Robilante

AutoriPalmero, Beatrice
Anno Compilazione1998
Provincia
Cuneo
Area storica
Cuneese.
Abitanti
2250 (censimento 1991).
Estensione
2492 ha (ISTAT 1991); 2465 ha (SITA 1991).
Confini
A nord e a est Boves, a sud Vernante, a sud-ovest Roaschia, a ovest Roccavione.
Frazioni
A seguito della legge di soppressione delle frazioni, sul territorio di Robilante si trovano dei nuclei abitati e case sparse: Istituto Climatico, Tetto Cascina, Tetto Chiappello, Tetto Massa, Tetto Peitavino Sottano, Tetto Pian Sottano, Case Sparse (CSI 1991, Piemonte). Gli insediamenti abitati di Agnelli, Rescasso, Cialamia, Remulandero, Moritasso, Vermanera e Pel Bianco, che a metà Ottocento costituivano frazioni (Casalis 1847, vol. XVI, p. 472), di cui attualmente si è persa traccia onomastica, sono pressocché disabitati e sono stati assorbiti in nuove denominazioni censuarie. Vedi mappa.
Toponimo storico
Una delle prime attestazioni del luogo risale al 1041, cioé al diploma imperiale che confermava i territori del comitato di Bredulo sotto la giurisdizione del vescovo di Asti, in cui compare come «Robulando» (Il Libro verde della chiesa di Asti, p. 217, doc. 304). Il toponimo «Rubilans», che in seguito ha dato il nome alla signoria locale, i conti di Robilant, probabilmente ha il suo etimo nella collina rossicia che cinge il paese (Casalis 1847, vol. XVI, p. 474).
Diocesi
Supponendo un territorio tra il valico delle Finestre e il monte Cornio alle dipendenze dell’abbazia di S. Dalmazzo di Pedona, anche Robilante dovette rientrare nel distretto diocesano di Torino (Giacchi 1976, p. 421). Robilante fu soggetta al vescovo di Asti fino all’erezione della diocesi di Mondovì (1388). In seguito, con la costituzione del distretto diocesano di Cuneo, confluisce tra le chiese che passano sotto detta giurisdizione (1816) (Berra 1955, pp. 52-54).
Pieve
Il diploma del 1041 cita, di seguito alla pieve di S. Maria Pedona e all’abbazia di S. Dalmazzo, e per la prima volta, i luoghi di Robilante, Roccavione e Vernante, sostituendo con detti toponimi i riferimenti corografici del dominio assegnato al vescovo di Asti. Questo elemento lascia supporre che già a quest’epoca esistesse una cappella sul territorio identificato come Robulando, dipendente appunto dalla pieve (circa le ipotesi relative all’individuazione della pieve pedonense si veda la scheda dedicata a Borgo S. Dalmazzo). La chiesa di Robilante è espressamente nominata per la prima volta nel registro episcopale di Asti del 1345, come appartenente alla pieve di S. Maria di Cuneo. Un arbitrato del 1391 attesta il titolo di priorato a detta chiesa (Giacchi 1976, pp. 423 e 429).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nella chiesa parrocchiale, dedicata a S. Donato trovano spazio le compagnie del Santissimo Sacramento e del Rosario. La congregazione locale possiede «molini da macina, ressiga d’assi, torchio d’olio, petraia da molino e boschi di castagna» che vengono affittati annualmente. Inoltre si riserva dei beni in campi e boschi, a cui hanno accesso gratuito i confratelli. La confraternita di S. Croce officia una chiesa sotto il titolo di S. Lucia (BRT, Storia patria n. 855, Brandizzo 1753, pp. 74-75). Questa a metà Ottocento risulta un oratorio. Non molto distanti dal paese si trovano 4 cappelle campestri: S. Margherita, S. Sebastiano, S. Anna e S. Rocco.
Assetto Insediativo
  
Luoghi Scomparsi
Il territorio comunale è caratterizzato da un processo di disgregazione che prende le mosse dall’alta fragmentazione socio-abitativa che nel corso del Quattrocento ha popolato le montagne. Le risorse boschive di Robilante hanno infatti attratto popolazione da un vasto comprensorio, determinando un riassetto abitativo di notevoli dimensioni e durata. Gli insediamenti e le frazioni, potenziatesi con la redisdribuzione delle risorse boschive grazie alla liquidazione dei beni demaniali del 1939, sono in seguito andate disabitate per il generale spopolamento delle montagne, dai caratteri irreversibili dopo il 1950, e riclassificate in base ai nuovi parametri censuari. Pertanto le mappe catastali contemporanee spesso non conservano la toponomastica per un confronto.
Comunità, origine, funzionamento
L’insediamento abitato è di antica origine giacché è citato nell’atto di donazione imperiale al vescovo di Asti (1041). Ancora compare tra i loca et oppida che individuano l’area di donazione delle terre dell’abbazia, concesse per la fondazione di Cuneo (1198) (Camilla 1970). Sicuramente l’organizzazione comunale ebbe modo di formarsi e richiedere statuti in epoca precedente a quanto risulta dagli atti conservati. Si può attestare il funzionamento di un consiglio deliberante a partire dal 1571, data di approvazione da parte del medesimo dei bandi politici. L’attività consigliare è documentata con regolarità solo dal 1599.
A metà Settecento il comune risulta avere il bilancio in pari, però è tenuto al pagamento delle decime al suo parroco, mentre i capi-famiglia residenti in montagna versano «un tanto» (AST, Camera dei Conti, I archiviazione, t. III, mazzo II, fasc. 2 [1753]). Il priorato di S. Donato è mantenuto dalla comunità, ed è quest’ultima che finanzia la costruzione della chiesa parrocchiale (1683) (AC Robilante, C. VII, cl. 6, fald. 118: Registro delle scritture della comunità al pievano, 1604-1785; Capitoli per la costruzione della Chiesa parrocchiale [1683]). Poiché alla parrocchia giungono le decime, esiste un consiglio di amministrazione della chiesa, in cui sono nominati membri anche esponenti della vita politica cittadina (AC Robilante, C. VII, cl. 6, fald. 119 [1810]). La pratica persiste fino alla soppressione delle decime parrocchiali (1870).
Statuti
Non si ha notizia in merito al rinvenimento di codici statutari anche se risulta che a metà Settecento il comune riscuotesse i bandi campestri (BRT, Storia patria n. 855, Brandizzo 1753, p. 74). Presso l’Archivio comunale si conservano i Bandi politici datati 1571-1572, a cui si aggiungono capitoli di bandi campestri del 1613. I bandi politici sono aggiornati nel 1662 a cui segue un Verbale riguardante lo stabilimento dei bandi campestri, senza data perché il foglio è mutilo, ma collocabile appunto tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII (AC Robilante, Inventario 1997, C. III, cl. 2, fald. 57).
Catasti
Il comune possiede un primo registro catastale datato 1565: Catasto verbale di formazione tenuto in chiesa. Segue poi con puntualità una serie di catasti secenteschi: 1610-1613; 1613; 1621; 1627; 1645; 1678; oltre ad un Brogliasso forensi in cui si registrano le proprietà dei forestieri dal 1679-1790. Anzi questa proliferazione secentesca di catasti è sintomo di una difficoltà nel controllo del territorio. Per cui a più riprese si fa ricorso all’ordine burocratico-amministrativo di denuncia catastale. La prima misurazione del territorio è del 1798, in cui sono comprese anche le proprietà comunali (AC Robilante, Inventario 1997, C. V, cl. 1, fald. 90).
Ordinati
Presso l’Archivio storico del comune, recentemente riordinato, si conservano gli ordinati a partire dal 1599, tenuti con regolarità fino al 1896, rilegati in 28 volumi. Da questa data i registri verbalizzano le sedute del consiglio e della giunta. Si segnalano perché volumi a parte gli Indici di ordinati attergati da decreto dell’ufficio d’Intendenza Generale dal 1787 al 1842, raccolti in 3 volumi (AC Robilante, Inventario 1997, C. I cl. 7, faldd. 20-29).
Dipendenze nel Medioevo
Soggetto alla giurisdizione dell’abbazia di Borgo S. Dalmazzo, rientra in quel incoativo principato ecclesiastico che il vescovo di Asti costruì tra X e XI secolo «inter Tanagrum et Sturam» (Bordone 1992, p. 125). Nel periodo di dominazione angioina è incluso nel distretto che fa capo a Cuneo, dopo esser rimasto coinvolto nelle lotte del Monferrato, passando per breve tempo sotto i marchesi di Saluzzo (Tallone 1916, p. 401, doc. 80). Nel XIV secolo rientra nei territori soggetti ai marchesi di Ceva.
Feudo
Nel 1372 i marchesi di Ceva prestano atto di vassallaggio al conte Amedeo di Savoia per detto feudo, insieme ai luoghi di Andonno, Entracque, Borgo S. Dalmazzo, Roccavione e Valdieri (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 3: Promessa di retrovendere mediante la restituzione di fiorini 1500 d’oro per esso Marchese pagati per l’infeodazione de’ suddetti luoghi [10 gennaio 1373]). Comunque fino al 1392 i marchesi di Ceva restano investiti del titolo feudale sul luogo (AST, Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 4: Investitura concessa da Bona di Bourbon Contessa di Savoia, tutrice del Conte Amedeo di Savoia a favore di Giorgio e Carlo de’ Marchesi di Ceva del luogo di Borgo San Dalmazzo et altri al medesimo adiacenti [28 ottobre 1392]) e ancora nel 1406 prestano atto di vassallaggio e giuramento di fedeltà ai Savoia (Beltrutti 1954, p. 132). Nel 1709 viene infeudato sul luogo di Robilante Massimo Carostia (AC Robilante, C. I, cl. 9, fald. 50, fasc. 18), mentre ai Nicolis di Varallo viene attribuito il titolo comitale sui feudi di Brandizzo e Robilante. In seguito questa famiglia si divise in due rami nobiliari, che diedero origine ai Nicolis di Brandizzo e di Robilant (Casalis 1847, vol. XVI, p. 472).
Mutamenti di distrettuazione
Dai Ceva passa a feudo personale dei Savoia, che con successive investiture mirano a disgregare l’antico distretto di Cuneo. Quindi ripartiscono i feudi che comprendono più luoghi tra diversi vassalli, e ancora i diritti sul luogo a sua volta in porzioni di feudo. Con il nuovo assetto burocratico-amministrativo dello Stato sabaudo, il comune viene incluso nella provincia di Cuneo. A parte il periodo di dominazione francese (1799-1815), che organizza il “Cuneese” nel dipartimento dello Stura, Robilante rientra definitivamente nella provincia di Cuneo, che la riforma albertina del 1859 ha ricostituito accorpando le “antiche province” di Cuneo, Saluzzo, Mondovì e Alba (Sturani 1995, p. 111; Dao 1955, p. 89).
Mutamenti Territoriali
Le frazioni di Senive e Fantino che nel 1939 compaiono tra le «ditte» a cui sono assegnati quei territori demaniali di Robilante gravati da promiscuità di pascolo, risultano in qualche modo gravitanti attorno al comune di Limone. O meglio Senive, località disabitata, è su un’area franca per il passaggio del bestiame, mentre Fantino risulta, dai dati censuari del 1991, tra i nuclei abitati dipendenti da Limone (cfr. la scheda dedicata a Limone Piemonte). Non vi è traccia documentaria d’interventi statali che giustifichino detti mutamenti territoriali, né tantomeno sono imputabili alle fasi degli accorpamenti comunali di metà Ottocento. Vi è piuttosto una mobilità più minuta che sposta il centro gravitazionale di un territorio. Ovvero alcuni gruppi sociali si insediano sulle risorse territoriali di comuni diversi da quello di provenienza. L’affermazione di detti gruppi, che gestiscono e al pari controllano risorse collettive e devozionali, ha determinato non solo la formazione di stanziamenti alpini, ma anche la costituzione amministrativa di frazioni. Queste hanno acquisito diritti e prerogative giurisdizionali (consuetudini d’uso, titolo di possesso individuale, riscossione di esazioni, ecc.) tali da trasferire il controllo delle risorse territoriali da un borgo comunale ad un’altro e creare i presupposti per rivendicazioni territoriali.
Comunanze
Attualmente il comune registra 389.0273 ettari di superfice demaniale in categoria «A», mentre dichiara di aver alienato 54.6737 ettari di superfice iscritta in categoria «N». Al Commissariato per la liquidazione degli usi civici invece risultano solo 17.2774 ettari di superfice alienata (CSI 1991, Piemonte). I boschi cedui e i pascoli, in merito al decreto commissariale del 16 luglio 1939, sono stati legittimati nell’occupazione ed intestati a 9 «ditte», che corrispondono ad altrettanti insediamenti abitativi. Risultano invece terreni demaniali, su cui esiste la promiscuità di pascolo per complessivi 50 ettari tra gli abitanti delle frazioni di Malandré e Montasse. Il comune probabilmente ha favorito l’alienazione a privati che però non trova riscontro tra i decreti del commissario (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 185).
Liti Territoriali
Il comune di Robilante si trova coinvolto nella definizione territoriale con più comuni (AC Robilante, C. I, cl. 9 Atti di lite, fald. 45: Transazioni e suppliche di diverse città e comunità per liti con le comunità di Vernante e Robilante [1343-1770; copie XVIII sec.]). La prima fase di definizione si attua nella seconda metà del XV secolo e riguarda il fronte nord-ovest con Roccavione e Roaschia. Mentre a metà Seicento, a causa dell’attribuzione di pascoli, si trova coinvolto nella lite tra Entracque, Cuneo e Borgo S. Dalmazzo (AC Roccavione, fasc. 5 Atti di transazione per i confini del territorio tra il Comune di Roccavione, Roaschia e Robilante [1470-1697]; AC Borgo San Dalmazzo, Liti: Atti e scritture relative al luogo di Roccavione, Roaschia e Robilante [1600-1786]; AST, Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2: Entraque contro la comunità di Cuneo, Robilante e Borgo S. Dalmazzo [1673]). Assume carattere giurisdizionale la questione del comune contro la compagnia dei Disciplinanti che gestisce le cappelle dei SS. Antonio e Macario per l’intercessione dell’ospedale e confreria del comune di Vernante (AC Robilante, C. I, cl. 9, fald. 122, fasc. 27).
Con il passaggio alla dominazione sabauda sorgono per la comunità questioni relative all’oppressione dei carichi fiscali, in particolar modo per ciò che concerne il vettovagliamento per il quale si dipende dal Gabelliere generale e dal magazzino della gabella di Borgo S. Dalmazzo (AC Robilante, C. I, cl. 9, fald. 46, fascc. 4-5 [1590 e 1595]; fald. 49, fasc. 16: contro Gabelliere del sale [1668]). Limitate al XVII secolo le questioni relative alla ripartizione della tassa straordinaria, imposta dalle esigenze militari dei Savoia, che vedono i due comuni limitrofi di Roccavione e Robilante solidali contro i privilegi fiscali di Limone e Vernante (AC Roccavione, C. I, cl. 9, fald. 46, fascc. 69-70 Lite tra Roccavione e Robilante contro Limone e Vernante per gli alloggiamenti militari [1642; 1667-1669]; AC Robilante, C. I cl. 9, fald. 49 fasc. 15: contro il Patrimonio [1658]). A questi si aggiunge la lite con la città di Cuneo che esige i diritti di tratta e dogana sulle merci (AC Robilante, C. I, cl. 9, fald. 47, fasc. 9 [1633]).
Fonti
AC Borgo San Dalmazzo (Archivio Storico del comune di Borgo San Dalmazzo), Liti: Atti e scritture relative al luogo di Roccavione, Roaschia e Robilante [1600-1786].
AC Robilante (Archivio Storico del comune di Robilante):
C. I, cl. 9, fald. 45: Transazioni e suppliche di diverse città e comunità per liti con le comunità di Vernante e Robilante [1343-1770; copie XVIII sec.]; fald. 46, fascc. 4-5 [1590-1595]; fald. 47, fasc. 9; fald. 49, fasc. 16; fald. 50, fasc. 18; fald. 122, fasc. 27;
C. V, cl. 1, fald. 87, fasc. 30 [1918];
C. VII, cl. 6, fald. 118: Registro delle scritture della comunità al pievano, 1604-1785; Capitoli per la costruzione della Chiesa parrocchiale [1683]; fald. 119; fald. 122, nn. 29-32.
AC Robilante, Inventario 1997, C. I cl. 7, faldd. 20-29; C. III, cl. 2, fald. 57; C. V, cl. 1, fald. 90
AC Vernante (Archivio Storico del comune di Vernante), Categoria unica, fald. 1, nn. 21-22.
AST (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, I archiviazione, t. III, mazzo II, fasc. 2 [1753];
Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2: Entraque contro la comunità di Cuneo, Robilante e Borgo S. Dalmazzo [1673];
Corte, Provincia di Cuneo, mazzo 2, fasc. 3: Promessa di retrovendere mediante la restituzione di fiorini 1500 d’oro per esso Marchese pagati per l’infeodazione de’ suddetti luoghi [10 gennaio 1373]; fasc. 4: Investitura concessa da Bona di Bourbon Contessa di Savoia, tutrice del Conte Amedeo di Savoia a favore di Giorgio e Carlo de’ Marchesi di Ceva del luogo di Borgo San Dalmazzo et altri al medesimo adiacenti [28 ottobre 1392].
BRT (Biblioteca Reale di Torino), Storia patria n. 855, Brandizzo 1753.
CLUC (Commissariato per la liquidazione degli usi civici), Provincia di Cuneo, cartella 185.
Bibliografia
Arneodo F., Deidda D., Volpe L., Attività pastorizia ed evoluzione degli equilibri socio-economici a Entracque (secoli XV-XVIII), in Entracque una comunità alpina tra Medioevo ed Età moderna, a cura di R. Comba, M. Cordero, Cuneo 1997.
Beltrutti G., Briga e Tenda. Storia antica e recente, Bologna 1954.
Berra L., Riordinamento delle diocesi di Mondovì, Saluzzo, Alba e Fossano ed erezione della diocesi di Cuneo (1817), in «BSSSAACn», 36 (1955), pp. 18-59.
Bordone R., Un tentativo di «pricipato ecclesiastico» tra Tanaro e Stura. Le trasformazioni bassomedievali del comitato di Bredulo, in Le strutture del territorio fra Piemonte e Liguria dal X al XVIII secolo, a cura di A. Crosetti, Cuneo 1992, pp. 121-140.
Camilla P., Cuneo 1198-1382. Documenti, Cuneo 1970.
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino 1847, voll. XVI.
Comba R., Commercio e vie di comunicazione del Piemonte sud-occidentale nel basso medioevo, in «BSBS», 74 (1976), pp. 77-144.
Dao E., Diocesi della provincia di Cuneo, in «Provincia Granda», 15 (1966), pp. 33-49.
Giacchi I., Le antiche pievi dell’attuale diocesi di Cuneo, in «BSBS» 74 (1976), pp. 399-431.
Il Libro verde della chiesa di Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1904 (BSSS 26 ).
Moreno D., Dal documento al terreno, Bologna 1990.
Raggio O., Norme e pratiche. Gli statuti campestri come fonti per una storia locale, in «Quaderni Storici», 88 (1995), pp. 155-194.
Sturani M.L., Il Piemonte, in Amministrazioni pubbliche e territorio in Italia, a cura di L. Gambi, F. Merloni, Bologna 1995, pp. 107-154.
Tallone A., Tommaso I marchese di Saluzzo, Torino 1916.
Torre A., Il consumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dell’Ancien Régime, Venezia1995.
Descrizione Comune

Robilante

Tra i primi insediamenti abitati soggetti all’abbazia di S. Dalmazzo, tra XI e XII secolo è identificato da un toponimo, mentre nel secolo successivo l’indicazione di Robilante, «loca et oppida» entro cui si concedono le terre per la costituzione della villanova di Cuneo, lascia supporre una sua chiara identificazione territoriale. Poiché a quest’epoca qui non si riscontra nessuno dei tre elementi che contribuiscono a costruire la fisionomia territoriale (castello-comune-parrocchia) è da rilevare come la signoria vescovile abbia assunto forma territoriale così definita da delineare un territorio di Robilante.
Intorno alla seconda metà del XIII secolo, Cuneo istituisce a Robilante il pedaggio sulle merci in transito tra Piemonte, Provenza, contea di Nizza e Ventimiglia, probabilmente per un’imposizione fiscale sul traffico promosso da Limone (Comba 1976, p. 78) e allo stesso tempo a controllo politico-economico dell’espansione dei Lascaris, che dalla val Roya risalivano la val Vermenagna (Beltrutti 1954, pp. 136-158). Di lì a poco, il trasferimento del pedaggio da Robilante a Roccavione mette subito in evidenza che l’individuazione strategica di un luogo non è comunque sufficiente a garantire la promozione economica dello stesso. È necessaria dunque una chiara volontà politica, che utilizzi il pedaggio come mezzo di affermazione personale e veicolo di soggezione del territorio. Tali prerogative meglio si confanno alla gestione del pedaggio come rendita signorile (cfr. la scheda dedicata a Roccavione), elemento mancante nello sviluppo del luogo. L’insediamento di Robilante infatti si caratterizza per la sua coesione attorno ad un sito devozionale che dalla seconda metà del secolo XIV è organizzato in priorato. Il territorio definitosi attorno a tale nucleo insediativo è dominalto da un’estesa selva comunitaria su cui gli abitanti esercitano i principali diritti consuedutinari legati allo sfruttamento domestico. È rilevante a questo proposito che non esista una tradizione statutaria e compaiano, sotto forma di bandi, a fine XVI secolo, i primi ordinamenti di carattere politico. Allo stesso modo il registro catastale cinquecentesco, redatto in base alle dichiarazioni verbali raccolte nella chiesa locale, conferma ancora il ruolo centrale del sito devozionale nell’organizzazione comunitaria del luogo.
In prima analisi colpisce la particolare “articolazione” del territorio di Robilante in età moderna. Ha infatti una netta prevalenza di boschi di castagne (3032 giornate), a cui seguono i pascoli (1302 giornate) e ancora boschi «da fuoco» e di rovere (873 giornate in tutto). Si hanno poi campi e prati (742 e 571 giornate). La composizione delle risorse è abbastanza tipica dell’economia agro-silvo-pastorale di un comune alpino (Moreno 1990), ma si distingue subito sia per la schiacciante prevalenza del bosco, che per la distribuzione dei possessi. I castagneti infatti appartengono solo in piccola percentuale agli abitanti del comune, la gran parte sono registrati ai «forestieri». I pascoli pubblici risultano «dispersi» sul territorio, ovvero senza continuità con i limiti giurisdizionali del comune (BRT, Storia patria n. 855, Brandizzo 1753, pp. 76-78). Per contro la presenza di bestiame pro-capite – neanche un animale a persona, includendo nel conteggio anche gli ovini – rende sovrabbondante l’area a destinazione pascolativa, tanto da distinguersi per il buon prezzo di fieno e biada (AST, Camera dei Conti, I archiviazione, t. III, mazzo II, fasc. 2: tabella 4° [1741-1743]). Lo sfruttamento di dette risorse ha creato una densa rete di relazioni con un vasto comprensorio di comunità, non solo attraverso le compravendite e i contratti d’affitto, ma anche per mezzo di appalti pubblici e concessione di diritti ed usi consuetudinari. Dunque nella gestione delle risorse territoriali sono da ricercarsi le strategie e i processi che hanno determinato l’alta fragmentazione insediativa sulle montagne.
A metà Settecento, Robilante si presenta come una comunità fondata sulla confraternita locale. L’identità tra il comune e la confraternita è tale che la rendita dei bandi campestri è trasferita interamente a quest’ultima. Ma non solo: questa è proprietaria di molini e diritti di macina, di boschi di castagne e terreni arativi che affitta annualmente. Una tale coesione politico-sociale tra confraternita e comunità ha determinato l’esclusione degli abitanti che via via hanno popolato le montagne e si sono aggregati in altre associazioni laico-devozionali (cfr. la confratria del Santo Spirito: Torre 1995, pp. 92-96). La costruzione della chiesa parrocchiale, in cui trovano spazio anche le altre compagnie, non è stata un elemento di coesione abbastanza forte da superare la fragmentazione sociale creatasi con il popolamento dei boschi. Il pievano aveva istituito già nel XVI secolo, attraverso l’imposizione delle decime, una certa subordinazione del territorio. Di fatto però le decime erano esatte solo dal comune, mentre gli abitanti della montagna contribuivano «una tantum». La situazione per un verso ha procurato nuove tensioni tra le parti, e dall’altro ha contribuito ad accentuare la divisione tra il villaggio e le alpi. Per garantire l’esazione si istituisce un consiglio di amministrazione delle decime parrocchiali, in cui sedevano membri designati dal consiglio ordinario, e ciò ad ulteriore esclusione della popolazione alpina.
La contrapposizione di un nucleo chiuso di residenti del borgo rispetto agli insediamenti della montagna ha generato a Robilante quel movimento di disgregazione del territorio, che risulta documentato intorno alla fine del Cinquecento. Infatti, dal catasto del 1565, emerge che i castagneti spettano in gran parte ai «forestieri». La confraternita di S. Spirito del luogo di Vernante ha acquistato tra il 1541 e il 1562 un patrimonio ingente sul territorio di Robilante in boschi di castagne e altri beni (AC Vernante, Categoria unica, fald. 1, nn. 21-22). In quest’epoca appunto il comune di Robilante inizia una serie di pratiche legittimatorie per ribadire il controllo sulle risorse boschive. Tra le strategie di affermazione dell’autorità giurisdizionale si segnalano: a) la stesura dei catasti verbali di denuncia possessoria, con cui si obbligano «i forestieri» a sottostare alla tassa di registro comunale; b) la formulazione dei bandi campestri. Robilante redige per la prima volta nel 1613 i suoi bandi campestri, in cui si insiste sul divieto di «tagliare e fare scarti» nei boschi di castagne. Si rileva dunque la preoccupazione per l’impoverimento delle risorse boschive a vantaggio di commercializzazioni, coltivazioni ed insediamenti stabili. Alla fine del secolo i bandi sono ridiscussi con una seduta di «raddoppiato consiglio». Ancora una volta si ribadisce la tutela del patrimonio boschivo, che appare gravemente depauperato per il taglio, il pascolo e l’esportazione di legname «non autorizzati». La produzione di un codice di regolamentazione delle risorse territoriali, separato dagli statuti comunali è certo tipico dell’epoca a cavallo tra XVI e XVII secolo, in cui si colloca l’esigenza amministrativa del borgo di controllare il territorio. Ma indubbiamente la ripresa dei capitoli in tempi ravvicinati è sintomo da una parte di inadeguadezza del codice, e dall’altra di inosservanza delle prescrizioni. Allo stesso tempo, l’insubordinazione del territorio al centro, erogatore di norme, manifesta un conflitto dei gruppi sociali, spia di alcune divergenze nelle logiche economiche di sfruttamento delle risorse (Raggio 1995, pp. 158-166).
Il caso dei boschi ad alto fusto di Robilante e dei castagneti di cui erano proprietari in gran parte i «forestieri», ovvero gruppi di abitanti originari dei paesi limitrofi si configura come una “lotta per la sopravvivenza” del gruppo demico originario, minato dai “ripopolamenti” dei secoli precedenti. Tale situazione va letta in relazione con i movimenti di terra e uomini a partire dalla fine del Quattrocento. La formazione delle proprietà e dei possessi dei «forestieri» sul territorio di Robilante avviene in quest’epoca, attraverso normali transazioni con gli abitanti di Limone e Vernante, ma anche tramite assegnazione di beni e diritti collettivi a gente di Roaschia, Roccavione, Entracque e Cuneo. Un primo accordo con i gruppi dei proprietari si trova per mezzo dell’accatastamento cinquecentesco dei possessi nei boschi, anche se si esige una registrazione separata. Allo stesso modo, l’accesso alle risorse comunali di Robilante genera una lunga serie di liti territoriali, che portano a più riprese alla definizione dei limiti comunali.
Una prima fase di assestamento dei confini si attua alla fine del XV secolo e riguarda il fronte nord-ovest con Roccavione e Roaschia, dove appunto si afferma il controllo su pascoli «dispersi» attraverso la fondazione di cappellanie, dipendenti dal pievano del paese (AC Robilante, C. I, cl. 9, Atti di lite, fald. 45 [1343-1770]; AC Roccavione, fasc. 5 Atti di transazione per i confini del territorio tra il Comune di Roccavione, Roaschia e Robilante [1470-1697]; AC Borgo San Dalmazzo, Liti: Atti e scritture relative al luogo di Roccavione, Roaschia e Robilante [1600-1786]). Mentre nella seconda metà Seicento, a causa dell’attribuzione di pascoli, Robilante viene coinvolto nel conflitto scatenato da Entracque. Mercanti e pastori di questo paese avevano promosso un notevole investimento fondiario tra Borgo S. Dalmazzo e Cuneo, e in virtù di questo appoderamento tentano di condurre a favore della comunità originaria l’assegnazione dei beni collettivi che erano stati occupati all’inizio del XVII secolo, a seguito di un’inflessione dell’allevamento (AST, Camera dei Conti, art. 500, mazzo C in L 1 e 2: Entraque contro la comunità di Cuneo, Robilante e Borgo S. Dalmazzo [1673]). La causa intrapresa da Entracque è dunque significativa di una fase di rilancio dell’attività pastorizia (Arneodo, Deidda, Volpe 1997, pp. 125-131).
A fine Settecento prende avvio il potenziamento dei nuclei abitati della montagna. Al di là delle istanze demografiche, si registra una significativa attribuzione di censi alle cappelle campestri, localizzate intorno a piccoli agglomerati di case (AC Robilante, C. VII, cl. 6, fald. 122, nn. 29-32). Questo movimento di denaro a favore dei luoghi di culto rurali mette in evidenza non solo un carattere più stabile dell’insediamento decentrato dal borgo, ma anche una certa ricchezza di chi vi abita. In particolare alcune famiglie facoltose dotano le cappelle di una certa sussistenza, per conferire dignità residenziale agli aggregati di case sparsi in montagna: è il caso dei Remalandero, che istituiscono un censo sulla cappella della frazione omonima, sopravvissuta fino a metà Ottocento.
Il flusso economico che investe le cappelle minori sotto forma di censi consiste in una diffusa strategia familiare di trasmissione e tutela del patrimonio, nonché di affermazione politico-sociale di un gruppo parentale (Torre 1995, pp. 202-207). L’osservazione sul lungo periodo dimostra che sia il censo sulla cappella rurale, che il patronato familiare sulla stessa sono strumenti vincenti di predominio parentale, non solo sul gruppo sociale, ma anche sull’assetto del territorio comunale. Oltre al caso precedente della famiglia-insediamento Remalandero, si cita l’episodio della famiglia Fantino. I Fantino, originari probabilmente di Limone, acquistano a fine Settecento la confraternita di S. Croce, posta a pubblico incanto, ed organizzano il patrimonio laico-devozionale in un insediamento abitato stabile. In seguito, tale aggregato parentale viene riconosciuto per densità demica come frazione Fantino.
Gli insediamenti della montagna, raccolti intorno a cappelle campestri oggetto d’investimento economico di una o più famiglie, si potenziano demograficamente e avanzano quindi al comune di Robilante istanza di assegnazione delle risorse territoriali. Della fase settecentesca di alienazioni demaniali resta una misurazione generale delle proprietà comunali del territorio, indetta nel 1798. La legittimazione delle assegnazioni di beni collettivi era iniziata nella seconda metà del Settecento, in epoca quindi avanzata perché qualche frazione potesse ambire a costituirsi in comune autonomo, come invece per esempio è successo ad Aradolo (cfr. la scheda dedicata a Borgo S. Dalmazzo). Comunque la forza centrifuga delle frazioni è un fenomeno di grande rilevanza, considerato che nel 1939 ben 9 insediamenti giungono a partecipare alla liquidazione di territorio demaniale (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella n. 185).
Inizialmente una forte opposizione è inscenata dalla comunità locale attraverso una serrata emanazione di bandi campestri. Anzi, in definitiva, pare che proprio le «accusationes» diventino una delle fonti principali di sostegno economico della comunità. Tra XVIII e XIX secolo è inesorabile l’azione della popolazione alpina che, forte dell’aggregazione in associazioni laicali e in virtù dell’assegnazione di terre, si emancipa da Robilante. Le frazioni sottraggono all’autorità giurisdizionale del comune le risorse collettive e le conducono alle comunità originarie, spostando di fatto i limiti territoriali a favore di altri comuni. Tra i primi insediamenti che danno inizio alla disgregazione del territorio alpino di Robilante si colloca Senive. Questo sorge in una “zona franca”, ovvero in un’area esente da imposizioni e servitù comunali, creata dalle convenzioni medievali per il passaggio della transumanza. Considerate le istanze economiche della frazione, il comune di Robilante risolve di cederle un’area demaniale (AC Robilante, C. V, cl. 1, fald. 87, fasc. 30 [1918]).
In seguito, nel corso della nuova fase d’interventi statali di riassetto amministrativo del territorio, si pone il problema di sciogliere la promiscuità del pascolo tra il comune di Robilante e le frazioni di Agnelli e Senive da una parte; lo stesso e le frazioni di Malandré e Moritasse dall’altra, benché il relatore affermi che «tale uso non abbia mai comportato tensioni di sorta». Nel 1939 circa 17 ettari di boschi cedui e pascoli sono assegnati alle frazioni di Vermanera, Peittavino, Cioma, Fantino, Rescasso, Cialamia e Malandré, di cui solo la metà sono dipendenti dal comune di Robilante.
Il modello di formazione del territorio comunale esemplificato da Robilante si caratterizza per una forte coesione di un gruppo demico originario che fino al XVII secolo, grazie ad una serie di strategie politico-economiche (concessione di diritti collettivi e creazione di compascui; il catasto dei «forestieri»; minor aggravio delle decime), riesce a controllare un territorio esteso, su cui trovano sostentamento gli abitanti di un vasto comprensorio. Tra XVI e XVII secolo però gli abitanti del borgo si sentono minacciati dal flusso insediativo che ha popolato le sue montagne, e che prende ad organizzarsi in vere e proprie comunità a sé stanti. Si attuano pertanto dei meccanismi di chiusura a salvaguardia del gruppo sociale residente nel villaggio (l’organizzazione della confratria; la formulazione di bandi politici e campestri; la fondazione della parrocchia; il consiglio di amministrazione delle decime…). Queste iniziative provocano nella dinamica di costruzione del territorio comunale una notevole “forza centrifuga”, che determina l’assetto di un piccolo borgo con alle spalle un’estesa montagna, caratterizzata da una microfragmentazione abitativa (case, tetti).
Nel lungo periodo si deve rilevare il fallimento del controllo del comune sulle risorse territoriali, che ha condotto allo smembramento dell’area alpina per la secessione di frazioni verso i comuni limitrofi. Tale soluzione è il risultato dell’incapacità di subordinazione di quei «forestieri» che hanno popolato le montagne, e della mancata integrazione dei gruppi sociali economicamente più intrapendenti. Se da una parte la presenza di un gruppo demico dalla forte identità comunitaria ha consentito a Robilante di mantenere l’autorità giurisdizionale sul territorio per tutto il XIX secolo, evitando formazioni comunali alternative, dall’altra ha causato la disgregazione del territorio stesso.