Ponti

AutoriGiana, Luca
Anno Compilazione2002
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Alessandria.
Area storica
Valle Bormida di Spigno.
Abitanti
727 (ISTAT 1991).
Estensione
12,4 kmq (ISTAT 1991).
Confini
A nord Sessame e Bistagno, a est Castelletto d’Erro, a sud Montechiaro e Denice, a ovest Monastero Bormida.
Frazioni
Carmenna, Teneve.
Toponimo storico
Ponti sul Bormida. L’indicazione di «Pontes»; «ad Pontem» che si può trovare nelle fonti medievali pone non poche difficoltà all’identificazione precisa con il luogo di Ponti Bistagno.
Diocesi
Acqui.
Pieve
Non vi sono notizie dirette; nel testamento del marchese Bonifacio del Carretto viene menzionata una chiesa di S. Maria nella quale egli fa costruire un monumento per la sua sepoltura e a cui lega una donazione perpetua (Monumenta aquensia, vol. II, col. 251, n. 244).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La chiesa parrocchiale intitolata a N. S. Assunta è situata sulla destra orografica del Bormida a circa 300 metri dal centro, verso il castello dei del Carretto che sovrasta il borgo situato al centro della valle, sempre sulla destra  orografica del Bormida, nei pressi del ponte. Nell’archivio storico vescovile di Acqui sono conservati i documenti inerenti la Compagnia del S. Sacramento a partire dal 1630 e a partire dal 1629 quelli della Compagnia del S. Rosario. La Compagnia della Beata Vergine Maria Addolorata dei 7 dolori è attestata a partire dal 1702 (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 1, cart. 7, fasc. 1).
L’altare della parrocchia, intitolata a S. Antonio, è beneficio dei del Carretto dal 1596 (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 1, cart. 4, fasc. 1) e passa nel 1684 ai Guerrieri (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 1, cart. 5, fasc. 1). Questa alternanza rispetta quanto si può leggere nei processi istruiti dal tribunale vescovile di Acqui a Ponti. Infatti le due famiglie sono in conflitto – conflitto leggibile non solo attraverso le carte processuali ma anche attraverso la gestione della devozione –. Riscontriamo infatti una forte presenza per tutto il Seicento di parroci del Carretto, accusati dai Guerrieri di inadempienze oppure di amoralità (ASVA, Ponti, Processi). A fine Seicento i del Carretto, che dal 1635 condividevano il feudo di Ponti con i Guerrieri, che possedevano alcune parti di Pareto (AST, Corte, Monferrato, mazzo 57, Ponti, 9 febbraio 1635, metà Ponti viene infeudata a Gio Batta fu Bonifacio Guerrieri), sembrano sopraffatti da questi ultimi e dall’emergente famiglia Serventi. In realtà sono gli Scarampi ad attuare una politica efficace nella zona fino al Settecento. I del Carretto, in base ad una lunga politica matrimoniale (per i del Carretto di Ponti si veda, per esempio, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 5, cart. 1, fasc. 16), vengono scalzati dagli Scarampi fino alla fine del Settecento. I contrasti però a livello locale sono rilevabili tra i del Carretto contro i Serventi e contro i Guerrieri; queste tre famiglie sono infatti quelle che aspirano al controllo delle aree devozionali.
La parrocchia diventa arcipretura nel 1658, quando il vescovo Bicuti concede il titolo al parroco di Ponti (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 5, cart. 1, fasc. 24).
Le altre cappelle presenti sul territorio sono: la cappella di S. Giovanni, sempre beneficio dei del Carretto (1688, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 1, cart 6, fasc. 1), la cappella di S. Martino e del SS. Rosario, le cappelle campestri di S. Remigio e S. Ubaldo, beneficio della famiglia Serventi (1677, istituita per la dote del chierico Marco Antonio Serventi, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 5, cart. 1, fasc. 9 e fald. 4, cart. 3, fasc. 1), la chiesa campestre di S. Rocco (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 4, cart. 4, fasc. 1), l’oratorio del Castello sede dei del Carretto (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 4, cart. 5, fasc. 1), e infine l’oratorio di S. Sebastiano e Confraternita dei Disciplinanti (1645, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 4, cart. 1, fasc. 1).
Le due cappelle campestri di S. Rocco e S. Martino sono posizionate sulla riva sinistra del Bormida una a sud e l’altra a nord ed indicano gli accessi al borgo di Ponti sul confine rispettivamente di Denice e Bistagno.
Luoghi Scomparsi
Nessuna notizia.
Comunità, origine, funzionamento
La mancanza di un archivio locale e la scarsa documentazione presente negli archivi centrali non permettono di identificare con precisione quando ha origine l’attività della comunità. I documenti conservati descrivono i verbali del consiglio comunale dal 29 novembre 1861 al 7 maggio 1899. Solo un libro dei trasporti del 1751, un catasto compilato da Orazio Bartolomeo Spagarrino (8 giugno 1732) e un Registro figurato della magnifica comunità di Ponti (1733) testimoniano l’attività a livello locale della comunità. Le poche informazioni sull’attività del consiglio comunale provengono dalla relazione di Traffano: «il Consiglio è composto da due sindaci e sei consiglieri. Si cambia interamente ogni anno, e quelli che sortono nominano quelli che devono subentrare, ma non si osserva veruna regola certa, e fissa, per lo che vi sono raccorsi per la formazione che sarebbe necessaria senza dilazione. L’archivio è nella Casa del Segretario per non esservene altra sicura, senza inventario con diverse scritture in confuso, si è ordinato di riformarlo, e che le chiavi debbano ritenersi una dal Seg. rio, e l’altra da uno dei Sindaci. Il Cadastro è ancora in buon essere e fu formato sulla nuova misura generale seguita nel 1731» (Relazione della Provincia di Acqui fatta dal fu Sig. Intendente Conte Traffano di Montemarzo 15 aprile 1753, ms. Biblioteca Reale di Torino).
Solo l’archivio vescovile di Acqui ci informa dell’attività di Ponti a partire dalla fine del XVI secolo senza però poter identificare quando è iniziata una qualche forma di organizzazione politica autodeliberante in grado di esprimere qualche forma di autonomia amministrativa. Ci sono rimasti due brevi processi di lite istruiti tra il 1633 e il 1635 tra la comunità e don G. B. del Carretto per il pagamento delle tasse (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 10, cart. 1, fasc. 2) e la lite risalente al 1634 tra la comunità e il clero di Ponti per il pagamento delle tasse (ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 10, cart. 1, fasc. 3).
Catasti
Nell'Archivio comunale di Ponti si conserva un catasto compilato da Orazio Bartolomeo Spagarrino (8 giugno 1732) e un Registro figurato della magnifica comunità di Ponti (1733). I catasti sono in buono stato ma hanno pochissime note descrittive ed è difficile individuare i luoghi indicati. Vi è anche un libro dei trasporti (1751).
Feudo
Secondo una notizia del Casalis, nel 1209 il marchese Ottone del Carretto vende il luogo al comune di Asti; tuttavia verso la metà del secolo (1267) il luogo è infeudato alla famiglia del Carretto, come risulta da un atto di scomunica del papa Clemente IV verso il marchese Bonifacio, definito «di Ponti», per l’appoggio dato al marchese di Monferrato (Monumenta aquensia, vol. II, col. 818, lin. 23). Il testamento di Bonifacio, del 1285, viene redatto nel castello di Ponti (Monumenta aquensia, vol. I, col. 251, n. 244). Che il feudo rimanga nelle mani della famiglia è dimostrato da successive indicazioni documentarie analoghe alla prima: nel 1288 circa, ad esempio, anche Guglielmo del Carretto è indicato come «di Ponti» in occasione del suo matrimonio (Monumenta aquensia, vol. II, col. 812, lin. 55). Nel 1322 questi cede al figlio Luchino alcuni feudi siti nella diocesi di Acqui, tra cui quello di Ponti (Monumenta aquensia, vol. II, col. 820, lin. 15). Nel corso del XIV secolo altri atti stipulati da esponenti dei del Carretto vengono redatti nel castrum di Ponti.
La prima attestazione di diritti feudali dei del Carretto a Ponti risale ad una vertenza del 1271 tra Bonifacio del Carretto e Enrico Templario di Ponzone per un pezzo di terra presso il Bormida sul territorio di Ponti (AST, Corte, Paesi per A e B, P, mazzo 19).
Il 22 settembre 1589, Ottavio del Carretto dona una porzione di Ponti al duca Guglielmo del Monferrato (AST, Corte, Monferrato, mazzo 57, Ponti, 22 settembre 1589. Il reverendo Ottavio del Carretto dona una porzione di Ponti al duca Guglielmo del Monferrato), probabilmente per svincolare parte del dominio dalla pressante espansione dei Savoia; ma un’aderenza a Milano è testimoniata già nel 1451 (AST, Corte, fondo Monferrato Confini 41, 26 novembre 1451). Il 9 febbraio 1635 viene infeudata la metà del feudo a favore di Gio Batta fu Bonifacio Guerrieri (AST, Corte, Monferrato, mazzo 57, Ponti). Le carte inerenti le questioni fiscali, o le «strade della Real Caccia», sono invece settecentesche (AST, Camera dei conti, Patenti controllo finanze 1300-1700, Ponti, f. 47).
Mutamenti di distrettuazione
Ponti, appartenente in epoca medievale al comitato di Acqui, viene poi investito ai del Carretto che ne conservano il dominio fino al 1635, quando iniziano a cedere la metà del feudo ai Guerrieri. Solo a partire dalla fine del Seicento, però, i del Carretto cominciano a perdere parte della loro indipendenza appoggiandosi ai Savoia, per contrastare l’ascesa degli Scarampi. Gli Scarampi, che avevano scalzato i del Carretto nei feudi imperiali a sud di Ponti, tra Santa Giulia, Carcare e Mioglia, cercavano di svincolarsi dal dominio piemontese dichiarandosi imperiali. Il partito filoimperiale perse a partire dal 1712 e i Savoia ottennero il Monferrato e parte dei feudi imperiali. Questo portò un nuovo consolidamento dei del Carretto e della loro politica.
Nel 1798 con la dominazione napoleonica viene costituito il dipartimento di Montenotte che comprende anche Ponti, che segue la sorte delle zone che gravitano attorno al mandamento amministrativo di Acqui. Dopo il periodo napoleonico, la restaurazione dei Savoia, attraverso l’Editto Regio del 27 ottobre 1815, istituisce il mandamento di Acqui suddiviso in quattro cantoni: Ponzone, Pareto, Bistagno e Roccaverano. Ponti viene annesso al cantone di Bistagno insieme a Castelletto Vald’Erro, Montabone, Rocchetta Palafea e Sessame. La provincia di Acqui gravitava nella Divisione di Alessandria ricostituita dal Regno di Sardegna nel 1819 (Parola 1997, p. 229). Il riordino amministrativo del Regno di Sardegna del 1848 fece confluire parte della provincia di Acqui in quella di Savona. A partire però dal 1860, il Regno di Savoia ristrutturò nuovamente l’assetto amministrativo della zona e buona parte della provincia di Acqui venne smembrata e distaccata nella provincia di Alessandria. Ponti rimase stabilmente legata a questa provincia. Il comune, nonostante il suo basso numero di abitanti, si mantenne autonomo e in epoca fascista non venne accorpato.
Mutamenti Territoriali
La mancanza della documentazione locale e soprattutto di quella fiscale anche negli archivi centrali non permette di indagare gli eventuali mutamenti territoriali. Anche la lettura del catasto e del libro dei transiti non fornisce informazioni su questo argomento. Il comune, nonostante il suo basso numero di abitanti, si mantenne autonomo e in epoca fascista non venne accorpato.
Comunanze
Nessuna notizia.
Fonti
L’archivio comunale non è inventariato per nessun periodo, gli unici documenti antichi conservati sono: un libro rilegato con alcune serie lacunose di verbali del consiglio comunale dal 29 novembre 1861 al 7 maggio 1899, un libro dei trasporti (1751), un catasto compilato da Orazio Bartolomeo Spagarrino (8 giugno 1732) e un Registro figurato della magnifica comunità di Ponti (1733). I catasti sono in buono stato ma hanno pochissime note descrittive ed è difficile individuare i luoghi indicati.
L’archivio di Stato di Torino offre alcuni documenti medievali e moderni molto deludenti (AST, Corte, Monferrato, mazzo 57; fondo Monferrato Confini 41, 26 novembre 1451 nota di un’aderenza a Milano; Paesi per A e B, mazzo P 19). Qualche informazione ci proviene dalla Relazione della Provincia di Acqui fatta dal fu Sig. Intendente Conte Traffano di Montemarzo a 15 aprile 1753 (ms. conservato alla Biblioteca Reale di Torino).
Solo l’archivio vescovile di Acqui ci fornisce alcune informazioni decisamente interessanti nel fondo parrocchia di Ponti a partire dalla fine del XVI secolo. Anche per Ponti si riscontra che l’archivio vescovile conserva in massima parte processi civili o criminali, spesso espressione delle vicende politiche del luogo.
L’archivio di Alessandria conserva invece i documenti notarili. I diciassette notai, conservati per meno di 600 abitanti nel XVII secolo nell’archivio, testimoniano un’attività notarile sorprendente. Il feudo di Ponti è infatti posto su un nodo viario cruciale tra la costa e la pianura. Sono depositati nell’archivio di Stato di Alessandria fondo Notai le carte di otto notai che rogano a Ponti: Berruti Angelo Antonio 1748-1786; Berruti Gerardo Francesco 1731-1739; Cremonesi Cristoforo Amedeo 1756-1779; Cremonesi Percivale Tommaso 1816-1839; Degrandi Pietro Antonio 1789-1825; Delorenzi Domenico Francesco 1700-1743; Delorenzi Giacomo Antonio 1719-1760; Franzone Paolo 1853-1867. Sono depositati i documenti di altri nove notai nel fondo Monferrato: Berruti Angelo Ludovico 1679-1703; Berruti Giovanni 1461-1503; Berruti Gilardo 1520-1558; Berruti Gio Angelo 1602-1636; Berruti Gio Battista 1643-1685; Cremonesi Tomaso 1605-1631; Serventi Marco Antonio 1668-1698; Spagnoli Antonio 1678-1697; Suardo Gio Francesco 1645-1669.
Nella seconda metà del XVII secolo, rogano contemporaneamente tre notai, due dalla prima metà del XVIII a tutto il XIX secolo. Sono quattro i notai del Monferrato a rogare contemporaneamente nella seconda metà del XVII secolo, due sono attestati nella prima metà del XVII e solo uno negli altri periodi.
Sono conservate a Vicennes alcune descrizioni sommarie dei comuni coinvolti dal passaggio delle truppe francesi. Alcune notizie su Ponti compaiono nelle carte del 1805 in occasione del disegno della carta generale dei campi di battaglia o «carte des marches» di Rodolphe Schovani, capitano ingegnere geografo dell’esercito (SHAT, mr. 1364).
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Descrizione Comune
Ponti
     Ponti è situata sulla riva destra del fiume Bormida a circa 5 Km a sud di Bistagno nel punto in cui il Bormida è costretto tra le pendici della collina di Castelletto d’Erro e del Bric Valla. Il nome del comune deriva dalla presenza di tre ponti sul Bormida che costituivano il luogo di attraversamento della strada che collegava la riviera con la pianura. La strada, chiamata «strada Romana», la via «Aemilia Scauri», passava su questi tre ponti nei pressi del borgo e fu da sempre un’importante arteria viaria. Proprio l’insediamento sembra aggregato anticamente attorno al ponte sul fiume. Nel 1805 i ponti erano stati distrutti in seguito alla guerra con i Francesi ma è interessante osservare che erano ritenuti fondamentali per la ricostruzione di tutta la Val Bormida: «si trovano in questo paese tre ponti: uno di pietra sul fiume Bormida, il quale fu dall’escrescenza di essa portato via, l’altro in legno parimenti dalla suddetta riva portato via, ed uno di pietra detto il Brafico» anch’esso andato distrutto (SHAT, mr. 1364). I ponti vennero in un primo tempo sostituiti da guadi e barconi, inutilizzabili però ogni volta che la corrente aumentava in occasione delle piogge. Vennero quindi presto riedificati, restituendo al luogo la sua peculiarità.
I dati ISTAT del 1991 registrano 727 abitanti, poco più di quelli registrati nel 1678 nel censimento delle anime fatte dal parroco (ASVA, Parrocchia di N. S. Assunta, fald. 2, cart. 2, fasc. 1 e fald. 3, cart. 1, fasc. 1). Osservando i dati sulla popolazione, si individua immediatamente che tra il 1678 (562 anime) e il 1921 c’è stato un progressivo aumento della popolazione (Chabrol indica 677 anime, Casalis 1000, il censimento Regio del 1881 1244, l’ISTAT nel 1921 certifica 1531 residenti). I dati successivi rivelano una drastica diminuzione della popolazione, soprattutto a partire dal 1951, con un’accelerazione della progressiva diminuzione nel 1961 (i dati ISTAT del 1951 riportano 1235 abitanti, 1071 nel 1961, 783 nel 1981 e 727 nel 1991). Altre indicazioni ci provengono dalla distribuzione della popolazione: vengono infatti riportate due frazioni nel 1991 (Carmene e Teneve e le case sparse), 4 frazioni nel 1961 (Adorni, Carmenne, Cravarezza, Teneve e case sparse), mentre nel 1678 le frazioni e le località nominate sono 26. Il centro di Ponti tra il 1951 e il 1991 non perde molti abitanti (381 nel 1991 e 409 nel 1951) mentre sono le frazioni e le case sparse a registrare uno spopolamento consistente (i dati riguardano tutte le frazioni complessivamente: 356 abitanti nel 1991 e 825 nel 1961). Le frazioni registrano un lieve aumento della popolazione e sono le case sparse a subire le perdite maggiori. Uno spostamento quindi verso il centro. Non dobbiamo dimenticare che la stazione ferroviaria ha contribuito a catalizzare gli abitanti verso il borgo centrale.
Il paese è sempre stato diviso in due parti: il borgo, vicino al fiume, alla strada e ai ponti sul Bormida e il castello, poco distante, sull’altura che sovrasta la parrocchia e le contrade sparse lungo il Bormida. La relazione del parroco, Bonifacio del Carretto fratello del marchese, del 1678 ci fornisce dati precisi sulla distribuzione della popolazione. I dati raccolti sono parzialmente confermati un secolo dopo dalla visita del 1753 del fiscale Traffano di Montemarzo.
La popolazione nel 1678 era divisa in 26 contrade oltre al castello, gli spalti e il borgo, che costituivano il paese, con un totale di 231 anime. Il parroco nella sua relazione descrive le distanze delle contrade dalla parrocchia e il numero di anime per ogni nucleo insediativo: otto contrade si trovavano a un quarto di miglio (Tessori 11 anime, Tovo 24, Blesso 5, Vigne Vecchie 31, Chiaborelli 18, Danesi 4, della Fea 8, Borgo Novo 6); quattro a mezzo miglio di distanza (Satragni 15 anime, Ronchi 18, Preli 16 e Roncho Spaoli 5); due a tre quarti di miglio (Torricella 3 anime e Carmenna 7); sette a un miglio e un quarto di distanza (Pian Guglielmo, Chiapini, Rechiamo, Ceretta, Quareni, Capra e Chiapetta); e cinque a un miglio (Teneve 34 anime, Ferrari 10, Guarianda 7, Pian di Vento 5 e Castellaro 8).
Riassumendo, Ponti era composta dal castello, abitato dalla famiglia del marchese Cristoforo, e dal borgo sottostante, dove abitavano 41 famiglie, in totale 233 persone. Lungo il corso del fiume Bormida c’erano 26 contrade in cui vivevano le restanti 61 famiglie con 327 componenti. Lo sbilanciamento verso le contrade lontane dal centro non è rilevante, anche in questo caso si registra un certo equilibrio tra gli abitanti del borgo e quelli delle contrade circostanti, in controtendenza con gli altri comuni della zona che invece presentano una forte disparità tra il centro e le campagne.
La centralità del borgo sembra dovuta all’importanza stategico-viaria di Ponti e alla forte politica dei del Carretto e dei Guerrieri, entrambi presenti in loco. A Ponti c’era il dazio monferrino sulle merci in transito e i del Carretto e i Guerrieri si preoccupavano di accentrare in quel luogo i transiti che sembrano invece in buona parte dispersi sulle vie di mezzacosta, fuori dal controllo delle due famiglie.
Ne è una conferma la gestione della devozione da parte dei del Carretto, che per tutto il Seicento è fortemente accentratrice sulla parrocchia. Non a caso la parrocchia è situata poco sotto il castello, a poche centinaia di metri dal centro del borgo, significativamente prossima alla dimora della famiglia del Carretto e dei Guerrieri, che abitano anch’essi nel castello. Prima di ottenere il titolo di cosignore di Ponti, Guerrieri aveva il titolo di capitano. La gestione della devozione sembra fondamentale per controllare l’area di transito di Ponti, e ciò è dimostrato dal numero di processi, istruiti contro i chierici del Carretto denunciati dai Guerrieri, conservati nell’archivio vescovile di Acqui (per esempio vedi le carte del 1609: Processo contro il chierico Gerolamo Carretto per condotta morale e religiosa, ASVA, Ponti, Parrocchia di N. S. Assunta, fald. 7, cart. 1, fasc. 1). Particolarmente significative sono le denunce di fine Settecento contro il conte G. B. Guerrieri per affermazioni ereticali (1787, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 5, cart. 2, fasc. 12) e dopo una decina d’anni la denuncia del podestà al vescovo sulla condotta immorale del marchese del Carretto (1798, ASVA, Ponti, Parrocchia N. S. Assunta, fald. 5, cart. 2, fasc. 15).
Bonifacio del Carretto di Ponti insieme a suo fratello Francesco Gerolamo aspiravano ad estendere il loro dominio anche su Spigno, pretendendo essere gli eredi legittimi di Federico Asinari del Carretto, marchese di Spigno, morto senza eredi. È significativo che la causa venga inviata a Torino proprio perché i del Carretto attuano una politica filosabauda molto prima del Settecento. Il processo depositato a Milano (ASM, fondo Feudi Imperiali 643) non premierà i del Carretto ma il figlio adottivo di Federico Asinari del Carretto, Lelio Invrea. L’osservatore, il podestà di Spigno Filippo Cassola, è una spia spagnola e controlla le aspirazioni sabaude sulla zona del Monferrato. La denuncia del podestà, raccolta mentre passava per ragioni personali da Ponti, denuncia che «Francesco Gerolamo del Carretto cosignore del luogo di Mombaldone, Stato del Piemonte, e il Bonifacio del Carretto Cosignore del luogo di Ponti, Stato del Monferrato, hanno spolverizzati fasci di Scritture antiche con la speranza di cavare raggioni sopra questo Marchesato, e conoscendosi loro impotenti a introdurre dove fa bisogno la supposta pretensione, hanno mandato a Torino, sei giorni or sono, Bernardino Biglin persona amata da generale di finanza Trucchi a proporre partiti» (ASM, Feudi Imperiali 642, Lettera Cassola, 2 febbraio 1671). La politica filosabauda dei del Carretto sarà vincente solo a partire dal Settecento, quando il partito imperiale verrà progressivamente sconfitto.
Un indizio forte di autonomia dai del Carretto è dimostrato dalla locazione dell’oratorio di San Sebastiano, sede della Confraternita dei Disciplinanti, che si trovava isolato in riva al Bormida piuttosto lontano dalla parrocchia e dal castello. La Confraternita risale al 1645 e da subito si pone in alternativa al controllo devozionale dei del Carretto, svincolandosi da un troppo stretto controllo parrocchiale.
La relazione di Traffano di Montemarzo descrive Ponti come un «luogo di 130 fuochi, situato al bordo del fiume Bormida, che causa irreparabili corrosioni, infeudato per la metà al sig. Conte Gio Batta Guerrieri, e per l’altra metà parte al Signor Conte Carlo Del Carretto, tutti abitanti nel luogo» (Relazione della Provincia di Acqui fatta dal fu Sig. Intendente Conte Traffano di Montemarzo a 15 aprile 1753, ms. Biblioteca Reale di Torino). Il codominio delle due famiglie, entrambe residenti in loco, si osserva dalla documentazione vescovile, non perché essa sia particolarmente significativa in questo contesto, ma perché è l’unica conservata.
Se escludessimo i transiti, non valutati e quantificati dalle fonti a disposizione, le risorse del luogo non sembrerebbero giustificare l’interesse dei del Carretto e dei Guerrieri per il feudo di Ponti. È infatti sempre il Traffano a rivelarci che nel feudo di Ponti, che conta 130 fuochi, «vi è un mulino che gira una parte dell’anno solamente, dieci fornelletti di filatura da seta, e sei telari di tela da Canepa. Il territorio ha una valle assai buona, il rimanente montuoso e sterile. Il raccolto delle vettovaglie d’ogni genere può considerarsi però sufficiente all’uso del luogo, potendosi esitare al più sacchi 100 tra granaglie, e castagne sul Genovesato. Il territorio compresi gli immuni è di moggia 3000 circa (coltive 900, prative 50, vignate 450, castagnetive 600, boschive 300, poco colte 500, corrose 200). I Feudati ed immuni sono moggia 301».
Occorre tener presente che dichiarare il territorio montuoso e sterile è un escamotage per pagare meno imposte. Anche Chabrol, nella sua indagine sul dipartimento di Montenotte ci illustra una situazione simile a quella di Traffano: «il territorio misura 3200 giornate, per metà coltivate a campi, vigne e prati; per un quarto a castagneti e boschi cedui; per il resto sono rocce e rovi» (Chabrol 1824, vol. I, p. 332).
Non è possibile quindi escludere che la vera risorsa in gioco sia il transito, per altro già attestato in epoca romana (Arata 2000, pp. 103-117). Arata scrive che «nell’antichità i percorsi provenienti dalla Val Bormida di Millesimo si immettevano sulla via Aemilia Scauri e sulle strade dirette al mare che la sostituirono o l’affiancarono nel periodo medioevale». Tra queste vie frequentate sembra che proprio «attorno ad una chiesa a sud di Bistagno, la chiesa di S. Donato, e i ponti di attraversamento della Bormida di Spigno furono all’origine del toponimo Ponti» (p. 105).
Occorre però affidarsi ad una documentazione completamente differente per trovare traccia delle pratiche dei transiti tipiche dei luoghi caratterizzati dalla presenza di importanti vie commerciali e militari (cfr. Spigno e Pareto): il libro di memorie scritto da Augusto Monti, figlio di un consigliere comunale di Ponti degli ultimi anni del XIX secolo, I Sansôssi. Il testo riporta alcune considerazioni sulla strada, ampliata in epoca napoleonica, che attraversava il ponte sul Bormida a Ponti: «correva la via nuova per lo stradone bianco: postiglioni vi trapassavano fracassando, processioni d’asini vi sfilavano da Bistagno al Cairo per gesso e viceversa; carrettieri di Savona vi facevano tappa la notte per trovarsi a giorno fatto al temuto passo della Tinaccia; quei di Ponti e confini scansavano sempre, andando e venendo, lo spazioso stradone bianco, amavan battere tuttavia le antiche erte malagevoli strade a mezza costa, quasi che, a passar per quel gran tratto scoperto in piano, troppo in vista vi si fosse troppo soggetti, chissà, a pericoli e curiosità» (Monti 1963, pp. 204-206).
Le antiche vie di mezzacosta nascoste erano presumibilmente le vie alternative alla strada dove in epoca moderna veniva richiesto il dazio. Allo stato attuale della ricerca è difficile comprendere perché venissero praticate le vie di mezzacosta e soprattutto cosa doveva essere nascosto nel XIX secolo. La progressiva perdita delle contrade di mezzacosta è lenta, nonostante le secolari istanze accentratrici verso la valle, prima dei del Carretto e dei Guerrieri e infine dei Savoia e dei Francesi. Nel XX secolo la ferrovia (cfr. Pareto che non possiede la ferrovia) e la costruzione delle strade di fondovalle hanno ulteriormente velocizzato la scomparsa delle case sparse e delle contrade e definitivamente eliminato l’uso delle strade di mezzacosta.