San Martino Alfieri

AutoriLombardini, Sandro
Anno Compilazione2003
Provincia
Asti
Area storica
Astigiano. Vedi mappa.
Abitanti
705 [censimento 1991]; 704 [censimento 2001].
Estensione
736 ha. [ISTAT] / 728 ha. [SITA].
Confini
Antignano, Costigliole d’Asti, Govone, San Damiano d’Asti.
Frazioni
Casà, Fagnani, Firano, Marelli, Pero, Quaglia, Ripasso, Rollini, Saracchi. Le fonti ISTAT (1991) segnalano la presenza di: un “centro” insediativo, che raccoglie poco meno della metà della popolazione, mentre cinque “nuclei” ne raccolgono complessivamente poco più di un terzo; poco meno di un quinto della popolazione risiede in “case sparse”. Vedi mappa.
Toponimo storico
Sancte Martine (da Sanctus Martinus) è attestato nel 1029. Toponimo frequente nella documentazione tardo medievale è “San Martino di Govone”; in quella amministrativa sabauda dell’età moderna, “San Martino in Asteggiana”. San Martino al Tanaro dal 1863; San Martino Alfieri dal 1898 [A.S.T., Corte, Paesi, Provincia di Asti, Mazzo 22; Bordone 1976, p. 133; Fissore 1973, pp. 496-99; Gabotto 1904, doc. 162; Ministero 1889, p. 4; Ministero 1900, p. 7].
Diocesi
Asti.
Pieve
Sulla base di una documentazione risalente al 964, è stato ipotizzato che la chiesa di San Martino rientrasse, insieme a quella di Govone, in una circoscrizione plebana facente capo a San Giovanni di Antignano. Forse a causa di una frattura nell’antica distrettuazione plebana, la dipendenza di San Martino da San Giovanni non risulta documentata dopo l’anno 1165, quando il vescovo di Asti cedette al monastero cittadino dei Santi Apostoli, insieme ad altri beni, la chiesa antignanese, che, durante il secolo XII, decadeva dall’antico rango plebano (pur conservando le dipendenze di Cassiano e Calliano sul territorio di Govone) [Bordone 1980a, pp. 253-55; Bosio 1894, pp. 514-18; vd. anche scheda Govone].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Vi sono indizi che la decadenza del distretto plebano di San Giovanni sortisse, per mano dell’episcopato astese, una varietà di destinazioni delle chiese che ne erano state dipendenti. Sull’attuale territorio comunale l’antica chiesa di San Martino, divenuta possesso dei canonici di regola agostiniana della chiesa astigiana di Santa Maria Nuova, fu sede di culto ordinaria con cura d’anime. Aveva statuto parrocchiale durante l’età della Controriforma, quando, affidata a un canonico rettore, godeva di consistenti rendite in natura e in denaro per un valore totale stimato in cento scudi d’oro, mentre la presenza di una casa canonica garantiva la residenza del parroco.
     All’epoca della visita apostolica di Angelo Peruzzi nel 1585, la chiesa risultava ornata di altari all’interno e dotata di un ricco arredo liturgico, il pavimento fittamente popolato di sepolture e di avelli, mentre. una condivisione di obblighi con gli abitanti (hominum dicti loci) assicurava gli approvvigionamenti di olio per il lume tenuto accesso davanti all’eucaristia. Nondimeno, la chiesa fu giudicata dal visitatore diroccata (ruinosam ac destructam), donde l’ordine di costruzione di un nuovo edificio (ecclesiam novam megliori forma constructam), da erigersi con divisione delle spese tra canonici e parrocchiani. Verso la metà del secolo XVIII, la nuova chiesa, completata sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie e ancora officiata dai canonici di Santa Maria Nuova, che erano stati sostituiti da regolari lateranensi, risultava dotata di un patrimonio di oltre 65 giornate di beni “immuni”(fiscalmente esenti), da cui derivava ogni anno il reddito, piuttosto cospicuo, di £650, cui si aggiungevano £600 annue di redditi “incerti”, in buona parte sotto forma di diritti di decimazione. Riedificata in forme neoclassiche nei decenni finali del secolo XVIII sotto il patronato e gli auspici del marchese Carlo Emanuele Alfieri, con un “ampio coro” e cappelle laterali (giudicata peraltro “meschina” da un osservatore ottocentesco quale G. S. De Canis), la chiesa assunse la titolatura di San Carlo e Santa Maria (attualmente Santi Carlo e Maria).
     Tra gli edifici di culto minori della decaduta circoscrizione plebana, alcuni furono oggetto di donazioni, altri divennero cappellanie del Capitolo cattedrale tra il tardo medioevo e la prima età moderna. Già nel 1056, in territorio Sancti Martini, la chiesa di San Giorgio de Casallo era stata donata insieme con due mansi e le rispettive decime dal vescovo Girelmo all’abbazia di Sant’Anastasio di Asti. All’epoca della Controriforma, quando, nel 1585, il visitatore apostolico uscì da Antignano per volgere verso San Martino ([c]um versus terram S.ti Martini proficis[c]eret), incontrò (invenit) la minuscola cappella campestre di San Giovanni (campestris et valde parva), priva di beni fondiari; quindi quella di Santa Maria di Morignano, completamente diroccata (tota aperta devastata et ruinosa), ma dotata di un reddito annuo pari a 16 scudi d’oro. Giunto poi sul territorio di San Martino (in finibus S.ti Martini), visitò la ecclesiam simplicem, o cappella, di San Gregorio, scoperchiata e ricoperta di edera (discoopertam; parietes [...] ab arboribus hedere devastati), cui però il rettore della parrocchiale attribuiva beni piuttosto consistenti (bona [...] satis pinguia), occupati e sfruttati, forse abusivamente, dal ramo dei Solaro consignori di Govone.
     La circoscrizione parrocchiale di San Martino, all’epoca della visita apostolica cinquecentesca, non era limitata al concentrico, ma comprendeva una maglia insediativa alquanto più ampia (cura ipsa se extendit per vias arduas et difficiles, propter domos rurales et longiquas). Qui l’accompagnamento del viatico, che contribuiva a definire i contorni stessi della giurisdizione parrocchiale, prevedeva una stretta complementarietà di ruoli tra il sacerdote e i numerosi (multis) membri laici della Compagnia del Corpus Domini: mentre il primo recava all’infermo “due o tre” ostie sia all’andata sia al ritorno, onde assicurare alla chiesa una reciprocità di “onore” (eodem honore quo accessit ad infirmum, eodem revertitur ad ecclesiam), gli altri accompagnavano processionalmente il sacerdote con abbondanti luminarie (duodecim luminibus ad minus). Ospitata nella parrocchia, la compagnia adottava un sistema di finanziamento per collette (Nullos redditus habet certos, sed solummodo eleemosinas partim inter se collectas et partim collectas ab iis qui aliquem defunctum sepelire volunt) e un’amministrazione indipendente dal parroco (Societas ipsa est satis numerosa et regitur per duos administratores, qui quotannis renovantur et novis administratoribus reddunt rationes sed non coram parocho).
     Più estesa era la gamma di attività devozionali attestate per l’importante Confraternita dei disciplinati, il cui oratorio apparve di fresca costruzione al visitatore apostolico di fine Cinquecento. “Insaccati” di bianco, i disciplinati erano dotati, analogamente ai membri del Corpus Domini, di un’amministrazione indipendente dal parrocco, sorretta da regole statutarie e finanziamenti propri. Tra le cariche gerarchiche del sodalizio si annoveravano due visitatori degli infermi (duos visitatores infirmorum), i cui compiti comprendevano sia l’erogazione di sussidi agli ammalati indigenti (pauperibus) sia l’organizzazione collettiva di una sepoltura dignitosa per chi, membro in paupertate constitutus, morisse in povertà (si contigit quod aliquis pauper moriatur, sepelitur suis sumptibus). Oltre alla recitazione dell’ufficio della Vergine, il cerimoniale della Confraternita comprendeva un rito del giovedì santo segnato da una ridistribuzione conviviale di cibo.
      Vi sono indizi che la decadenza del distretto plebano di San Giovanni sortisse, per mano dell’episcopato astese, una varietà di destinazioni delle chiese che ne erano state dipendenti. Sull’attuale territorio comunale l’antica chiesa di San Martino, divenuta possesso dei canonici di regola agostiniana della chiesa astigiana di Santa Maria Nuova, fu sede di culto ordinaria con cura d’anime. Aveva statuto parrocchiale durante l’età della Controriforma, quando, affidata a un canonico rettore, godeva di consistenti rendite in natura e in denaro per un valore totale stimato in cento scudi d’oro, mentre la presenza di una casa canonica garantiva la residenza del parroco. All’epoca della visita apostolica di Angelo Peruzzi nel 1585, la chiesa risultava ornata di altari all’interno e dotata di un ricco arredo liturgico, il pavimento fittamente popolato di sepolture e di avelli, mentre. una condivisione di obblighi con gli abitanti (hominum dicti loci) assicurava gli approvvigionamenti di olio per il lume tenuto accesso davanti all’eucaristia. Nondimeno, la chiesa fu giudicata dal visitatore diroccata (ruinosam ac destructam), donde l’ordine di costruzione di un nuovo edificio (ecclesiam novam megliori forma constructam), da erigersi con divisione delle spese tra canonici e parrocchiani. Verso la metà del secolo XVIII, la nuova chiesa, completata sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie e ancora officiata dai canonici di Santa Maria Nuova, che erano stati sostituiti da regolari lateranensi, risultava dotata di un patrimonio di oltre 65 giornate di beni “immuni”(fiscalmente esenti), da cui derivava ogni anno il reddito, piuttosto cospicuo, di £650, cui si aggiungevano £600 annue di redditi “incerti”, in buona parte sotto forma di diritti di decimazione. Riedificata in forme neoclassiche nei decenni finali del secolo XVIII sotto il patronato e gli auspici del marchese Carlo Emanuele Alfieri, con un “ampio coro” e cappelle laterali (giudicata peraltro “meschina” da un osservatore ottocentesco quale G. S. De Canis), la chiesa assunse la titolatura di San Carlo e Santa Maria (attualmente Santi Carlo e Maria).
     Tra gli edifici di culto minori della decaduta circoscrizione plebana, alcuni furono oggetto di donazioni, altri divennero cappellanie del Capitolo cattedrale tra il tardo medioevo e la prima età moderna. Già nel 1056, in territorio Sancti Martini, la chiesa di San Giorgio de Casallo era stata donata insieme con due mansi e le rispettive decime dal vescovo Girelmo all’abbazia di Sant’Anastasio di Asti. All’epoca della Controriforma, quando, nel 1585, il visitatore apostolico uscì da Antignano per volgere verso San Martino ([c]um versus terram S.ti Martini proficis[c]eret), incontrò (invenit) la minuscola cappella campestre di San Giovanni (campestris et valde parva), priva di beni fondiari; quindi quella di Santa Maria di Morignano, completamente diroccata (tota aperta devastata et ruinosa), ma dotata di un reddito annuo pari a 16 scudi d’oro. Giunto poi sul territorio di San Martino (in finibus S.ti Martini), visitò la ecclesiam simplicem, o cappella, di San Gregorio, scoperchiata e ricoperta di edera (discoopertam; parietes [...] ab arboribus hedere devastati), cui però il rettore della parrocchiale attribuiva beni piuttosto consistenti (bona [...] satis pinguia), occupati e sfruttati, forse abusivamente, dal ramo dei Solaro consignori di Govone.
      La circoscrizione parrocchiale di San Martino, all’epoca della visita apostolica cinquecentesca, non era limitata al concentrico, ma comprendeva una maglia insediativa alquanto più ampia (cura ipsa se extendit per vias arduas et difficiles, propter domos rurales et longiquas). Qui l’accompagnamento del viatico, che contribuiva a definire i contorni stessi della giurisdizione parrocchiale, prevedeva una stretta complementarietà di ruoli tra il sacerdote e i numerosi (multis) membri laici della Compagnia del Corpus Domini: mentre il primo recava all’infermo “due o tre” ostie sia all’andata sia al ritorno, onde assicurare alla chiesa una reciprocità di “onore” (eodem honore quo accessit ad infirmum, eodem revertitur ad ecclesiam), gli altri accompagnavano processionalmente il sacerdote con abbondanti luminarie (duodecim luminibus ad minus). Ospitata nella parrocchia, la compagnia adottava un sistema di finanziamento per collette (Nullos redditus habet certos, sed solummodo eleemosinas partim inter se collectas et partim collectas ab iis qui aliquem defunctum sepelire volunt) e un’amministrazione indipendente dal parroco (Societas ipsa est satis numerosa et regitur per duos administratores, qui quotannis renovantur et novis administratoribus reddunt rationes sed non coram parocho).
     Più estesa era la gamma di attività devozionali attestate per l’importante Confraternita dei disciplinati, il cui oratorio apparve di fresca costruzione al visitatore apostolico di fine Cinquecento. “Insaccati” di bianco, i disciplinati erano dotati, analogamente ai membri del Corpus Domini, di un’amministrazione indipendente dal parrocco, sorretta da regole statutarie e finanziamenti propri. Tra le cariche gerarchiche del sodalizio si annoveravano due visitatori degli infermi (duos visitatores infirmorum), i cui compiti comprendevano sia l’erogazione di sussidi agli ammalati indigenti (pauperibus) sia l’organizzazione collettiva di una sepoltura dignitosa per chi, membro in paupertate constitutus, morisse in povertà (si contigit quod aliquis pauper moriatur, sepelitur suis sumptibus). Oltre alla recitazione dell’ufficio della Vergine, il cerimoniale della Confraternita comprendeva un rito del giovedì santo segnato da una ridistribuzione conviviale di cibo.
     Una parziale ridefinizione del sodalizio dei disciplinati ebbe forse luogo in un’epoca di accesa conflittualità tra la comunità e i suoi signori, quando, tra il 1696 e il 1721, la confraternita si dotò di una nuova chiesa dedicata alla Santissima Annunziata, titolatura già attribuita a un altare esistente nella chiesa di San Martino. In quello stesso periodo, l’altare di Sant’Antonio, anch’esso già presente nella vecchia chiesa, divenne sede del nuovo Beneficio di San Giovanni Battista, eretto presso la parrocchiale sotto il patronato dei signori Solaro di Govone e dotato, verso la metà del secolo XVIII, di un patrimonio di circa 10 giornate di beni fondiari fiscalmente esenti. La presenza patrimoniale locale della mensa episcopale e delle sue filiazioni si articolava, durante l’età moderna, in poco più di 15 giornate di terre fiscalmente esenti di proprietà del Beneficio della cantoreria e del Seminario vescovile. Alla stessa epoca, l’intendente di Asti dichiarava: “Vi è la Congregatione di Carità, ma questa non avendo alcun redito, non puol sovenire i poveri” [A.C.V.A., Visite Pastorali, Visita Apostolica Peruzzi, cc. 358r-62v; Bertea 1936; Bordone 1975, p. 420; 1976; 1977, p. 202 (citaz. De Canis); 1997, pp. 60, 133; 1980a; Casalis 1849, p. 498; Fissore 1973, pp. 496-99; Relazione 1753, ff.186r-v, 300v].
Assetto Insediativo
La storiografia ha descritto l’area collinare su cui sorge San Martino, tra il Tanaro e il Borbore, come adatta a favorire una particolare dislocazione delle colture e degli insediamenti. Abitato fin dall’età romana, un territorio fertile e caratterizzato da rapidi dislivelli consentì, grazie alla ubicazione degli insediamenti sui crinali, di sfruttare sia una viticoltura intensiva lungo i rilievi sia terreni prativi presso i corsi d’acqua. Le colline conobbero una continuità insediativa, che vide, a partire dall’alto medioevo, una diffusa presenza di popolazioni di origine franca, quindi una precoce disseminazione di opere fortificate e una la moltiplicazione dei nuclei abitativi. Qui la chiesa di San Martino fu probabilmente fondata in epoca carolingia, come suggerisce la dedicazione al santo di Tours. Successivo alla fondazione della chiesa può considerarsi lo sviluppo del nucleo abitato che vi sorge intorno. Più tardi, nell’epoca compresa tra l’età moderna e quella contemporanea, gli indizi documentari disponibili sembrano suggerire la marcata accentuazione di una tipologia insediativa dal carattere policentrico, sparso sul territorio.
     Verso la prima metà del secolo XIX, il numero di abitanti era ancora di poco superiore a quello già calcolato dai funzionari più o meno un secolo prima: circa 840, concentrati tra la metà e i due terzi nel “luogo” principale dominato dal grande palazzo degli Alfieri. Tuttavia, il forte ritmo di incemento demografico che caratterizzò il resto dell’Ottocento, pur senza portare a un ulteriore sviluppo del luogo centrale di San Martino, sembrò invece moltiplicare vuoi il numero delle “borgate” vuoi i loro livelli di popolamento. Se, nel cuore dell’età moderna, San Martino appariva, agli occhi dei funzionari statali, “diviso in quattro borgate” (che, oltre al “luogo”, o concentrico, di San Martino, comprendevano Fagnani, Pero e Firano), entro la fine del secolo XIX, si contavano, nei dati di censimento, non meno di otto borgate, grazie all’aggiunta di Casà, Marelli, Ripasso, Rollini, Quaglia e quindi Saracchi (annessa grazie a un ampliamento dei confini comunali). In genere, proprio i luoghi minori, quali Ripasso, o Rollini, ebbero ritmi più sostenuti di crescita. Quando, nel 1901, la popolazione (calcolata prima della correzione dei confini) era ormai aumentata circa del 50 per cento nell’arco di una sessantina d’anni, le borgate periferiche prese nel loro insieme rappresentavano ormai quasi i due terzi degli abitanti, mentre l’insediamento centrale di San Martino, con un livello di popolamento stagnante se non in regresso, ne raccoglieva poco più di un terzo. In certi casi, come a Ripasso, a Marelli, o a Rollini, la crescita demografica fu accompagnata, secondo i dati dei censimenti dell’epoca, oltre che da un aumento della popolazione dei rispettivi “nuclei”, anche da un aumento di quella residente nelle “case sparse” che a essi facevano riferimento.
     Simili processi di articolazione territoriale sembrarono accentuarsi ulteriormente con i flussi di emigrazione di massa descritti dai censimenti a partire dal 1911 e destinati a segnare profondamente il secolo XX. A fronte della flessione nella popolazione totale del comune, diverse borgate -- ancora Marelli, Rollini, Fagnani, Firano e Saracchi --, lungi dal mostrare segni di cedimento, continuarono a crescere quanto a effettivi di popolazione residente, sia pure contando gli abitanti temporaneamente emigrati o assenti. Occorsero alcuni decenni, tra le soglie del secondo conflitto mondiale e il dopoguerra (dunque più a lungo che in altre comunità astigiane), perché l’emigrazione a San Martino Alfieri si caratterizzasse finalmente per una “tenuta” relativamente più salda nel capoluogo e un netto ridimensionamento delle borgate. Ne furono forse un riflesso i tentativi di semplificare la maglia toponomastica nelle rilevazioni di censimento, per esempio mediante un accorpamento delle borgate in nuclei compositi, denominati rispettivamente Casà-Saracchi e Firano-Pero, nel 1937, o, nel 1951, nella elaborazione di una sorta di gerarchia insediativa, comprendente, a calare, Rollini, Firano e per ultimo i residenti in “case sparse” [Bordone 1975, p. 420; 1976, pp. 133-36; 1997, pp. 133, 286; Bordone 1977, p. 286; 1980a; Casalis 1849, p. 497; Istituto Centrale 1956; Ministero 1883 e successivi; Presidenza 1927 e successivi; Relazione 1753, f. 184v].
Luoghi Scomparsi
Il Bric San Giorgio, poco lontano dalla frazione Casà, corrisponde forse all’antica chiesa di San Giorgio, citata in un atto del 1056. L’insediamento di età romana è attestato da ritrovamenti archeologici a Revigliasco d’Asti e a Govone [Bordone 1976, p. 133; Fissore 1973, pp. 496-99].
Comunità, origine, funzionamento
La mancanza di compilazioni statutarie appare indizio di una debolezza, mai superata, delle istituzioni politichee formali della comunità. Al ridimensionamento della presenza fondiaria e politica locale da parte dei presuli astesi nel tardo medioevo corrispose lo sviluppo di assertivi poteri signorili fino nel cuore dell’età moderna. E’ nota, in particolare, la umiliazione subita dalla comunità nel 1731, quando, a conclusione di un triennio di accesa lite giudiziaria contro il signore, Cesare Giustiniano Alfieri, gli abitanti furono obbligati di vestire a lutto per sei mesi e ad astenersi dal ballare in pubblico ogni qualvolta passasse a miglior vita un membro della famiglia Alfieri. Il clima di tensione dell’epoca trova un riflesso nella relazione di metà Settecento dell’intendente di Asti, che segnalava:
 
l’abuso di tener sì le scritture che li Catasti nella parochiale con ordinare a quei amministratori di restituirli con l’archivio e nella casa della communità,
 
mentre ordinava di redigere un inventario dell’archivio.
     Allo stesso intendente, peraltro, “li affari della Comunità” risultavano “ben maneggiati” dal consiglio comunitativo, composto di tre membri, che “nell’ellezione de’ consiglieri” osservava “l’eguaglianza nelle [...] borgate” di San Martino, Fagnani, Pero e Firano. I fitti dei beni comunali recentemente messi a coltura assicuravano all’epoca il pareggiamento del bilancio. La comunità non disponeva invece della proprietà dei due mulini per “macinare le granaglie” ubicati sul Tanaro: su entrambi, di proprietà dei signori, convergevano non soltanto gli abitanti del luogo, ma anche “altri delle terre circonvicine” [A.C.S., Atti di lite (1597-1923); Bordone 1976, p. 135; Masi 1903, p. 378; Relazione 1753, f. 185r-v].
Statuti
Non si hanno attestazioni. Statuto comunale, 2005. Vedi testo.
Catasti
All’epoca delle controversie territoriali cinquecentesche e di primo Seicento, non sembra che San Martino fosse in grado di addurre una documentazione con valore probatorio sotto forma di Registri delle proprietà terriere in risposta a quelli prodotti dalla comunità di San Damiano [A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S 3; Corte, Paesi, Provincia di Asti, Mazzo 22, n. 2]. Il documento più antico pervenutoci per il secolo XVII è un frammento del Catasto del 1622, a cui segue il Catasto redatto nel 1656. Per il secolo XVIII, epoca in cui l’intendente di Asti giudicava “in buono stato [l]’archivio, li Catasti e libri di trasporto”, è oggi conservato un Imbrogliaso di catasto del 1714. La serie dei Libri dei trasporti include i volumi iniziati, rispettivamente, nel 1732 e nel 1743 [A.C.S.]. La documentazione catastale conservata presso l’archivio storico comunale di San Martino Alfieri è, al 2003, in via di riordino. Una parte del materiale catastale di San Martino Alfieri è conservato in A.S.A., Fondo catasti antichi [Cassetti 1996].
Ordinati
Al 2003 la serie documentaria degli ordinati e altre verbalizzazioni dei consigli della comunità di San Martino Alfieri è in corso di riordino. La serie di Ordinati e conti copre l’arco di tempo 1633-1720 e va integrata (pur in presenza di lacune per gli anni 1720-1746 e 1750-1820) con la serie di Ordinati e delibere (1704-1706, 1747-1750), ininterrotta dal 1821 [A.C.S.].
Dipendenze nel Medioevo
Fin dalle prime attestazioni documentarie, la presenza della chiesa astese a San Martino sembrò incentrata sulla gestione di ampi possedimenti fondiari e di un controllo politico di tipo perlopiù indiretto nei confronti degli abitatores in loco Sancte Martine. Da un lato, una serie di donazioni,concessioni e contratti agricoli dei secoli XI-XII (rispettivamente nel 1029, 1041, 1056 e 1153) lasciano intravvedere un intenso intervento vescovile nell’organizzazione del possesso terriero, in particolare verso concessionari laici ed ecclesiastici di mansi regolati secondo consuetudines locali; d’altro lato, una certa tendenza della documentazione ad assimilare porzioni del luogo entro il maggior territorio di Govone, insieme all’assenza di menzioni specifiche di San Martino nelle investiture del 1237 e del 1349, sembrano suggerire persistenti deleghe di potere politico locale da parte dei vescovi stessi. In questo quadro può collocarsi sia l’edificazione del castello relativamente tardiva, successiva, cioè, a quelli di Govone, Magliano, Celle e Revigliasco d’Asti (risalenti al secolo X), sia l’asserita investitura di San Martino in epoca successiva da parte del vescovo di Asti ai domini de Govone e ai Solaro, essi pure signori di Govone. Secondo gli statuti cittadini del 1379, San Martino apparteneva al Contado di Asti, sottoposto alla jurisdictio civitatis, senza però rientrare, come risulta dal diploma dell’imperatore Sigismondo a Carlo di Oréans del 1412, né nel districtus, né nei capitaneati in quanto feudo dei Solaro.
     La definizione del posse & districtus astensis enunciata negli stessi statuti implica in effetti una distinzione (formulata sullo scorcio del Duecento da cronisti municipali come Ogerio Alfieri e rimasta sostanzialmente alla base dell’assetto territoriale dello “stato” cittadino per tutta l’epoca della contea visconteo-orleanese, tra il 1379 e il 1531, e ancora valida nei primi tempi del governo sabaudo) tra le località che facevano direttamente parte del “dominio” del comune e i luoghi dove “il comune o suoi cittadini possiedono un qualche diritto di giurisdizione”, sui quali la città esercitava una forma più indiretta di controllo politico Bordone 1989, p. 286-90; Bordone 1998, pp. 24-25; Bordone, “Loci novi”, pp. 1-4]. [Assandria 1904-07, doc. 112; Bordone 1974; 1975, p. 420; 1976; Bordone 1980a; 1980b, p. 149, nota 55; 1997, p. 133; 1998, pp. 286-90; Loci novi, pp. 1-4; Gabotto 1904, docc. 9, 115-16, 121, 125, 129; Rubrice 1534, pp. 59-60].
Feudo
Entro il secolo XIV, ai domini del castello di San Martino subentrarono i Solaro, che ne divennero gli unici signori. Si trattava, all’epoca, della più illustre casata della città d’Asti, già signori del vicino e importante luogo di Govone e animatori del partito guelfo durante le lotte cittadine di inizio Trecento. La signoria dei Solaro su San Martino fu incontrastata sotto il passaggio dei marchesi del Monferrato, dei Visconti e dgli Orléans. Dopo l’annessione di Asti ai domini sabaudi, cominciò a venir meno l’egemonia locale dei Solaro. Nel 1603 essi vendettero una parte del feudo ai Busca della Rocchetta; nel 1648 un quarto passò ai Prandi, con conferma del 1667. Una parte fu alienata ai De Villa nel 1666; un quarto pervenne ai Tacconis, che lo alienarono Soldani nel 1657 Peraltro, fin dal 1615 Carlo Emanuele I aveva donato a Urbano Alfieri, colonnello di cavalleria, la giurisdizione e i beni feudali confiscati a Pandolfo Solaro per delitto di ribellione al duca. Preminente famiglia astigiana, detentrice dal secolo XIV del vicino castello di Magliano per conto del vescovo, gli Alfieri spostarono gradualmente e cumulativamente i loro interessi su San Martino. Catalano Alfieri (caduto in disgrazia nella guerra sabauda contro Genova del 1672, ma presto riabilitato, sia pure in memoria, dalla reggente Giovanna Battista di Nemours) aveva ceduto per permuta nel 1668 al ramo di Cesare Alfieri una quota di San Martino in cambio di Magliano. Nel 1671 questo ramo degli Alfieri acquistò a sua volta dai Solaro il restante quarto di San Martino, con integrazioni fino al 1741 e al pieno consolidamento del feudo. In questa prospettiva, già nel 1696 Carlo Antonio Massimiliano aveva dato inizio alla costruzione del nuovo castello, in sostituzione dell’antica fortezza dei Solaro.
     Dopo il 1730, acquistato anche il titolo di marchesi di Sostegno e conquistata in sede legale una preminenza incontrastata sulle malferme prerogative della comunità, gli Alfieri intrapresero una vasta riorganizzazione del feudo, a partire dal possesso di oltre 190 giornate di terre di ottima qualità, che godevano di uno statuto fiscale “feudale”, esenti dall’imposta prediale ordinaria. La gestione aggressiva e oculata dei loro possedimenti comprese, ostentatamente, la costruzione dell’attuale castello, le opere di sbancamento della collina su cui sorge, la costruzione di “vasi vinari” (tra cui un monumentale tino) e di canali sotterranei per alimentare i mulini. “La bonne économie et [...] intelligence dans les affaires”, nonché i fasti aristocratici delle villeggiature autunnali, assunsero un sapore proverbiale tanto nelle “Notices” settecentesche quanto nella storiografia celebrativa di età successiva. Alla estinzione degli Alfieri nel 1897, titoli e beni passarono per via femminile al marchese Emilio Visconti Venosta [Bordone 1976, p. 134; 1977, pp. 201-02 (citaz. De Canis); Cicala 1911; Guasco 1911, vol. IV, p. 1480 (424); Masi 1903, pp. 269, 357, 441-524; Relazione 1753, f. 185r-v; Vergano 1942, doc. 6; 1962; 1965, vol. 2, p. 69].
Mutamenti di distrettuazione
Nel 1531, con l’investitura del contado da parte dell’imperatore Carlo V alla cognata Beatrice di Portogallo, moglie del duca Carlo III di Savoia, i duchi di Savoia divennero conti di Asti. Lo stesso anno, con un diploma imperiale confermato nel 1562 dall’imperatore Ferdinando I, fu conferito ai duchi il vicariato imperiale sul Contado, con pieno esercizio di tutti i diritti regali, che nel 1555 vennero estesi alle diocesi del dominio ducale.
     Verso quest’epoca, mentre Asti veniva eretta a provincia nella riorganizzazione del 1560 dei territori sabaudi da parte del duca Emanuele Filiberto, invalse una distinzione, entro il “corpo” del contado, tra la città di Asti con le ”terre” del suo distretto; il Capitaneato, formato da “terre” esterne al distretto non infeudate, ma ora di immediato dominio ducale; quindi le “terre” infeudate, quali San Martino; infine le “terre della chiesa d’Asti”. La collocazione di San Martino entro l’assetto delle province piemontesi si mantenne fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798).
     Entro la maglia amministrativa francese, San Martino seguì le sorti dell’intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di estensione variabile avente per capoluogo Asti. Si trattò dapprima del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, dopo il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1805, del dipartimento di Marengo, circondario (arrondissement) di Asti. Vedi mappa.  
     Dopo la parentesi napoleonica, San Martino rientrò, nel 1814, a far parte della ricostituita provincia di Asti che, dopo ulteriori instabili riorganizzazioni mandamentali nel 1818, fu ridotta a circondario della divisione amministrativa, poi provincia di Alessandria nel 1859 [Cassetti 1996; Romano 1998, pp. 15-45; Sturani 1995; 2001]. Lo stesso circondario di Asti venne soppresso e aggregato a quello di Alessandria nel 1927 [Istituto Centrale 1927, p. 1], quindi staccato dalla provincia di Alessandria e aggregato alla nuova provincia di Asti formata nel 1935 [Istituto Centrale 1937, p. 8; Gamba 2002]. In anni recenti San Martino Alfieri ha aderito alla Unione o Comunità collinare “Colline Alfieri”.
Mutamenti Territoriali
Nel 1880 fu annessa la frazione Saracchi , staccata dal comune di Antignano, di cui era stata considerata parte integrante dagli osservatori degli inizi del secolo XIX (con una popolazione di 179 abitanti nel 1861, saliti a 210 nel 1871) [Casalis 1833, p. 308; Ministero 1883, vol. I, tav. I, p. 8; Ministero 1889, p. 4; vd. anche scheda Antignano].
Comunanze
Nelle inchieste dei funzionari statali della metà del secolo XVIII, il territorio di San Martino appariva provvisto di terreni incolti, o gerbidi, “di ragionevole quantità”, pari a quasi 60 giornate di estensione (una decina delle quali formate di “ripe e roche”). Pochi anni più tardi, una cinquantina di giornate era stata:
 
da anni cinque circa ridotti a coltura e quelli affittati a particolari di questo luogo, il fitto d’essi assende a £500 [...], detto affittamento deve ancor continuar per anni cinque.
 
Quanto ai restanti beni comunali, nell’opinione coeva dell’intendente di Asti, “stante la loro rapidità e cativa qualità non ponno nemeno servire per i pascoli communi, da quali quel publico ne resta intieramente sproveduto”, una situazione aggravata dalle piene del fiume Tanaro, che “ne ha coroso tutta la quantità di quelli gerbidi che a un tal uso erano destinati”. Intieramente in mani private era la cinquantina di giornate di boschi cedui presenti durante l’età moderna sul territorio comunale, giudicati, ancora dall’intedente, “apena sufficienti per l’impallamento delle vitti et per il giornagliere fogaggio de’ possessori d’essi”. Agli osservatori di primo Ottocento il territorio appariva ormai “sgombro dalle boscaglie e le vigne tutto lo occupano”. Nel 1990 il territorio gravato da usi civici risultava ridotto a ha. 0,2 circa secondo i dati comunali; a 0,8 ha. circa sulla base dei dati del Comissariato usi civici [A.S.T., Camerale, II Archiviazione, Capo 21, n.73, f. 210; C.U.C.; Bordone 1977, p. 202 (citaz. De Canis); Relazione 1753, ff. 184v-85r].
Liti Territoriali
A partire dal riconoscimento del vicariato imperiale ai Savoia sulla contea astigiana, le pressioni sabaude per una definizione dei confini comunali, in particolare con San Damiano (oggi San Damiano d’Asti) generarono un’abbondante documentazione storica. Nel 1564 una “Divisione dei Confini” fatta “p[er] via amichevole, a mediazione di 5 Arbitri” cercava di istituire “linee divisorie” rispetto al territorio di San Damiano, l’importante luogo fortificato appartenente al Monferrato e adiacente a San Martino. In effetti, una simile demarcazione territoriale era del tutto sfuggita al tracciamento complessivo di confini già promosso dal governo monferrino negli anni Ottanta del secolo XV tra San Damiano e le comunità limitrofe. Lo scopo ora concordato dai due governi centrali era al tempo stesso amministrativo e fiscale. Da un lato si trattava di definire precisi “termini divisori” tra i “finaggi” di San Damiano e San Martino lungo l’intera fascia di territorio gravitante sull’attuale Rio Cravina: da Govone, a sud, fino ad Antignano, verso nord. Così facendo, si chiamava in causa una vera e propria “divisione di [...] Territorij”: l’istituzione, cioè, di vincoli univoci agli obblighi fiscali derivanti dalla proprietà o conduzione dei terreni gli abitanti di entrambi i comuni. Per tracciare la linea di confine i principali punti di riferimento individuati in diversi sopralluoghi furono il rivus vallis azelli, o “Rio d’Azello”, cioè la valle nota ai Sanmartinesi come “Valle detta della Marlassa (Merlazza)” (quam valem d[ict]i de s[anc]to M[artino] appellant valem Marlatie); la “via” che taglia (transversat) la valle; i “beni della Chiesa di S. Severo”; la “Costa della Valle di Senoglio”, dove “s’ordina costruirsi un Pillone nel Gerbido di Bernardo Ponte”; la “regione fontanile fino alla fontana fontanata”.
     L’accordo stipulato suscitò una crescente conflittualità durante il cinquantennio successivo, fino alla viglia delle Guerre del Monferrato. Un primo tipo di contenzioso fu suscitato dalla iscrizione dei terreni “a registro”, ossia a catasto, e sul conseguente pagamento delle quote d’imposta sotto forma di “taglie” nell’una o nell’altra comunità da parte dei possessori di beni fondiari: una categoria di contribuenti che la documentazione giudiziaria ci descrive come non solo assai numerosa, ma anche insolitamente propensa a moltiplicare gli acquisti di terreni su entrambi i versanti del nuovo confine (forse con una concentrazione nella regione Merlazza). Al crescendo di “grida”, “requisitorie” e confische emanate dai giusdicenti di entrambe le comunità “in odio dei contumaci a pagar le taglie” si aggiunse, a partire dai primi anni del secolo XVII, una vera e propria offensiva fiscale da parte dei gabellieri sabaudi (gli “accensatori della tratta” e i “corrdori” da essi dipendenti), fatta di rappresaglie e confische contro quei proprietari, perlopiù locali, che percorrevano la via trasversale della Val d’Azello, o Merlazza: un percorso che per arbitrato si era stabilito dover essere “communis et libera”, ovvero “comune”, “immune e franca” da gabelle, “a benefizio d’ambe le parti”. Peraltro, lo scompiglio sistematico dei trasporti colpiva soprattutto i proprietari locali nei trasferimenti dei propri raccolti su distanze ravvicinate (per esempio da e verso il “Mulino della Rabbia”).
     Nel 1612, il problema delle “differenze di confini” tra le due comunità entrò a far parte di un tentativo di nuovo negoziato complessivo “per la terminat[ion]e de Confini tra Piemonte e Monferrato”. Grazie alla trattativa diretta tra delegazioni interstatuali e a una nutrita agenda di sopralluoghi nelle comunità locali, i governi sabaudo e monferrino avrebbero dovuto addivenire, a guerra ormai imminente, a un’ampia ricognizione dei confini dal bacino del Borbore fino alle sponde del Po. Le relazioni dei delegati e i dispacci diplomatici rivelano tanto il timore dei funzionari monferrini per le minacce di espansionismo sabaudo quanto le aperte pressioni sabaude, che assunsero, nel caso di San Damiano e San Martino, almeno due risvolti significativi. Da un lato, i delegati sabaudi negarono la validità dell’arbitrato del 1564, in quanto sottoscritto, sì, dagli “agenti delle comunità” e dai vassalli, ma “con riserva del beneplacito del s[igno]r Duca di Savoia”, beneplacito “che mai però si sa che sij stato ottenuto”. D’altro lato, fu introdotto, ancora da parte sabauda, un criterio di individuazione della linea di confine semplificato e, per così dire, di tipo idrografico. Come riferivano al duca di Mantova i delegati monferrini:
Per parte di d[ett]a Alt[ezz]a di Savoia, et Co[mun]ità di San Martino si pretende per cosa certa, et indubitata che il rivo di [M]erlassa servi, et sij vero termine divisorio delle sudette due Co[mun]ità.
[A.S.C.S.D., Cat. 3° Mazzo 94, Liti diverse (1550-1650); A.S.T., Corte, Paesi, Provincia di Asti, Mazzo 22, n. 2 (1612); Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S 3 (1480-1616); Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 7, Confini (1574-1621); vd. anche scheda San Damiano d'Asti].
     All’aprirsi del secolo XVIII, dopo il definitivo incorporamento di San Damiano entro i domini sabaudi con il trattato di Cherasco (1631), San Martino non risultava avere liti di confine [A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 1, n. 3 (1717), c. 9v].
Fonti
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A.S.A. (Archivio di Stato di Asti)
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A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S 3, Vol.e di Documen.ti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna Coll’Indice, e Tipi (1480-1616).
A.S.T.,  Paesi, Monferrato, Confini, S 3, Vol.e di Documen.ti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna Coll’Indice, e Tipi (1480-1616), Tipo dei confini tra i territori di San Damiano e San Martino, s.d. Vedi mappa.
A.S.T.,  Carte topografiche e disegni, Disegni Monferrato Confini. mazzo 3, Volume S,  Tipo dei territori di Govone e San Martino. San Damiano - 1480-1616. Volume di documenti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall'altra, e qualche poco anche la Cisterna. Coll'Indice, e Tipi. s.d.    Vedi mappa.
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 7, Confini (1574-1621): [...]; n. 14, Nota delle differenze de confini, che vertono tra diverse Terre del Monferrato, con quelle del Piemonte [cam.]; [...]; n. 24, Relazione del Senatore Fausto Crova Delegato del Duca di Monferrato della Visita fatta col Senatore Roasenda Delegato dal Duca di Savoja de Siti contentiosi tra S. Damiano, e S.t Martino [...] Col Parere del Senato di Monf.o sulla d.a Relazione e con Copia di varj Documenti, de’ quali si sono li detti Delegati serviti p. la terminazione di tali differenze (1612) [Fausto Crova al duca di Monferrato, Casale 13 agosto 1612]; [...]; Instrumentum Transactionis sequutae inter Communitatem Sancti Damiani / Ac / Condominos, Communitatem, et ho.i. es Sancti Martini De ano, c. 11v sgg. 1564 [copia, …12 luglio 1564].
A.S.T., Corte, Paesi, Provincia di Asti, Mazzo 22, n. 2, Atti Della Com.unità et Huomini di S.to Martino in Asteggiana contro La Com.unità di S. Damiano fatti Avanti li M.to Ill.ri ss.ri Senatori Ricardo Cesare Rovasenda, et Fausto Crova Dellegati dall’Altezze Ser.me di Savoia, et Mantoa Masino sec.ro (1612) [fasc. ril.; cc. non num.te, compr. atti diversi in copia].
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, S, n. 3, Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna (1480-1616): Istromen.to di Divisione dei Confini di S. Martino, e S. Damiano [...] (1564), cc. 7-16, 17-22; Sussidiali del Giusd.te di S. Martino a quello di S. Damiano p. astringere alcuni del suo distretto, li quali in vigor della sud.a transaz.e, si trovano posseder beni soggetti a S. Martino, p. farli descrivere nel Registro di questo Luogo (1565), c. 25; Sussidiali del Giusd.te di S. Dam.o a quelli della Cisterna, Ferrere, Cantarana, Tigliole, Govone, S. Martino, Antignano, e Celle, p. astringere alcuni della lor giurid.ne a soddisfar i pesi reali p. i beni, che nel suo distretto posseggono (1566), cc. 26, 27; [...]; Requisitorie del Giusd.te di S. Damiano a quelli di Cisterna, Ferrere, Tigliole, Celle, Antignano, S. Martino, e Govone p. il pagam.to delle taglie di quei beni che alcuni dei loro distrittuali possedono sulle fini di S. Damiano: Colla Nota di quei debitori (1577), cc.90-91; Altre Requisitorie come s.a, ed Atti contro li renitenti (1579, 1580) cc. 92-98; [...]; Atti della lite degli Accensatori della tratta d’Astiggiana contro Petrino Cappellino di S. Damiano, le Bestie di cui furono ritrovate, e prese in un suo Prato al di qua del Rivo d’Azello in Marlaccia nell’atto di voler passar quel Rivo p. portarsi verso S. Damiano, perlocché si pretesero cadute in commesso, costando dalle Informaz.i essere l’accenn.o Prato del terr.io di S. Martino, e divisorio di quei due finaggi l’anzid.o Rivo (1608), cc. 220-49; [...]; Informazioni prese dal Giusd.te di S. Damiano per verificare la preda di 2 Vacche stata fatta dai Soldati della tratta d’Asti nella Marlaccia, e nel Prato di Gio.no Giacomo Ballicora (Prato, che vien nominato nella predesignata Transazione tra S. Damiano, e S. Martino): E p. giustificazione d’essere quel sito del terr.io di S. Damiano (1612), cc. 269-81; [...]; Informazioni tendenti a provare che i beni del fu Gorgio Falletti (dei quali si fa pur menzione nella succenn.a Transazione) in Marlaccia, son quelli che attualm.te si possedevano da Gio.no M.a Buzzolino di S. Martino, e che situati siano nel terr.io di S. Damiano (1612) cc. 298-304; [...]; (1612); Atti di Visita della Marlaccia controversa, fatta dai sud.i Delegati, con produzione dei Docum.ti rispettivam.te favorevoli alle Parti cc. 313-21 [cc. 313r-17v]; Lett.e dei sud.i Delegati, dalle quali ricavasi, trall’altre che dal canto nostro s’impugnasse la Sentenza del 1574, perché non costava d’alcuna Ratificanza del Duca (1612), cc. 307-12, 322-38; Descrizione de’ terreni di Marlaccia posti in contesa, colla loro Misura, e verificazione di chi fossero al tempo dell’accenn.a Sentenza, e da chi sieno attualm.te posseduti:Con alcuni Incombenti delle Parti (1612), cc. 339-53; Informazioni prese dal Giusd.te di S. Dam.o p. verificare, che ‘l luogo, ove furono arrestati due Uomini della Montata con robbe, fosse di quel territorio, cioè in un Prato contiguo al Mollino della Rabbia(1616), cc. 354-61.A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 1, n. 3, Stato delle liti, che hanno vertenti le Città, e Communità della Provincia d’Asti [cc. non num.te 1r-16v] (Intendente Granella, Asti, 16 ottobre 1717).
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 2, n. 1, Relazione, ed Informative dell’Intendente d’Asti con Stati della Coltura, e raccolto de’ beni, del personale, e bestiami di Cadun Territorio della Provincia (1747-1757).
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 2, n. 2, Rellazione dello Stato, e coltura de beni de Territorj delle Città, e Comm.tà della Provinc.a d’Asti (1747) [fasc. ril., cc. non num.te].
A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.73, Beni comuni ed immuni. Provincia di Asti (1721-22).
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, articolo 746, paragrafo 3, vol. 81, Notta, et Protocollus sive Volumen Instrumentor. et Investiturar. bonor. Rusticalium feudalium sequtan. sub Ill.mo et R.mo D. D. Octavio Brolia Ep. co Asten. et Comite et receptar. per … D. Jacobus Fran.cus Vignolas Notarium Collegiat. et Secretarium Ep.alem eiusd. Civitatis ab anno 1625 usque ad annum 1645 [vol. ril., cc. 1r-506v, + c. non num.ta con titolo al r., bianca al v.; sul dorso: “Mensa d’Asti Investiture feudali 1625 ad 1710”; contiene in testa “Indice”; cc. non num.te].
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Torre, Angelo (a cura di), Confraternite. Archivi, edifici, arredi nell’Astigiano dal XVII al XIX secolo, Asti, Provincia di Asti, 1999.
 
Torre, Angelo, Il consumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dell’Ancien Régime, Venezia, Marsilio 1995.
 
Vergano, Lodovico (a cura di), Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272 , Torino : (s.n.) (Casale Monf. : Stab. Tip. di Miglietta), 1942.
 
Vergano, Lodovico, Tra castelli e torri della provincia di Asti, Asti, Scuola tipografica S. Giuseppe, 1962
 
Vergano, Lodovico, Soste in provincia di Asti, II, Asti, 1965, 2 voll.
Descrizione Comune
San Martino Alfieri
     Le descrizioni disponibili su San Martino Alfieri e sul suo territorio sottolineano una grande continuità dell’assetto insediativo e di quello produttivo in un quadro ecologico consolidato. Da un lato, entro “un articolato sistema collinare particolarmente accidentato, sulle cui sommità sorgono gli agglomerati dei villaggi”, troviamo tracce sia del popolamento di età romana sia, successivamente, di quello di origine franca, i cui lontani echi non sembrano del tutto scomparsi nell’assetto insediativo odierno [Bordone 1976, p. 134]. D’altro lato, rileviamo un’antica e tenace vocazione agricola, che, a pochissimi chilometri dalla città di Asti, vanta al giorno d’oggi una “economia [...] incentrata sulla viticoltura”, nella quale “trovano dimora vitigni di barbera, grignolino, bonarda e bianco” [Comunita collinare 2003]. Entro questo quadro d’insieme, diversi indizi affioranti dalla documentazione archivistica suggeriscono la possibilità di cogliere aspetti delle vicende locali tutt’altro che statici, consentendoci così di intravvederne le variazioni e le articolazioni interne della vita locale e del suo territorio in epoche diverse.
     Se prendiamo, per esempio, le informazioni raccolte dai funzionari dello Stato sabaudo e da altri ossservatori tra il secolo XVIII e il XIX, ci troviamo di fronte a un ambiente sociale ed economico che stava vivendo profondi mutamenti nell’organizzazione della vita locale in ambito produttivo, politico e amministrativo. San Martino, fatto significativo, si presentava agli osservatori sette e ottocenteschi come dotato di “strade eccellenti” (“la più notevole [...] che tende per s. Damiano a Torino”), una situazione tutt’altro che prevalente nell’area astigiana dell’epoca. Ma l’ottima viabilità locale non era frutto di un impegno pubblico, né era dovuta, come forse si potrebbe supporre, alla presenza di diffusi flussi commerciali. Anzi, secondo l’intendente di Asti: nella comunità di San Martino “non vi sono fiere né mercati”, e neppure “vi è luogo ad introdurvi alcun comercio”, a causa delle “tenui forze di quei abitanti”. La meticolosa manutenzione delle strade era voluta infatti dai signori, la famiglia Alfieri, che eleggeva San Martino a sede di investimenti economici e a luogo di “soggiorno”. Secondo un osservatore ottocentesco, gli Alfieri “spesero somme innumerevoli” in una grandiosa riorganizzazione signorile del territorio, completa di canalizzazioni, grandi opere d’ingegneria e innovazioni agronomiche. Come motore delle ricchezze ammassate nel sontuoso castello faceva spicco, in campagna, la viticoltura, che già a fine Settecento occupava una superficie coltivabile più che doppia rispetto ai cereali. La cura delle vigne suscitava ammirazione negli osservatori coevi: “coltivate con attenzione, [...] vi regna, direi così un lusso nell’impalamento, tanto esse sono corredate di grossi pali scalavi e pertiche”; il risultato erano “ottimi vini”, in parte destinati all’esportazione [Bordone 1976, p. 134; 1977, pp. 201-02 (citaz. De Canis); Casalis 1849, p. 497; Cicala 1911; Guasco 1911, vol. IV, p. 1480 (424); Masi 1903, pp. 269, 357, 441-524; Relazione 1753, f. 185r-v; Vergano 1962; 1965, vol. 2, p. 69].
     Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile valutare con alcun grado di precisione l’insieme dei costi e dei benefici che gli interventi dei signori ebbero sulle condizioni di vita dei diversi segmenti della popolazione locale tra l’età moderna e fino alle soglie di quella contemporanea. Si può osservare, genericamente, che le iniziative economiche degli Alfieri si moltiplicarono in un quadro di apparente coazione delle prerogative politiche della comunità, imperfettamente consolidate in istituzioni formali dalla limitata portata. Quanto alla popolazione rurale, insediata su un territorio “completamente coltivato” e ormai interessata da processi di forte sviluppo demografico, era considerata a rischio di povertà dai funzionari statali. Ancora nelle parole dell’intendente:

 
Sebene il terreno del sudetto territorio sii di mediocre bontà, è bene coltivato, non produce però granaglie sufficienti per il mantenimento delli abitanti, li quali per suplirvi vendono il vino che risparmiano nel luoro uso e colle giornalieri loro fatiche nella mietitura de’ risi sul Vercelese e nel taglio delle messi sul Piemonte.
Nella carenza di risorse essenziali, quali i pascoli e il legname, il suggerimento del funzionario settecentesco era di provare a dedicarsi alla bachicoltura grazie alla introduzione “de’ mori celsi” (gelsi), per quanto “ivi il terreno non sii troppo adatato al piantamento”[A.S.T., Camerale, II Archiviazione, Capo 21, n.73, f. 210; Bordone 1977, p. 202 (citaz. De Canis); Relazione 1753, ff. 184v-85r].
 
     Si può supporre che il radicarsi di attività sussisdiarie a quelle agricole, quali le migrazioni stagionali, contribuissero a sorreggere uno sviluppo demografico prolungato, differendo, almeno temporaneamente, queii flussi migratori permamenti che furono, più tardi, caratteristici del secolo XX. Frattanto, la irruenta espansione dei nuclei insediativi periferici, le “borgate” ubicati su terreni marginali e progressivamente destinati a vigneto, fu un fenomeno notevole e persistente dell’evoluzione della vita locale. Ci limitiamo, in questa sede, a rilevare due aspetti, a tutt’oggi poco indagati, riguardanti l’assetto insediativo e le sue trasformazioni tra la tarda età moderna e quella contemporanea. Osserviamo, da un lato, come resti a tutt’oggi aperta all’indagine storica l’evoluzione della vita liturgica e del cerimoniale religioso. Troppo poco nota, per esempio, è l’articolazione della vita devozionale della rosa di “borgate”, in particolare nei suoi aspetti di demarcazione cerimoniale di singole località e unità insediative. Appare infatti probabile che le risorse devozionali e cerimoniali delle borgate non si esaurissero nelle attività fornite dai sodalizi più antichi della chiesa parrocchiale di San Martino, nella pur ampia circoscrizione parrocchiale. In particolare, almeno otto tra cappelle e chiese “campestri” risultavano situate nelle frazioni Marelli, Firano, Pero, Quaglia e Saracchi sullo scorcio del secolo XIX, né è noto se, analogamente ai sodalizi della chiesa parrocchiale (e a quanto avveniva in altre località dell’Astigiano), simili luoghi di culto periferici ospitassero associazioni laicali attive nel promuovere momenti cerimoniali corali legati ai rituali e alle fasi critiche del ciclo familiare, quali il trasporto del viatico, o l’accompagnamento alla sepoltura. [Bordone 1977; Casalis 1849; Torre 1999].
     Da un altro lato, la lunga espansione demografica delle borgate sembrò suscitare, o rinnovare, in materia di confini, una trama capillare tensioni amministrative e fiscali dalle radici di antica data. Intravvediamo forse, in questo senso, una serie di nodi irrisolti, tra i quali annoveriamo le modalità della dissoluzione medievale della pieve di Antignano per mano vescovile, che diede luogo a confini parrocchiali incerti o scarsamente definiti. Può essere suggestivo, in questo senso, richiamarci ancora una volta alla visita apostolica del 1585 di Angelo Peruzzi, che, lasciate le chiese nelle fini certe di Antignano alla volta di quelle di San Martino, incontra ancora due cappelle di cui appare forse indeterminata l’afferenza territoriale (la seconda è oggi entro i confini sanmartinesi) prima di approdare indubitatamente in finibus di San Martino. Aggiungiamo ancora: la lunga preminenza sovralocale dei signori di Govone; l’indeterminatezza delle demarcazioni territoriali tra la comunità di San Martino e quella di San Damiano alle soglie dell’annessione sabauda; la distribuzione delle piccole proprietà coltivatrici su più territori comunali ai fini di sfruttare quelle stesse opportunità di complementarietà ecologica e colturale di cui è connaturata la zona. Nella demarcazione dei confini con Antignano (per esempio nella borgata Saracchi), suscitava curiosità tra gli osservatori ottocenteschi l’uso carnevalesco, considerato “tradizionale” (ma ricco di connotati possessori), in virtù del quale “brigate” di giovani in maschera percorrevano le borgate “circonvicine”, recitando “poesie in lingua piemontese”, “piene di arguzie e sali” [A.C.V.A., Visite Pastorali, Visita Apostolica Peruzzi, cc. 359r-62v; Bordone 1974; 1975, p. 420; 1997, pp. 60, 133; 1980a; Relazione 1753, f.300v].