, Hannover 1979. Vedi testo.
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Descrizione Comune
Pomaro Monferrato
    
La costruzione del castrum, avvenuta nel corso del secolo XII da parte dei marchesi di Monferrato o di Occimiano, trasformò Pomaro da centro agricolo a nodo strategico. La fortificazione fu un’occasione di sviluppo, ma attirò anche su Pomaro l’ostilità delle truppe nemiche. Il castrum, che le fonti attestato a partire dal 1198, fu parzialmente distrutto dai Vercellesi pochi mesi dopo e in seguito ricostruito e ampliato dai marchesi di Monferrato, che se ne servirono per la difesa dei confini meridionali del marchesato.
     L’importanza delle strutture difensive e la conflittualità che interessò l’area ebbero conseguenze importanti sull’assetto insediativo, perché il villaggio, ovunque si fosse trovato nell’alto medioevo, si sviluppò accanto al castello, protetto da quel «considerevole complesso fortificato del recinto«» che caratterizzò Pomaro fino alla sua distruzione da parte degli Spagnoli nel 1638 (nel dialetto locale con “recinto” si designa ancora oggi la parte alta del paese: Sergi 1986, pp. 386-387).
     Analogo sviluppo avrebbe caratterizzato il sito di Mogliole-Giarole, che apparteneva al territorio di Pomaro (cfr. i lemmi ‘Mutamenti territoriali’ e ‘Liti territoriali’). L’intraprendenza dei signori e delle comunità circostanti, come avvenne nel caso dei Sannazzaro, signori di Mogliole, minacciò l’integrità del territorio di Pomaro. Dalla sua prima attestazione documentaria del 1303 l’attività del comune di Pomaro risulta strettamente connessa alla difesa e alla definizione del territorio comunale.
     Questa attività proseguì nel Cinquecento e nel Settecento, perché il territorio di Pomaro fu soggetto a continue ridefinizioni che comportarono più o meno consistenti mutamenti territoriali, l’accatastamento dei beni signorili immuni e la fissazione di un confine lineare.
     Nel Settecento una serie di indagini dell’Intendente Generale di Casale promossero una migliore conoscenza del territorio e verificarono l’attendibilità dei registri fiscali del comune. Furono così chiariti i criteri con i quali nel 1663 erano stati accatastati i beni: i terreni agricoli erano valutati non sulla  base dei loro rendimenti,  ma del "circolo" a cui appartenevano, mentre  i fabbricati e le abitazioni del centro erano registrati,  a differenza di alcuni mulini e abitazioni sparse che erano fiscalmente esenti (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 26, Monferrato, n. 13: Convocati delle città e comunità della Provincia di Casale in risposta alla circolare del Sig. Intendente Generale in data delli 19 dicembre 1781).
     Il territorio produttivo era valutato in 4000 moggia, di cui l’arativo occupava circa l’84,5 per cento – e infatti le «granaglie» erano considerate la principale produzione agricola –, i prati il 2,5 per cento, la vite il 10 per cento, il bosco l’1,25 per cento (Casalis riporta l’esistenza di un «bosco grosso»,  che non è però documentato: Casalis 1847, p. 533), il gerbido della comunità e le aree ghiaiose e paludose lo 0,5 per cento  ciascuno.
     Scarso era il peso dei beni feudali fiscalmente esenti, stimati in circa il 4,85 per cento del territorio produttivo, e di quelli ecclesiastici immuni, che erano poco meno della metà di quelli feudali. La limitata estensione di questi beni dimostra con quanta attenzione il comune di Pomaro avesse provveduto a registrare i beni allodiali acquisiti nel proprio territorio dai feudatari e dagli enti religiosi al fine di poter pretendere da loro il pagamento delle imposte. Per esempio nel 1514 furono registrati i beni che i Sannazzaro avevano nel territorio di Pomaro e nel 1722 in accordo con il comune di San  Salvatore fu seguita la stessa proceduta con i beni del conte Cozio (AC Pomaro, Sez. II, nn. 27-28, Carte varie Catasto).
     Tuttavia, se dal medioevo il comune di Pomaro difese l’integrità del territorio comunale ed era in grado di esercitare prerogative militari, giurisdizionali e fiscali, nel corso dell’età moderna sembrerebbe aver perso la capacità di gestire il territorio a favore dei feudatari locali. Il comune perse, per esempio, la gestione delle acque, che costituivano un’importante risorsa, come dimostra l’alto numero di mulini presenti a Pomaro e nel vicino villaggio di Bozzole. Nel 1506, i conti di Biandrate ottennero dai marchesi di Monferrato il possesso di tutte le strutture esistenti nei pressi dei corsi d’acqua che scorrevano nel territorio di Pomaro con la facoltà di costruire nuovi mulini (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 2: Donazione del marchese Guglielmo di Monferrato a Gio’ Francesco e Teodoro fu Guido di S. Giorgio, conti di Biandrate, di tutti li siti esistenti sovra le ripe della Ritana e Riazzo ed altre acque decorrenti sovra li fini di Pomaro con facoltà di costruer mulini [4 ottobre 1506]).
     Benché i marchesi di Monferrato avessero poi avocato a sé tale prerogativa (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 13), il feudatario di Pomaro propose la costruzione di nuovi mulini da alimentare con l’acqua ricavata dalla bonifica dei siti paludosi (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 14). Questa soluzione avrebbe avvantaggiato il comune, che avrebbe potuto tassare le terre bonificate, e soprattutto i signori del luogo, che avrebbero sfruttato i mulini senza sobbarcarsi gli alti costi legati alla costruzione e alla manutenzione di un nuovo canale alimentato con l’acqua dal Po (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 17).
     Nel territorio di Pomaro erano allora attivi 11 mulini, dai quali il marchese di Pomaro prelevava un terzo del macinato. Il rifiuto da parte del marchese Natta, presidente del Senato di Mantova, di pagare tale tributo per il mulino – detto il Castellano – che aveva acquistato nel territorio di Pomaro scatenò le rappresaglie dei Pomaresi e del feudatario Alfonso Gonzaga. La lite giudiziaria che seguì alla distruzione delle chiuse del mulino si concluse però a favore del conte (AST, Corte, Monferrato Feudi, mazzo 57, Pomaro, n. 20: Parere del Senatore Cozio nel processo criminale ordinato contro li particolari di Pomaro, che sono intervenuti alla rottura della chiusa ed incastro del molino del conte Presidente Vincenzo Natta [1660]; n. 21; Raviola 2003, p. 289).
    Nel Settecento la gestione delle acque fu nuovamente al centro di un contenzioso che vide la comunità di Pomaro opposta a quella di S. Salvatore (cfr. la scheda dedicata a San  Salvatore Monferrato). Poiché, in seguito a un'alluvione, la manutenzione della Roggia Vecchia era diventata troppo onerosa, gli uomini di San Salvatore e il marchese Lelio Ardizzone progettarono una permuta di terreni per far macerare e asciugare la canapa nella Roggia nuova (AST, Corte, Monferrato Province, Provincia di Casale, mazzo 4, n. 1: Scritture riguardanti le differenze insorte tra la comunità di Pomaro, i successori del marchese Ardizzone già feudatario di quel luogo, altri particolari da una parte e la comunità di S. Salvatore dall’altra per causa del trasporto della roggia e permuta de’ terreni per la macerazione delle canape, che gli uomini di S. Salvatore volevano fare sul territorio di Pomaro [1744]). La morte del marchese Lelio Ardizzone aveva però bloccato le permute dei terreni necessarie alla realizzazione del progetto.
     La lite giudiziaria che ne seguì verteva sulla natura delle acque interessate – occorreva stabilire se fossero o meno feudali e se quindi spettasse al marchese la loro gestione –, sul risarcimento dovuto ai proprietari dei terreni interessati dal progetto – che erano per la maggior parte del marchese – e sull’utilità che la comunità di Pomaro ne avrebbe potuto ricavare. Benché i rappresentanti di San Salvatore sostenessero che il progetto era «utile e vantaggioso al castello e luogo di Pomaro per riguardo alla salubrità dell’aria», i Pomaresi lamentavano proprio i danni che tale attività avrebbe potuto arrecare se svolta in prossimità delle loro abitazioni e accusavano quelli di San Salvatore di aver volontariamente manomesso il sito della Roggia Vecchia. Il sostegno fornito agli uomini di San Salvatore dal marchese di Pomaro doveva però vincere le resistenze dei Pomaresi. Nel corso dell’età moderna lo sfruttamento delle potenzialità del territorio di Pomaro era quindi stato gestito dai feudatari locali, che avevano cercato di aumentare le proprie rendite promuovendo la costruzione di nuovi mulini e riservandosi l’esclusiva gestione delle acque.
     La controversia tra la comunità di Pomaro e quella di San  Salvatore riprese in modo vorticoso agli inizi dell’Ottocento, quando sentenze del Senato favorevoli ora all’una ora all’altra delle parti lasciarono di fatto spazio ad atti di forza e rappresaglie (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 2: Vertenza tra la comunità di Pomaro e quella di San Salvatore per opere di fatto eseguite sulla roggia del Grana [1820]). Il marchese di Pomaro – che era stato il principale sostenitore degli uomini di San  Salvatore – era infatti stato privato della gestione delle acque e la comunità di Pomaro, che aveva recuperato tale prerogativa, era contraria al progetto e sosteneva le azioni di sabotaggio compiute dai suoi membri.
     Nel 1819 i Pomaresi deviarono le acque che alimentavano la Roggia, che nell’estate fu secca, e piantarono alcuni alberi nei prati circostanti, impedendo così alla canapa di asciugare. Forti di una sentenza del Senato che riconosceva loro il diritto di far macerare la canapa, gli uomini di S. Salvatore reagirono costruendo una diga di terra sulla Roggia e tagliando gli alberi senza avvertire la comunità di Pomaro. Le acque che defluivano nel territorio di Pomaro erano state un’importante risorsa e per il loro sfruttamento erano stati costruiti canali, chiuse e mulini dando vita a un sistema complesso e vulnerabile. Cercando di diminuire la portata della Roggia i Pomaresi avevano privato dell’acqua anche il mulino del Bessone, così come gli uomini di San Salvatore, costruendo uno sbarramento in terra, avevano messo a rischio di inondazione le aree adiacenti. I Pomaresi sostenevano che la Roggia fosse un «torrente» e pertanto soggetto ad accentuate variazioni di portata a seconda delle stagioni, quelli di San Salvatore che invece fosse un canale e quindi di portata regolabile con chiuse e dighe (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 17, n. 2: Vertenza tra la comunità di Pomaro e quella di San Salvatore per opere di fatto eseguite sulla roggia del Grana [1820]). L’oggetto della contesa giudiziaria non fu più la macerazione della canapa ma la stessa gestione delle acque e degli alberi all’interno del territorio di Pomaro. Non si trattò di una lite territoriale, poiché in gioco era quella facoltà di gestire le acque che i Pomaresi aveva recentemente strappato al marchese di Pomaro.