Balme

AutoriCaffù, Davide
Anno Compilazione2014
Provincia
Torino
Area storica
Valli di Lanzo
Abitanti
91 [DBST 2001]; 87 [ISTAT 2001]; 99 [ISTAT 2014]
Estensione
61,47 kmq [BDST 2014; ISTAT 2014].
Confini
A nord Groscavallo, a est Ala di Stura, a sud-est Lemie, a sud Usseglio, a ovest Bessans (F)
Frazioni
Bogone, Chialambertetto, Cornetti, Frè, Molette, Molera, Pian della Mussa, villaggio Albaron
Toponimo storico
Nel 1674 la località è indicata come «Balma» [AA Torino, visita pastorale del vescovo Beggiano, 7/1/20, c. 48-51v]. Il nome deriverebbe dal latino valva [Dizionario di toponomastica 1990, p. 67]. Chialambertetto deriverebbe, invece, da casa Lamberti: il francoprovenzale ca- iniziale si sarebbe trasformato nel suono kja e Lamberto sarebbe un nome germanico piuttosto diffuso nelle Valli di Lanzo, come suggerisce anche il caso di Chialamberto [Dizionario di toponomastica 1990, p. 235].
Diocesi
A differenza di quanto avvenne per la Valle di Susa, dall’alto medioevo il confine della diocesi torinese nelle valli di Lanzo avrebbe raggiunto lo spartiacque alpino [Casiraghi 1979, p. 46].
Pieve
Nel medioevo la chiesa di S. Maria di Ceres svolgeva le funzioni pievane per l'alta valle di Ala, mentre la chiesa di S. Nicola di Ala di Stura era la più vicina a Balme [Casiraghi 1979, p. 83].
Nel 1298 nel territorio di Balme non sono attestati edifici religiosi dipendenti da Ceres [Casiraghi 1979, p. 83], anche se si ritiene che l'area fosse già popolata stabilmente [si veda il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’].
Le funzioni di parrocchiale passarono successivamente a S. Nicola in «loco Alle», come si ricava dalla visita pastorale di Filippo De Mari nel 1545-7 [AA Torino, visita pastorale del vescovo De Mari, 7/1/2, c. 76]. In quell'occasione il presule torinese non sembrerebbe aver visitato edifici religiosi a Balme, Mondrone e Chialambertetto. A partire dal 1653 è documentata la chiesa della Santissima Trinità con funzioni di parrocchiale [AA Torino, visita pastorale del vescovo Bergera, 7/1/10, cc. 239v-244v].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nella cartellonistica affissa sull'ecomuseo delle Guide Alpine di Balme «la cappella "della Sindone", rustica costruzione tuttora visibile di fronte alla casaforte del Routchàss, già esistente nel XV secolo», sarebbe il più antico edificio religioso presente nell'area. La cappella fu poi sconsacrata e adibita a stalla in seguito alla costruzione della parrocchiale.
Al 1653 risale la prima visita pastorale alla chiesa parrocchiale della Santissima Trinità, anche se l'edificio sarebbe stato costruito nel 1612 [Santacroce 2006, p. 21]. Anche di questo edificio restano pochissime tracce, perché l'attuale chiesa della Santissima Trinità fu «edificata» dall'arcivescovo di Torino Francesco Luserna Rorengo di Rorà nel 1769 in occasione della sua visita a Balme [Casalis 1834, p. 42].
Nel 1653 il presule Giulio Cesare Bergera registrò la presenza nella chiesa degli altari del Santissimo Sacramento, del Santissimo Crocifisso e del Santissimo Rosario [AA Torino, visita pastorale del vescovo Bergera, 7/1/10, cc. 239v-244v]. Nel Settecento i primi due furono sostituiti dall'altare maggiore dedicato alla Santissima Trinità e da quello di S. Antonio abate, mentre quello del Rosario fu dedicato alla Beata Vergine del Rosario [AA Torino, visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212].
Dal 1674 sono attestate le confraternite del Rosario e del Santissimo Corpo di Gesù [AA Torino, visita pastorale del vescovo Beggiano, 7/1/20, c. 48-51v]. Nel 1752 si erano aggiunte quelle del Santissimo Nome di Gesù e della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo, che non avevano redditi propri [AA Torino, visita pastorale del vescovo Roero, 7/1/32, cc. 228-249]. Pochi anni dopo il vescovo Rorengo attestò l'esistenza della congregatio dei Figli e delle Figlie di Maria e delle confraternite della Santissima Trinità, della Dottrina Cristiana e di S. Ursula [AA Torino, visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212]. Nel 1785 i redditi della parrocchiale consistevano in un tributo fisso da parte delle comunità di Balme e di Chialambertetto, che ammontava a 200 lire, più le decime e le collette in natura [AC Balme 4 Deliberazioni – Registri di copie di ordinati; Calzolari 2006, p. 17].
Nel 1653 furono visitate due cappelle dedicate entrambe a S. Anna, una a Cornetti e l'altra nella borgata di Balme [AA Torino, visita pastorale del vescovo Bergera, 7/1/10, cc. 239v-244v]. Quest'ultima non comparve più nella visita del 1674, nel corso della quale «in loco Balma» furono visitate le cappelle della Beata Vergine Maria e un'altra dedicata, forse, alla Natività «ad uso illos de Castegnerii» [AA Torino, visita pastorale del vescovo Beggiano, 7/1/20, c. 48-51v]. Nel 1769 nella regione «dicta Balme» c'erano le chiese della Natività della Beata Maria Vergine e di S. Urbano [AA Torino, visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212]. Quest'ultima possedeva beni nella regione «detta Balma» [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2]. Si tratta forse dei due edifici indicati nel 1674 oppure, più probabilmente, di quelli che nel 1653 erano stati posti «in loco de Rocco» dal vescovo Bergera [AA Torino, visita pastorale del vescovo Bergera, 7/1/10, cc. 239v-244v]. Nel Settecento la chiesa di S. Rocco era collocata in un'area detta «Sila», poco più a valle della parrocchiale [AA Torino, visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212]. Nel corso del Seicento furono visitate anche le cappelle di S. Maria – nel luogo, forse, «molandinis» –;di S. Maria Maddalena in regione Molette; di S. Anna in regione Cornetti e della Natività di Gesù «in alpe Mussa» [AA Torino, visita pastorale del vescovo Beggiano, 7/1/20, c. 48-51v].
Nel 1769 nella regione della Mussa è invece indicata la chiesetta della Beata Vergine delle Grazie costruita dagli abitanti dell'alpe e, per la prima volta, fu visitata quella della Beata Maria Vergine delle Grazie a Chialambertetto [AA Torino, visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212]. Ad eccezione della chiesa della Santissima Trinità, negli altri edifici le funzioni religiose erano celebrate solo in occasione di determinate ricorrenze. Le visite pastorali e il catasto Rabbini del 1860 concordano sull'assenza di edifici religiosi a Bogone, Molera e Fré [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Balme, cartelle nn. 11-12].
Non trova conferma, invece, la notizia riportata da Goffredo Casalis di una cappella consacrata alla Vergine costruita all'interno di una grotta [Casalis 1834, p. 42].
Assetto Insediativo
Fra medioevo e prima età moderna il territorio di Balme dovette accogliere pastori e minatori, che ne sfruttavano le risorse naturali con una permanenza, forse, stagionale. Il primo insediamento documentato risale al 1591. Su di una lastra di pietra murata nel Routchàss, «rustica casaforte su una rupe dominante il sottostante torrente Stura», è riportato l'evento «a li 5 magio 1591 – me Jouan Castagnero ho fato la presente casa – laus Deo» [Santacroce 2006, p. 21]. Questa casaforte sarebbe stata costruita nei pressi della cappella "della Sindone" che, se risalisse veramente al secolo XV, suggerirebbe l'esistenza di altre abitazioni preesistenti al Routchàss stesso. I più antichi insediamenti presenti nell'area sarebbero quindi quelli del capoluogo e di Chialambertetto [si veda il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’].
La borgata Balme continuò a crescere e nel 1612 fu costruita la prima chiesa parrocchiale. Fra Seicento e Settecento si svilupparono anche gli insediamenti sparsi sul territorio, come indica la presenza di cappelle a Molette, ai Cornetti e al Pian della Mussa. Nel 1752 il vescovo Roero li definì insieme al capoluogo «suboppida seu burgate» [AA Torino, visita pastorale del vescovo Roero, 7/1/32, cc. 228-249] e, in effetti, la popolazione di Balme e Chialambertetto era cresciuta dalle 80 anime del 1674 alle 384 del 1769 [AA Torino, visita pastorale del vescovo Beggiano, 7/1/20, c. 48-51v; visita pastorale del vescovo Rorengo, 7/1/41, cc. 201-212]. Le difficoltà a individuare l'esatta intitolazione degli edifici religiosi e la loro ubicazione è sintomatica dei cambiamenti avvenuti nella definizione delle regioni, che compongono il comune. In occasione della stesura del catasto sabaudo del 1709 il territorio comunale fu suddiviso in 10 regioni e di 8 ne furono riportati i nomi: 1) regione di Magano, Molare, Molette, Chiosallo e Chiari del Carro; 2) regione detta Balma, Balmatte, l'Alla, Campanino e Fontanette; 3) regione del Males, parte dell'alpe della Mussa e Ciamarella; 4) regione detta del versante dell'alpe della Mussa; 5) regione del Bogone; 6) regione del Campanino, Cornetto, Repiatto, Chios, Salvino che comprendeva la Comba; 7) regione del repiatto, Servini e parte del Boschetto; 8) regione del Pianoro e parte dell'alpe del Paschiet [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2]. La stessa costruzione nel 1769 della nuova parrocchiale a valle del capoluogo – e in analoga posizione della cappella di S. Rocco – indicherebbe la ricerca di un sito centrale così da non privilegiare un insediamento a discapito degli altri. La preminenza del capoluogo non era in discussione, dato che ospitava la vecchia casa comunale, cui si aggiunse in seguito il primo edificio scolastico [Archivio 2006, pp. 72-76], ma era bilanciata dalle altre borgate e dalla comunità di Chialambertetto, che allora era autonoma dal punto di vista amministrativo ma dipendeva dalla chiesa della Santissima Trinità per le funzioni religiose.
Dalle mappe ottocentesche del Catasto Rabbini e da quelle allegate ai permessi di ricerca mineraria risultano al Pian della Mussa due gruppi di case a poca distanza fra loro con in mezzo una cappella [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Balme, cartelle nn. 11-12 con mappe] e numerosi alpeggi, come quelli attestati alla Comba, a Pian Giovè, sull'alpe Saulera, alla punta Giasset e le case Castagneri sul Belvedere [AST, Corte, Distretto minerario del Piemonte, I versamento, Miniere, Permessi di ricerca, mazzo 41, fascc . 3-4, 11, 13-14]. Da queste mappe risulta che attorno alla parrocchiale non c'erano edifici, perché il capoluogo si trovava più a monte. La costruzione di un nuovo edificio che ospitasse la scuola e la sede del comune divenne urgente a fine Ottocento, ma fu realizzato solo nel 1931 [AC Balme 21 Deliberazioni – Registro delle deliberazione del podestà; AC Balme 463 Lavori pubblici – Costruzione del nuovo edificio scolastico; Archivio 2006, pp. 72-76]. Viste le precarie condizioni igienicosanitarie la vecchia scuola fu chiusa e nell'anno scolastico 1921- 22 spostata nei locali della cappella di S. Urbano [Archivio 2006, p. 74]. Solo nel corso del Novecento, quindi, l'area attorno alla parrocchiale fu occupata da edifici senza soluzione di continuità con il capoluogo. Nella seconda metà dell'Ottocento fu costruita la strada carrozzabile che collega Balme a Torino sostituendo l'antica mulattiera. Il tratto Germagnano-Ceres fu completato nel 1857, quelli fino ad Ala di Stura nel 1872 e a Balme nel 1887. Nel 1909-10 fu sistemata la strada fra Balme e il Pian del Mussa da parte del comune di Torino, che vi prende l'acqua potabile per l'acquedotto cittadino [Santacroce 2006, p. 23]. Il miglioramento dei collegamenti incentivò lo sfruttamento degli alpeggi da parte dei forestieri e le attività turistiche. Lo sviluppo del turismo portò alla costruzione di strutture ricettive (alberghi, ristoranti, seconde case, rifugi alpini, impianti sciistici…) in tutto il territorio comunale e, in particolare, nel villaggio Albaron, che è anche la più recente frazione di Balme edificata a partire dagli anni Sessanta del Novecento [Santacroce 2006, p. 63]. Attualmente i residenti nelle frazioni sono: 48 a Cornetti, 15 a Molette, 2 a Chialambertetto, 9 a Villaggio Albaron, 5 al Pian della Mussa, 1 Bogone mentre le altre frazioni sono prive di residenti.
Luoghi Scomparsi
Non rilevati.
Comunità, origine, funzionamento
La più antica menzione di Balme è contenuta nei conti della castellania di Lanzo del secolo XIV [Calzolari 2006, p. 12]. Sottomesse al castellano, le singole comunità erano rette da consoli e da consigli di Credenza [Calzolari 2006, p. 9].
In un primo momento l'area di Balme fu compresa nel comune di Ala di Stura [si veda la scheda dedicata ad Ala di Stura]. La prima attestazione documentaria di un autonomo comune a Balme risale al 29 luglio 1613, quando «fu fatta divisione delli fini d'esso luogo di Balme dalle fini d'Alla» [AC Balme, 389 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Ala di Stura]. Non è stato possibile trovare la copia dell'atto, che era presente al momento del riordino dell'archivio comunale [AC Balme 388 Atti di Lite – Controversia tra la comunità di Balme e di Ala di Stura], ma ci sono numerose conferme indirette. L'inventario del comune di Ala di Stura riporta un atto «delli 29 luglio 1613 […] intitolato convenzioni con divisione tra la comunità d'Ala e la comunità di Balme» [AST, Corte, Antichi inventari di Archivi comunali piemontesi, mazzo 1, n. 6; Calzolari 2006, p. 12] e nell'archivio storico del comune di Balme ci sono i documenti successivi, che perfezionarono la divisione dei territori comunali: «instrumento di divisione e transazione tra la comunità di Balme e quella di Ala in data 22 luglio 1620» [AC Balme, 379 Comunità, territorio e feudo di Balme – Inventari diversi, punto 85]. Coloro che hanno studiato la località ritengono, invece, che il comune si sia formato nel 1610. Claudio Santacroce rileva che Balme sarebbe cresciuta demograficamente grazie allo sfruttamento dei pascoli e delle miniere e che l'intraprendenza e la consapevolezza acquisita da Giovanni Castagneri, come indica l'epigrafe murata nella casa che fece costruire, avrebbe favorito la nascita della comunità [Santacroce 2006, p. 21].
La costruzione della parrocchiale nel 1612 avrebbe accelerato la formazione di un'identità locale, sancita ufficialmente con l'autonomia amministrativa.
Nel 1623 si separò da Ala di Stura anche la comunità di Mondrone [Calzolari 2006, p. 12 n. 2]. Un anno prima molti particolari di Mondrone avevano accatastato i loro beni a Balme, ma si trattava forse di proprietà nel territorio di Balme [AC Balme, 177 Catasto – Registro dei consegnamenti catastali della comunità di Balme]. Mondrone fu infatti un comune autonomo fino al 1928, quando fu riaggregato ad Ala di Stura. Non è quindi stato possibile chiarire, perché l'archivio comunale di Balme conservi tre fascicoli dell'«Archivio della comunità di Mondrone» con documentazione degli anni 1848-77: il regolamento per l'amministrazione comunale, i registri di leva degli anni 1849-51 e altre scritture [AC Balme, Comunità di Mondrone, fascc. 1-3].
La comunità di Chialambertetto avrebbe, secondo la storiografia locale, un'origine ben più antica di quella di Balme, a cui è oggi aggregata. Risalirebbe a un atto di albergamento, ossia di concessione, delle miniere della alta Val d'Ala fatto nel 1267 da Guglielmo VII marchese di Monferrato. Anche quest'atto non è più disponibile, ma se ne conserva la memoria nell'inventario dell'archivio comunale, nel quale era depositata una «copia d'albergamento della comunità di Chialambertetto» del 14 settembre 1267 [AST, Corte, Antichi inventari di Archivi comunali piemontesi, mazzo 6, n. 153; Calzolari 2006, p. 14]. In seguita alla concessione sarebbero stati costruiti forni per la lavorazione del minerale estratto a Chialambertetto. Andrea Calzolari interpreta come una conferma dell'esistenza di una comunità autonoma il fatto che Chialambertetto e l'alpe Ciamarella – di proprietà dell'abbazia di S. Mauro – fossero considerate allodiali e non beni enfiteutici nella convenzione del 1610 fra la comunità di Ala di Stura gli Este, signori feudali di Lanzo e delle valli [Calzolari 2006, p. 13]. Nel corso dell'età moderna i Chialambertettesi rimasero autonomi, pur dipendendo dalla parrocchia di Balme per la cura d'anime e tenendo a Balme le sedute del proprio consiglio comunale [Calzolari 2006, p. 14]. Solo nell'Ottocento provvidero ad acquistare un edificio per l'amministrazione del comune. A quell'epoca risalgono però i primi progetti per la soppressione del comune e il suo accorpamento a Balme. A sostegno dell'iniziativa da loro promossa, i Chialambertettesi indicarono la dipendenza dalla parrocchia di Balme, i risparmi economici derivati dalla soppressione del comune e i vantaggi «principalmente quanto a pascoli, che sarebbero stati comuni» [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi]. I Balmesi erano però contrari all'aggregazione, che avevano rifiutato fin dal 1836 [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi]. L'accorpamento avrebbe infatti comportato «la necessità di accrescere le proprie spese d'amministrazione, e di fare un maggiore assegnamento al maestro di scuola» che avrebbe dovuto accogliere gli studenti di Chialambertetto [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fascc. 1-2]. Le loro resistenze furono superate dall'intervento dell'arcivescovo di Torino, al quale i Chialambertettesi avevano rivolto una supplica. Ai suoi occhi apparvero come «disperati», dato che Chialambertetto aveva «una popolazione tenuissima e nessun reddito» con 99 abitanti in 19 case [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fascc. 1-2]. Per questo motivo Luigi Fransoni predispose due «doni generosi»: un reddito di 35 lire annue sul debito dello Stato che avrebbe coperto le accresciute spese amministrative e un altro di 200 lire annue per il «sacerdote maestro di scuola» con l'obbligo di accettare gli allievi di Chialambertetto [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fascc. 1-2]. La trattativa con il comune di Balme fu condotta dall'intendente e riguardò l'ammontare e il destinatario dei redditi, che il comune voleva percepire direttamente, ma che l'arcivescovo destinò alla parrocchia. Furono allora concordate alcune clausole a tutela dei Balmesi: le spese di unione sarebbero state a carico dei soli Chialambertettesi, quelle per la manutenzione delle strade sarebbero rimaste separate e le eccedenze del bilancio di Balme sarebbero andate ai soli Balmesi per pagare «tributi regii e provinciali» [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fasc. 2]. Raggiunto l'accordo fra le comunità, con Regie patenti del 19 novembre 1844 fu sancita l'aggregazione, che divenne operativa il 1 gennaio 1845. In base all'unione un consigliere ordinario e uno degli aggiunti sarebbe dovuto essere scelto fra i Chialambertettesi [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fasc. 2].
Dalla documentazione scolastica emerge che fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento a Balme si recavano mediamente 2-3 studenti di Chialambertetto di fronte a una popolazione scolastica di 36 unità [Archivio 2006, p. 68].
Statuti
Bandi campestri del 1753 [AC Balme 415 Bandi campestri e regolamenti – Bandi campestri e inibizioni], rinnovati nel 1822 [AC Balme, 379 Comunità, territorio e feudo di Balme – Inventari diversi, punto 84].
Catasti
Il più antico catasto della comunità di Balme risale al 1622, ma è incompleto [AC Balme, 177 Catasto – Registro dei consegnamenti catastali della comunità di Balme]. I Balmesi denunciarono i propri beni, procedendo in base al luogo di residenza: prima Balme, poi Cornetti, Molera, Mondrone. Agli abitanti di quest'ultima località e del capoluogo appartenevano la maggior parte dei beni consegnati.
Dalla documentazione del Catasto sabaudo del 1709 risulta che quello del 1622, composto da 247 fogli rilegati con una copertina di pelle di capra nera, era ormai rovinato e registrava le abitazioni solo in base al valore e non alle dimensioni [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2]. In quest'occasione l'intero territorio comunale risultava misurare 2472.23 giornate, delle quali 480.87 della Chiesa. Nel corso del Settecento non cessò la pratica di registrare i beni fondiari suddividendoli per frazione [AC Balme, 182 Catasto – Parte di registro dei possessori fondiari diviso per frazioni] e nel 1720 fu prodotto il Libro dei Trasporti [AC Balme, 183 Catasto – Libro delle mutazioni o Trasporti]. Nello stesso anno anche la comunità di Chialambertetto produsse il Libro delle Mutazioni [AC Balme Comunità di Chialambertetto 3 – Libro delle Mutazioni]. Dal suo contenuto emerge l'esiguità demografica della comunità e i numerosissimi beni che gli abitanti di Molette, Mondrone, Balme e Cornetti avevano nel territorio di Chialambertetto. Un secondo Libro delle Mutazioni è del 1798 [AC Balme Comunità di Chialambertetto 4 – Libro delle seconde Mutazioni].
Dal vecchio inventario dell'archivio risulta l'esistenza di un catasto del 1714 [AC Balme, 379 Comunità, territorio e feudo di Balme – Inventari diversi]. Il primo catasto di Chialambertetto fatto dal comune di Balme risale al 1886-7 [AC Balme, 188 Catasto – Matricola fondiaria di Chialambertetto].
Ordinati
I primi ordinati conservati risalgono al 1735, circa un secolo dopo la formazione del comune, e proseguono regolarmente, ad eccezioni degli anni della dominazione napoleonica [AC Balme, 1-133 Deliberazioni].
Per la comunità di Chialambertetto esistono due registri con gli ordinati del 1814-1832 e del 1833-1844, quando il comune fu accorpato a Balme, ma non la documentazione più antica [AC Balme Comunità di Chialambertetto 1-2 – Registro degli ordinati].
Dipendenze nel Medioevo
Nei secoli centrali del Medioevo le Valli di Lanzo gravitavano su Mathi, come indica la terminologia più antica: «Vallis Amathegis» o «Mathigo» o «Matigasca» [Loi 2001-2002, pp. 9-12]. Nel 1001 Ottone III confermò a Olderico Manfredi un terzo di «Matigo» e, forse, le Valli [MGH, Diplomata II, doc. 408, pp. 841-842].
Nel 1004 la signoria di Lanzo sarebbe stata ceduta da re Arduino a un consortile locale [Loi 2001-2002, p. 14]. Nell’area delle Valli di Lanzo vantava diritti anche il vescovo di Torino Landolfo [Loi 2001-2002, pp. 20-27].
Nel 1026 Corrado II confermò a Bosone e Guidone, figli del marchese Arduino, la terza parte di «Matengum» [MGH, Diplomata IV, doc. 67, pp. 83-84]. Nel 1130 Amedeo III di Savoia avrebbe ottenuto il temporaneo controllo delle Valli di Lanzo, al punto da poter confermare alla Badia di San Salvatore le donazioni fatte dai presuli torinesi [Loi 2001-2002, pp. 20-27]. Nel 1159 Federico Barbarossa ricompensava il vescovo di Torino Carlo, suo alleato, confermando alla Chiesa torinese vari beni, fra i quali la «curtem de Matigo cum tota valle Mategasca, curtem de Lances» [MGH, Diplomata X, doc. 252, p. 51]. L’ascesa del borgo di Lanzo avrebbe quindi sostituito Mathi come centro politico, militare e commerciale delle Valli. Il 3 giugno 1163 Guiberto e Gualtieri, figli di Robaldo di Lanzo, cedettero a Guglielmo il Vecchio, marchese di Monferrato, i villaggi di Leinì e «Tulfo» con i diritti giurisdizionali [Caffù 2008]. Sebbene la cessione riguardi località canavesane, l’atto testimonia comunque i legami fra l’élites signorile di Lanzo e il marchese di Monferrato. L’area delle Valli di Lanzo era quindi contesa fra il vescovo di Torino, il marchese di Monferrato e i conti di Savoia.
Nel 1219 il vescovo di Torino Giacomo I concesse ai «dominis de Lanzo» elencati e, in generale, ai componenti del consortile signorile di «tenere mercatum in Lanzo», trattenendo per la Chiesa torinese «terciam partem illius mercati et omnium proventum ipsius tam de iudicaturis et bampnis et curarie» e di ogni altro reddito legato al mercato [Gabotto, Barberi 1906, doc. 170, p. 179]. Negli anni successivi il controllo di Lanzo sarebbe passato ai Savoia: nel 1235 Amedeo IV otteneva l’investitura del feudo di Lanzo dal vescovo di Torino [Loi 2001-2002, pp. 20-27] e, in effetti, nella seconda metà del Duecento cessarono le rivendicazioni dei vescovi di Torino su Lanzo. Su Lanzo aveva però diritti anche il monastero di S. Mauro, perché papa Innocenzo IV intimò all’abate di non vendere «aliqua de bonis immobilibus que in districtu et dominio castri de Lanceo obtinetis» [Cognasso 1908, doc. 22, p. 308]. Nel 1266 il marchese di Monferrato giurò fedeltà al presule «specialiter» per il «castrum Lancei», che dichiarò di tenere dalla Chiesa torinese [Gabotto, Barberi 1906, doc. 275, pp. 292-293]. Nel 1272 fu Guglielmo VII, marchese di Monferrato, a concedere agli abitanti di Lanzo il diritto di fare il mercato [AST, Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, n. 1]. Dai Savoia il controllo di Lanzo era quindi passato ai marchesi di Monferrato. Nel 1286 i monaci di S. Mauro di Pulcherada concessero a Guglielmo VII in enfiteusi per 29 anni: «montanas et Alpes que sunt a Cruce de Rovet territorii Lancei supra usque ad summitates […] cum villis infrascriptis et ho minibus ipsarum, iuribus, racionibus et accionibus earumdem» [Cognasso 1908, doc. 26, p. 312]. Il castello di Lanzo sarebbe tornato definitivamente ai Savoia nel 1296, in quanto parte della dote di Margherita, figlia di Amedeo V di Savoia, e sposa di Giovanni, marchese di Monferrato [Guasco 1911, p. 882; Loi 2001- 2002, pp. 33-37]. L’atto che segnò la piena acquisizione dei diritti giurisdizionali da parte dei Savoia risale però al 1341, quando Aimone di Savoia permutò con il monastero di S. Mauro di Pulcherada alcuni beni fondiari in cambio dei diritti giurisdizionali su Lanzo, la valle d’Ala e quella di Cantoira [AST, Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, n. 3]. A questo atto seguì l’instaurarsi di nuovi rapporti fra Aimone e alcuni visconti di Baratonia, che ricevettero in feudo dal conte di Savoia quei beni che prima detenevano dal monastero [AST, Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, nn. 4-6].
Feudo
Nel 1533 il castello, il territorio e il mandamento di Lanzo furono investiti in feudo a Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano, per la cifra di 4000 scudi [AST, Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, n. 13; Guasco 1911, p. 882; Loi 2001-2002, pp. 46- 47; Mola di Nomaglio 2006, p. 619]. Balme faceva allora parte del feudo di Lanzo. Il feudo rientrò in possesso dei Savoia nel 1545, dietro alla restituzione della somma versata, alla quale si aggiunsero altri 600 scudi per i miglioramenti apportati [AST, Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, n. 14]. Emanuele Filiberto rientrò in possesso dei suoi domini dopo l'occupazione francese (1535-1559) e, nel 1577 concesse a suo genero, Filippo I d'Este, il feudo di Lanzo eretto in marchesato, che comprendeva le Valli di Lanzo e del Tesso ma non la Valle di Viù [Mola di Nomaglio 2006, p. 619; Calzolari 2006 p. 12].
Nel 1702 le comunità valligiane supplicarono il marchese Sigismondo d'Este di fissare a 1000 lire annue i laudemii in modo tale da pagare una «somma certa annua» e sottrarsi all'arbitrio signorile [Mola di Nomaglio 2006, pp. 351-3]. La comunità di Balme aveva accettato di pagare lire 17.6.8.
Gli Este tennero il feudo fino al 1723, quando Sigismondo d'Este fu indennizzato con una somma di denaro da Vittorio Amedeo II in cambio della restituzione del feudo [Calzolari 2006, p. 12].
L'anno successivo il marchesato fu smembrato [Mola di Nomaglio 2006, p. 349] e il luogo di Balme fu investito a Nicola Arnaldi di Vigone per la cifra di 5000 lire [AC Balme, 378 Comunità, territorio e feudo di Balme – Atti di mission in possesso dell'Illustrissimo signor conte Nicola Arnali di Vigone; AST, Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Patenti controllo finanze, vol. 4, f. 7]. Insieme al feudo furono concesse le rendite, la giurisdizione, il titolo comitale, il mero e misto imperio, la prima e seconda cognizione della giustizia civile e criminale con fodro, camparia e laudemii e gli affitti minuti dovuti dalla comunità. Quest'ultima pagava annualmente 17 lire, 6 soldi e 8 denari, cui si aggiungevano «sei coste d'ogni orso e la testa d'ogni porco selvatico» (cinghiale) [Mola di Nomaglio 2006, pp. 438- 440]. Gli Arnaldi di Vigone tennero il feudo fino all'invasione delle truppe francesi di Napoleone [Calzolari 2006, p. 12]. Sempre nel 1723 il luogo di Chialambertetto fu infeudato a Francesco Buffati di Caraglio con il titolo signorile, la prima e la seconda cognizione delle cause in cambio della cifra di lire 3000 [Mola di Nomaglio 2006, p. 468; Guasco 1911, p. 570; Casalis 1857, p. 640]. La famiglia si estinse nel 1817 con la morte di Giuseppe Buffati, che era stato investito del luogo nel 1775.
Mutamenti di distrettuazione
All’interno dei domini sabaudi l’area della valle di Susa e delle Valli di Lanzo costituiva un balivato, «l’unico che i Savoia abbiano insediato di qua dai monti», indicato nella documentazione anche come «terra vetus» [Barbero 2002, pp. 11 e 24]. Il balivato, che comprendeva 8 castellanie fra cui quella di Lanzo, aveva sede a Susa.
Nel Cinquecento i domini piemontesi furono suddivisi in 7 province: alla provincia denominata «Piemonte» con sede a Moncalieri fu attribuita l’area compresa fra Po e la Stura di Lanzo [Sturani 2001, p. 93 n. 10]. Nonostante amministrativamente gravitassero su Torino, nel 1561 gli abitanti delle Valli di Lanzo supplicarono Emanuele Filiberto di scorporarli dalla prefettura di Ivrea, «per essersi troppo discomodo, più longa e trista strada, e molto pericolosa per le boschine e varie acque, e torrenti e ancora perché è necessario passar per le fini di molte terre del Stato di Monferrato» per essere giudicati a Torino [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, L, mazzo 3, fasc. 3]. Tale supplica fu accolta.
A partire dal Seicento le province furono più volte ridefinite in numero e dimensioni. Nel 1622 Carlo Emanuele suddivise il Piemonte in 12 province: le Valli di Lanzo furono inserite nella provincia di Torino [Cozzo 2007, p. 201] e vi rimasero fino all’occupazione francese [Sturani 1995, p. 132].
Nel corso del Settecento il numero delle province crebbe, raggiungendo la ventina, ma le Valli di Lanzo dovrebbero aver continuato a dipendere da Torino anche se la Stura di Lanzo (o lo spartiacque alpino) segnò il confine fra la provincia di Torino e quella di Susa [Sturani 2001, p. 118]. Nel 1799 le province settecentesche furono soppresse e sostituite dall’amministrazione francese con 4 dipartimenti: le Valli di Lanzo furono inserite nel dipartimento dell’Eridano, con capoluogo Torino [Sturani 2001, p. 105]. Tale organizzazione ebbe però vita effimera. Nel 1801 la trasformazione del Piemonte nella 27° Divisione militare francese non modificò l’appartenenza delle Valli di Lanzo alla prefettura di Torino, ma sancì la nascita del circondario di Lanzo, rivitalizzando centralità amministrative di antica origine [Sturani 2001, p. 108]. Durante gli anni dell’occupazione francese infatti Lanzo divenne una sottoprefettura e poi capo cantone [Carpano 1931, p. 19].
Con la Restaurazione l’organizzazione amministrativa francese fu cancellata e sostituita, nel 1818, da 4 grandi divisioni al di sopra delle province, con funzioni di coordinamento civile e militare: Lanzo, inserita nella provincia di Torino, faceva capo a Torino [Sturani 1995, p. 132]. Nei decenni successivi il numero delle province diminuì parallelamente al loro ampliamento territoriale, tuttavia tali cambiamenti non ebbero grandi effetti per Balme che dipese stabilmente da Torino e fu inserita nel mandamento di Ceres [Casalis 1834, p. 42]. Nel 1927 i circondari e i mandamenti furono soppressi.
Mutamenti Territoriali
I mutamenti territoriali furono conseguenti alla separazione di Balme e dalla comunità di Ala di Stura e all'accorpamento di quella di Chialambertetto [si vedano i lemmi ‘Comunità, origine, funzionamento’ e ‘Liti territoriali’].
Comunanze
Nel 1709 i Balmesi disponevano sia dei pascoli comuni nell'area della Comba, che non erano accatastati e non venivano affittati dal comune, sia dei boschi di faggio adiacenti, dai quali si raccoglievano fogliame e legna. Altri beni comuni erano situati nelle stessa Comba e nelle alpi della Mussa, Paschiet e Venoni per un totale di beni comuni non accatastati pari a 447.25 giornate [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2]. L'alpe della Ciamarella, che all'epoca apparteneva all'abbazia di S. Mauro di Pulcherada, era affittata ai particolari. Fu acquistata il 14 aprile 1799, nel periodo della dominazione napoleonica e in pieno clima rivoluzionario, per la somma di 5000 lire, anticipata di circa la metà dalla Tesoreria Generale Nazionale [AC Balme 419 Patrimonio comunale – Acquisto dell'alpe Ciamarelle, già di proprietà dell'abbazia di S. Mauro]. Nel 1836 l'affitto dell'alpe fruttava al 887 lire, che erano diventate 1300 lire nel 1867 [AC Balme, 209 Finanze e contabilità – Ruoli 1826-1838; AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi].
Nel 1923 insieme alla Ciamarella era affittata anche l'alpe Pian Bosco per la cifra di 4000 lire [AC Balme 513 Cause e Liti – Lite Carnino]. Nel 1846, in seguito all'unione con il comune di Chialambertetto, l'amministrazione disponeva di due edifici comunali e, pertanto, decise di vendere quello del comune soppresso per la cifra di 176.78 lire [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, B, mazzo 2, fasc. 4]. Contestualmente, poiché mancava un locale adibito alle «congreghe» e ad abitazione del maestro di scuola e del segretario comunale, fu comprata una parte della casa parrocchiale per 430 lire [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, B, mazzo 2, fasc. 4]. Tali decisioni indicano chiaramente l'intenzione di mantenere la centralità del capoluogo, nonostante acquisite con l'unione di Chialambertetto (come appunto l'edificio del comune soppresso). Dal punto di vista economico le due comunità erano fortemente sbilanciate: l'intendente, che seguì l'accorpamento, annotò tanto l'assenza di entrate del comune di Chialambertetto quanto che Balme aveva «redditi esuberanti», grazie ai quali pagava le contribuzioni regie e provinciali dei suoi abitanti [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo C, mazzo 52, fasc. 2].
Nel 1745 i Chialambertettesi avevano lottizzato un bosco comune. Il bosco non fu assegnato ai membri della comunità in proporzione alle loro quote di registro, ma diviso in 12 parti sorteggiate fra «i particolari capi di casa abitanti in questo territorio e componenti la comunità suddetta». Tali lotti furono solo parzialmente registrati nel Libro dei Trasporti [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi].
Nel 1836, pochi anni prima dell'accorpamento, i beni comuni di Chialambertetto furono quantificati dall'intendente in «giornate 180 di fito publico, tra cui 10 giornate di gerbidi suscettibili di coltura e altre 10 di boschi» [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi]. Nel 1850, poco dopo l'accorpamento, i Chialambertettesi accusarono la comunità di Balme di gestire i beni comuni a proprio vantaggio senza interpellare i particolari di Chialambertetto. «I benefici del pascolo, che doveva essere comune venne così a proffittare solo a Balme perché Chialambertetto non può proffittare per pascolare i suoi bestiami sui terreni di Balme, dovendo per lo contrario sottostare ai danni di lasciare che li bestiami di Balme in alcuni dei pascoli di Chialambertetto, a detrimento dei proprietari dei medesimi» [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi].
L'amministrazione comunale di Balme, riunita il 27 agosto 1871, respinse le accuse e replicò che i Balmesi accedevano ai pascoli di Chialambertetto, perché possedevano beni in quella frazione [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi]. Dal Libro delle Mutazioni di Chialambertetto del 1720 risultano proprio i numerosissimi beni che gli abitanti di Molette, Cornetti e Balme possedevano a Chialambertetto [AC Balme Comunità di Chialambertetto 3 – Libro delle Mutazioni]. Nel 1883 i redditi del comune di Balme ammontavano a 4472.13 lire. Essi derivavano: dall'affitto dei pascoli (2120 lire), dall'affitto dei beni comunali (fra 400 e 690 lire), da censi, canoni, livelli (136.28 lire); dagli interessi sul debito pubblico (60.38 lire); dalla tassa sul bestiame (1119 lire) e dalla sovraimposta comunale sui terreni (434.70 lire) e da altre entrate minori [AC Balme, 257 Finanze e contabilità – Esercizio finanziario 1883]. Queste entrate permettevano alla comunità di far fronte alla tassazione regia e provinciale, alla manutenzione delle strade, alle spese amministrative e agli stipendi del personale del comune e del maestro di scuola. Dal 1883 il comune iniziò anche a concedere lo sfruttamento delle acque potabili, che nel 1901 fu esercitato da un «Consorzio per la manutenzione dell'acqua potabile» per la cifra di 55 lire [AC Balme, 275 Finanze e contabilità – Esercizio finanziario 1901].
Nel 1926 il Commissariato per la liquidazione degli Usi civici, in base alla legge del 1924, chiese all'amministrazione comunale di Balme di indicare la consistenza di beni comini e usi civici. Il podestà rispose che «gli usi civici vengono in questo comune esercitati esclusivamente in regione, detta Bosco di Chialambertetto i cui fondi sono di proprietà del comune, con il diritto di acquisito, perché centenario, a 54 o 33 famiglie (tutte del comune di Balme) di pascolare, raccogliere foglie e legna "morta". Detti proprietari sono chiamati in catasto, Livellari al comune di Balme, e non pagano nessun tributo speciale del comune» [AC Balme 708 Catasto – Usi civici 1925-1930]. L'estensione di tali beni ammonta a 10-12 ettari. Si tratta forse del bosco che il comune di Chialambertetto aveva lottizzato ai particolari nel 1745 [AC Balme 384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi].
Liti Territoriali
Le modalità con le quali si formò il comune di Balme determinarono numerose liti territoriali e fiscali prima con Ala di Stura e poi, dalla nascita del comune di Mondrone, con quest'ultimo. Nel 1622 i comuni di Ala di Stura e di Balme elessero alcuni arbitri, che stabilissero i carichi fiscali che i possessori di beni nei relativi territori avrebbero dovuto pagare. Il problema era generato dagli abitanti di Mondrone, allora compresi nella comunità di Ala, che possedevano molti beni nel territorio balmese [AC Balme, 389 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Ala di Stura]. La lite proseguì l'anno successivo con il comune di Mondrone e il regio patrimonio sempre per questioni fiscali derivate dalla divisione dei territori comunali [AC Balme, 390 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone e il Regio Patrimonio].
Fra il 1658 e il 1663 procedette la definizione dei carichi fiscali, perché «l'allibramento d'essi luoghi, Alla, Balma e Mondrone era tutto unito» [AC Balme 391 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone]. All'epoca Balme aveva già provveduto a realizzare i suoi catasti per cui il problema pare, come già per la lite del 1623, la ripartizione delle imposte in seguito alla separazione dei territori comunali.
Le liti proseguono per la ripartizione della levata del sale, che nel 1738 fu divisa fra Balme (1410 lire) e Mondrone (633 lire) [AC Balme 397 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone]. Alle liti per la definizione delle tasse erano legate quelle per i beni fondiari, sui quali le contribuzioni erano ripartite. Nel 1709 i comuni di Balme e Mondrone erano in lite per 32.50 giornate di pascoli [AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2]. Si tratta forse di beni nella regione «Mayano», dove nel 1622 molti particolari di Mondrone avevano beni accatastati a Balme [AC Balme, 177 Catasto – Registro dei consegnamenti catastali della comunità di Balme f.115] oppure di quelle «delle Pianes, Baus e Corna» per le quali i comuni erano ancora in lite nel 1774. Alla presenza dei rappresentanti del comune di Balme furono convocati «Giuseppe e Domenico fratelli Moletti per confini del comune di questo luogo [Balme] e quelli delle regioni delle Pianes, Baus e Corna proprie di li Moletti» al fine di «devenire alla separazioni d'essi confini» con Mondrone [AC Balme 400 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone]. Nella seconda metà del secolo XVIII tali beni erano registrati a Balme [AC Balme 429 Catasto – Schema del territorio e dei beni comuni della comunità di Balme].
Fonti
AA Torino (Archivio Arcivescovile di Torino):
visita pastorale del vescovo De Mari [1545-7], 7/1/2, c. 76;
visita pastorale del vescovo Bergera [1653], 7/1/10, cc. 239v-244v;
visita pastorale del vescovo Beggiano [1674], 7/1/20, c. 48-51v;
visita pastorale del vescovo Roero [1752], 7/1/32, cc. 228-249;
visita pastorale del vescovo Rorengo [1771] 7/1/41, cc. 201-212;
visita pastorale del vescovo Fransoni [1844] 7/1/83, c. 314v.
 
AC Balme (Archivio Storico del comune di Balme):
1-133 Deliberazioni; 4 Deliberazioni – Registri di copie di ordinati;
19 Deliberazioni – Registro delle deliberazioni del Podestà;
21 Deliberazioni – Registro delle deliberazione del podestà;
23 Deliberazioni – Registro delle deliberazioni del Podestà;
177 Catasto – Registro dei consegnamenti catastali della comunità di Balme;
182 Catasto – Parte di registro dei possessori fondiari diviso per frazioni;
183 Catasto – Libro delle mutazioni o Trasporti;
188 Catasto – Matricola fondiaria di Chialambertetto;
209 Finanze e contabilità – Ruoli 1826-1838;
257 Finanze e contabilità – Esercizio finanziario 1883;
275 Finanze e contabilità – Esercizio finanziario 1901;
378 Comunità, territorio e feudo di Balme – Atti di mission in possesso dell'Illustrissimo signor conte Nicola Arnali di Vigone;
379 Comunità, territorio e feudo di Balme – Inventari diversi;
384 Comunità, territorio e feudo di Balme – Chialambertetto. Questioni e reclami diversi;
388 Atti di Lite – Controversia tra la comunità di Balme e di Ala di Stura;
389 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Ala di Stura;
390 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone e il Regio Patrimonio;
391 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone;
397 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone;
400 Atti di Lite – Controversia tra le comunità di Balme e Mondrone;
415 Bandi campestri e regolamenti – Bandi campestri e inibizioni;
419 Patrimonio comunale – Acquisto dell'alpe Ciamarelle, già di proprietà dell'abbazia di S. Mauro;
429 Catasto – Schema del territorio e dei beni comuni della comunità di Balme;
463 Lavori pubblici – Costruzione del nuovo edificio scolastico;
513 Cause e Liti – Lite Carnino;
708 Catasto – Usi civici 1925-1930; Comunità di Chialambertetto
1-2 – Registro degli ordinati Comunità di Chialambertetto
3 – Libro delle Mutazioni Comunità di Chialambertetto
4 – Libro delle seconde Mutazioni Comunità di Mondrone, fascc. 1-3
 
AST (Archivio di Stato di Torino): Corte, Antichi inventari di Archivi comunali piemontesi, mazzo 1, n. 6; mazzo 6, n. 153;
Corte, Distretto minerario del Piemonte, I versamento, Miniere, Permessi di ricerca, mazzo 41, fascc . 3-4, 11, 13-14; mazzo 86, fasc. 28;
Corte, Paesi, Paesi per A e B, B, mazzo 2, fascc. 1-4;
Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fascc. 1-2;
Corte, Paesi, Paesi per A e B, L, mazzo 3, fasc. 3;
Corte, Paesi, Torino, mazzo 16, fasc. 3, Lanzo e Valle, nn. 1, 3, 4-6, 13-14;
Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato I, Libri delle misure generali e degli estimi delle province del Piemonte, Circondario di Torino, Mandamento di Ceres, Balme, pacco 2, mazzo 2;
Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Balme, cartella 11-12 con mappe;
Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Patenti controllo finanze, vol. 4, f. 7.
Bibliografia
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Sturani M.L., Il Piemonte, in Amministrazioni pubbliche e territorio in Italia, a cura di L. Gambi, F. Merloni, Bologna 1995, pp. 107-154.
Sturani M.L., Innovazioni e resistenze nella trasformazione della maglia amministrativa piemontese durante il periodo francese (1798-1814): la creazione dei dipartimenti ed il livello comunale, in Dinamiche storiche e problemi attuali della maglia istituzionale in Italia. Saggi di geografia amministrativa, a cura di Ead., Alessandria 2001, pp. 89-118.
Descrizione Comune
Balme
La comunità di Balme nacque fra il 1610 e il 1613 dalla separazione da Ala di Stura e così si formò il suo territorio. Ne derivarono numerose liti territoriali e per le contribuzioni fiscali con Ala di Stura e il comune di Mondrone. A un precoce sfruttamento delle risorse minerarie durante il medioevo e la prima età moderna, tanto da attirare famiglie di minatori dal bergamasco e dalla Val Sesia, seguì una fase di declino economico quando, nel Settecento, le miniere iniziarono a esaurirsi. La sola attività agricola non era sufficiente a mantenere la popolazione dell'epoca, che quindi emigrò altrove [Santacroce 2006, p. 21].
Tracce di questa situazione si riscontrano nella documentazione: la nuova chiesa della Santissima Trinità fu costruita dall'arcivescovo di Torino, perché la comunità non ne aveva le risorse economiche e la chiesa parrocchiale di allora era in condizioni fatiscenti; e il parroco negli stessi anni rilevò le «calamità» e le «miserie» in cui versava una parte dei Balmesi [AC Balme 4 Deliberazioni – Registri di copie di ordinati; Calzolari 2006, p. 17]. Nell'Ottocento la situazione restò precaria per i Chialambertettesi, descritti come «disperati» e il cui comune non aveva redditi [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo 52, fascc. 1-2]. Un bosco comunitario era stato lottizzato nel Settecento e il comune non aveva entrate per affrontare le spese amministrative e la manutenzione delle strade. A fine Settecento il comune di Balme aveva invece ampliato i propri beni comuni e li aveva fatti fruttare, come dimostra l'acquisto dell'Alpe Ciamarella e la sua locazione.
A metà Ottocento l'intendente riferì di «redditi esuberanti», che servivano per pagare le tasse e le spese del comune alleggerendo così i contributi dei Balmesi [AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, mazzo C, mazzo 52, fasc. 2]. La situazione economica generale migliorò a partire dall'Ottocento, quando iniziarono ad arrivare i primi turisti, interessati all'alpinismo e alla villeggiatura. Per la popolazione locale si trattò di un'opportunità economica alternativa alla pastorizia e all'emigrazione. Furono così costruiti alberghi, ristoranti, abitazioni private, rifugi alpini del CAI e strutture per gli sport invernali. Il più antico albergo documentato è Belvedere/Camussot aperto intorno al 1870, cui se ne aggiunsero altri 6 [Santacroce 2006, pp. 24, 27, 39 e 41]. Oltre che in queste strutture, i Balmesi trovarono lavoro anche come guide alpine e portatori e la loro storia è ripercorsa nell'ecomuseo delle Guide Alpine. D'inverno erano praticate gare di sci di fondo, fra Balme e il Pian della Mussa, di salto dal trampolino e di discesa da Pian Gioè. A Balme era attivo un trampolino ai Cornetti e un secondo fu costruito nel 1928 su terra comunale «in località detta Ghiera», la cui gestione fu concessa al locale sky club Balme fondato nel 1921 [AC Balme 19 Deliberazioni – Registro delle deliberazioni del Podestà; Santacroce 2006, p. 53].
Fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima del Novecento Balme rappresentava uno dei centri sciistici più importanti del Piemonte al pari delle località più rinomate. Nel 1929 di fronte a una popolazione residente di 242 abitanti, il podestà rilevò che nella stagione estiva arrivavano circa 1500 forestieri [AC Balme 19 Deliberazioni – Registro delle deliberazioni del Podestà; Santacroce 2006, pp. 28-29]. Tuttavia, quando lo sci alpino divenne uno sport di massa, fu chiaro che la conformazione del territorio balmese non avrebbe permesso di sviluppare impianti di risalita analoghi a quelli di altre località, perché i declini erano ripidi e rocciosi [Santacroce 2006, p. 58]. «Questo limite segnò il progressivo declino di Balme come località turistica invernale» [Santacroce 2006, p. 58], ma la pose al riparo dalla speculazione edilizia ad eccezione del Villaggio Albaron. Gli impianti di risalita iniziarono a essere progettati a partire dal 1934. Il podestà Ferreri promosse la costituzione di una società, cui partecipava la stessa amministrazione comunale, al fine di costruire una teleferica «ritenuta fondamentale, in una moderna attrezzatura di un centro alpino invernale» [AC Balme 23 Deliberazioni – Registro delle deliberazioni del Podestà edito in Santacroce 2006, p. 59]. Tale progetto, che mirava a collegare Balme con il Pian della Mussa o con le montagne sopra la frazione Cornetti, non fu però realizzato. Nel 1950 fu studiata la costruzione di una seggiovia che collegasse la frazione Cornetti con Pian Gioè con un percorso di circa 1,3 km. Fu costituita la società, che avrebbe gestito l'impianto, e furono richiesti alcuni preventivi, ma neanche questo progetto fu realizzato [Santacroce 2006, pp. 60-62]. Gli impianti di risalita furono realizzati nel 1954 con la costruzione dello skilift del Pakinò, dalla nome della località di arrivo (Paghinot), cui successivamente se ne aggiunsero altri. Contemporaneamente furono potenziate le piste di fondo che collegavano Balme al Pian della Mussa. Nonostante questi investimenti Balme non riuscì a diventare una località rinomata per gli sport invernali e così ad attrarre i flussi turistici nei mesi invernali. Il suo momento d'oro era stata la seconda metà dell'Ottocento, grazie all'alpinismo e resta tutt'ora un centro di villeggiatura.