Mondovì

AutoriComino, Giancarlo
Anno Compilazione1996
Provincia
Cuneo.
Area storica
Monregalese.
Abitanti
22155 (ISTAT 1991).
Estensione
8726 ha (ISTAT 1991).
Confini
A nord Rocca de’ Baldi, Magliano Alpi e Carrù, a est Bastia e Niella Tanaro, a sud Briaglia, Vicoforte e Monastero di Vasco, a ovest Villanova Mondovì, Pianfei, Margarita e Morozzo.
Frazioni
Breolungi, Grateria, Merlo, Pascomonti, Pogliola, Rifreddo, S. Biagio, S. Giovanni dei Govoni, S. Quintino, Sant’Anna Avagnine, Val Ellero.
Toponimo storico
«Monsregalis», a sottolineare l’aspirazione all’indipendenza dal potere del vescovo, cercata e ottenuta dagli uomini, che, sul finire del secolo XII, vengono ad abitare sul «monte di Vico», da cui poi la modifica del nome in «Mont de Vi», Mondevì, Mondovì, ancora preceduto dall’articolo. A partire dall’inizio del Seicento quest’ultimo si va perdendo e la forma Mondovì diventa di uso costante. La prima attestazione del toponimo «Monsregalis» è contenuta nel documento dell’8 novembre 1200 con cui il vescovo di Asti rimette il pagamento del fodro agli uomini di Bene. Da questo momento ogni volta che il nuovo comune redige un atto pubblico si denomina sempre «Monsregalis», termine che compare anche in tutti gli atti privati redatti nella villanova («actum in Monteregali»). Quando invece l’atto è stipulato da estranei e/o da avversari, questi lo indicano semplicemente come «Mons», «Mons Vici», o «Vicum» (Gamella 1969, pp. 18-19).
Il riconoscimento ufficiale avviene con l’ini­zio della seconda fase della vita del nuovo comune: nel 1233 è lo stesso vescovo astese a chiamarlo «Monsregalis», nel momento in cui le due parti stipulano un formale accordo (Camilla 1969, p. 20). Quando viene concesso il titolo di città e si costituisce la diocesi (8 giugno 1388), il papa Urbano VI usa l’espressione «terra de Montevico», ma più oltre esprime la volontà che essa si chiami «Montisregalis» (Comino 1988, pp. XI-XII). Tuttavia, la cosa non avrà seguito, prevalendo sempre di più la forma popolare su quella dotta, rafforzata quando Emanuele Filiberto abolisce il latino negli atti ufficiali (1561).
Diocesi
Fino al 1388, anno di costituzione della nuova circoscrizione diocesana, Mondovì fa parte della diocesi di Asti, che, con questa vasta appendice nell’estremo Piemonte meridionale, giunge fino alla dorsale delle Alpi Marittime. Il territorio della diocesi monregalese, che ricalca in sostanza quello dell’antico comitato di Bredulo, non ha una esatta delimitazione, e alcune località, come Bastia, Cigliè e Roccacigliè, rifiutano la nuova giurisdizione: solo Bastia viene regolarmente visitata dai vescovi monregalesi. Nel 1768 le vengono trasferite Niella, Pamparato, Torre e S. Michele ( ancora di Asti); nel 1817, con la radicale revisione delle circoscrizioni diocesane voluta da Pio VII, Mondovì perde Cuneo e la Valle Gesso, ma si estende verso la Langa monregalese fino a Dogliani, e verso la Liguria, arrivando in provincia di Savona (Berra 1955).
Pieve
«Plebs Montisvici» nel Registrum ecclesiarum dioecesis Astensis del vescovo Arnaldo de Roseto (1345), ma è un plebato che lascia aperti molti interrogativi. Sembra abbia assorbito le prerogative della pieve di Bredulo (ora ridotta a oratorio); Conterno la identifica senz’altro con la pieve di S. Pietro di Vico, citata per la prima volta nel diploma di Enrico III del 1041 (Conterno 1988, pp. 23-24).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Regolari maschili: convento e chiesa di S. Francesco, dei Minori Osservanti di Nostra Donna, dei Domenicani, degli Agostiniani della Congregazione di Genova, degli Agostiniani Scalzi di S. Nicola, dei Car­melitani, dei Cappuccini; chiesa dei Ministri degli Infermi, chiesa e collegio dei PP. Gesuiti, convento e chiesa dei Filippini, dei signori della Missione.
     Regolari femminili: convento delle monache cistercensi di S. Maria della Carità (già a Pogliola); cistercensi di S. Maria Maddalena (già a Cellanova); monastero e chiesa di S. Chiara; monastero delle domenicane di S. Caterina da Siena; monastero e chiesa delle Agostiniane; monastero e chiesa delle Cappuccine.
     Parrocchie e oratori di confraternite: cattedrale di S. Donato e oratorio della confraternita di S. Croce a Piazza; parrocchia di S. Andrea di Carassone, poi, dal 1571 circa, S. Andrea ed Evasio. Dal 1574 al 1803 abbiamo due parrocchie, in quanto viene elevata a questo titolo anche la chiesa di S. Giovanni di Lupazanio, unita alla prima nel 1832 e chiamata di S. Giovanni ed Evasio: si perde così l’antico titolo di uno dei tre terzieri che diedero vita alla villanova. Parrocchia di S. Lorenzo della porta di Vasco. Nel 1573 il cardinale Lauro erige in parrocchia la chiesa dell’Assunzione di M. Vergine nel Borgato, già delle monache agostiniane, e la aggrega a quella di S. Lorenzo, che ha dovuto subire gravi distruzioni durante la guerra tra Francia e Spagna. Nel 1634 la par­rocchia viene soppressa, rimanendo del tutto autonoma quella del Borgato. Parrocchia di S. Maria Nova (Breo), così chiamata per distinguerla da S. Maria di Bredolo, sorta all’inizio del 1200 sulle falde del monte e distrutta in seguito alla edifica­zione della nuova chiesa dei SS. Pietro e Paolo (1480-1489). Parrocchia di S. Maria Maggiore (Piano della Valle), documentata dall’inizio del secolo XV, che sostituisce l’antichissima chiesa di S. Araolfo, sorta già nel X secolo lungo le rive dell’Ellero, e dipendente dal monastero di S. Frontiniano di Alba come suo priorato. Essa era usata anche come luogo di sepoltura delle più eminenti famiglie del piano, che ormai sempre più nettamente si andavano differenziando da quello di Breo. Colpita da una bomba durante la Seconda Guerra Mondiale, viene demolita e il titolo cancel­lato; diventa allora parrocchia la chiesa di S. Agostino, già priorato di S. Arnolfo, ven­duta nel 1548 dall’arciprete della cattedrale ai padri agostiniani della provincia di Genova, che la trasformarono nella loro chiesa, finita in mani private dopo le soppressio­ni napoleoniche del 1802.
     Parrocchia del S. Cuore di Gesù, costituita nel 1956 per il rione Altipiano, smembrandola da quella di Breo. Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria, eretta nel 1976 per il rione Altipiano, smembrandola in parte da quella precedente, e in parte da quella della frazione S. Anna Avagnina. Parrocchia di S. Maria Maggiore al borgo Ferrone, ultima nata, costituita smembrandola da quella di S. Agostino del Piano della Valle (Michelotti 1920; Diocesi di Mondovì 1978). Oratorio della confraternita di S. Stefano a Breo. Chiesa di S. Giovanni dei Cavalieri di Malta (Breo).
     Numerosissime cappelle campestri dislocate nel territorio delle varie parrocchie e nelle frazioni. Comunità ebraica [C.E.M.]
Assetto Insediativo
Luoghi Scomparsi
Bredulo: centro dell’omonimo comitato post-carolingio, è ricordato per la prima volta nel 1014, in occasione della conferma dei possessi del monastero canavesano di Fruttuaria; col diploma imperiale del 26 gennaio 1041 il comitato viene concesso al vescovo di Asti. Nel secolo XII s’intitola «de Bredulo» un ramo del consortile dei signori di Morozzo; Enrico di Bredolo è presente come donatore di una cella nelle Alpi di Morozzo alla neonata certosa di S. Maria di Ca­sotto nel 1181. I suoi figli, nel 1237, si vedono riconoscere dal vescovo di Asti ciò che detengono nella villa e castello di Bredolo (Guglielmotti 1990, pp. 115 sgg.) La località viene comunemente identificata con l’attuale frazione di Breolungi, sulla sponda destra del Pesio, così denominata da quando, essendosi buona parte dei suoi abitanti trasferiti alle falde del Monte, a formare il piano di Breo, (contrazione da Bredolo), l’antico centro era ormai lontano dal nuovo insediamento. A riprova di questo fatto ci sarebbe la duplicazione del titolo della chiesa: dalla pieve di S. Maria di Bredolo a S. Maria Nova (Conterno 1988, p. 25). Concordano con questa identificazione sia Morozzo della Rocca (Morozzo della Rocca 1894-1907, I, pp. 80-83) sia Barelli (Barelli 1954, pp. 133-138), mentre Serra propendeva per Breo, sulla sponda destra dell’Ellero (Serra 1943, p. 7).
Carassone antico: sorto probabilmente intorno al castello dei signori di Carassone, con la pieve di S. Maria «de Carischione» ricordata nel diploma imperiale del 1041. Sorgeva in corrispondenza dell’attuale Villero (frazione di Bastia Mondovì.) di fronte al paese, sull’ultima propaggine della collina che, dall’alto del bastione del Villero, si protende verso il Tanaro (Conterno 1988, p. 23). L’importanza dell’insediamento è testimo­niata dalla presenza di due altre chiese, ancora nominate nel Registrum del 1345: S. Stefano, nel fondovalle, di fronte alla confluenza dell’Ellero nel Tanaro, e S. Andrea, con oratorio di incerta identificazione (Conterno 1988, p. 23). L’attrazione della nuova villa del Monteregale e, in misura minore, il formarsi di un centro autonomo a valle (Ba­stia), ne determina l’abbandono nel corso del secolo XIII.
Lupazanio: sul nome c’è grande incertezza. Lupicino e Lovezanige vengono spesso assimilate a questa località, che Nallino poneva tra la pianura costeggiata dall’Ellero e il fossato Rio Bianco, precocemente incastellata e a lungo sede di parrocchia (1574-1803). S. Giovanni di Lupazanio è retta in questo periodo dai Domenicani, cacciati da Emanuele Filiberto dalla parte alta della città per costruire la cittadella; il titolo è poi unito, come già detto, a quello di S. Evasio dopo la unificazione delle due parrocchie. Già Nallino propendeva per identificare il sito nella regione dei Curtili, con un’eti­mologia fantasiosa: «Corte d’Ercole» (Nallino 1788, pp. 123-125). Rimangono una cappella dedicata a S. Nicolao e la romanica chiesa di S. Maria delle Vigne (con un interessante ciclo di affreschi oggetto di un recente restauro).
Comunità, origine, funzionamento
La prima testimonianza della comunità del Monteregale risale al 24 giugno 1204, al momento della stipulazione di un’al­leanza con Asti nella guerra promossa contro i marchesi di Saluzzo e di Monferrato, fatti salvi però i diritti del vescovo di Asti e dei comuni di Cuneo, Borgo S. Dalmazzo, Romanisio e Savigliano (Codex Astensis qui de Malabayla commumter nuncupatu, III, doc. 715, pp. 762-764; Cuneo 1198-1382, pp. 8-10). Un «potestas Montisregalis» è peraltro già attestato l’8 novembre 1200 e per tutto il secolo XIII la sua nomina è co­stante prerogativa del vescovo astese (Guglielmotti 1992, pp. 20-21).
Statuti
Del 1415, che riprendono e ampliano le «consuetudini di Vico» del 1210. Il codice comprende anche i «Capitoli sulla bealera di Brobbio» (1453) (Statuta civitatis Montisregalis MCCCCXV). Bandi campestri 1689; Ordini e capitoli sopra la stantia e la politica del 1718 e successive modificazioni; Bandi politici e campestri del 1743 (A.C.M., Cat. XXII).
Catasti
Nell’archivio comunale sono conservati un catasto descrittivo del 1540 (con aggiornamenti) in più volumi; un catasto seicentesco ordinato per lettere dell’alfabeto, con le ville del distretto; un catasto con libro dei trasporti, 1771; il catasto del 1796-1810, detto napoleonico, figurato (4 voll. di mappe più tre voll. di descrizione); il catasto del 1877 e del 1904.
Ordinati
Dal giugno 1491 in serie continua.
Dipendenze nel Medioevo
Il nuovo comune del Monteregale si emancipa progressivamente dal dominio del vescovo di Asti; il processo ha il suo culmine l’8 giugno 1388 con il riconoscimento del titolo di città e l’istituzione della diocesi da parte del papa Urbano VI, che intende così colpire in maniera netta il fronte dei suoi oppositori nel Piemonte meridionale, tra i quali appunto il vescovo di Asti era uno dei membri di spicco: tramonta così definitivamente il tentativo di costituire nella zona un princi­pato territoriale (Bordone 1992, p. 139).
Feudo
Per Mondovì non si può parlare di feudo, in quanto il suo passaggio sotto la sovranità dei vari potentati aventi una larga base territoriale avviene sotto forma patti­zia: non è infatti conquistato ma «si dà» sulla base di ben precise garanzie, che costituiscono il fulcro dei suoi diritti, progressivamente erosi dall’affermazione del centralismo sabaudo nel secolo XVII. Nel 1347 Mondovì si dà al conte di Savoia, ben pre­sto sostituito dalla dominazione viscontea (1348-1356; 1366-1368); interrotta dal marchese del Monferrato e dagli Angiò. Il 20 novembre 1368 l’inglese Odoardo Despenser vende Mondovì al marchese di Monferrato, che lo mantiene fino al 1396. In que­st’anno passa sotto la signoria del principe d’Acaia e vi resta, con alterna fortuna, fi­no all’estinzione di questa linea cadetta dei Savoia nel 1418. Da questo momento fa parte stabilmente del ducato sabaudo (Morozzo della Rocca 1894-1907).
Mutamenti di distrettuazione
Il distretto di Mondovì riesce a mantenere il suo equilibrio tra ville aggregate e ville convenzionate con sempre maggiore diffi­coltà in coincidenza con il procedere della costruzione dello Stato assoluto: il punto di rottura è segnato dalle due guerre del Sale (1680-82 e 1698-99), al termine delle quali l’antico distretto di origine medievale viene smembrato e ogni comunità acqui­sta una sua fisionomia autonoma dal punto di vista fiscale e amministrativo.
Mutamenti Territoriali
La conseguenza più evidente dell’editto del 15 lu­glio 1698, con cui Vittorio Amedeo II pone fine al distretto monregalese, è la formazione di uno specifico territorio per le comunità di Bastia, Frabosa Soprana e Sottana, Magliano, Monastero, Montaldo, Morozzo, Pianfei, Roburent, Roccaforte, Vico e Villanova; quello che spetta alla città di Mondovì subisce una netta decurtazione. Nono­stante l’impegno del misuratore Filiberto Bruno, e dei due delegati ducali, il consigliere Garagno e il referendario Graneri, saranno necessari successivamente aggiu­stamenti: il più evidente documentariamente è quello con Monastero degli anni 1757-1759 (ASCn, Archivi comunali, Monastero Vasco, vol. 1464).
Comunanze
I beni comuni e le contese per il loro sfruttamento sono una costante della documentazione fin dalle origini della villanova del Monteregale; seguendo la terminologia delle fonti possiamo dividerle in «Alpi» e boschi: tra le prime ricordia­mo le Alpi di Vico (contese con le comunità di Montaldo, Roburent e Torre) che si estendevano fino a Ormea e Garessio, e le Alpi di Morozzo (disputate con Briga); tra i boschi, il Donio, il Bosconero, la Retormia, quest’ultimo di uso comune con Cuneo, ma attribuito nel 1347 a Morozzo con diritto di legnatico (Michelotti 1920). Sono localizzate in Valle Pesio le comunanze usurpate dalla famiglia dei Veglazi e non ancora restituite nel 1291 (Guglielmotti 1995, p. 781). Al momento della divisione del distretto vengono assegnate alla città le Alpi Colletta, Valchiara, Comuni e Val d’Inferno, Colle di Bauzano.
Liti Territoriali
Lite tra Mondovì e Carrù per i diritti di sfruttamento dell’area del Donio in regione Bainale composta nel 1393 e nel 1447; per il pagamento dei carichi dei proprietari monregalesi in Carrù (1593-96) [A.C.C., cl. 1, fasc.1]; per questioni di dazi e dogane  (1750-1779).
     Nel 1453 la città di Mondovì sostiene Morozzo in una lite con Casteletto Stura  [Ristorto 1977, p. 37; vd. anche scheda Castelletto Stura].
     Una importante lite  per questioni di confini con la comunità di Niella (marchesato di Ceva) si svolge tra la seconda metà del Cinquecento e i primi del Seicento [A.C.M., Cat. III, Titoli in pergamena, fascc. 13-14]. Nel 1568 i governatori di Mondovì e Ceva vengono investiti del problema e sappiamo di una loro ricogni­zione sui luoghi interessati. Il 22 giugno 1605 una nuova visita viene compiuta dal senatore Nadone a seguito dello sradicamento di un antico termine confinario. Tre an­ni dopo, il 22 dicembre 1608, Mondovì e Niella trovano un accordo: la città pretendeva che il suo territorio si estendesse verso Niella fino alla cappella di San Bartolomeo e alla cascina a questa attinente; la visita Nadone confermerebbe questa tesi. I «particolari» di Niella invece sostengono che i confini non vanno tanto in là, ma arriverebbero fino a una torre rovinata detta «torre dei Badini», di cui si vedevano a quel tempo le vestigia sulla sommità della collina chiamata «Carrenne», in una pro­prietà di Antonio Blengino di Vico. L’accordo viene trovato piantando un termine di pietra sulla sommità della collina detta «Lentiglia» verso levante, e «Pertusio» verso ponente: è interessante notare come la comunità di Vico e quella di Niella chiamino con due nomi diversi lo stesso luogo. Nel maggio 1664, essendo questo termine «spiantato e cadutto dal suo luogo proprio», il sindaco di Mondovì ordina di farlo rimettere a posto [A.C.N.].
     Si segnalano inoltre una lite con Garessio, con posa dei termini divisori nel 1592; con gli uomini della Valle dell’Ellero, con le comunità di Frabosa, 1569-1682, e di Chiu­sa, 1580. Quest'ultima  si risolve ne 1585 con il piantamento di termini divisori, con minimi aggiustamenti per garantire la compattezza di possessi di una confraria monregalese di Santo Spirito. Le liti con Mondovì riguardano essenzialmente lo sfruttamento delle acque del torrente Brobbio [B.R.T., Jura 1598, doc. 193; vd. anche schede BeinetteChiusa di Pesio, Garessio].
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Carrù)-
A.C.C., cl. 1, fasc.1: Transazione tra la Comunità di Carrù e vari particolari di Mondovì per li    carichi ordinari e straordinari (24 luglio 1598).
A.C.M. (Archivio Storico del Comune di Mondovì):
A.C.M., Cat. I, cl. I, Aggregazione e distacco di frazioni 1950-55; fascc. 1-5;
A.C.M., Cat. III, Titoli in pergamena, fascc. 13-14; m. A;
A.C.M., Cat. XXIII.
A.C.N. (Archivo Storico del Comune di Niella Tanaro).
A.S.C. (Archivio di Stato di Cuneo). Vedi inventario.
A.S.C., Archivi comunali, Monastero Vasco, vol. 1464.
A.S.T. (Archivio di Stato d Torino).
A.S.T., Sezioni Riunite, Carte topografiche e disegni, Ufficio Generale delle Finanze, Tipi, cabrei e disegni (sezione II), Cuneo, strade, Mazzo 180, Figura Regolare delle strade Pendenti da Cuneo al mondovì, Beinette e Spinetta ..." (Data: 16/09/1764) [Autore disegno originale: Ignazio Botasso, D. G.M. Serrala di Val di Andora]. Vedi mappa.
B.R.T. (Bilioteca Reale di Torino).
B.R.T., Jura Civitatis Montisregalis, Mondovì, 1598, doc. 193.
B.R.T., Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753. La relazione dell’intendente Corvesy è edita: Descrizione della Provincia di Mondovì: relazione dell’intendente Corvesy, 1753, a cura di G. Comino, Mondovì,  2003.
C.E.M.(Comunità Ebraca di Mondovì. Archivio storico). Vedi nota.
Bibliografia
Barelli G., Dov’era l’antica Bredulum?, in «Rivista di Studi liguri», 20 (1954), pp. 133-138.
Barelli G., L’unità storica morale del Monregalese e la separazione della frazione di S. Biagio, datt. in AC Mondovì, cat. I, cli. I, Aggregazione e distacco di frazioni 1950-55.
Berra L., Riordinamento delle diocesi di Mondovì, Saluzzo, Alba e Possano ed ere­zione della diocesi di Cuneo nel 1817, in «BSSSAACn.», 36 (1955), pp. 18-59.
Bordone R., Un tentativo di “principato ecclesiastico” fra Tanaro e Stura. Le tra­sformazioni bassomedievali del comitato di Bredulo, in Le strutture del territorio fra Piemonte e Liguria dal X al XVIII secolo, a cura di Crosetti A., Cuneo 1992, pp. 121-140.
Blaeu, Joan, Theatrum statuum regiae celsitudinis Sabaudiae ducis, Pedemontii principis, Cypri regis. Pars altera, illustrans Sabaudiam, et caeteras ditiones Cis & Transalpinas, priore parte derelictas, vol. 2, apud heredes Ioannis Bleu, Amstelodami, 1682, Mons Regalis. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2.
Camilla P., Del nome della Città del Monteregale (Mondovì), in «BSSSAACn.», 60 (1969), pp. 13-23.
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, X, Torino 1842, pp. 602-793.
Codex Astensis qui de Malabayla commumter nuncupatur, a cura di Q. Sella, Roma 1880.
Comino G., La bolla di erezione della diocesi di Mondovì: 8 giugno 1388, in Statuta Civitatis Montisregalis MCCCCXV, a cura di P. Camilla, Mondovì 1988, pp. XI-XV.
Comino G., L’emergere di una comunità rurale del Monregalese nel tardo Medioevo: Rocca de’ Baldi tra XIV e XVI secolo, in Rocca de’ Baldi: un borgo e un castello dimenticati, a cura di A. Massimo, G. Viara, Cuneo 1995, pp. 75-131.
Conterno G., Pievi e chiese tra Tanaro e Stura nel 1388, in La diocesi di Mondovì. Le ragioni di una storia. Miscellanea di studi storici nel VI Centenario 1388-1988, Farigliano 1988, pp. 7-55.
Cuneo 1198-1382. Docu­menti, a cura di P. Camilla, Cuneo 1970.
Descrizione della Provincia di Mondovì: relazione dell’intendente Corvesy, 1753, a cura di G. Comino, Mondovì 2003.
Diocesi di Mondovì, Annuario 1978, Mondovì 1978.
Guglielmotti P., Le origini del comune di Mondovì: progettualità politica e di­namiche sociali fino agli inizi del Trecento, in «BSBS», 90 (1992), pp. 5-79; 91 (1993), pp. 401-476.
Guglielmotti P., Territori senza città. Riorganizzazioni duecentesche del paesaggio politico nel Piemonte meridionale, in «Quaderni storici», 90 (1995), pp. 765-798.
Guglielmotti P., L’incidenza dei nuovi comuni di Cuneo e Mondovì nel Piemonte meridionale del Duecento, in «Società e storia», 67 (1995), pp. 1-44.
Il “Liber Instrumentorum” del Comune di Mondovì, a cura di G. Barelli, Pinerolo 1904 (BSSS 24).
Michelotti A., Storia di Mondovì, Mondovì 1920.
Morozzo della Rocca E., Le storie dell’antica Città del Monteregale ora Mondovì in Piemonte, Mondovì 1894-1907, voll. I-III.
Nallino P., II corso del fiume Ellero, Mondovì 1788.
Ristorto, M.,  Castelletto Stura. Storia civile e religiosa, Cuneo, 1977.
Serra G., Appunti toponomastici sul Comitatus Auriatensis, in «Rivista di Studi Liguri», 9 (1943), pp. 3-56.
Statuta civitatis Montisregalis MCCCCXV, a cura di P. Camilla, Mondovì 1988.
Descrizione Comune

Mondovì

     La caratteristica più evidente a chi segua lungo i secoli il formarsi del territorio del distretto monregalese è la sua precoce vocazione polifunzionale, tale da catalizzare le risorse di una vasta area aperta sulla montagna, la collina e la pianura. Lo sfruttamento, fin dalle origini della villanova, di una pluralità di risorse, non ulti­me le strade che la mettevano in comunicazione con il mare, è l’elemento forte della sua identità, così salda da formare, agli occhi di uno studioso attento della realtà mon­regalese come Giuseppe Barelli, una unità storica e morale (Barelli 1950-55). La saldezza delle sue strutture comunitarie e il formarsi, lento ma graduale, di una propria classe politica, le consentono di assumere un ruolo sempre più importante nel Piemonte meridionale, e di acquisire precocemente una conformazione urbana, strut­turata attorno alla sua parte alta (Piazza), sede del comune, e ai Piani, lungo il decli­vio della collina che guarda l’Ellero e la pianura. Non stupisce dunque che, già nel 1388, ottenga la diocesi e il titolo di città, cosa che non avviene per Cuneo, sorta pres­sappoco nello stesso periodo e dotata di potenzialità analoghe, se non maggiori.
Del tutto diversa la realtà di quel complesso e variegato organismo signorile che le fa da confine, il marchesato di Ceva: una pluralità di luoghi, spesso senza un centro ben definito, con un frazionamento che esalta l’insediamento sparso ben più che non nel distretto monregalese, mentre il ruolo di coordinamento e sviluppo delle risorse svolto da Ceva è limitato, riducendosi essa quasi essenzialmente a luogo di mercato. La frammentazione dei poteri signorili all’interno della famiglia marchionale e lun­ghi momenti di conflitto accrescono il senso di precarietà e allentano le potenzialità che consentirebbero a Ceva di diventare un forte centro di aggregazione, tanto da far stupire l’intendente Corvesy per il titolo di città concessale da Carlo Emanuele II nel 1650 (BRT, Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, p. 38). La formazione del territorio di Mondovì può essere meglio delineata dividendola in tre grandi periodi: il primo giunge fino al passaggio sotto la signoria dei Savoia (1418); il secondo si conclude con la divisione del distretto nel 1698; il terzo giunge ai giorni nostri.
Durante la prima fase Mondovì appare impegnata a ritagliarsi un proprio ruolo lottando contro il vescovo di Asti e i domini loci che le fanno come da corona tutto intorno: i marchesi di Ceva e di Clavesana, i signori di Carassone, i signori di Morozzo. La spinta iniziale avviene verso le comunità di Vico, Torre, Montaldo, Roburent e Frabosa, poi vengono a essere controllate Bredolo, Magliano, Morozzo, Rocca de’ Baldi, Margarita, Piozzo e Sant’Albano (seconda metà del secolo XIII). Regolate le questioni di confine con i signori di Carassone, i marchesi di Ceva e di Clavesana, e ridottasi di molto la loro incidenza, Mondovì può consolidare il suo di­stretto secondo tre poli di attrazione, rispettivamente rivolti verso la montagna, le col­line della Langa e la pianura.
Verso la prima trova un ostacolo nelle comunità di Garessio e Ormea, con cui arriva a un accordo nel 1290, dopo che, sei anni prima, erano stati delimitati quelli con Montaldo e Roburent (Il “Liber Instrumentorum” del Comune di Mondovì, docc. 30-31, pp. 70-72; doc. 96, pp. 240-242). Un’altra caratteristica che occorre tenere presente è che, all’interno del suo distretto, sono sempre possibili aggiustamenti di confine e delimitazio­ni delle risorse: Mondovì infatti svolge una funzione egemone e di coordinamento, ma non rifiuta di riconoscere i legittimi diritti delle minori comunità locali, per le quali assume le funzioni di rappresentanza nei confronti di enti e comunità esterne. Esse vengono governate da un vicario, eletto nel Consiglio Grande su una rosa di tre nomi, ma regolamenti speciali continuano ad avere valore, perché non vengono aboliti gli usi e le consuetudini del luogo. Rocca de Baldi, Morozzo, Montaldo, e Frabosa posso­no disporre in merito all’esercizio di certi mestieri e sulle misure; Villanova, Roccaforte e Monastero dispongono liberamente dei propri beni comuni. Torre, Montaldo e Roburent continuano a essere unite al vescovo di Asti rispetto alla giurisdizione e allo sfruttamento di pascoli e terreni (Michelotti 1920, p. 127).
La definizione del territorio procede in buona parte in parallelo con le contese per lo sfruttamento dei beni comuni: il Bosconero, che si estendeva tra il Corsaglia e l’Ermena, fino alla sommità delle Alpi Marittime, con Vico, Montaldo e Roburent; il bo­sco della Retormia, esteso tra Morozzo, Rocca de’ Baldi e Margarita, fin oltre il Consovero, con Morozzo e Margarita; la Fraschea inferiore e i boschi di Roracco con Vil­lanova; la Roncaglia con Pianfei e Chiusa; i boschi dell’Oroco con Roccaforte. Nella valle del Corsaglia il Tenzonilio, il monte Zalveto, la valle di Noce e dei Roccarini, appartenenti i primi due agli uomini di Vasco, ma rivendicati dal priorato di S. Pietro, dipendente dall’abbazia di Breme.
Molto consistenti le Alpi di Morozzo, di pertinen­za in origine dell’omonimo ceppo signorile, ridottesi per le donazioni effettuate da questi ultimi a vantaggio del monastero di S. Maria di Pogliola e delle certose di Casotto e di Pesio (Michelotti 1920, p. 89). Esse saranno al centro di una lunga contro­versia con la comunità di Briga, di cui diremo fra poco. Su una sola di tali comunan­ze Mondovì non sembra in grado di agire con successo: quelle poste in valle Pesio, usurpate dai Veglazi, una famiglia piuttosto eminente nel corso del secolo XIII, ma de­stinata presto a estinguersi: la lite inizia nel 1276, ma, allorché viene stilato l’inven­tario dei beni e diritti del comune, nel 1291, esse paiono ancora saldamente nelle mani di Manfredo Veglazio. Il documento ci permette di localizzarle meglio: si trovano nel «posse» di Bredolo, presso la rocca di S. Gervasio, e comprendono 14 pezze di prato, 3 fossati, Maugero, di S. Martino e quello presso il castello (II “Liber Instrumentorum” del Comune di Mondovì, doc.103, pp. 267-268).
La funzione di rappresentanza è ben documentata dalla lite per motivi di confine tra Villanova e Chiusa, la prima compresa stabilmente nell’ambito del distretto, la seconda ormai infeudata ai Ceva e sotto l’influenza di Cuneo: per Villanova trattano i rap­presentanti di Mondovì, per Chiusa i Cuneesi, in quanto le due comunità paiono in posizione nettamente subordinata. Si ribadisce la validità di un’antica divisione e si precisa che i confini sono situati «in Plano Fayto».
Tutto lascia supporre che, alla conclusione della vertenza nel giugno del 1330, non siano estranei i tentativi di rafforza­mento nella zona della villanova di Cuneo, e i prodromi dell’investitura di Chiusa a quattro marchesi di Ceva attuata nel 1376. Mondovì perde in tale operazione una parte dei propri beni comuni, che ancora nel 1293 erano compresi interamente nel suo territorio (Morozzo della Rocca 1894-1907, III, pp. 303-304).
Ben più lunga e complessa, con interessanti risvolti simbolico-rituali, la pace conclu­sa nel giugno del 1390 tra Mondovì e Briga, collegate da una strada «di Roccaforte», documentata da un accordo del 1288. L’oggetto del contendere, come ricordato, so­no le Alpi già dei signori di Morozzo, situate nella valle Fredda, che vengono a esse­re delimitate dai territori della città di Mondovì, di Briga, di Chiusa e dalla castellania di Pieve di Teco chiamata Viozene. Di esse vengon fatte due parti, attribuite ai con­tendenti in base al principio di vicinanza ai loro confini, mentre quella centrale rima­ne in comune e in futuro non si potrà dividere. Gli uomini delle due comunità vi po­tranno portare al pascolo i loro animali, eccetto bovini e maiali. Briga, tra l’1 mag­gio e l’1 luglio, dovrà mandare due sparvieri e ricevere in cambio un paio di calze di lana bianca d’agnello (AC Mondovì, Cat. III, Titoli in pergamena, m. A; Michelotti 1920, pp. 129-130).
È invece un lodo del primo vescovo di Mondovì, Damiano Zoaglia, a delimitare i confini tra la città e Carrù, che attraversano quanto resta dell’estesissima selva bannale, detta Donio, già dei signori di Bredolo e ormai in fase di avanzata coltura, stretta da vicino dalle comunità di S. Albano e Bene (Michelotti 1920, pp. 114-115).
Nel 1418 Mondovì passa stabilmente sotto i Savoia; il suo distretto ha ormai a sunto una conformazione ben definita: la città è divisa nei tre terzieri di Vico, Vasco e Carassone, a cui sono strettamente collegati i Piani (Valle, Breo e Carassone); fuo­ri dalle mura, strette in un ricetto, il Borgato e il Rinchiuso si stanno più densamente popolando. Tutto attorno le fanno da corona le ville aggregate, con il diritto di fornire parte dei consiglieri, e partecipare così direttamente all’amministrazione cittadina: a est Vico con ai lati le Briaglie e le Moline, a ovest Villanova e, sulle sponde del Pesio, nella pianura, Breolungi con Magliano e le loro borgate, iscritte rispettivamente ai terzieri di Vico, Vasco e Carassone.
Oltre a questo primo anello, un secondo era formato dalle ville convenzionate, cioè legate alla città da patti e accordi speciali, a tempo o di durata illimitata; in caso di contributi straordinari per spese di guerra po­tevano mandare loro rappresentanti nel consiglio che doveva deliberarle: erano le comunità della «Montagna»: Roburent, Montaldo, le Frabose, Monastero e Roccaforte; della pianura: Rocca de’ Baldi, Morozzo con S. Biagio e Margarita; della collina: Ba­stìa.
Le ville convenzionate proponevano ogni anno una rosa di tre nomi, all’interno della quale il consiglio sceglieva il vicario, che durava in carica per un anno (Michelotti 1920, p. 183; Morozzo della Rocca 1894-1907).
L’avvio di una fase di infeudazioni in conseguenza del radicarsi del dominio sabau­do, seppure ancora limitato per il XV e il XVI secolo, porta una comunità del distretto, Rocca de’ Baldi, a rafforzare la propria identità territoriale e a sfruttare la libertà di manovra concessale dalla città per non essere schiacciata tra S. Albano (dei Beggiamo) e Trinità (dei Costa), che tentano di dar vita a una parvenza di principato territoriale (Comino 1995).
Ma è in direzione di Cuneo che vengono i rischi mag­giori per Mondovì, che si gioca alcune importanti porzioni di beni comuni. Alcune centinaia di giornate in Comba Martina, tra S. Biagio e Beinette, vengono assegnate al Capitolo e ridotte a prato; la regione della Roncaglia è concessa in enfiteusi ai Villa­novesi per un modico censo annuo, ma con l’obbligo di registrare i beni e pagare le taglie e le collette a Mondovì; nella zona di Riforano, Ceresana, Pra Forchetto e Truc­chi la comunità di Peveragno riesce a inserirsi intaccando sensibilmente quella parte del distretto più debole e incerta, che ha come punto di riferimento Morozzo.
Questa ultima diventa fondamentale quando insorge la questione con Margarita, dopo la sua infeudazione a Francesco Tomatis (1441-1446), in quanto le ragioni di Mondovì si basano sul fatto che Margarita non ha territorio proprio e che, essendo compresa in quello di Morozzo, e Morozzo in quello di Mondovì, i suoi cittadini godono la totale esenzione dai pedaggi. La rinuncia, dietro congruo compenso, di Francesco Tomatis alla villa e al castello, consente alla città di impadronirsi di Margarita, che diventa una co­munità convenzionata del suo distretto (Michelotti 1920, pp. 146 sgg.).
Il fenomeno delle infeudazioni gioca dunque un ruolo essenziale nella ridefinizione del territorio sia all’interno del distretto sia nei rapporti con le comunità vicine: si po­trebbe dire che quelle che non manifestano una forte identità nel loro interno e una propensione all’autonomia non sfuggono ai processi innescati dai primi scontri tra potere centrale e realtà locali. Le infeudazioni sono destinate a crescere nel Seicento in concomitanza con la lotta intrapresa dalla corte sabauda contro ogni residuo particolarismo medioevale e il distretto monregalese, fino ad allora indenne, vede assotti­gliarsi il proprio spazio di manovra con le infeudazioni di Magliano e Roburent ai Bonardo Mongarda, delle Frabose ai Pallavicino, di Villanova (villa aggregata al terziere di Vasco) ai Fauzone Bottega (Michelotti 1920, pp. 292 sgg.).
La situazione muta radicalmente quando Vittorio Amedeo II riesce a dare pratica attuazione al suo editto del 15 luglio 1698, con il quale ordina lo smembramento dell’antico distretto e la formazione di tante comunità separate, dotate ognuna di un consiglio e di una quota di registro: nella zona collinare Vico, che comprende le Briaglie e le Moline, e Ba­stia; nei monti Roburent, Montaldo, Monastero, le Frabose, Roccaforte, a cui si uni­scono Prea e Rastello; Villanova e Pianfei; nella pianura Morozzo, Margarita, Rocca de’ Baldi: ognuna dotata di un proprio territorio, che viene definito e misurato coinvol­gendo le comunità nella determinazione dei confini. Per Montaldo e Roburent ciò im­plicano un riaggiustamento delle reciproche quote di registro.
Trovano ascolto da par­te dei delegati anche questioni rimaste aperte, quali la separazione tra le comunità di Villanova e Pianfei, avvenuta agli inizi del secolo XVI. Vengono comprese invece nel territorio della città le borgate di Pasco dei Monti (Pascomonti), S. Quintino, Ri­freddo, Grateria, Breolungi, S. Anna, Merlo, Pogliola, S. Biagio (una copia di metà Settecento dello strumento di divisione del distretto di Mondovì è reperibile nella biblio­teca del Liceo Classico “G.B. Beccaria”; l’originale dell’archivio comunale è smarrito).
È evidente che il documento ha un’importanza fondamentale per l’evoluzione successiva dei vari territori fino a questo nostro secolo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, avvengono alcuni tentativi di modificare il territorio cittadino staccan­do o aggregando frazioni o case sparse. Il caso più clamoroso è senz’altro quello di 116 frazionisti di S. Biagio, che, il 12 dicembre 1946, fanno istanza al Presidente della Repubblica per essere uniti a Morozzo, adducendo come scusa il fatto di essere trascurati da Mondovì e di dover percorrere una distanza eccessivamente lunga per raggiungere il capoluogo.
Un anno dopo, l’Ufficio tecnico erariale determina l’even­tuale nuova linea di demarcazione fra i due comuni lungo il corso del Pogliola, il che però provoca la divisione illogica della omonima frazione in due parti, mentre sotto tutti gli aspetti essa costituisce una unità, sia come centro abitato, sia come servizi. Quindi un confine che potrebbe apparire a prima vista logico e fondato, in quanto ta­glia il comune di Mondovì in un punto dove il suo territorio forma una strettoia della larghezza di appena 500 metri, per poi di nuovo allargarsi a un’ampiezza di quasi 2 chilometri, finisce per essere un assurdo, che penalizzerebbe gravemente gli abitanti della cascina Monastero (ex convento di Pogliola), che dovrebbero mandare i loro fi­gli a scuola a S. Biagio, che dista 3 chilometri, mentre la scuola di Pogliola è ad ap­pena 150 metri.
Mondovì non risparmia gli sforzi per scongiurare una simile eve­nienza, e incarica ufficialmente Giuseppe Barelli di redigere una relazione storica a supporto delle sue tesi. Egli completa il suo lavoro nel 1950 (copia in AC Mondovì, Cat. I, cl. I, Aggregazione e distacco di frazioni 1950-55). La vertenza si risolve nel 1955, in senso favorevole alla città, in quanto, senza entrare nel merito della questione, il Ministero osserva che manca il requisito della maggio­ranza qualificata dei contribuenti, richiesta dall’alt. 33 del T.U. 3 marzo 1934, n. 383 della Legge comunale e provinciale.
Analogo risultato hanno altre tre istanze. Nel 1949, 18 capifamiglia su 28 della borgata S. Lorenzo chiedono di staccarsi da Monastero Vasco e di passare a Mondovì, giustificando la richiesta con motivazioni topografiche e religiose: quasi tutti sono della parrocchia monregalese del Borgato. Nel 1947-48 i frazionisti della Val Ellero, la più periferica di Mondovì (distante 11,5 chilometri) chiedono l’aggregazione a Bastia, distante 2 chilometri: non si tratta di una frazione in senso proprio, ma di tante cascine isolate senza un autentico centro; nel 1948 recedono spontaneamente dalla loro istanza. Nel 1952 viene presentata richiesta per ottenere il distacco di alcuni cascinali dal co­mune di Mondovì e la loro aggregazione a quello di Margarita. Appartengono alla frazione S. Biagio; nove dei richiedenti avevano già chiesto di essere uniti a Morozzo nel 1946. Si tratta delle cascine Fontanotto, Baronetto, Barone e Cabanone, che distano da 750 a 1400 m. dal capoluogo, Margarita (AC Mondovì, Cat. I, cl. I, Aggregazione e distacco di frazioni, fascc. 1-5).