Portacomaro

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2003
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Astigiano-Basso Monferrato.
Abitanti
1992 (ISTAT 2001).
Estensione
10,94 kmq.
Confini
A nord Calliano, a nord-est Scurzolengo, a sud-est Castagnole Monferrato, a sud, ovest e nord-ovest Asti.
Frazioni
Migliandolo. Nel territorio di Portacomaro sono comprese anche le località di Berruti, Cappelletta, Castellazzo, Cornapò (la più popolosa con 112 ab.), Miravalle, Montà, Sassia, Silva e alcune case sparse.
Toponimo storico
«Corte Commarii» attestato nel 957 (Bordone 1980, p. 124); «Cortacomario», «Cortacomaro», «Cortacomerio», «Cortacomarium», «Corthachomario» dal XII secolo (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 33, 42, 46, 71, 172, 283; Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 486-487, 547-548). Nella prima età moderna il nome è ancora «Cortacomaro», attestato almeno fino al catasto del 1563 (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, Bona Comunitatis Cortacomarii), nel quale, tuttavia, si trova anche uno dei primi cenni alla lectio «Portacomaro» (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, Bona Comunitatis Cortacomarii, c. 5v, «tutto il finaggio di Portacomaro»). Negli atti della visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi del 1585, il luogo è chiamato «Portacomé». Il toponimo storico – come, per esempio, quello di Cortazzone («Curtis Azzonis») – deriverebbe dal termine curtis abbinato al nome di una gens di origine romana (Casalis 1947).
Diocesi
Asti.
Pieve
Secondo il diploma imperiale del 1041 che ha consentito di individuare i contorni dell’influenza della diocesi di Asti sui dintorni, Portacomaro rientrerebbe tra le località ad essa soggette. La dipendenza potrebbe essere spiegata dall’assenza di pievi in loco, a sua volta correlata con il crescente consolidamento dell’abbazia di San Bartolomeo di Azzano che aveva interessi anche in Portacomaro (Bordone 1980, pp. 250-252). Di certo nel 1345 San Martino e San Pietro, le due chiese più antiche di Portacomaro, dipendevano dall’abbazia, ma è dubbia sia la data della loro edificazione sia la loro funzione antecedente (Salerno 2002).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Secondo la datazione proposta dallo studioso A.K. Porter nel 1917, il primo nucleo della chiesa di San Pietro andrebbe datato al 1120; la struttura tuttora visibile e recentemente restaurata, tuttavia, risale al XV secolo (Salerno 2002, p. 148), forse alla prima metà del secolo, se si considerano gli affreschi che ne ornano l’abside (Villata 2001, p. 108). Si dispone, invece, di qualche informazione più precisa per quanto riguarda San Martino: già nel 1247, infatti, essa faceva parte dei beni dell’abbazia di San Bartolomeo di Azzano (Salerno 2002, p. 147), mentre per il 1318-20 si ha menzione dell’«ecclesia Sancti Martini» sita «in posse Chortacomario, ubi dicitur in Monte Gilberto» (o «Montegirberto»), coerente con alcuni vigneti di proprietà dell’abbazia di San Bartolomeo di Azzano e con i beni del «dominus Hameynus de Solerio» (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, p. 488, contratto d’affitto tra l’abate Nicolao Miroglio e il portacomarese Roberto Ferardo, del 12 maggio 1318; Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, p. 548, contratti d’affitto dell’11 e 12 giugno 1320 concessi dall’abate a Enrico Vico). Nel 1345, come si è anticipato, anche San Pietro dipendeva dall’abbazia di Azzano, ma, come San Martino, dopo il XV secolo, divenne sempre più periferica rispetto al nuovo centro del paese. Tra i beni di proprietà della comunità portacomarese menzionati dal catasto del 1533, il primo è una chiesa sita nei pressi della piazza principale e della «via comunis», non altrimenti denominata (AC Portacomaro, Catasto antico, m. 1, vol. 1, c. 10). Non è chiaro se questa possa essere identificata con la chiesa di San Martino, all’epoca ancora attiva, dotata di alcuni beni contigui con la località «ubi dicitur in Canapali» e facente le veci di parrocchia (AC Portacomaro, Catasto antico, m. 1, vol. 1, c. 10). La chiesa è «ora scomparsa, ma ancora localizzabile su un piccolo bricco posto vicino all’attuale cimitero» (Sosso 2000-01, p. 52). Dal catasto successivo del 1563 si apprende invece dell’esistenza di una chiesa dedicata a San Sebastiano sita in località omonima (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, c. 5), nonché dell’attuale parrocchiale, dedicata a San Bartolomeo, di proprietà della comunità (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, c. 16) ed erroneamente attribuita alla fine del XVI secolo (Il Piemonte paese per paese). Nel 1583 San Pietro, cui era stata unita l’ex parrocchiale di San Martino, svolgeva ormai le funzioni di chiesa cimiteriale, totalmente al di fuori dell’abitato; nel 1585, in occasione della visita apostolica di mons. Peruzzi, fu trovata «satis commoda et semper clausa» (AD Asti, Visita Peruzzi, c. 277v). Nel 1836 era ancora in discrete condizioni e di proprietà del comune (Salerno 2002, p. 148); il degrado cui è stata abbandonata fino al recente, parziale recupero è stato frutto di svariati fattori, non ultimo l’ampliamento della strada a valle in direzione Asti (Salerno 2002, p. 242, 249).
A metà Settecento la cura delle anime di Portacomaro continuava ad appartenere alla parrocchiale di San Bartolomeo con un reddito di £ 700 all’anno e un juspatronato della famiglia Berruti (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, Stato della provincia di Asti, c. 6v). Era inoltre funzionante la confraternita della SS. Annunziata, costruita nel XVII secolo nei pressi del municipio e munita di un reddito di £ 30 da impiegare nella celebrazione di 2 Messe settimanali. I beni ecclesiastici immuni presenti sul territorio valevano 1655 lire (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, Stato della provincia di Asti, cc. 21v-22).
Assetto Insediativo
Oltre al «posse Cortacomarii» menzionato nei numerosi contratti d’affitto di campi e vigneti concessi dall’abate dell’abbazia di San Bartolomeo d’Azzano Nicolao Miroglio a vari Portacomaresi (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo), in uno di essi si fa cenno anche alla «villa vel […] castro Cortachomarii» (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, p. 489), con riferimento alla struttura insediativa del villaggio, cinto da mura e dotato di un castello risalente, presumibilmente, al periodo in cui aveva proprietà in loco una famiglia longobarda (Bordone 1980, p. 124). La toponomastica attestata dal catasto del 1533 rende invece conto dei progressivi spostamenti del centro abitato («Villavery» e «Villanova»), del suo sviluppo attorno alla piazza tuttora centrale («Plateam») e dell’esistenza di contrade battezzate con il cognome delle principali famiglie in esse residenti («Lupis», «de Castello») (Sossa 2000-01, p. 21). L’articolazione del territorio dipendente dalla comunità è altresì testimoniata dai numerosi, altri toponimi di cui si ha notizia, relativi sia agli airali («Ayrale Cortacomary», «Ayrale Pissarda», «Ayrale Valinghe», «Ayrale Roxa») sia alle colture o alle (poche) risorse boschive («Canapale», «Castagnetum», ecc.) sia ad altre caratteristiche del territorio (Sossa 2000-01, pp. 22-24). Attualmente gli abitanti di Portacomaro si dividono tra il nucleo del paese, che conserva la forma dell’antico ricetto, gli edifici più recenti, disposti soprattutto lungo la strada di collegamento con Asti, e la sottostante frazione di Migliandolo. Non mancano altre località (Berruti, Cappelletta, Castellazzo, Cornapò, Miravalle, Montà, Sassia, Silva), cascine e case sparse (ISTAT 2001).
Luoghi Scomparsi
Ancora attestate dal catasto del 1533, località come «Torre della Noce» risultano oggi scomparse e non più identificabili (Sosso 2000-01, p. 24).
Comunità, origine, funzionamento
Non si hanno notizie certe in merito all’origine della comunità di Portacomaro. Tra le prime a disposizione si può ricordare la presenza dei testi «dominus Iacobus Anticus et dominus Rodulfus, ambo de Cortacomario» a un contratto di prestito stipulato tra due privati in Asti nel 1237 (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 33). L’anno successivo tal «Nicolaus de Burca de Cortecomerio» dichiarò di aver ricevuto dal «frater Willelmus Garinus de domo Dei» 14 soldi astesi per una sua porzione di terra data in pegno per il pagamento delle doti della moglie (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 42). Nel 1253 un «Rogerius Trenchagula de Cortacomario» fu invece testimone, insieme con il messo comunale di Asti Mignana, di un altro contratto di mutuo tra particolari di Montechiaro (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 71). L’esistenza di una comunità organizzata, però, emerge con evidenza solo in occasione della redazione del catasto del 1533, espressamente richiesto dal consiglio al fine di contrastare l’insolvenza dei cittadini astigiani proprietari di terreni portacomaresi. Tra i beni comunitari in esso censiti si fa inoltre menzione di «turrem unam cum puteo, retro ubi solent congregarii illi de consilio» (AC Portacomaro, Catasto antico, m. 1, reg. 1, c. 10).
Catasti
A.C.P., Mazzo. 1, reg. 1, 1530-33, Registrum loci Cortacomarii; reg. 2, 1563, Bona Comunitatis Cortacomarii; 1608, Registro della comunità et huomini del luoco di Porta Comaro (da restaurare); Catasto formato nel 1682 (mancante); Mazzo 2, 1757, Catasto della comunità.
Ordinati
Completamente mancante la serie di Antico Regime; il primo reg. di Ordinati conservatosi è del 1814 (A.C.P., Mazzo. 92).
Dipendenze nel Medioevo
Nel X secolo «nella zona a settentrione di Asti appare rilevante la presenza di una famiglia longobarda dal patrimonio articolato e sparso tra le adiacenze della città e le ville orientali di Portacomaro e Quarto. Si tratta della famiglia di Gosfredus e del figlio Adalamannus che compaiono in documenti del 980 e del 1003», possibili discendenti di un Edelprandus «de villa Corte Commarii» già attestato nel 957 (Bordone 1980, pp. 124-125, 245). Mentre quest’ultimo, però, avrebbe teso a concentrare i suoi possedimenti in Portacomaro, il discendente Adalamanno avrebbe fatto il contrario vendendoli progressivamente e lasciando così spazio alla crescente influenza del districtus di Asti. È comunque attribuibile all’epoca di dominazione longobarda la costruzione del castello di Portacomaro e di altri dei dintorni, segno della capacità del potere laico di rivaleggiare con quello della Chiesa d’Asti (Bordone 1980, p. 158). Nel 1159, tuttavia, Asti si vide riconoscere dal Barbarossa il controllo di numerose località ad essa circostanti e tra queste quello di Portacomaro, Scurzolengo e Angrisana (Bordone 1980, p. 239). Da allora Portacomaro fu oggetto d’interesse e di dominio dei visconti d’Asti (Bordone 1980, p. 347), nonché di alcune famiglie astigiane. Tra queste i Cacherano, due rami congiunti dei quali, nel 1257, si spartirono i beni posseduti in Portacomaro e Castiglione (AST, Corte, Paesi, Provincia di Asti, m. 19, Divisione seguita tra Franceschino, Rolandino, Oberto et Emanuele f.lli, fu Conrado Cacherano da una parte, et Conradino, fu Guglielmo Cacherano dall’altra de’ beni che, vivendo, tenevano detti Conrado e Guglielmo nei territori di P. e Castiglione). Il defunto Guglielmo menzionato nel documento va probabilmente identificato con il «Willelmus comes de Cortacomario» menzionato tra i testimoni di un contratto di prestito stipulato da alcuni particolari di Caniglie nel 1243 (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 46). Anche gli Scarampi penetrarono in Portacomaro acquisendovi terreni: lo dimostra il testamento dettato da Giacomo Scarampi («qui dicitur de Occhis») del 16 aprile 1274, mediante il quale l’astigiano, confessando di aver indebitamente accumulato 333 lire astesi «de usuris et male ablatis», ne fece dono alla Chiesa d’Asti rinunciando a tutte le «terras et possessiones quas habet in loco et districtu Cortacomarii» e ad altre nei luoghi di «Grixano» e Castellalfero (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 171-172). Nei decenni successivi si affermò a Portacomaro anche il potere dell’abbazia di San Bartolomeo d’Azzano che vi deteneva dei fondi (soprattutto vigneti) affittati ad abitanti del luogo tra il 1318 e il 1321 (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 486-487, 547 sgg.).
Feudo
Si è fatto cenno alla presenza di signori di Portacomaro – domini longobardi e patrizi astigiani – che vi possedettero beni di carattere feudale sin dall’alto medioevo. Dopo un periodo di relativa indipendenza (sempre condizionata, però, dalla vicina Asti), in età moderna Portacomaro, legato al luogo di Quarto, posto sul confine tra contado d’Asti e Ducato di Milano, ne seguì le sorti venendo infeudato nel 1618 al generale delle Finanze sabaude Nicolò Coardi che ottenne il titolo di conte e l’obbligo di trasmetterlo in primogenitura. Nel 1630 Quarto e Portacomaro furono ceduti ai fratelli Lorenzo e Giambattista Novellino dopo essere stati confiscati agli eredi Coardi «in odio e per levata di gaggio», ma anch’essi li persero per fellonia. Il 7 aprile 1643, al termine della guerra civile tra principisti e madamisti, furono donati al controllore generale Alessandro Amico di Castellalfero che però, nel 1655, li ricedette a Domenico Coardi, figlio di Nicolò. Domenico ne fu investito il 23 maggio 1657 e da allora i due luoghi restarono in mano al casato che li trasmise in primogenitura dal 1699 e che, nella persona del cavaliere della Santissima Annunziata Paolo Giuseppe Maria, riottenne il titolo comitale nel 1791 (Manno 1895-1906, vol. I, p. 320, sub voce «Quarto, con Portacomaro»; Casalis 1847).
Mutamenti di distrettuazione
Appartenente al districtus di Asti sin dal medioevo, con il passaggio della città e contado a Beatrice di Portogallo (1531) anche Portacomaro divenne parte del ducato di Savoia, prima nell’ambito del contado d’Asti, poi della provincia di Asti, organizzata a partire dal 1619 (Merlotti 2010). Continuò a farne parte nei decenni successivi, pur assumendo sempre più la fisionomia di un comune indipendente dalla città, come ebbe modo di notare l’intendente di Asti Giuseppe Amedeo Corte di Bonvicino nel 1786:
quasi tutte le comunità che avvicinano questa città, e non poche ancora delle rimote si sono coll’andar del tempo smembrate dal territorio di questa città, e ciò perché se non in favore dell’accresciuta popolazione, e senza compromettermi della più esatta enumerazione farò parola dei luoghi di Sessant, Portacomaro, Quarto, Castiglione, Migliandolo, Vaglierano, San Marzanotto, Antignano ed altri stati tutti distratti dal distretto di questa città (Raviola 2004).
Con l’avvento della dominazione francese nel 1799, la provincia di Asti e con essa Portacomaro fu inclusa nel nuovo dipartimento del Tanaro avente capoluogo ad Alessandria (1799); quindi, nel 1801, fu ricostituita provincia a sé e posta a capo del dipartimento del Tanaro (Sturani 2001, p. 107). In seguito alla Restaurazione e alla riorganizzazione della maglia amministrativa, con Regio Decreto 4 luglio 1837 Migliandolo, sino ad allora comune a sé, venne aggregato a Portacomaro «stante lo scarso numero della popolazione» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, P, m. 20, fasc. 9). Portacomaro, invece, era stato promosso al rango di capoluogo di mandamento nell’ambito della nuova provincia di Alessandria e del circondario di Asti; ad esso facevano capo le località di Castellalfero, Castiglione, Frinco, Quarto, Scurzolengo (Informazioni statistiche 1852, p. 3). Nel 1935, quando il regime fascista decretò la fondazione della provincia di Asti, Portacomaro, data la secolare contiguità con la città, fu naturalmente assegnato alla nuova realtà amministrativa.
Comunanze
Il catasto del 1533 registra l’esistenza di alcuni terreni comuni, coltivi e da pascolo, classificati come «Banderiam» e «Pasquarum» (Sosso 2000-01, p. 24). Oltre a questi, la comunità possedeva una chiesa, una torre campanaria con pozzo presso cui si riuniva il consiglio e alcuni appezzamenti (vigne, canneti, gerbidi) dislocati in varie località: «ubi dicitur in Villaveteri», al confine con le proprietà dell’abbazia di San Bartolomeo d’Azzano; «ubi dicitur in Canapali»; «ubi dicitur in Montepelerino», sul finaggio con Asti; «ubi dicitur ad pratum magnum»; «ubi dicitur ad Valeansirorum»; in località «Intruffarello» e «in Costalonga» (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 1, c. 10). Beni comuni sono registrati anche dal catasto del 1563: tra questi, in primo luogo, la parrocchiale di San Bartolomeo, la torre campanaria, alcuni degli appezzamenti di cui sopra e un forno con due torchi dati annualmente in appalto (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, c. 16).
Liti Territoriali
Vari atti di lite della comunità contro particolari, contro la città e il capitolo della cattedrale di Asti e contro i conti Coardi (AC Portacomaro, mm. 23-27 [1634-1799]).
Fonti
A.C.P. (Archivio Storico del Comune di Portacomaro), riordino e inventario di D. Freylino e M. Parola. Vedi inventario.

A.S.T .(Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, 1754, Relazione generale in tabelle del stato della provincia di Asti;
Corte, Paesi, Provincia di Asti, m. 19;
Corte, Paesi per A e B, P, m. 20.


A.V.A.(Archivio Storico della Diocesi di Asti), Visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi e Girolamo Scarampi (1583-85), c. 277v.
Bibliografia
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«Il più acurato intendente». Giuseppe Amedeo Corte di Bonvicino e la Relazione d’Asteggiana del 1786, a cura di B.A. Raviola, Torino 2004.
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Sturani M.L., Innovazioni e resistenze nella trasformazione della maglia amministrativa piemontese durante il periodo francese (1798-1814): la creazione dei dipartimenti ed il livello comunale, in Dinamiche storiche e problemi attuali della maglia istituzionale in Italia. Saggi di geografia amministrativa, a cura di Ead., Alessandria 2001, pp. 89-118.
Villata E., Affreschi absidali di Santa Maria della Cava, in Montemagno tra arte e storia, Asti 2001, pp. 107-110.
Visita apostolica di Angelo Peruzzi nella diocesi di Asti (1585), a cura di D. Ferro, Roma 2003.
Descrizione Comune
Portacomaro
     Il tratto che caratterizzò la comunità di Portacomaro tra medioevo ed età moderna, con conseguenze importanti anche sulle vicende di epoca contemporanea, è senza dubbio la sua contiguità territoriale con la città di Asti.
L’area su cui sorge, costellata da toponimi recanti «cospicue tracce di romanità» (Bordone 1980, p. 19), risultava già densamente popolata nell’alto medioevo, così come l’intero bacino inferiore della Valle Versa di cui Portacomaro, con Calliano, Perno, Scurzolengo, Grana, Grazzano e altre località, costituiva uno dei centri principali (Bordone 1980, p. 118). Le colline di Portacomaro, poco o affatto boscose, erano già allora adatte alla coltivazione della vite (Bordone 1980, p. 119), che è tuttora il prodotto principale del paese. La disponibilità delle risorse e la vicinanza con Asti favorirono, tra X e XI secolo, lo sviluppo della signoria di una famiglia longobarda cui probabilmente si deve la costruzione del primo nucleo del castello e del villaggio fortificato di Portacomaro (Bordone 1980, pp. 124-125, 245; cfr. il lemma ‘Dipendenza nel Medioevo’). Tuttavia, ampliatosi sempre più il raggio d’influenza del districtus di Asti, con il diploma concesso alla città dall’imperatore Barbarossa nel 1159 Portacomaro e altre località circostanti furono ad esso sottoposte (Bordone 1980, p. 239). Da allora il luogo fu oggetto d’interesse e di dominio dei visconti d’Asti, che vi possedevano alcuni territori (Bordone 1980, p. 347), nonché di alcune famiglie astigiane. Tra queste i Cacherano, due rami congiunti dei quali, nel 1257, si spartirono i beni posseduti in Portacomaro e Castiglione (AST, Corte, Paesi, Provincia di Asti, m. 19, Divisione). Anche gli Scarampi penetrarono in Portacomaro acquisendo terreni: lo dimostra il testamento dettato da Giacomo Scarampi («qui dicitur de Occhis») del 16 aprile 1274, mediante il quale l’astigiano, confessando di aver indebitamente accumulato 333 lire astesi «de usuris et male ablatis», ne fece dono alla Chiesa d’Asti rinunciando a tutte le «terras et possessiones quas habet in loco et districtu Cortacomarii» e ad altre nei luoghi di «Grixano» (Angrisano) e Castellalfero (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 171-172).
Nell’ambito dei processi di ridefinizione del territorio astigiano tra XIII e XIV secolo, Portacomaro risultava anche legato a località limitrofe come Quarto, Castagnole Monferrato e Refrancore: lo provano, per esempio, l’atto con cui, nel 1285, tal «Philipo de Cortacomario, qui stat in Quarto», ebbe in enfiteusi dai canonici della Cattedrale d’Asti un appezzamento di 12 stara sito in Quarto stesso, «ubi dicitur ad rivum de Mirabello», al prezzo di 40 soldi astesi e per un tempo di ventinove anni (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 307, 17 novembre). O, ancora, un atto di vendita del 1284 in cui è menzionato tale «Anselmotus Asparellus de Castagnolis de Monteferato, qui stat in Cortacomario», il quale vendette all’astigiano Pietro Boccono un suo terreno sito «in posse et territorio Rivifrancoris, ibi dicitur in Monteberardo et in Vallinera» (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 282-283, 20 maggio). Poiché il contratto fu stipulato in Asti, «sub porticu Scaramporum», non si può escludere che gli Scarampi, proprietari di beni in Portacomaro, avessero interesse a supervisionare gli affari degli abitanti del paese. Nello stesso periodo, però, il territorio di Portacomaro fu anche soggetto all’influenza di un ente ecclesiastico importante quale l’abbazia di San Bartolomeo di Azzano: ne sono spia i numerosi contratti d’affitto concessi dall’abate Nicolò Miroglio ad alcuni particolari del luogo tra il 1318 e il 1321: nel 1318 egli affittò una vigna per nove anni a «Bunino Mucto et fratribus suis de Cor(tacomarii)» dietro il canone annuo di un terzo dei frutti ricavati; un campo con vigneto «in loco ubi dicitur in Avoglieto» a Guglielmo de Monte, sempre di Portacomaro; un’altra vigna, «iacente in posse Cortachomarii, ubi dicitur in Monte Gilberto, cui coheret ecclesia Sancti Martini», a Roberto Ferardo (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 486-489). Con le stesse modalità, l’11 e 12 giugno 1320, affidò a «Iacobo Bonello de Corthachomario» e a «Henrico de Vicho de Corthachomario» rispettivamente un campo con vigna «iacente in posse Corthachomario, ubi dicitur a Fossatum, cui coherent Rodulfus Mutus […] et predictus Iacobus», e un campo nei pressi di San Martino e una vigna confinante con la chiesa e con i beni del «dominus Hameynus de Solerio» (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 547-548). Per l’abbazia, inoltre, Portacomaro costituiva un punto di riferimento importante, reso tale dai diritti di proprietà vantati sulle locali chiese di San Pietro e San Martino. Non stupisce, dunque, se Portacomaro fu scelto come sede della stipulazione di un contratto tra l’ente ecclesiastico stesso e i coniugi Germano e Beatrice Ramusino, di Scurzolengo, dai quali l’abbazia acquistò alcuni terreni posti in Calliano. I testimoni dell’atto (Melano Ferrario, Guglielmo Barraco e Guala de Monte) erano «omnes de Chortacomario» (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 558-559, atto del 24 febbraio 1321; si vedano anche le schede dedicate a Calliano e Scurzolengo).
Soggetti per decenni alla città di Asti, i Portacomaresi, organizzati in comunità dal XIII secolo almeno, intravidero la possibilità di affrancarsene e di consolidare la propria indipendenza negli anni cruciali delle guerre italiane d’inizio Cinquecento. Il catasto compilato nel 1533, dietro esplicita richiesta presentata tre anni prima al comune di Asti dalla comunità stessa, s’inserisce nel più ampio processo di ridimensionamento del potere della città e contado passati dai Francesi a Carlo V e da questi ceduti, nel 1531, a Beatrice di Portogallo, duchessa di Savoia (Sosso 2000-01; Marcozzi 1997). Già nel 1530, infatti, i consiglieri di Portacomaro Secondino Ferrari, Giovanni Gringa «alias de Bove», Obertino de Barberis, Giovannino Ferrari, Provvido Antonio e Ludovico Pirro e Meilano de Castello, avevano fatto ricorso al podestà di Asti Alessandro Verasi sottolineando che «già più anni passati molti citadini et habitanti ne la città hano comperato et acquistato più et più possesione supra loro podere et hanno diminuito lo registro de epso locho absque non che habiano suportato carigho nessuno né paghato cossa alchuna per esse possessione […] né in la città né manco in esso locho di Cortacomaro» (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, vol. 1, Registrum loci Cortacomari, c. 4, supplica del 18 novembre). La confezione del catasto avrebbe dunque consentito di individuare i terreni appartenenti a cittadini astigiani, a farli tassare secondo le tariffe stabilite dalla comunità di Portacomaro e a ridefinire i confini con la città. Oltre a ciò, il documento costituisce una straordinaria istantanea dell’assetto del territorio portacomarese dell’epoca, offrendo numerosi dati sulle colture, sulla divisione della proprietà e sul consolidamento di un ceto di proprietari non solo astigiani, ma anche oriundi. Secondo calcoli recenti (Sosso 2000-01, pp. 40 sgg.), il territorio di Portacomaro si estendeva allora su una superficie di «mq 5.099,753, ripartiti in 978 appezzamenti dalla superficie media di mq 5.214», la maggior parte dei quali (poco più del 60%) sfruttati policolturalmente (la combinazione più frequente era quella tra vigneto e altra coltura o con prato, bosco, canepale o canneto). I boschi occupavano un’estensione di 527.749 mq, mentre i terreni incolti non superavano i 100.000 (Sosso 2000-01, p. 47). Gli edifici censiti erano per lo più concentrati in paese (nelle località di Villavery o Roxa), ma alcune famiglie avevano proprietà fuori dal concentrico, come i Pirro in località Rupta o i Berruti in Valcastellana (Sosso 2000-01, p. 49). I contribuenti erano divisi in dieci classi a seconda dell’estimo pagato (dalle 14 lire ai 5 soldi): inutile dire che i membri del consiglio (Rovasio, Barberiis, Cametti, Ferrari, ecc.) erano anche i migliori registranti. Tra questi si distinguevano in particolare Battista de Reymondi, luogotenente del podestà astigiano Abellone Pulsavino, e i Pirro (identificati come discendenti dei Pillo menzionati nei contratti trecenteschi con l’abbazia di Azzano) (Sosso 2000-01, pp. 61-62). Alcuni di essi – come i Durnasio, i Bolla, i Buneo, i Saraceni – erano sì di origine astigiana, ma residenti a Portacomaro da tempo; altri, come gli Asinari, i Catena, i Bottonato, i Cotto, erano invece tra gli astigiani proprietari accusati d’insolvenza dai consiglieri.
La redazione di un catasto tanto articolato, in effetti, non ebbe l’esito sperato e a trent’anni di distanza, nel 1563, il vicario del governo di Asti ordinò che ne fosse preparato un altro (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, Bona Comunitatis Cortacomarii, c. 5). Le misurazioni furono effettuate dividendo il territorio in tre «squadre», la prima di 14 giornate (da Pozzo Peschera a Casalonga, Serra di Pessine, Olmazzo, Serra di Bortolotto, Valle di Paniale, via del rivo, pozzo San Martino, Montepirono, San Sebastiano, Valcastellana, Pratorotondo); la seconda di 17 (cappelletta dei Peri, via della Serra, Cerreto, «bricho deli Sarrazeni», Valle di Manera, bosco «de li frati de li Carmi», Castagnetto, Peschera, fontana del Castellazzo, Canapale, Valscura, Prato del Paseno, finaggio con Scurzolengo, Valanzono, bosco di Fazetto) e la terza di 20 («qual tene tuto il finaggio di Portacomaro»). Rispetto al primo catasto, è stata registrata una riduzione del territorio complessivo – da 5.099 mq a 4.627 – con una contrazione degli appezzamenti (da 978 a 585), una conseguente dilatazione della loro estensione nonché una maggiore diffusione dell’uso della policoltura (Sosso 2000-01, p. 40). È ipotizzabile che i tre fenomeni, correlati tra loro, vadano connessi da un lato con la catastazione di alcuni fondi sul registro di Asti (o, addirittura, con la loro mancata registrazione) e dall’altro con il rafforzamento delle famiglie dei principali proprietari portacomaresi (ancora una volta i Ferreri, i Pirro, i de Castello, i Rovasio, i Barberis e alcuni emergenti come i Porcellana). La comunità, in possesso di alcuni campi e gerbidi sparsi sul territorio, disponeva allora anche di «un forno con duoi torghi siti in detta villa, sotto li portici del detto luogo, presso la porta» che, con tutta probabilità, fece mutare il toponimo da Cortacomaro a Portacomaro (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 2, c. 16).
Questi processi coincisero anche con il progressivo spostamento del centro abitato sull’altura su cui si trova tuttora e con l’abbandono delle due antiche parrocchiali di San Pietro e San Martino, riunite sotto una sola cura già al tempo della visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi e adibite a mera funzione cimiteriale (AD Asti, Visita Peruzzi, c. 277v). La nuova parrocchiale, dedicata a San Bartolomeo, fu eretta negli anni di redazione del secondo catasto (che, difatti, rende conto della sua esistenza), a suggello del nuovo assetto della comunità.
Il problema del controllo dei confini e del territorio restò preponderante anche nei decenni successivi: nel 1608 fu redatto un nuovo catasto secondo la misura sabauda (1 giornata=100 tavole), dal quale emergono nuovi proprietari (Mollino, Capusso, Crova), ma non più beni comuni (AC Portacomaro, Catasto, m. 1, reg. 3, agrimensore Secondino Tornero, di Tigliole). A partire dagli anni Trenta del secolo, in seguito all’infeudazione di Portacomaro e Quarto al controllore generale delle finanze sabaude Nicolò Coardi e al depauperamento delle condizioni economiche dovuto alle due guerre del Monferrato, si infittirono le liti della comunità sia contro la città di Asti, alcuni suoi particolari e il capitolo della Cattedrale, sia contro la famiglia dei feudatari, accusati gli uni e gli altri di insolvenza catastale. Ancora una volta gli scontri ruotarono attorno al catasto: nel 1682 ne fu compilato un altro (il quarto in meno di due secoli) che però, come testimonia una supplica del 1693, non fu mai restituito dall’amministrazione municipale di Asti ai Portacomaresi:
narrano il sindaco et agenti della comunità di Portacomaro nell’Astegiana che, nella separatione del luoro registro con la città d’Asti, restò nelle mani d’essa città il cattastro originale, qual non puotendo haver nelli occorrenti per farne fede massime in ocagione di liti con molti particolari d’essa città che dificultano la continuatione del pagamento de’ carighi, prettesto di non esser registrati in esso, si va per tal causa quotidianamente perdendo il registro, et li poveri particolari di Portacomaro restano carigati delle debiture adosateli senza il concorso de’ registranti forestieri, onde restano in necessità d’abandonare (il paese), massime in questi tempi sì calamitosi (AC Portacomaro, m. 23, Atti di lite, vol. 2, Atti di lite della comunità contro la città d’Asti, 1635-1712, cc. non numerate, supplica del 12 marzo).
In effetti, prestando fede agli amministratori di Portacomaro, la comunità era stata tassata per 117 scudi proporzionalmente a un registro del valore di 32 lire, mentre solo 14 erano le lire realmente accatastate «et il residuo resta usurpato da diversi particolari, tanto secolari che ecclesiastici, la maggior parte cittadini d’Asti, essendosi smarito nelle guerre scorse una parte del cattastro originale» (AC Portacomaro, m. 23, Atti di lite, supplica s.d. ma inizio XVIII sec.). Anche le testimonianze raccolte in occasione di una lite con i Coardi insistono ossessivamente sul tema del confine con Asti: per non citare che un esempio, nel 1688 Giacomino Crosa, portacomarese, massaro in una proprietà del conte «et pratico del finagio del medesimo luogo», dichiarò di aver
sempre da mio racordo in qua veduto li termini descritti nel tippo a me presentato, cioò quello di Costalunga, altro della cima del Vareglio, di marmorea, et altro sopra la cassina della Mandola, che non è di pietra, ma bensì vi è un arbore di codogno che serve di termine […] et […] ho sempre sentito dire che erano li termini divisori tra il finaggio di Portacomaro et il finaggio di Asti, come pure ho sentito dire che sono l’istessi […] piantati al tempo che si fece l’atto di termine de’ finaggi della città d’Asti e li luoghi di Portacomaro e altri luoghi […] delli 17 maggio 1623 (AC Portacomaro, m. 26, vol. III, c. 28).
All’epoca della ricognizione del 1754, invece, il territorio comunale non confinava più direttamente con quello di Asti (che attualmente lo cinge per quasi 3/4), bensì con quelli di Castiglione (divenuto autonomo rispetto ad Asti), Agliano, Scurzolengo e Migliandolo (AC Portacomaro, m. 26, c. 42v). Del resto, come osservò l’intendente Giuseppe Amedeo Corte di Bonvicino nel 1786 (cfr. il lemma ‘Mutamenti di distrettuazione’), molte località vicine al capoluogo di provincia, tra cui lo stesso Portacomaro, si erano ingrandite ed erano state «smembrate dal territorio di questa città» anche a seguito del processo di ridefinizione dei confini già evidenziato per i secoli XVI e XVII.
Nel 1754, comunque, Portacomaro contava 641 abitanti, suddivisi in 136 fuochi, e la sua giurisdizione continuava a essere del conte Carlo Cesare Coardi, residente a Torino. La dipendenza da Asti era non era venuta meno ed era soprattutto di natura economica, dal momento che «per dieci mesi dell’anno due terzi degli abitanti si portavano fuori delle loro case» e nei pressi della città per prestare manodopera come braccianti agricoli. A livello locale, infatti, difettavano sia attività di carattere proto-industriale (si contavano appena 4 «fornaletti da seta» e 3 telai) sia fiere e mercati che potessero garantire ai Portacomaresi la possibilità di acquistare o vendere i prodotti della loro terra (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, Stato, cc. 6v, 33v-34). Il luogo non distava eccessivamente dal Genovesato – 35 miglia – ma l’economia locale si basava quasi esclusivamente sulla produzione vitivinicola: di 2000 giornate che all’epoca componevano il territorio comunale, ben 1400 erano adibite a vigneto; il resto era frazionato tra campi (250 giornate), boschi (150), pascoli e prati (100 in entrambi i casi). La produzione cerealicola di quegli anni ammontava comunque a £ 19.905; altre 25.780 lire provenivano dalle altre colture e di queste 18.000 erano il ricavato della vendita delle 600 carra di vino prodotte. Se il vino era sovrabbondante, mancavano invece barbariato, meliga e marzaschi vari per un costo complessivo di 8380 lire (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, cc. 42v-43, 49, 55, 67). Dal punto di vista fiscale, Portacomaro pagava un tasso di £ 3096, 646 lire di cotizzo e alcuni censi annui al vassallo del luogo «per diritto signorile di forno e torchio da vino ceduto alla comunità» (Coardi vantava all’epoca un credito di £ 750). L’allevamento, come in altre località limitrofe, era scarsamente praticato e gli abitanti, complessivamente, disponevano di 22 paia di buoi, 70 di vacche da giogo, 207 manzi, 15 ovini, 3 cavalli e 6 asini (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 1, cc. 83v-84, 92v-93).
Tre anni più tardi, sia in ossequio alle disposizioni regie posteriori alle ricognizioni di quegli anni sia per via del radicamento delle antiche ruggini con Asti, fu realizzato un nuovo catasto ad opera del misuratore della città Petrino Musso (AC Portacomaro, Catasto, m. 2, 1757, Catasto della comunità). Qui la comunità torna a risultare proprietaria di alcuni beni comuni tra terreni (50 tavole di campo e gerbido in reg. Salera; 86 tavole di campo e vigna in reg. Pareto; 27 tav. di prato e pascolo in reg. del Rivo; 85 tav. di campo e gerbido in Costalonga) e fabbricati (la parrocchiale, la canonica, la chiesa della confraternita dei Battuti, la casa del comune e il «giuoco del pallone») (AC Portacomaro, Catasto, m. 2, c. 18). Vari i possedimenti degli enti ecclesiastici (AC Portacomaro, Catasto, m. 2, cc. 18v-59, cc. 84 sgg.): dalla parrocchia di San Bartolomeo (90 tav. di vigneto in reg. Bausola e 32 di campo e gerbido in loc. La Fornace, oggi sotto Asti) alle locali compagnie del Corpus Domini, del Rosario e della SS. Annunziata; da numerosi istituti astigiani (la Cattedrale, la confraternita di San Rocco, le monache di Sant’Anastasio, le madri del Gesù, la parrocchia di San Silvestro, i Padri di Sant’Agostino, di Santa Caterina, di Santa Maria Nuova e della Consolata) a vari prelati titolari di benefici e prebende, compreso il canonico Riperti le cui proprietà sono state oggetto di un recente studio (Sereno 2002). Il maggior registrante, però, era il conte Coardi che aveva in tutto 28 giornate tra campi, vigneti, gerbidi e prati. Per il resto la proprietà era ancora piuttosto frammentata, divisa tra le famiglie già ricordate e altre emergenti come gli Arri, i Cossetta, i Durando, i Nebiolo, i Raviola, i Rosso, i Truffa.
Nel frattempo, dal punto di vista cultuale, pur restando saldo il legame tra la comunità e la parrocchia di San Bartolomeo, erano sorte una confraternita di Disciplinanti, le menzionate compagnie del Corpus Domini, del Rosario e dell’Annunziata (Parola 1999, pp. 23, 27) e, nel 1720, la locale congregazione di carità, patrocinata dal feudatario e dal consiglio comunale dominato dal casato dei Berruti. Questi ultimi godevano anche del diritto di juspatronato sulla parrocchiale (AC Portacomaro, m. 28, vol. II, 1720, Atti concernenti lo stabilimento d’una congregatione di carità). Nel corso del XIX sec. queste associazioni devozionali e in particolare la confraternita dell’Annunziata ebbero nuovo impulso e furono riorganizzate secondo cerimoniali piuttosto rigidi che prevedevano anche un periodo di noviziato dei confratelli (Parola 1999, pp. 31, 117-118). Un’attenta analisi dei membri consentirebbe di individuare con maggior precisione la piccola élite locale composta in particolar modo dai proprietari terrieri che, ancora nell’Otto-Novecento, continuarono a essere molteplici, ma sempre più radicati in zone precise del territorio comunale (Casalis 1847, p. 42). Si prenda il caso dei Berruti che finirono con il dare il nome a una regione di Portacomaro tuttora esistente.
Sempre nell’Ottocento fu ricuperato e migliorato il rapporto con Asti al fine di potenziare l’economia del paese: si iniziò, non senza conflitti, negli anni Venti con la costruzione di una nuova strada di collegamento con la città (AST, Corte, Paesi per A e B, P, m. 20, fasc. 3) e si continuò tra il 1839 e il 1840 con la prosecuzione della Asti-Casale, ritenuta particolarmente utile dal comune di Portacomaro per via del «pessimo stato in cui si trovano le proprie strade comunali» e della «necessità di portar alle sue comunicazioni un qualche miglioramento pel più facile smercio de’ vini in cui consiste il principal prodotto territoriale» (AST, Corte, Paesi per A e B, P, m. 20, fasc. 11). A tal proposito, nel 1838, pagando 50 lire, la comunità aveva ottenuto il permesso di tenere una fiera nel giorno successivo alla festa patronale di San Bartolomeo (AST, Corte, Paesi per A e B, P, m. 20, fasc. 10). Costituito capoluogo di mandamento, arricchito territorialmente dall’annessione di Migliandolo e infine collegato con Asti dalla ferrovia – anche se, si badi, «Portacomaro stazione» era ed è frazione di Asti –, tra Otto e Novecento Portacomaro fu contraddistinto da un buon incremento demografico. Nel 1839 aveva 1464 abitanti, suddivisi in 301 nuclei familiari (Informazioni statistiche 1839, p. 27). Nel 1848 la popolazione era aumentata fino alle 1582 unità (Informazioni statistiche 1852, p. 3). Nel 1881 contava 2306 ab. legalmente residenti, suddivisi tra il paese (933 unità) e le frazioni di Sassia (315), Buffetto (574) e Migliandolo, un tempo comune a sé e ridotto a frazione di Portacomaro nel 1837 (484 ab.) (Censimento 1883, p. 8). Nel 1901 Portacomaro raggiunse le 2722 unità, ripartite tra il paese, Migliandolo e alcune case sparse (Censimento 1902, p. 8, non menzionate qui le loc. Sassia e Buffetto). Nel 1911 gli abitanti erano 2749 (Censimento 1914), 2751 dieci anni più tardi (Censimento 1927). Una prima flessione fu registrata nel 1931, con 2469 ab. complessivi (Censimento 1933). Vent’anni dopo gli effetti della guerra, dell’incipiente meccanizzazione dell’agricoltura e dell’emigrazione verso i centri urbani o l’estero portarono la popolazione a scendere alle 1610 unità, suddivise tra il paese, Migliandolo, Cornapò, Silva e le località di Bodina, Miravalle e Sassia (Censimento 1955). Secondo i dati dell’ultimo censimento, la popolazione è cresciuta dai 1848 ab. del 1991 ai 1992 abitanti attuali, 721 dei quali residenti in Portacomaro, 112 nella fraz. di Cornapò, 84 in quella di Migliandolo (l’unica a essere amministrativamente riconosciuta) e i restanti nelle località di Berruti, Cappelletta, Castellazzo, Miravalle, Montà, Sassia e Silva (ISTAT, 2001).
L’economia attuale, ancora prevalentemente agricola, si basa soprattutto sulla produzione di vino grignolino.