Pieve Vergonte

AutoriTorre, Angelo
Anno Compilazione2012
Provincia
Verbano Cusio-Ossola
Area storica
Ossola inferiore
Abitanti
2644 (Censimento Istat 2011)
Estensione
4173 ha. secondo lo statuto comunale.
Confini
Anzola d’Ossola, Valstrona, Bannio Anzino, Calasca-Castiglione, Piedimulera, Vogogna
Frazioni
Nello statuto attuale del Comune sono riconosciute Fomarco, Rumianca, Loro, Megolo.
Toponimo storico
Vergonte, Pietrasanta, Meguletum, Cloncia, Wehr Agounti [Bianchetti 1878, p. 32], Vergonte di Pietrasanta
Diocesi
Novara
Pieve
Santi Vincenzo e Anastasio a Vergonte, attestata nel secolo XII [Bertamini e Balosso 1994] e fino al 1250 [Scaciga della Silva 1842]. Secondo il manoscritto di San Vittore di Intra [cit. in [Scaciga della Silva 1842, p. 18], farebbe parte delle otto parrocchie fondate da San Gaudenzio fra 397 e 417. Si sarebbero susseguiti tre edifici nello stesso luogo: il primo dal 400 circa al 1328, quando fu distrutto dall’Anza; il secondo dal 1328 al 1630; il terzo a partire da questa data. Alla presenza plebana si sarebbe accompagnata l’esistenza a Vergonte di un collegio di canonici lateranensi [Scaciga della Silva 1842, p. 12], poi dispersi sul territorio. La giurisdizione della pieve dei Santi Vincenzo e Anastasio sembra essere stata particolarmente estesa: dalla distribuzione degli oli santi, ad esempio, si comprende che la Pieve di Vergonte si estendeva dai torrenti Ovesca e Melezzo fino al lago di Mergozzo e comprendeva la parrocchie di Masera, Trontano, Cosa, Cosasca, Prata, Vogogna, Premosello, Cuzzago, Albo, Bracchio, Mergozzo, Ornavasso, Migiandone, Anzola, Megolo, Anzino, Bannio, Macugnaga, Ceppo Morelli, Vanzone, San Carlo, Calasca, Castiglione, Cimamulera, Piedimulera, Pallanzeno. Non è invece dimostrata la dipendenza di Villa d’Ossola e Valle Antrona da Pieve di Vergonte.
Questo assetto viene travolto dal processo di apparrocchiamento: Il processo di disgregazione della pieve è già in atto nel secolo XIV - Premosello e Cuzzago [[[Scaciga della Silva 1842, p. 1842, 1842, p. 9) e nel XV - Prata, Castiglione - si prolunga nel XVI - Megolo, Albo - e XVII – Anzola -. Ma i legami di dipendenza dalla Pieve si dimostrano duraturi: ancora nel primo XVII secolo risultavano dipendere dalla pieve di Vergonte due oratori di Piedimulera: l’oratorio di San Giorgio, segnalato a partire dalla visita 1618 e sede di una cappellania a partire dalla visita del 1691; quello di San Giovanni, segnalato in Visita di Mons. Volpi (AVN, Acta Visitationis, T. 106). Ancora nel 1764 la comunità di Macugnaga risultava tributaria di una decima alla pieve di Vergonte [Bertamini 2005, vol. II, pp. 345-346]. La dipendenza dei luoghi sacri dell’Ossola inferiore dalla pieve di San Vincenzo si prolunga in realtà fino a tutto il secolo XIX (v. Seconda Parte): a ncora nel 1880 versano annualità Rumianca, Fomarco, Cimamulera e Cardezza.
In età moderna e contemporanea la Pievania funge da parrocchia e comprende sotto di sé la frazione di Rumianca, quella di Loro e l’intero comune di Fomarco. Viene invece affrancata nel 1863 la Primizia che gli abitanti di Pieve, Loro, Rumianca pagavano per San Martino (AVN, Teche, Pieve Vergonte, S. 3, Inventari, 1880, annualità)
Altre Presenze Ecclesiastiche
Un monastero, o meglio priorato, benedettino di San Lorenzo di Megolo è noto a partire da una donazione del 1086: secondo Scaciga della Silva 1842, p. 5, nel 1133 nel luogo detto di Cloncia, o Clonza - forse è un termine generico per Pieve Vergonte -, esistevano già una chiesa ed un monastero benedettino di S. Lorenzo, forse dipendenti dall’omonima abbazia di Novara. Tra XI e XIII secolo il priorato possedeva beni in Megolo, Anzola, Trontano, Vogogna e Premosello. Esso è ancora nominato in un atto notarile del 1542 e dalla visita pastorale di Mons. Bascapé del 1597 cit. in [Scaciga della Silva 1842].
Sempre a Megolo sembra essere esistito un monastero di Umiliati, ancora rilevato in 1298 secondo Tiraboschi, citato in Scaciga della Silva 1842. In ogni caso non se ne hanno altre notizie.
La trasformazione della pieve in parrocchia controriformistica sembra avvenire con grandi tensioni. Si potrebbe anzi dire che lo sviluppo della devozione e della carità si accompagni costantemente all’affermazione di prerogative di immunità dalla giurisdizione plebana. Certamente, la pievania di Vergonte è un’istituzione continuamente presente sul terreno, come documenta la sua serie cronologica dei parroci in Scaciga della Silva 1842, p. 29. Ma tale trasformazione si accompagna a una serie di tensioni territoriali: la presenza plebana rende particolarmente vistoso il processo di formazione di parrocchie nei diversi insediamenti della sua giurisdizione. Non deve stupire che esso venga presentato in modo frammentario dalla documentazione: ad esempio, solo nel 1658 la visita pastorale di mons. Odescalchi segnala la separazione di molte parrocchie ossolane, tra cui San Lorenzo di Megolo da quella di san Vincenzo della Pieve Vergonte, avvenuta nel 1563. In questo senso potrebbe andare la menzione da parte di Scaciga della Silva 1842 di un atto del notaio Alberti, che racconta la storia della distruzione di Megolo dalle acque nel secolo XIV, la sua riduzione a soli tre fuochi e il lento recupero che porta al raggiungimento di 70 fuochi con 360 persone, un’arma per richiedere la formazione della nuova parrocchia.
Un segno evidente della tensione territoriale che la disgregazione della pieve innesca, va individuato nel fatto che ogni insediamento della circoscrizione plebana eriga nel tempo uno o più luoghi di culto: ad esempio, a Fomarco sono segnalati gli oratori di San Paolo, Santa Maria – localmente conosciuta come Madonna della Posa (dal 1658) o Assunta (dal 1677), San Rocco a partire dalla visita Bascapé (1596), e quello di Santa Maria e San Rocco a partire dalla visita del 1759; a Rumianca è segnalato l’oratorio di San Marco con la visita Bascapé (1596). A partire dal 1759 è segnalato l’oratorio di Sant’Anna a Loro. Di più difficile ubicazione sono gli oratori di Ss. Giorgio e Antonio da Padova e l’Oratorio di San Gregorio. Nella stessa Vergonte un Oratorio di Santa Marta è segnalato a partire dalla Visita Ponzoni del 1592. In questi luoghi di culto sembra organizzarsi la devozionalità controriformistica: a Pieve, ad esempio, a partire dalla Visita del 1641 sono segnalati una Compagnia del SS. Sacramento, una del SS. Rosario (dal 1658 sede di una cappellania), una della Dottrina Cristiana. Nel 1697, tuttavia, l’ unificazione del Santissimo Sacramento e Santa Marta sembrano alludere a una relativa debolezza di tali associazioni di devozione. Secondo dinamiche ormai ben note (Torre, 1995), alla istituzione parrocchiale e alla formazione di sodalizi di devozione si accompagna la creazione di benefici: a Vergonte sono segnalati nel Settecento un beneficio parrocchiale e un beneficio del Rosario (ASDNovara, teche parrocchie, S. 6.1), la cappellania Garelli nel 1716, oltre a un poco documentato beneficio della coadiutoria, oggetto di conflitti (ASDNovara, teche parrocchie, B. 704.2). Accanto, e sempre nel secolo XVIII, risulta costante e intensa la documentazione di molti patrimoni chiericali. Altri benefici, sono ancora attivi a fine Ottocento a Fomarco (catasto di Fomarco del 1892, ACPV).
Dal 1615, come ricorda la visita del 1658, la Pieve ospita reliquie, di cui esistono numerose ricognizioni. Tra queste, le più celebri sono quelle di Sant’Orsa. Scaciga della Silva 1842, p. 22 data la scoperta del corpo di Sant’Orsa al 1715, dono di don Candido Cassina al cerimoniere maggiore della Chiesa Metropolitana di Milano Don Giovanni Maria Macinago, da cui passa al reverendo Ignazio Maria Visconti fino alla famiglia Cattaneo di Vogogna (imparentata con i Visconti), un membro della quale è titolare della pievania di Pieve Vergonte nel 1719. Alla sua morte, la reliquia è donata dai Cattaneo alla parrocchia nel 1732, mentre una parentela locale, i Ferreri, ne commissiona l’urna nel 1740 a Milano. Alle reliquie è attribuita la protezione dei bimbi malati, attestata nel secolo XIX, e Pieve Vergonte il suo culto culmina probabilmente con la costruzione di un tempietto, detto scurolo, nel 1898.
Pieve è poi oggetto della beneficenza del dottor Giovanni Cicoletti e della moglie Eugenia Querrini tra 1863 e 1883 [Scaciga della Silva 1842, pp. 16 e 38]: essa si articola in un legato ai poveri della parrocchia, nella fondazione di un asilo infantile, nella dotazione della scuola femminile della frazione di Pieve, nella dotazione della prebenda parrocchiale e della chiesa, e nella distribuzione ai poveri del rimanente. Ma il lascito sembra far parte di una strategia più complessa. Contemporaneamente a questi lasciti, infatti, il benefattore Cicoletti ottiene l’esenzione per sè, la stirpe propria e dei 2 fratelli dalle servitù parrocchiali (ancora usate nel secolo XIX) e il diritto di ricevere la benedizione gratis in occasione delle Missioni (ivi) Col secolo XVIII l’edificio della pievania diventa oggetto di investimenti devozionali, come ad esempio l’erezione di banchi privati (ASDNovara, teche parrocchie, B. 705, carteggio generico, n° 746). La fabbriceria, menzionata dalle visite postridentine, ha prodotto documentazione solo a partire dal 1875 in poi.
All’interno di queste manifestazioni di identità micro-locale, si possono collocare altri elementi, quali la grande presa di istituzioni caritative negli insediamenti situati nel territorio della pieve. Esse sono visibili ad esempio in documenti territoriali quali il catasto di Fomarco del 1892 (Archivio Storico Comunale di Pieve Vergonte), che riporta un grande numero di istituzioni ecclesiastiche e caritative proprietarie di appezzamenti: asilo infantile di Piedimulera, legati Pirazzi, benefici San Giovanni, Marioni, Masasetti, Congregazioni di Carità di Fomarco, Rumianca, cappellania mercenaria di Fomarco, cappellania di Megolo, la Società Inglese di Valle Tappa (?), legati Cicoletti, ecc.
La matrice territoriale delle tensioni religiose è poi visibile in modo estremo a date molto tarde come minaccia di scissioni possibili: nel 1949 i comunisti scomunicati “discorrono di impiantare una chiesa protestante tanto da far vedere che anch’essi sono religiosi pur rimanendo comunisti” (ASDNovara, teche parrocchie, s. 7, n. 4, diversi).
Assetto Insediativo
L’attuale comune di Pieve Vergonte risulta formato da cinque nuclei: Pieve, Fomarco, Rumianca, Loro e Megolo. Essi sono segno di una pronunciata policentricità, o frammentazione territoriale, che ha determinato il succedersi di diverse configurazioni territoriali fra XIII e XX secolo.
I diversi insediamenti dell’attuale comune di Pieve Vergonte hanno storie parzialmente diverse. Vergonte è l’erede di un insediamento medievale dedito al comune di Novara e poi a quello di Milano, distrutto dal torrente Marmazza a metà secolo XIII (salvo poche case e convento degli Umiliati, [Scaciga della Silva 1842, p. 6], ricostruito con il nome di Pietrasanta e distrutto ancora una volta nel 1328. Il nome di Pietrasanta deriverebbe dal nome di un podestà di Novara. La dedizione a Novara prevede clausole di fedeltà vincolate dagli statuti novaresi al controllo dei fiumi attraverso il pedaggio [Scaciga della Silva 1842, p. 8]. La distruzione di Vergonte e Pietrasanta avrebbe determinato la fortuna di Vogogna [Scaciga della Silva 1842, p. 9], e la crisi della pieve avrebbe agevolato la nascita di nuove parrocchie in Masera, Trontano e Bevra. Secondo questa tradizione, gli insediamenti attuali sarebbero la conseguenza della distruzione di Vergonte-Pietrasanta: con l’alluvione del 1328 sarebbe finita la gloria di Vergonte e Pietrasanta e gli abitanti avrebbero popolato Vogogna e gli insediamenti di Rumianca, Loro, Fomarco e probabilmente anche il “nuovo” villaggio di Pieve.
Megolo sembra trovare la propria identità territoriale nella parrocchia: la visita pastorale del 1658 segnala la separazione di molte parrocchie ossolane, tra cui San Lorenzo di Megolo da quella di san Vincenzo della Pieve Vergonte, avvenuta nel 1563. La sua esistenza sembra legata a quella dei corsi d’acqua: Scaciga della Silva [1842] ricorda un atto del notaio Alberti, che racconta la storia della distruzione di Megolo dalle acque, la riduzione a 3 fuochi e il lento recupero che porta al raggiungimento di 70 fuochi con 360 persone. Distruzione che lo stesso Scaciga della Silva [1842], ipotizza contemporanea a quella di Pietrasanta, avvenuta nel 1328.
Altri insediamenti (Fomarco e Rumianca in particolare) sembrano aver sfruttato soprattutto la disgregazione del comune “giurisdizionale” di Vogogna che segna l’ultimo terzo del Settecento nell’Ossola inferiore per raggiungere lo statuto di comune, sia pure per soli 150 anni (v. Mutamenti di distrettuazione). Fomarco conquista l’autonomia comunale in occasione della divisione del “conguaglio” 1770, e i suoi 2 deputati firmano l’atto stesso presso la Vice-Intendenza.[Vd. Mutamenti di distrettuazione]. Esso risulta a sua volta policentrico e frammentato: sarebbe un agglomerato composto di dodici gruppi di case [Casalis e Scaciga della Silva 1842, p. 15]. Sarà comune fino al 1928, e a partire dal 1901 i censimenti riportano l’articolazione del suo insediamento (nel 1901 sono censiti, oltre al centro di San Rocco (100 abitanti), Galo, Case del Conte, Case Giovai, Santa Maria, Case Bardotti, Case Gaggia, Case Gianeti, Villa, Al Piano, Barretta, Frera, Anza, La Piana, Case Ovala, Torrette, Case Springhetti, Case Giannini e case sparse per un totale di 592 abitanti su 692.
A Fomarco e Pieve (prima dell’apertura del traforo, e dopo il 1884) si sono sviluppati importanti stabilimenti metallurgici [Scaciga della Silva 1842, p. 16] e attività minerarie legate ai giacimenti ferrosi e auriferi, fittamente documentati in ASN, Intendenza, bb. 120-123.
Rumianca si caratterizza per una notevole dinamicità che affiora particolarmente durante il processo di divisione dei beni com\uni a fine Settecento [Vd. Comunanze]. In ogni caso, essa diventa sede del comune in occasione della disgregazione della giurisdizione di Vogogna (1770-1785/86). Questi diversi insediamenti hanno strutture e pesi demografici differenti e variabili che sembrano averne determinato il diverso destino: mentre infatti Rumianca (con Pieve, Megolo e Loro al suo interno) vedono una crescita di popolazione a partire dagli anni venti del Novecento con l’insediamento della industria chimica omonima, Fomarco non partecipa di questa ripresa [Vd.. Seconda parte].
Luoghi Scomparsi
«Clontia», «Cloncia» (superiore e inferiore), Megoleto [Scaciga della Silva 1842], Borgaccio (sede della prima pieve secondo Scaciga).
Comunità, origine, funzionamento
Il comune di Pieve Vergonte è stato istituito il 7 giugno 1928 per R. Decreto n. 1524: “Riunione dei comuni di Rumianca e Fomarco in un unico comune con denominazione e capoluogo ‘Pieve Vergonte’”. “Le condizioni di tale unione saranno determinate dal prefetto di Novara, sentita la Giunta Provinciale amministrativa”.
In precedenza, esso faceva parte di una configurazione politica estremamente complessa, nota come il “borgo” o “comune” giurisdizionale di Vogogna. Esso aveva assunto una posizione centrale nella geografia politica dell’Ossola inferiore a partire dal 1328, anno della distruzione di Pietrasanta. A partire da metà XIV secolo il borgo di Vogogna aveva assunto una fisionomia di borgo giurisdizionale, che amministrava la giustizia a un distretto di insediamenti minori, i quali partecipavano alla gestione politica locale, sia pure in misura subordinata. Il comune di Vogogna comprendeva quattordici terre, solo parzialmente coincidenti con la circoscrizione plebana: il Borgo, Genestredo, Dresio, Colorie, Campalbino, Prata, Megolo, Rumianca, Pieve, Loro, Fomarco, Piedimulera, Cimamulera, Pallanzeno, ciascuna delle quali era gestita da una Credenza, o Consiglio minore, formato da due Consoli e da otto Credenzieri. I consoli di tutti gli insediamenti prendevano parte al Consiglio generale sotto la direzione del vicario. Esisteva poi il Consiglio Maggiore o Vicinanza o Università, costituito dagli homines di tutti i comuni. Questo assetto resse per almeno quattro secoli, e venne smantellato dal potere sabaudo negli anni settanta del Settecento.
Statuti
Vogogna, 1374. [Airoldi I, 134 sgg e pubblicati da Bianchetti 1878].
Catasti
Mancano catasti antichi. Nel Censimento dei Boschi, 1782, c. 390, è citata una mappa del perimetro di Rumianca (A.S.C.P, Archivio Fomarco, Catasto 1892).
Ordinati
Non sono presenti nella sezione storica dell’Archivio comunale precedente la creazione del comune di Pieve Vergonte nel 1928. Assenti verbali dei comuni precedenti: Rumianca, Fomarco e le altre ville di Vogogna.
Dipendenze nel Medioevo
Gli insediamenti confluiti nel comune di Pieve Vergonte dipendevano dai Biandrate e i De Castello, poi dal comune di Novara e dal 1332, con il passaggio di Novara nella dominazione viscontea, finirono sotto il controllo dei signori di Milano.
Un aspetto essenziale della dipendenza in età medievale e moderna è costituito dal pedaggio e porto della Masone, che nel corso di lunghi conflitti viene attribuito dal potere visconteo alla Commenda di San Giovanni dei Pellegrini di Novara (AST, Corte, Paesi per A e B, lettera “V”, m. 38). Il diritto viene riconosciuto formalmente dal regno di Sardegna, ma si avanza l’idea che si tratti di un diritto regio, per di più posto su strada militare (ivi, n. 7, 8, 9). A metà del Settecento, tutte le comunità della giurisdizione di Vogogna cercano di ottenere o di confermare l’esenzione da tale pedaggio (ivi, 11, 1753). Solo a fine Settecento, tuttavia, a Torino si scopre che Vogogna possiede un secondo porto, quello della Piodera di San Pietro nel luogo di Dresio, concessogli dall’ordine di Malta nel 1276, da cui le altre terre sono escluse.
Secondo Scaciga della Silva 1842, p. 12, Vergonte dipende da Novara, è localizzato in Borgaccio, e ancora nel 1150 estende la giurisdizione civile non solo nell’Ossola inferiore, ma anche nelle terre di Valleanzasca, Vagna, Caddo, Crevola, Montecrestese, Vigezzo, Trontano, Masera, Bevra e Cardezza, luoghi dipendenti dal comune di Novara. Esso è anche sede di Vicariato dell’Ossola, designato come corte. Vergonte è anche sede anche di un collegio canonicale lateranense. Al di là di queste circoscrizioni territoriali, sono rilevanti i conflitti fra “borghi e valli” per i mercati (es. Vogogna e Domo) [Landini; Bianchetti, p. 522].
Feudo
In età medievale, gli insediamenti di Pieve Vergonte sono legati ai Biandrate e ai conti di Castello. Megolo, dipendente con tutta l’Ossola da Guido di Biandrate (1152, Bianchetti doc. XXIV: conferma di Federico I a Guido di Biandrate), e poi di tutti i Biandrate (1209, XXXIV; 1216, ivi doc. XXXVII) fu ceduto da lui a Novara nel 1218 (ivi doc. XXXVIII), suscitando l’opposizione del conte Ottone, suo cugino, con l’arbitrato del comune di Milano [Tonetti cit. in Scaciga della Silva 1842].
Sul borgo di Vergonte si esercita la signoria dei Conti di Castello, che la storiografia vuole contestata dagli uomini dei luoghi, che parteggiano per i vercellesi in odio del comune di Novara (Bianchetti, doc. XLIV). Questa ostilità si traduce nella richiesta di danni dei Biandrate a Vercelli nel 1224 (ivi, XLVII).
A Megolo sono ricordati due castelli dei Biandrate di cui tuttavia non rimangono tracce [Scaciga della Silva 1842]: secondo Bianchetti [p. 162], si tratterebbe di Meolo e Meoletto.
Il 1° novembre 1446 Filippo Maria Sforza conferiva in feudo Vogogna e Mergozzo a Vitaliano Borromeo, staccandoli dal distretto di Novara. Tale infeudazione è ancora ricordata nel primo decennio del Settecento nella Relazione della Valle d’Ossola
Mutamenti di distrettuazione
In età moderna gli insediamenti di Pieve Vergonte, in quanto parte del Borgo di Vogogna, sono compresi nel Ducato di Milano. Con la pace di Worms, nel 1743, entrano a far parte del regno di Sardegna. Amministrativamente dipendevano dalla vice-intendenza e sottoprefettura di Pallanza. Nell’Ottocento, appartengono al circondario di Pallanza della Provincia di Novara. Dal 1992 Pieve Vergonte parte della provincia del Verbano-Cusio-Ossola. 
La convivenza dei comuni poi confluiti in Pieve Vergonte nel Borgo di Vogogna era carica di tensioni, che risultano più evidenti in relazione al controllo dei mercati e, probabilmente, delle terre comuni da parte della località centrale. Secondo i rivoltosi di Omegna e contado del 1753, “i paesi di Megolo, Rumianca, Loro, Pieve, Fomarco, Pallanzeno, Cimamulera, Massanzeno e Prata ottennero di separarsi da Vogogna con sentenza del magistrato di Milano del 13 dicembre 1577” [Lossetti, Piana cit. in Bazzetta, pp. 322-3].
Con l’incorporazione nel Regno di Sardegna, nel 1743, Vogogna “seco gionte le terre che compongono quella giurisdizione” ricorrono a Sua Maestà per sottrarsi all’Intendenza di Novara sulla base del regime pattizio che li aveva  legati per secoli a Milano: la richiesta poggia su convenzioni del 1375 e 1381 con Galeazzo Visconti, sul censimento del mensuale del 1541 e ancora su una sentenza milanese del 1733 che li esentava dai carichi. Il ricorso viene rigettato perché non si riconosce il regime pattizio milanese: le convenzioni sono privilegi, quindi concessi dal potere centrale ed escludono per ciò stesso l’immunità; la sentenza del 1733 riconosce l’esenzione a causa della povertà dei luoghi, che, secondo Torino, non ha nulla di pattizio.
La storia sette-ottocentesca della regione di Pieve Vergonte non sarebbe comprensibile senza la considerazione del complessivo riassetto dell’area dell’Ossola inferiore: soprattutto, lo spostamento della giurisdizione civile e criminale da Vogogna a Ornavasso, caldeggiata da Torino e sostenuta sulla base della natura militare dell’amministrazione della zona [A.S.T., Corte, Paesi per A e B, lettera V, m. 38, nn. 21, 26-28, 31-34, 40-43, Ricorso della comunità di Vogogna che si lagna di non esser più capoluogo di andamento] e la simmetrica richiesta di Vogogna di mercati [ivi, n. 22, Conferma di un mercato in Vogogna, 1821 e A.S.T., Corte, Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, m. 6 d’addizione, Vogogna, n. 3, 1769] anche in concorrenza con le “ville” - soprattuto Piedimulera -, e risarcimenti delle spese militari.
Mutamenti Territoriali
Nonostante la continuità formale dell’appartenenza a Vogogna, il territorio degli insediamenti poi confluiti in Pieve Vergonte non è affatto stabile. Per il momento, questa ricerca non si può basare che su indizi. Ad esempio, in età spagnola Pieve, con Piedimulera è “membro” del comune di Vogogna, e sono tassati insieme l. 1500; nel 1746, con Vogogna forma “un sol comune”, vale a dire che divide il registro con Capraga, Megolo, Romiancha, Loro, Pieve (V.), Fomarco, Piedimulera, Cimamulera, Palanzeno, Prata, “più altre quattro ville” (Premosello, Cuzzago, Migiandone, Anzola; Mergozzo che condivide la giurisdizione ma “paga da sé”); non pagano carichi Masera, Trontano, Benna, Candera, e la Valle Anzasca (Macugnaga, Banio, Anzino, Ciota, Ceppemorello, Odelascha, Vanzone, Castiglione).
Questa incertezza non è annullata neppure dal tentativo del Regno di Sardegna del 1770 di dissoluzione del borgo di Vogogna, che culminerà nel 1816 con il trasferimento della sede giurisdizionale da Vogogna a Ornavasso.
L’atto del 1770, riportato in un “Bourdreau delli Stati e Conguagli che dal R. Officio della Vice Intendenza della Provincia dell’Alto Novarese in Pallanza”, si articola in un “Verbale per le comunità e terre dell’intera giurisdizione di Vogogna per le 14 denominate del mensuale e per le 10 del comune di Vogogna del 27 marzo 1770”, con cui si cerca di stabilire debiti e crediti reciproci tra le diverse comunità. In assenza di crediti e redditi comuni, l’amministrazione si riduce al pagamento di Podestà, consiglieri, consoli, fanti di giustizia, cancelliere carceri. Perciò si calcolano le spese delle 14 comunità dette del mensuale (diaria); e il riparto delle spese che ricadono sul comune detto delle 10 terre di Vogogna, che formano “un solo territorio dimostrativamente diviso in 10 consolati” e i cui beni comunitativi consistono perlopiù in boschi e pascoli “goduti tutti comunemente e principalmente dagli abitanti delle 10 terre”. Si procede a una misura generale e si formano 6 mappe, che costituiranno la base per le aggregazioni e disgregazioni comunali: Vogogna con Prata, parte di Capraga; altra di Romianca con Megolo, Pieve e Loro; altra di Fumarco; altra di Cimamulera; altra di Piedimulera; altra di Masanzeno (Palanzeno)”. I delegati sono divisi sulla richiesta di rinviare la ripartizione dei beni comuni, che alcuni (non individuati) vorrebbero invece immediatamente.
Di fatto questo atto, con il provvedimento secondo il quale ogni comunità partecipa alle spese del caso e che non sono necessari conguagli tra le comunità (che erano delle pure giurisdizioni), disgrega il comune di Vogogna. Non risulta possibile tuttavia, in quella sede, dividere i beni tenuti promiscuamente dalle dieci comunità. Ci si limita a costruire sei mappe, a riportarvi i beni comuni ma senza attribuirli ai nuovi comuni perché non sono distribuiti omogeneamente e renderebbero necessario il calcolo del “più valore”. Questa decisione condizionerà il futuro dell’antico comune di Vogogna, poiché ci si limita a separare Vogogna e Piedimulera, ad aggregare Vogogna con Prata e una parte di Capraga, e ad aggregare Rumianca con Megolo, Pieve e Loro. Fomarco, pur restando ai margini del processo – nel quale non viene mai nominato anche se due deputati firmano l’atto- ottiene lo status di comune. Questa incertezza è ribadita nel successivo “Stato e riparto dell’annualità fisse e casuali della Comunità generale della giurisdizione di Vogogna”, nel quale Fomarco è contato con Rumianca, Megolo, Pieve e Loro, di cui anzi rappresenta il nucleo più cospicuo. Molto presto però Fomarco si presenterà come comune autonomo. Nel 1773: risultano uniti a Vogogna solo Megolo, Romiancha e Pieve “d’Oro” (?). La situazione si chiarisce nel 1775, quando il Regolamento dei Pubblici scorpora l’antico comune di Vogogna, comprendente Pallanzeno, Piedimulera, Cimamulera, Fumarco, Pieve, Loro, Rumianca e Megolo, in sei comuni distinti: Vogogna con Prata, Pallanzeno, Piedimulera, Cimamulera, Fomarco, Rumianca con Megolo, Loro, Pieve. (Bianchetti, 656-57). Sono dunque le caratteristiche della fiscalità – i “debiti e crediti reciproci tra le diverse comunità. In assenza di crediti e redditi comuni”- a definire i conflitti, le tensioni e le fratture. Così, nel 1782, in occasione del Censimento dei boschi, le risposte di Vogogna comprendono anche Capraga e Prata, quelle di Rumianca comprendono anche Megolo, Loro e Pieve. Ma la situazione non è vissuta con analoga chiarezza da altri luoghi: secondo Piedimulera (Censimento dei Boschi, 1782), dal Conguaglio del 1770 risulterebbe che Piedimulera, Megolo, Rumianca, Loro, Fomarco, Pieve , Cimamulera, Pallanzeno, Prata formano un solo comune.
Nel 1928, come già detto, viene istituito il nuovo comune di Pieve Vergonte attraverso la riunione dei due comuni di Rumianca e Fomarco [Vd. Comunità]
Comunanze
Nella divisione del 1775 “non si dividono però i beni comuni e i pascoli. Per molti anni goduti promiscuamente, con abusi di appropriazione indebita di alberi, colture, sieppi e muri. [Bianchetti 1878, p. 656]. Questa indivisione si prolunga nel tempo e genera ancora oggi notevoli incertezze di attribuzione. Nel 1782, nel corso del  Censimento dei boschi, a Cimamulera tali beni vengono ancora definiti “indivisi con le 10 terre di Megolo, Romianca, Loro, Pieve, Fomarco, Piedimulera, Palanzeno e Prata” [A.S.T., Sez. Riunite, II Archiviazione, Province di nuovo acquisto. Boschi]. Piedimulera non ha [più] comunaglie e la gente si procura legna con il taglio di alberi sui propri appezzamenti (ivi). Il legno usato a Piedimulera per accendere tre forni da pane (quattro dal 1783) per uso delle valli e di proprietà dei locali, proviene da Cimamulera e dalle Valli.  Piedimulera possiede un pascolo “scoperto”, un pascolo zerbo. La prosecuzione della comunanza è attestata poi da altri indizi. A Rumianca la riunione del sindaco (di Pieve) con i consiglieri di Rumianca e di Mezzo (Megolo), con un consigliere aggiunto per caduna frazione, avviene il 31 dicembre,  l’ultimo giorno possibile allo scopo di aspettare le risposte di Vogogna “con cui le terre sono comuni”. Nel 1784 si avvia il processo di divisione dei beni comuni, di  rivendicazione di proprietà e di possesso di beni. Si segnalano conflitti anche per imprecisioni nei catasti  [Bianchetti 1878, p. 656). Il processo si dipana attraverso un tentativo di composizione amichevole del Vice Intendente Ignazio Roggero [Bianchetti 1878, p. 656] nel 1785. Si segnalano importanti processi di occupazione e usurpazione dei boschi comuni, e si invoca la conseguente perequazione dei carichi fiscali innescati da questo riassetto amministrativo. In A.S.T., Corte, Paesi per Province, Provincia di Pallanza, mm. 78-80 sono segnalate molte usurpazioni di boschi. Ma soprattutto in AST, Corte, Paesi, V, m. 38, n. 14, Ricorso di Giacomo Antoniolo console di Prata, 1770; n. 17, Causa tra la comunità di Vogogna e particolari di Prata, 1786; n. 18,Causa della comunità di Vogogna contro… Albertazzi, 1786, è documentato un caso del conflitto intorno alle comunanze di Vogogna: il bosco della Prata. Si tratta in realtà di un’area a coltura mista e forse [A.S.T., Corte, Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, m. 6 d’addizione, Vogogna, n. 4, 1787] la “migliore e maggior porzione” del comune. Esso andrebbe valutato nel riparto delle comunanze di Vogogna, ma risulta usurpato da privati che esigono il riconoscimento delle “migliorie” in caso di tassazione e si oppongono alla “comunalizzazione” del bosco  proposta dalla vice-intendenza di Pallanza. Questo conflitto si ripercuote immediatamente a Fomarco con un “tumulto di 15 capipopolo per mutare il delegato alla divisione delle comunaglie tra le ville di Vogogna” e a Rumianca, dove “si teme il peggio massimamente”. Nel 1787 si segnala l’opposizione di Rumianca e Prata alla divisione dei beni comuni “avendo per base l’estimo diviso ed in proporzione del quantitativo d’estimo diviso di ciascheduna comunità” [A.S.T., Corte, Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, m. 6 d’addizione, Vogogna, n. 4, Informativa del Prefetto di Pallanza e varie rappresentanze riguardanti le pendenze vertenti fra la comunità di Vogogna, Palanzeno, Piedimulera, Cimamulera e Fomarco contro la comunità di Rumianca e particolari di Prata per certi beni comunali]. Si lamentano danni sofferti dalle comunità per “usurpazioni ed occupazioni che si fanno perlopiù da persone nullatenenti”. La situazione diventa incandescente: sempre nel 1787 si sostiene
“essersi veduta ad un tempo dalle ottocento alle mille persone a devastare i boschi per più di una settimana, precedendone una proibizione”, in realtà fomentata dalla parentela dei Tabacco “speciali occupatori de beni communi, con qualche altro loro aderente di simil natura che notoriamente avvantaggiarono la loro condizione con danno publico, a quali è riuscito di ottenere particolar deputazioni per frastornare come frastornarono simile divisione con eccitamenti di disordine e scompigli popolari già da febrajo scorso”
In realtà il conflitto è più complesso: è stata Vogogna a volere la divisione dei beni comuni. I beni contesi di Prata sono stati privatizzati o meglio corporativizzati: “quasi tutti li d. beni … passati nei successori singolari degli autori de chiudimenti sono finiti e quindi li possessori attuali sendo per la massima parte titolati tra quali la chiesa ed altri luoghi pii di Prata”. Sempre la stessa fonte, il prefetto Roggiero di Pallanza, indica un’altra causa alla base del conflitto: la proposta di divisione delle terre comuni è stata avanzata avendo “per base l’estimo diviso ed in proporzione del quantitativo d’estimo diviso di ciascheduna comunità” [ivi, Lettera del Prefetto Roggiero di Palanza, 18 settembre 1786, c.2], che evidentemente favorisce le comunità maggiori.
Durante la Restaurazione si tenta di risolvere la questione delle usurpazioni con “enfiteusi perpetue” da parte dei comuni [A.S.T., Corte, Paesi per A e B, V, m. 38, n. 20, Enfiteusi di beni comunali, 1818.  
Data la mole delle informazioni, è necessario analizzare i singoli insediamenti. A Fomarco la gestione dei boschi comunali è documentata nella sezione dell‘(ora) ex comune di Fomarco solo dall’inizio del secolo XX. I beni comuni si articolano con il XX secolo: ad esempio è documentato negli anni trenta l’affitto del porto di Megolo [ASCP], insieme con i “Sopracanoni idroelettrici” del 1930-31 relativi alla richiesta controversa di deviazione dei torrenti Arsa, Orcoco, Del Notto e Ghiaccetto, con intervento disciplinare del genio Civile di Novara. A Rumianca, nel censimento del 1782 si parla di “colli uniti per il bene comune” e si sostiene di aver cercato di 
“resistere alle usurpazioni de beni comunali”, ma “non vedendosi dalle comuni terre radicata, in cui il privativo vantaggio veniva preferto al Pubblico, e dall’altro canto osservando il sovraccarico che ne veniva all’estimo vivo del disugualmente ripartito comune affatto deserviente all’arbitrario profitto de nullatenenti”. Si sostiene pure che, se “caduna delle terre puotesse prendere le misure seccundo sua virile e pel bisogno e per quel vantaggio che puotrebbe essere agevole a stabilire”, “un’adeguata divisa d’esso comune…[avrebbe potuto] produrre al pubblico bene”. Perciò Rumianca non sa rispondere “ai quesiti relativi al rispettivo bisogno della quantità comune delle bestie ed estensione e qualità de boschi e pascoli”. 
 
Non si segnalano fabbriche nel perimetro della mappa di Rumianca ed uniti “a cui deservino beni comunali” (cioè legname), e neppure fornaci di mattoni, ma due o tre fornaci intermittenti di “calcina” tra Palanzeno, Rumianca e Cimamulera, insufficienti all’uso del paese: usano legna di beni comunali, ma non a Rumianca (qui lo traggono dai privativi ed estimati). In ogni caso la legna  “non sovrabbonda in Rumianca e aggregati”. I boschi risultano tagliati ogni anno o quasi. Il bestiame
“si provvede nel comune territorio di tutte le dette dieci terre promiscuamente non meno che sull’arrenoso comunale, che dà scarse erbe, che su pascoleggio comune fra tutte esse dieci terre de prati divisi e cottati dopo tagliato il secondo fieno fino alla nascente primavera, procurandosi taluni pure debole sostegno d’esso con fieni ed erbe de monti comunali”. Pascoleggio comune (sui prati divisi, che vengono (nella bella stagione?) concessi a gente di “altra giurisdizione”) è principalmente per le bovine a profitto di ristretti e nullatenenti. In valle il territorio è scarso di pascoli, la gente si serve di “prative montagne”.
 
Il territorio è esposto all’uso di chiunque, non si sa se ci sono miglioramenti o alienazioni possibili, se non dopo aver fatto un “legitimo comparto tra le già dette dieci terre de beni comunali”. Si segnalano intanto i primi guasti del nuovo assetto: 
“raccogliendosi pure dalle occupazioni che si fanno de beni comunali tanto in monte come nel piano, negligentate dalla comune d’esse dieci terre, perché prive di comuni amministratori, e proibite ad unirsi, come si soleva in Vogogna”.
Presenza di pecore nel numero necessario (per vestirsi e anche per “fare denaro in alcuni bisogni”), è ritenuta possibile “in piano” da ottobre a San Marco, il 25 aprile. L’amministrazione crede che non sia spediente il fissare il numero delle specie delle bestie  utili perché le inondazioni, le rovine e siccità che occorrono non permettono di stabilire un “sistema probabile”.
I particolari che posseggono boschi sui monti “sopra i loro abitati” ne fanno buon uso attesa la scarsezza di legnami. E’ praticato il taglio “per uso” di legna e di bosco per le viti per sè e vendibili a locali, perché Rumianca non è limitrofa a stati esteri. “Non si fa commercio di legna dalle dieci terre, solo a locali da alcun particolari”. Esistono gerbidi comuni occupati da particolari che sono di spettanza comune. Per identificarli sarebbe necessario ricorrere a “persone legitimamente autorizate per tutte le dieci terre; non si sanno “notificarne gli occupatori, “che sono moltissimi nell’intero dipartimento”. Si chiede la ricognizione. Non ci possono essere gerbidi persi “dalle rovine in monte  e nel piano divorati…Qualunque particolare di notazione risulterebbe inutile nella supervenienza di altre rovine e demordimenti. I detentori di gerbidi comuni non pagano nulla, restando il carico all’estimo vivo e collettabile”. Meglio piantare pioppi nel piano. Rumianca protesta per un aggravio di lire 190.
Non diversamente, a Vogogna si conferma che “sempre è stata inalterata la comunione de pascoli e boschi tra le terre componenti il comune di Vogogna…anco dopo lo stabilimento delle mappe” “col conguaglio del 1770 si era fissata la divisa (sc. divisione) ma [si era] riconosciuta inattuabile per allora, si è dichiarata continuabile la comunione come tutt’ora sussiste”. Con l’editto di censimento del 1775 si è interrotta la  comune amministrazione”, e nel 1780 e 1781 si è richiesto al vice-intendente di riprendere l’amministrazione comune o procedere alla divisione”. Perciò neppure Vogogna ha la certezza della quantità comune di bestie, boschi e pascoli “in monte”. Si segnala la scarsezza di boschi sul monte che fiancheggia il borgo di Vogogna. “Nella parte opaca” la quantità di boschi è maggiore, con tagli intervallati “dell’età di un uomo”, ma rovinati dal morso delle capre.
Per il resto, Vogogna conferma la versione di Rumianca, parola per parola. “Delle prative montagne delle dieci terre si avvalgono però solamente particolari persone” [c. 481r]. Invece tutto il comune (comunaglia) è esposto all’uso di chiunque. I boschi sopra l’abitato sono gestiti “gelosamente” dai rispettivi particolari. Il comune è scarso di legna, che importa da altre terre a carissimo prezzo. I gerbidi nelle diverse terre sono occupati da moltissimi particolari, impossibili da determinare senza persone legittimamente autorizzate. Vogogna segnala inoltre che il “Monte verso Cardezza di pertiche 3000 circa è conteso con Cardezza, che dopo una transazione del 1747 ha devastato boschi e continua a fruire di fieni ed erbe, quando l’estimo è tutto a carico di Vogogna”. Come Rumianca, protesta per aggravio di lire 260.
            Altri fondi archivistici aggiungono informazioni. Purtroppo nell’Archivio Comunale di Pieve Vergonte, da ordinare ma con evidenti, pesantissime perdite, l’Archivio di deposito segnala  fondi Usi civici  [1 f], Beni civici 1928-30 [f.1] che non è stato possibile rintracciare, così come per il faldone 5, Boschi. Quel che resta dell’Archivio della frazione (ex comune) di Rumianca [Cartella non numerata, “Boschi- Atti di vendita, 1822-1864”], mostra la gestione comunale dei boschi, con permessi annuali di taglio e alcune vendite. Del 1822 è un Regolamento forestale per taglio dei boschi e selve, che di fatto è un elenco di permessi a otto particolari di tagliare boscoin regione Mazzucco; l’Intendenza l’anno successivo interviene con permessi di tagliare, “cuocere” o “fare rusca” a 48 individui in 5 anni. Altre vendite trovano opposizione sia dei comuni vicini (Piedimulera nel 1847), sia concorrenza di personaggi forestieri, ma la presenza dei notabili di Pieve  (es. Cicoletti e Tabacco) è costante. Questo regime è documentato fino all’inizio degli anni venti del Novecento. Il comune di Rumianca risulta attivo anche nella regolazione del pascolo, soprattutto delle capre, di cui controlla anche i luoghi in cui è consentito il pascolo [A.S.C.P., Regolamento, 1900-1918, Boschi e Selve, Cat. XI, Cl. 1].
L’archivio della frazione (ex comune) di Fomarco conserva [fald. 1] soprattutto materiale relativo a istituzioni caritative, a partire dalla donazione Pirazzi del 1769. Di notevole persistenza e importanza i legati per la distribuzione del sale, fonte di conflitti nel corso del tempo. Sono presenti anche prescrizioni per il pascolo delle capre e vendite del taglio di boschi. Molto utile è l’“Elenco boschi e castagneti” del 1910.
L’archivio del Commissariato alla Liquidazione degli Usi Civici per il Piemonte e la Valle d’Aosta (C.L.U.C.) conserva molta documentazione novecentesca relativa alle comunaglie di Pieve Vergonte e degli insediamenti che lo compongono. Alla legge di liquidazione del 1927 si risponde nel 1929 con una denuncia di occupazione di terreni comuni, e con una ricognizione degli usi civici di Fomarco e Rumianca e un riconoscimento di terre demaniali nel 1938. Tuttavia nel 1935, 1936, 1941, 1959 si decide una serie di legittimazioni di occupazioni di terre comuni (nel 1941 si compila un elenco di occupatori a Fomarco e Rumianca). Ma la situazione è conflittuale, e già nel 1938 il comune di Pieve Vergonte inizia una causa contro 19 privati per occupazione. L‘affidamento della pratica a un perito di provata capacità (geometra Torrero) nel 1959 sembra imprimere una svolta alla vicenda con un “progetto di legittimazione definitiva”, ma di fatto nulla viene deciso:  nel 1982 la redazione del piano regolatore deve ricominciare dalla ricognizione degli usi civici.
Liti Territoriali
A Fomarco “vi sono siti e zerbidi (in competente quantità) persi rimboschiti di bende e faggi, che questa comunità ha ne confini della comunità di Castiglione, la goldita de quali viene usurpata da locali di d luogo di Castiglione; li agravij sono costretti pagarli li registranti di Fomarco, perché in mappa di questa comunità ne si puonno alligare (sic) altri alberi. Questione comunicata a Conte Hautonville in occasione di sua venuta a Vogogna per li affari pubblici [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, §13, Paesi nuovo acquisto, Boschi). Conflitti tra Megolo e la Religione di Malta per l’esenzione dal pedaggio della Masone si trovano in A.S.T., Corte, Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, m. 6 d’addizione, Vogogna, 1731. Il processo di attribuzione delle comunanze di Vogogna tra il borgo e le ville dà luogo a “pendenze” delle comunità di Vogogna, Pallanzeno, Piedimulera, Cimamulera e Fomarco contro la comunità di Rumianca e particolari di Prata [A.S.T., Corte, Paesi di Nuovo Acquisto. Novarese, m- 6 d’addizione, Vogogna, n. 4, 1787]: Rumianca e Prata rifiutano l’attuazione della divisione. L’Archivio storico comunale di Vogogna conserva una serie di liti con particolari di Rumianca, Megolo e Pieve tra i secoli XVII e fine XVIII.
Fonti
Anonimo, Relazione della Valle d’Ossola, (B. Reale di Torino, misc. 37.7)
 
A.S.T., Corte, Paesi per Province, Provincia di Pallanza, mm. 78-80: Molte usurpazioni boschi
A.S.T., Corte, Paesi in genere in  generale: m. 1 bis, Relazione Hauteville sui paesi dell’ex Stato di Milano; Ibidem, m.5, Opposizioni fra pristinai …Vogogna, 1831; Ibidem m. 13, Facoltà di Vogogna di formare bandi politici;  Ibidem, m. 20, Annua relazione degli intendenti sulle province…, 1839-40; Ibidem, m. 22, n. 23, Ristabilimento delle province dell’Ossola e Valsesia, 1844; m. 23, Riforma delle circoscrizioni della provincia di Pallanza, s.d.; m.25, Nomina straordinaria di sindaci …Pallanza, 1850.
A.S.T., Corte, Paesi per A e B, lettera V, m. 38, n. 10, 1751, Ricorso di Vogogna seco gionte le terre che compongono quella giurisdizione per non essere soggette all’Intendenza di Novara e
Relazione informativa sopra il ricorso umiliato a SM dalla giurisdizione di Vogogna in cui chiama di non essere sottoposta all’Intendenza Generale stabilita in Novara.
A.S.T., Sez. Riunite, I Archiviazione, Provincia di Novara, m. unico, n. 3, 1746, Nota delle comunità dell’alto novarese e vigevanasco del total perticato de beni allodiali ed ecclesiastici esistenti ne loro rispettivi territori.
A.S.T., Sez. Riunite, II Archiviazione, Boschi, cc. 388v- 393v
A.S.T., Sez. Riunite, II Archiviazione, capo 13, m. 31, vol. XXIV, Bourdreau delli Stati e Conguagli che dal regio Officio della Vice Intendenza della Provincia dell’Alto Novarese in Pallanza si trasmettono al generale Officio del Censimento in Torino con lettera de 3 marzo 1770 e Riparto tra le province di nuovo acquisto, 1773.
A.S.T., Sez. Riunite, Catasti, Catasto teresiano, allegato F., Catasti e sommarioni, Circondario di Pallanza, 1722-23.
A.S.T., Sez. Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Pallanza, Sommarioni.
 
Relazione del marchese Alessandro Vincenzo Ferrero d’Ormea governatore di Novara, 1768, (cit. Landini, v.)
 
Archivio del Comune di Vogogna, 48.05, Processo contro Particolari di Rumianca, Pieve, Fomarco, Megolo, 1683-1740.
 
Archivio del Comune di Pieve Vergonte, Ex comune di Fomarco, Catasto 1892.
Archivio del Comune di Pieve Vergonte, ex comune di Rumianca, Riparto di consiglieri fra le frazioni
 
Arch. Parrocchiale di Vogogna, ms Giacometti, (cit. in Airoldi).
 
Archivio del Commissariato alla Liquidazione degli Usi Civici, Pieve Vergonte.
 
Archivio di Stato di Novara, Prefettura dell’Agogna, Censo, Compartimento territoriale, Congregazioni dei Comuni, 1807, Cantone di Vogogna; Culto, buste 606, 615, 690, 724; Comuni, buste 754-55; Provincia di Novara, Circoscrizioni di comuni, Circondario di Ornavasso, busta 3 [Fomarco e Rumianca], 1866; Intendenza, Rubrica 3, buste 4, 120-123 [Concessioni], 175 [Consorzi stradali].
 
Archivio Storico Diocesano di Novara, Acta visitationis, vol. 6, mons. Bossi, 1582; vol. 18, Mons. Ponzoni, 1592; vol. 49, mons. Bascapé, 1596; vol. 59, mons. Bascapé, 1603; vol. 96, mons. Taverna, 1618; vol. 106, mons. Volpi, 1627; vol. 130, mons. Tornielli, 1641; vol. 175, 1658, mons. Odescalchi; vol. 188, mons. Maraviglia, 1677; vol. 207, Mons. Visconti, 1691; vol. 235, mons. Visconti, 1707; vol. 303, mons. Balbis Bertone, 1759.
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Descrizione Comune
Pieve Vergonte
Il comune di Pieve Vergonte formatosi nel 1928 è una concrezione di borgate dotate di beni comuni intrecciati e unite da un sistema di esenzioni commerciali reciproche (ad es. pedaggi) che da sei secoli si riconoscevano nel comune giurisdizionale di Vogogna. Si è trattato di una convivenza non sempre facile e carica di tensioni. Esse emergono durante una fase di grandi innovazioni politiche, corrispondente all’incorporazione dell’area ossolana nel Regno di Sardegna e che caratterizza la seconda metà del secolo XVIII: infatti tali borgate erano molto diverse fra loro per storia e strutturazione interna, e hanno avuto rapporti di competizione e solidarietà mutevoli nel tempo.
Prima della formazione del comune di Vogogna, le notizie di cui disponiamo, e su cui la storiografia locale si è a lungo esercitata, sono frammentarie. Parlano di un riferimento dell’area di Pieve Vergonte sia ai Biandrate che ai De Castello, ma del tutto impreciso quanto alla qualificazione dei luoghi: l’esistenza di due castelli dei Biandrate a Megolo, riferita da Scaciga e Bianchetti, appare quanto meno generosa. Meno fantasiosa, ovviamente, è la dipendenza dell’area prima da Novara e poi da Milano, ma essa sembra ergersi su un campo di pesante incertezza. A complicare la situazione è la conformazione naturale dell’area, un fondovalle pesantemente esposto alle esondazioni del Toce e dei torrenti che vi confluiscono. Esse paiono responsabili di una rilevante mobilità fisica e toponomastica degli insediamenti. La narrazione tramandata dalla storiografia locale, che mantiene un pesante debito nei confronti delle interpretazioni ottocentesche, e che rende auspicabili e necessarie verifiche archeologiche, vuole un antico Vergonte distrutto dalle acque e sostituito da Pietrasanta ed entrambi confluiti in un borgo (nuovo?) sotto il controllo milanese. In loro assenza, l’unica certezza è costituita dalla presenza della pieve di Vergonte, documentata dal secolo XII ed effettivamente perno di un riferimento territoriale definito, anche grazie a studi recenti.
A partire dal secolo XIV, tuttavia, la pieve inizia a disgregarsi e dà luogo a un processo di apparrocchiamento durato almeno quattro secoli che ha prodotto il paesaggio ecclesiastico del nesso borgata-chiesa (possibilmente parrocchiale) che leggiamo ancora oggi nel territorio. Politiche ecclesiastiche successive al Concilio di Trento hanno prodotto fenomeni di associazionismo devozionale – confraternite di disciplinanti e compagnie d’altare – che riplasmano il paesaggio interno ai luoghi sacri ma che non sembrano avere avuto una presa durevole: esse si possono fondere, ma soprattutto devono competere con altre manifestazioni della cultura politico-religiosa locale. Queste vanno ravvisate in una radicata politica caritativa ed ecclesiastica da parte delle parentele locali, che ribadiscono la propria influenza locale attraverso lasciti del sale e di altri generi alimentari, da un lato, oppure di servizi – educativi come associativi – dall’altro. Tali parentele tendono anche a perpetuarsi attraverso benefici d’altare. Insieme, carità e benefici costituiscono il panorama più autentico dell’area di Pieve Vergonte.
Questo panorama assume tutto il suo spessore se si analizza il funzionamento politico del comune giurisdizionale in cui sono stati per secoli inseriti gli insediamenti che nel Novecento confluiranno nel comune di Pieve Vergonte. Nel XIV secolo nasce dunque una formazione territoriale centrata su Vogogna e notevolmente durevole. Diciamo che essa è attestata almeno dal 1374, anno della redazione dei “nuovi” statuti [Bianchetti 1878]. Questa formazione comprende un notevole numero di insediamenti: quattordici terre, denominate “del mensuale”, hanno una partecipazione puramente contributiva, mentre un’altra decina fa parte del “comune di Vogogna” e ha un funzionamento articolato in una serie di consigli: il consiglio maggiore, detto anche Vicinanza o Università, cui partecipavano gli homines del luogo, i consigli minori in ogni comune, composti da due consoli e otto credenzieri, il consiglio generale formato dai consoli di ciascun comune. Il controllo milanese su questa istituzione sembra essere stato abbastanza distaccato, limitandosi a un prelievo fiscale basato su un estimo del 1540 ma in ogni caso contenuto entro i limiti dei privilegi ossolani relativi al commercio del sale e delle derrate in genere. Tra 1712 e 1722 la nuova politica austriaca cerca di rinnovare la conoscenza della base imponibile attraverso un censimento che avvii la catastazione, spesso osteggiato localmente.
Le vere innovazioni sono portate dallo stato sabaudo, che incorpora l’Ossola inferiore in seguito alla pace di Worms del 1743. Esso si oppone ai tentativi delle popolazioni ossolane di ottenere la conferma dei propri privilegi, e, dopo un ventennio di attesa, cerca di scorporare quelle che considera “terre separate”, vale a dire isole di privilegio fiscale, tra le quali spicca senza dubbio quella di Vogogna. Nel 1770 la vice-intendenza di Pallanza propone – e attua – un “Conguaglio” tra i comuni del borgo di Vogogna e crea sei territori raffigurati in mappe (conservata quella di Vogogna, A.S.C.V.). Gli insediamenti che compongono oggi il comune di Pieve Vergonte fanno parte di due distinte unità – Fomarco e Rumianca (quest’ultima comprendente gli insediamenti di Rumianca, la Pieve, Megolo e Loro). Distingue le situazioni debitorie e creditizie dei comuni che fanno parte delle nuove istituzioni amministrative a partire dalla loro dimensione demografico-fiscale, calcolata su un numero convenzionale di “fuochi di banco”. Rumianca ne rappresenta 22, così come Pieve, mentre Loro ne conta solo 6 e Megolo 18: una proporzione che trova conferma nei dati dei primi censimenti postunitari, ad esempio quello del 1871, che riporta per Pieve 477 abitanti, per Rumianca 337, Megolo 345 e Loro 115. La definizione di una base comunitaria della terra imponibile, che è il vero scopo del governo torinese, si scontra tuttavia con la concrezione di diritti ed esenzioni da cui siamo partiti, e che nella fattispecie investono soprattutto i beni comuni, legati al pascolo animale e allo sfruttamento del bosco. Come in altre situazioni, la specificità delle singole configurazioni impedisce al governo sabaudo di raggiungere il proprio scopo, e lo scorporo delle “terre separate” si arresta di fronte all’impossibilità di dividere i beni comuni. Si scorpora dunque il borgo di Vogogna in una serie di comuni minori che tuttavia condividono ancora i beni comuni. Pochi anni dopo, nel 1775, la pubblicazione del nuovo “Regolamento dei pubblici” imprime una nuova velocità al processo di divisione, poiché prevede la divisione dei beni comuni. Ora, questi beni sono di diverse specie – pascoli, boschi e fondovalle – ma sono diversamente distribuite sul territorio: perciò i nuovi comuni si trovano a possedere nulla, oppure una parte sola delle diverse specie di beni. Pochi anni dopo, nel 1782, una fonte più neutra come il “censimento dei boschi” consente di entrare all’interno di queste resistenze: Rumianca, in particolare, con i cantoni “uniti per il bene comune” descrive una situazione di vasta usurpazione dei beni comunali, a cui la nuova situazione amministrativa dei sei comuni creati da Torino non consente più di provvedere, per l’assenza di una autorità dotata di prerogative sufficienti come erano gli ufficiali dell’antico comune di Vogogna. Nel 1784 la proposta torinese di procedere alla divisione dei beni sulla base dell’estimo dei nuovi comuni -“avendo per base l’estimo diviso ed in proporzione del quantitativo d’estimo diviso di ciascheduna comunità” – sembra favorire quelle maggiori a discapito delle formazioni minori. Sorgono a questo punto, nel 1787, le resistenze, soprattutto da parte di Prata, di Fomarco e di Rumianca, dove secondo una fonte si giunge all’occupazione collettiva del bosco comune guidata da una parte almeno del notabilato locale.
Il ventennio rivoluzionario e napoleonico non sembra risolvere la questione, e con la Restaurazione la politica sabauda riprende il proprio corso e ridisegna lo scheletro amministrativo dell’area, spostando la giudicatura da Vogogna a Ornavasso, con considerazioni esplicite di ordine militare. Lo smantellamento del comune di Vogogna produce reazioni prevedibili: la richiesta di compensazioni economiche quali i mercati e altro, che si sommano a un’inquietudine religiosa visibile attraverso un’ondata di miracoli segnalati da don Airoldi [vol. II]. Per i comuni di Rumianca e di Fomarco si apre una stagione contrastata. Da un lato, l’archivio di Stato di Novara segnala con insistenza l’aprirsi di “coltivazioni” di miniere aurifere e ferrose, testimoniate anche dalla presenza di imprenditori stranieri (la “società inglese”). Tendenze che troveranno a partire dal 1915 una conferma straordinaria nell’apertura a Pieve delle produzioni della Società Rumianca. Dall’altro, si apre una fase di aspra conflittualità interna per un’adeguata rappresentanza delle singole frazioni in consiglio comunale. Da queste lotte sorde sembra emergere una forte identità della frazione di Pieve che riesce a ottenere dalla Deputazione Provinciale una revisione delle quote in proprio favore. Da un altro lato ancora, continuano indisturbate le occupazioni di terreni comunali, segnalate immediatamente ma destinate ad emergere soprattutto a partire dal tentativo fascista di liquidazione degli “usi civici” [C.L.U.C.]: già dalla fine degli anni trenta, ma soprattutto negli anni cinquanta e sessanta, si susseguono tentativi di sanare la situazione liquidando le usurpazioni. La creazione di Pieve Vergonte nel 1928 si trova a fronteggiare queste tensioni fra protagonisti territoriali di natura diversa: i dati demografici dei censimenti pre- e postunitari ci permettono di caratterizzarne il paesaggio umano. Intanto, i protagonisti dell’unione sono molto diversi fra loro. Soprattutto, Fomarco si caratterizza per un insediamento incredibilmente frammentato: i suoi 700 abitanti (che raggiungono gli 871 nel 1871) sono sparsi in ben 12 nuclei (intorno al 20% della popolazione non vive in “agglomerati” secondo i censimenti del secondo Ottocento), che diventano 15 nel 1901. A questa dispersione si contrappongono gli altri quattro nuclei del nuovo comune, che si presentano compatti anche se ciascuno di essi ha una popolazione molto minore: ai censimenti dichiarano l’assenza di nuclei sparsi sul proprio territorio, con l’unica eccezione del “villaggio operaio” censito nel 1951 a Pieve. La crescita demografica della seconda metà del Novecento (dai 1771 abitanti del 1901 di Rumianca e Fomarco insieme ai 2950 del 1981 di Pieve Vergonte) avviene perciò a spese di Fomarco, che scompare dalle carte geografiche dopo aver avuto una stasi successiva al 1936, probabilmente inghiottito dalla crescita di Pieve e quindi non più riconoscibile. Andrebbe a questo proposito capito se il forte sbilanciamento del rapporto fra maschi e femmine segnalato nel 1931 (862 vs. 1000) sia distribuito uniformemente nel territorio comunale o non riguardi più intensamente qualche sua parte.