Castelletto d'Erro

AutoriGiana, Luca
Anno Compilazione2002
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Alessandria.
Area storica
Vescovado acquese.
Abitanti
167 (ISTAT 1991).
Estensione
4,71 Kmq (ISTAT 1991).
Confini
Confina a nord con Bistagno (AL), a est Melazzo (AL), a sud Cartosio (AL), a ovest Montechiaro (AL) e Ponti (AL).
Frazioni
Bricco, Moglie.
Toponimo storico
Nelle fonti di età medievale il toponimo è molto spesso presentato senza maggiori qualificazioni geografiche (“Castelletum”, es. B. S. S. S. 39, doc. 6 del 1080); questo fatto rende molto spesso difficile una precisa identificazione con la località interessata e, di conseguenza, l’acquisizione di notizie a riguardo. Forse la si può identificare con “Castelletum aquensis” (cfr. Savio 1967, 3 vol.). Fino alla fine del XIX secolo si trova la forma Castelletto Valderro.
Diocesi
Acqui.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nel 1327, il vescovo di Acqui approva l’acquisto delle decime di Castelletto da parte del capitolo della chiesa di S. Maria di Savona (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 500, n. 73). La parrocchia è intitolata alla Beata Vergine Annunziata, possiede due altari: uno maggiore e l’altro intitolato a S. Antonio da Padova, patronato di Tommasini Panaro (1614). Sono registrate già nel 1665 altre tre chiese: la chiesa di S. Rocco, oratorio dei Disciplinanti, la chiesa di S. Anna e la chiesa di S. Onorato. L’oratorio possiede un reddito di un sacco e mezzo di castagne che viene destinato al Monte di Pietà, anche le elemosine raccolte dai Disciplinanti confluiscono nell’opera pia gestita dai priori della Compagnia. La cappella di S. Anna, di proprietà di Enrichetto Panaro, ha una piccola rendita mentre la cappella di S. Onorato non possiede né rendita né cappellano ma è di proprietà della comunità.
La relazione parrocchiale del 1728 ci informa sullo stato delle due chiese campestri. La chiesa di S. Onorato viene interdetta al culto perché diroccata mentre solo la chiesa di S. Anna continua a dare un reddito a Domenico Panaro “di uno staro di grano e fitto di una pezza di terra”. Si tratta di un terreno posto a pian di Forfo in affitto a Michele, figlio di Domenico Panaro (A. S. V. A., Castelletto d’Erro, Parrocchia della S. S. Annunziata, fald. 1, cart. 2, fasc. 1).
Non sembra che la comunità dimostri particolare interesse per gli investimenti in devozione, infatti la chiesa di S. Onorato, amministrata dalla comunità, viene abbandonata.
Le compagnie presenti in parrocchia, quella del SS. Sacramento e del S. Rosario, si riducono, nel 1823, alla sola Confraternita dei Disciplinanti che ha sede nell’oratorio di S. Rocco.
È utile osservare che, già nella prima metà del XVII secolo, a parte il parroco, non sono presenti altri sacerdoti o altri chierici.
Luoghi Scomparsi
Tra le località menzionate dai dati ISTAT del 1951 viene censita la popolazione della frazione Cotti, scompare invece nei censimenti recenti.
Comunità, origine, funzionamento
Non si riscontra nessuna attestazione dell’esistenza di una comunità organizzata fino al 1324, data dell’accordo stipulato tra il vescovo di Acqui Oddone con gli uomini di Castelletto circa le taglie che questi devono versare (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 722). Ancora nel 1343 si ha notizia di un console e di sindaci comunali in occasione del recupero di Castelletto sotto il controllo del vescovo di Acqui (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 298, n. 292).
Dipendenze nel Medioevo
Nel 1205 la località è occupata dagli alessandrini per due anni, quando l’intervento di Milano porta a una pacificazione e all’attribuzione del feudo al vescovo di Alessandria (Casalis 1833-56). Tuttavia, verso il 1208, il luogo risulta di pertinenza della chiesa d’Acqui, come sappiamo da una notizia molto vaga circa alcuni diritti, non specificati, di Castelletto e altri luoghi (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 719). Pochi anni dopo (1220 e 1223) è da Castelletto che il vescovo di Acqui Anselmo autentica alcuni diplomi pertinenti la chiesa acquese e dirime una causa tra il capitolo cattedrale e il monastero di S. Pietro di Acqui (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 648, lin. 45; col. 174, n. 162-64).
Feudo
Nel 1169 alcuni abitanti di Castelletto donano il castello e la città con tutte le pertinenze ad Alessandria (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 68, n. 52); dal documento non risultano né il motivo né se gli otto donatori operino in qualità di rappresentanti della collettività.
Durante il Trecento Castelletto risulta infeudata ai marchesi di Monferrato dal vescovo, sebbene la città e il castello siano spesso occupati da altri signori locali in lotta con quest’ultimo, come nel caso di Alessandro Asinari (1333 ca.): questo fatto provoca un richiamo da parte del vescovo Oddone verso Teodoro, in teoria impegnatosi a difendere la città dai nemici episcopali (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 283, n. 282). Nel 1340 ha luogo una nuova investitura da parte del vescovo a Giovanni del Monferrato, a semplice conferma del più antico legame di dipendenza marchionale verso la chiesa acquese per alcune località (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 288 n. 285). E ancora pochi anni dopo (12 novembre 1343 A. S. T. Corte, fondo Monferrato, mazzo 7) il nuovo vescovo stipula un accordo con i marchesi del Carretto per riappropriarsi del castello e della città di Castelletto, da questi detenuti ingiustamente, nonostante una precedente sentenza arbitrale. Come conseguenza di tale recupero, il vescovo ordina subito agli abitanti di Castelletto di versare esclusivamente alla mensa episcopale ogni tipo di imposta (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 296, n. 291 e col. 298, n. 292). Nel 1383 sempre il vescovo commenda il castello di Castelletto, con la giurisdizione annessa, a Teodoro marchese del Monferrato, trattenendo per sé, tuttavia, il ricavato derivante dai beni della chiesa nel luogo suddetto, ad esclusione di ciò che serve al marchese per la difesa (Moriondo 1789-90, vol. 1, col. 374, n. 355).
Nel 1435 entra a far parte del dominio sabaudo con il trattato di Torino e la sottomissione del marchese di Monferrato al duca (Casalis).
Infine è conservata l’investitura di una porzione del feudo di Castelletto nel documento con in quale il Duca Emanuele Filiberto concede a Bartolomeo Scarampi alcune porzioni di Montaldo, Saleggio, Castelletto, Gorrino, Denice e 1/8 di Roccaverano (9 aprile 1543, A. S. T. Corte, fondo Confini Monferrato).
Mutamenti di distrettuazione
Castelletto d’Erro, nel 1205, viene conquistata dagli Alessandrini, ma il 9 agosto 1207, in seguito alle spartizioni scaturite dalla pace tra Acqui e Alessandria, ritorna al vescovo di Acqui. Il 2 agosto 1320 in Acqui, il vescovo Oddone investe Castelletto d’Acqui a Giovanni, marchese di Monferrato.
Castelletto è poi nuovamente vittima delle truppe di Alessandro Asinari che lo conquista nel 1332. Il 17 gennaio 1343 Oddone, vescovo di Acqui, presenta a Teodoro, marchese di Monferrato, un richiamo contro Alessandro Asinari per l’occupazione di Castelletto ricordando che il luogo è un feudo monferrino, insieme ai castelli di Bistagno, Castelletto e Roncogennaro (Moriondo, 1789-90). È in questo frangente che il vescovo di Acqui, Guido II, si erge a difensore di Castelletto e fa sentire la sua presenza comandando alla comunità di non versare tributi ad altri se non a lui. Castelletto era infatti conteso dagli Asinari e dai Del Carretto: è documentata una lite giurisdizionale per il possesso di Castelletto tra i Del Carretto di Ponti e gli Asinari. Gli Asinari si assicurano stabilmente il controllo di Castelletto quando, nel 1435, viene annessa al Regno dei Savoia
Nel 1730 viene istituita la provincia sabauda di Acqui attiva fino al 1798. Castelletto seguì le vicende di tutti i comuni della zona adiacente la Val Bormida di Spigno: nel periodo napoleonico, in un primo momento, fu inserito nel dipartimento del Tanaro e, successivamente, nel dipartimento di Montenotte. L’Editto Regio del 27 ottobre 1815 decretò la costituzione della provincia di Acqui divisa in quattro cantoni: Ponzone, Pareto, Bistagno e Roccaverano. Castelletto d’Erro fu inserito nel cantone Bistagno con Montabone, Ponti, Rocchetta Palafea e Sessame. La provincia di Acqui gravitava nella Divisione di Alessandria, ricostituita dal Regno di Sardegna nel 1819, dopo il periodo napoleonico. Il riordino amministrativo del Regno di Sardegna del 1848 fece confluire parte della provincia di Acqui nella provincia di Savona. Castelletto d’Erro rimase stabilmente legata alle sorti di Acqui. A partire però dal 1860, il Regno di Savoia ristruttura nuovamente l’assetto amministrativo della zona e buona parte della provincia di Acqui viene smembrata e distaccata nella provincia di Alessandria. Tra i luoghi di pertinenza della provincia di Alessandria troviamo proprio Castelletto d’Erro.
    
In anni recenti ha aderito alla Comunità Montana Alta Valle Orba, Erro e Bormida di Spigno, dal 2005 denominata Comunità Montana “Suol D'Aleramo”.

 
Mutamenti Territoriali
Non abbiamo a disposizione i catasti antichi che potrebbero informarci sulle mutazioni territoriali e pertanto non ci sono dati a riguardo. Piccole modifiche sono riscontrabili nelle misurazioni dei dati ISTAT tra il 1961 (superficie del comune 4,71 Kmq) e il 1921 (superficie del comune 5,95 Kmq).
Comunanze
Nessuna notizia.
Fonti
Le fonti locali a disposizione sono scarse. L’archivio comunale possiede una raccolta di carte antiche: quasi tutti ordinati comunali di fine Ottocento e primi del Novecento; non è stato possibile invece rinvenire materiale più antico. In particolare sono conservati i registri scolastici e alcuni atti di lite con la parrocchia.
I documenti dell’archivio di Stato di Torino conservano soprattutto le investiture e i diplomi a partire dalla metà del XII secolo ma non conservano documentazione sull’età moderna.
Non ci sono notai che rogano in Castelletto d’Erro e che abbiano depositato le carte presso l’archivio di Alessandria.
L’impressione è che il luogo, fortemente strategico nel Medioevo, abbia perso la sua importanza nel corso dei secoli. Non a caso, all’inizio del XIX, secolo il castello era già da tempo diroccato e abbandonato, forse perché fuori dai percorsi commerciali (Chabrol 1824, p. 332).
Bibliografia
Acqui Terme, Statuta vetera civitatis Acquis, ed. critica 1971.
A. Arata, I mansi di S. Quintino: le origini delle strutture insediative nelle Langhe tra le due Bormide, in <<R. S. A. A. Al. At. >>, C (1991), pp. 85-106.
G. Balbis, Val Bormida medievale. Momenti di una storia inedita, Cengio 1980.
F. G. Bigliati, Feudi e comuni nel Monferrato e le vicende storico - giuridiche di Pareto e Pontinvrea, Casale 1897.
Carte dell'archivio comunale di Voghera, Pinerolo 1909 (B. S. S. S. 49, 39, 51, 52).
F. Chabrol de Volvic, Statistique des provinces de Savona, d’Oneille, d’Acqui et de partie de la province de Mondovì, formant l’ancien département de Montenotte, Paris 1824 (2 vol.).
L. Fontana, Bibliografia degli statuti dei comuni dell’Italia superiore, Torino 1907 (3 vol.).
F. Guasco di Bisio, Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911 (B. S. S. LV).
A. Manno, Il patriziato subalpino. Notizie di fatto, storiche, genealogiche, feudali e araldiche desunte de’ documenti, Firenze 1859-1906.
R. Merlone, Sviluppo e distribuzione del patrimonio aleramico (sec. X e XI), in <<B. S. B. S. >>, XC (1992), pp. 635-689.
G. Murialdo, La fondazione del “burgus Finarii” nel quadro possessorio dei marchesi di Savona, o del Carretto, in <<Rivista Ingauna e Intemelia>>, n. s. XL (1985), nn. 1-3, pp. 32-63.
S. Origone, Un’unità territoriale bizantina: il basso Piemonte nel secolo di Giustiniano, in Atti del convegno: Gavi tredici secoli di storia in una terra di frontiera, Gavi 2000.
R. Pavoni, L’organizzazione del territorio nel Savonese: secoli X – XII, in Le strutture del territorio fra Piemonte e Liguria.
L. Provero, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici (secoli XI-XIII), Torino 1992 (B. S. S. CCIX).
F. Savio, Gli Indici aggiunte e correzioni, in G. B. Moriondo, Monumenta aquensia (rist. anastat.), Bologna 1967, parte III.
G. Soldi Rondioni, Il Monferrato. Crocevia politico, economico e culturale tra Mediterraneo ed Europa, Atti del convegno internazionale, Ponzone, 9-12 giugno 1998, Ponzone 2000, pp. 15-56.
A. Torre, Il consumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dell’Ancien Régime, Venezia 1995.
Descrizione Comune

Castelletto d'Erro

     I dati ISTAT del 1991 mettono in evidenza che ci troviamo dinanzi ad un comune scarsamente popolato nel centro e nelle frazioni in quanto la maggior parte degli abitanti è stanziata nelle case sparse (167 abitanti complessivi di cui 15 nel centro, 25 in località Bricco, 13 in località Moglie e 114 nelle case sparse). Anche in questo caso i dati tra le due guerre fanno registrare la punta massima di popolazione con 500 abitanti circa. Calano però già di circa 200 unità nel dopoguerra (385 abitanti nel 1951).
La popolazione, attestata tra le 400 e le 500 persone nella seconda metà dell’Ottocento (482 abitanti nel 1881 Censimento della popolazione Del Regno d’Italia), è molto inferiore nella prima metà del XIX secolo: Chabrol stima 266 abitanti in epoca napoleonica (Chabrol 1824, p. 332). Si potrebbero utilizzare i dati riportati dalle relazioni parrocchiali, ma non sappiamo con esattezza se le due istituzioni, comune e chiesa, avessero la stessa estensione, per poter incrociare questi dati con quelli ISTAT. Le relazioni parrocchiali, comunque, confermerebbero i risultati dei dati ISTAT (A. S. V. A., Castelletto d’Erro, Parrocchia della S. S. Annunziata, fald. 1, cart. 2, fasc. 1)
Le stime del dopoguerra corrispondono a quelle della popolazione presente nel 1728 (la parrocchia censisce 308 anime), riportano poi un calo fino alle 266 persone censite da Chabrol e confermate nel 1838 dalle 298 anime contate dal parroco. Anche i dati parrocchiali del 1927 e del 1932 rilevano il picco massimo di popolazione, confermando la presenza di oltre 500 persone (500 nel 1927 e 527 nel 1932), per poi ribadire la drastica diminuzione del 1967 (230 anime).
La relazione del parroco del 1967 chiarisce le motivazioni che inducono gli abitanti della parrocchia a vivere sparsi nella campagna: sono tutti agricoltori e piccoli proprietari. Questa vocazione agricola del luogo è attestata anche da Chabrol (Chabrol 1824, p. 332) che descrive Castelletto come un territorio per metà coltivato a campi, vigne e boschi di castagno per l’altra metà lasciato a rocce e rovi. Risalendo alla metà del XVIII secolo, il rilevamento di Chabrol viene confermato dalle “Consegne dei focolari fatte dalli vassalli e dalle comunità dei Feudi Imperiali e delle Langhe, per un Imposto a medesimi feudi e comunità nominati nel manifesto camerale delli 29 maggio 1743” (A. S. T. Camerale, art. 534), in cui si descrive Castelletto nel sommario dei focolari: “poveri, solvendi e mediocri n. 5, poveri 4, miserabili e mendicanti 6”. Occorre ovviamente tener presente che le categorie “miserabili” e “poveri” sono immuni dal pagamento dell’imposta, che ammonta in totale a 33 lire, 8 denari e 6 soldi.
Non abbiamo una documentazione sufficiente per esplorare le vicende di Castelletto in epoca moderna, ma dai pochi indizi che si hanno sembra che il periodo di massimo splendore risalga al Medioevo. In epoca moderna probabilmente Castelletto rimane fuori dalle rotte sia del commercio regolare che di contrabbando. Lo si deduce da una nota della relazione parrocchiale del 1728 che testimonia l’assenza a Castelletto di osterie e di forestieri di passaggio.
Anche gli investimenti devozionali sembrano deludenti: troviamo infatti una chiesa in rovina già a partire dal XVII secolo, e l’estinzione di ben due confraternite. Ciò che viene descritto nelle relazioni parrocchiali è un “luogo tranquillo” in controtendenza con quanto riscontrato negli altri comuni adiacenti: non ci sono infatti particolari scandali, anche l’archivio vescovile non conserva documentazione inerente liti o disordini.
L’unico scandalo, riportato nella relazione del 1872, è la presenza del ballo pubblico alla festa patronale di S. Andrea, ciò non crea comunque disordini.
Le relazioni parrocchiali del Novecento, in particolare quelle del dopoguerra, denunciano un isolamento prolungato della popolazione legata ai lavori agricoli. Il parroco si dichiara preoccupato per il forte esodo domenicale che porta i giovani ad incontrare le “perversioni della città”, senza la doverosa educazione. L’educazione è contrastata da un atteggiamento “tradizionalista” che non permette al parroco di educare i parrocchiani. L’unica attività sociale che il parroco sembra riuscire a compiere è partecipare alle riunioni dell’associazione agricoltori. Di fatto il tradizionalismo lamentato dal parroco è l’attaccamento dei parrocchiani alle feste comunitarie religiose ma il rifiuto delle altre attività parrocchiali. Pertanto i momenti religiosi comunitari vengono tradizionalmente osservati e forniscono identità, ancora nella seconda metà del XX secolo, alla sempre più piccola comunità.
L’isolamento lamentato dal parroco in cui vivono i suoi parrocchiani è confermato da una nota relativa all’elezione del consiglio comunale di fine Ottocento. Il parroco, in lite con il comune perché gli viene negato l’obolo per la lampada del Santo Spirito, denuncia il sindaco presso la prefettura di Acqui, in quanto i consiglieri sono quasi tutti suoi parenti stretti. Il prefetto non accoglie la denuncia del parroco in quanto reputa impossibile che a Castelletto si trovino anche solo cinque persone che non siano in qualche modo imparentate tra loro. La lite per il pagamento dell’olio della lampada viene vinta dal parroco (don Simone Cerruti) mentre il sindaco (Gio Batta Moretti) si trova condannato a sborsare 980 lire per i trent’anni di arretrati che il comune doveva pagare alla parrocchia (A. C. Castelletto d’Erro).