Claviere

AutoriBattistoni, Marco
Anno Compilazione2006
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Torino.
Area storica
Briançonnais , «Outre-monts» del Delfinato. All’interno dello Stato sabaudo,Vallées de Dauphiné en deça des monts/du Montgenèvre, , Cézanne et Bardonnêche, Valli Superiori (scil.: della Provincia di Susa). La dopo il trattato di Utrecht (1713): Vallées d’Oulx denominazione «alta Valle di Susa» comincia a diffondersi nella seconda metà del secolo XIX, a partire dal lessico delle guide turistiche e dalla geografia dei collegi elettorali (Maurice 1976, p. 157; Patria 1996, p. 29).
Abitanti
176 (BDDE 2004).
Estensione
267 ha.
Confini
A est e a sud Cesana Torinese, a ovest e a nord Montgenèvre (F).
Frazioni
Il comune non ha frazioni.Vedi mappa
Toponimo storico
Si ipotizza una forma derivata da «Clavariae», che, in area gallo-romanza, può assumere il significato di «chiusura» (Gasca Queirazza 1997, pp. 215-216; Olivieri 1965, p. 132) In documenti in latino del tardo medioevo: «Claveriae» (AST, Sentenza). La forma francese, ufficialmente in vigore fino a tempi recenti è «Clavières». Con R.D. 12 aprile 1937, n. 751, nel quadro della politica fascista di italianizzazione della toponomastica, il comune assunse tuttavia la denominazione «Claviere», che conserva tuttora, pur se correntemente pronunciata alla francese (Variazioni 1936-1938, p. 22).
Diocesi
Clavières, in quanto originariamente semplice borgata compresa nel territorio della comunità di Montgenèvre e dipendente dalla parrocchia del capoluogo, rimase parte della diocesi di Embrun, dalla quale dipendeva tale parrocchia, ben oltre la data della sua annessione politica allo stato sabaudo nel 1713. Il confine tra la diocesi di Torino e la diocesi di Embrun coincise infatti con quello che separava le comunità di Montgenèvre da quella di Cesana molto più a lungo. Malgrado la dipendenza da Embrun, numerosi documenti testimoniano di una certa ambiguità o concorrenza nella gestione del territorio di Clavières dal parte delle autorità ecclesiastiche, in particolare, di fronte a pratiche devozionali che scavalcano i confini delle singole diocesi. Riferimenti alla cappella di San Gervasio (cfr. il lemma ‘Altre presenze ecclesiastiche’), ad esempio, si incontrano negli atti di alcune visite pastorali compiute da inviati della diocesi torinese: perché menzionata come luogo di destinazione di processioni compiute dagli abitanti delle parrocchie delle comunità limitrofe (una testimonianza riproposta negli atti della visita del vescovo di Pinerolo del 1771) o in quanto realmente visitata, come nel corso della visita De Mari (1546), che l’attribuisce senz’altro alla diocesi torinese (AA Torino, De Mari). Con l’annessione dell’alta Valle di Susa allo Stato sabaudo (1713), la situazione incominciò a mutare. Malgrado i fedeli di Clavières continuassero a frequentare la parrocchia di Montgenèvre, dopo alcuni anni incominciarono a sorgere questioni sui tributi destinati al mantenimento del parroco e dell’ospizio dei pellegrini del Monginevro. Nel 1778, quindi, intervenne un accordo tra il vescovo di Pinerolo, d’Orlié, e quello di Embrun, de Leyssin, che permise di nominare per Clavières un cappellano vicario (Ferraris 1983, p. 27; Maurice 1976, pp. 237-241). Nel 1790, la diocesi di Embrun venne unita a quella di Gap. Clavières, seppur politicamente sabauda, rimase perciò compresa in tale diocesi francese fino al 1812, quando fu eretta a parrocchia e inglobata in quella di Torino. Nel 1817, dopo la parentesi napoleonica, Pio VII restaurò la diocesi di Susa (costituita nel 1772, ma soppressa nel 1804), della quale, da allora, la parrocchia di Claviere fa parte (Bartolomasi 1972, p. 76).
Pieve
Dove già esisteva una chiesa pievana intitolata allo stesso santo, venne fondata nella seconda metà del secolo XI – forse già dopo il 1042 – la prevostura di San Lorenzo di Oulx, l’ente ecclesiastico che tanta importanza ebbe nella storia non soltanto religiosa dell’alta valle (Casiraghi 1979, p. 48 n. 173; Le carte della prevostura d’Oulx, p. VI). L’antica pieve, detta «ad martyrum», forma cristianizzata di «ad Martis», era sorta probabilmente nel sito di un tempio dedicato a Marte, che aveva dato il proprio nome alla zona (Mola di Nomaglio 2000, pp. 62-63; Benedetto 1966, p. 109). Fin dal suo nascere, la prevostura subentrò all’abbazia di Novalesa, di cui, secondo alcune ipotesi, potrebbe essere stata una ramificazione, nel favore dei principi e dei vescovi (Casiraghi 1979, p. 103 n. 427; Mola di Nomaglio 2000, p. 64). Un atto databile tra il 1050 ed il 1061, relativo ad una donazione effettuata da un tale «Poncius clericus» di Bardonecchia, insieme con la moglie, i figli e le figlie, attesta per la prima volta l’esistenza della comunità religiosa ulciense, alla quale erano preposti due presbiteri e da cui dipendevano chiese e parrocchie disseminate nell’alta valle di Susa, «de monte Genevo usque ad pontem Galambre qui vocatur Exillas» (Le carte della prevostura d’Oulx, doc. II, pp. 3-4; Benedetto 1953, p. 12). Più o meno contemporaneamente, nel 1057, la contessa Adelaide e il terzo marito, Oddone, figlio di Umberto Biancamano, conte di Savoia, sottoscrissero un atto di donazione nel quale si legge: donamus [...] ecclesiam Sancti laurenti qui vocatur plebe martyrum et ecclesiam sancti iusti quam cepit edificare berta comitissa donamus has ecclesias et ceterarum ecclesiarum que in parochiis de Sesanna et de Ulcis et de Salalbertrana constructe sunt aut deinceps erunt vel aliarum ecclesiarum quarum date erunt ex voluntate illorum qui potestatem habent possidendi. Donamus et trasfundimus has ecclesias supradictas cum res ecclesiarum, hec sunt decimationes et primicie et oblaciones fidelium tam vivorum quam defuntorum et donamus terras et pratos et silvas cultis et incultis et aquas aquarum secundum quo videtur ad ecclesiam Sancti Laurenti pertinere quantum clerici Sancti Laurenti conquirere potuerint cum nostra voluntate vel cum illorum voluntate qui per manum nostram terram tenent. Ego Oddo et uxor mea Adelaicis et filii mei Petrus Admedeus et filie mee hac donationem facimus ad clericos qui in eodem loco regulariter vivunt (Le carte della prevostura d’Oulx, doc. VII, pp.7-10; Casiraghi 1979, p. 73). Tra il 1061 e il 1065 possiamo datare, inoltre, la donazione alla prevostura effettuata dalla contessa Adelaide della pieve di Santa Maria di Susa e del distretto di chiese di cui era dotata. Il successivo atto di conferma di tale donazione, sottoscritto dal vescovo di Torino Cuniberto e rivolto al prevosto d’Oulx, Nantelmo, datato 1065, comprendeva anche la cessione di quarantuno chiese della Valle di Susa: in nomine Sancte e Individue Trinitatis. Ego Cunibertus divina miseratione taurinensis episcopus [...] erat equidem intra fines nostri episcopii locus inter alpes situs, qui plebs Martyrum nuncupatur, inter Secusiam et Jani montem, secus ripam Durie fluminis [...] congregationi Sancti Laurentii ultiensi de martyrum prefata plebe, presenti et future, Deo sibi famulanti, iure perpetuo, donamus et concedimus cum primitiis, decimis, elemosinis, oblationibus, testamentis, parochiis, omni iuri parrochiali et universis omnino beneficiis, que illi pertinere disponuntur et in futurum, Deo favente, contigerint, ecclesiam Sancti Johannis Baptiste de Sesana, ecclesiam Sancti Cycarii, ecclesiam Sancti Restituti, ecclesiam Sancti Gervasii, ecclesiam quoque Sancti Arigii, ecclesiam Sancti Marci, ecclesiam Sancte Marie de Ultio, ecclesiam Sancti Gorgonii de Savolis ecclesiam Sancti Michaelis de Bedullario, ecclesiam Sancte Marie et Sancti Yppoliti de Bardonisca, ecclesiam de Salaberta, et si quelibet, sint vel fuerint alia bona que nostre congruant episcopali ditioni in iamdicte plebis martyrum totum plebanatum. Simili modo subdimus, conferimus, et damus huic sanctissimo loco beati Laurentii de Ultio et fratribus degentibus ibidem, presentibus et futuris ecclesiam plebem et penitentialem Sancte Marie que sita est et edificata infa civitatem Secusiam cum omnibus pertinentis et possessionibus suis. Contemporaneamente, il vescovo ordinava Nantelmo canonico della cattedrale di Torino: «te Nantelmum dilectum filium nostrum prefatum Ultiensem prepositum in nostra maiori Taurinensium Sancte Johannis ecclesia pro canonico nostro recepimus, statuentes ut quicumque deinceps prepositus Ultiensis catholice fuerit, ibi canonicus noster in perpetuum habeatur» (Le carte della prevostura d’Oulx, doc. XXI, pp. 21-28). In questo modo veniva attribuita una fisionomia definitiva alla fondazione, che assunse la forma di una chiesa collegiata, cioè di una congregazione di canonici regolari con a capo un prevosto, e retta, come regola comune di vita, da quella canonicale di Aquisgrana (Benedetto 1953, p. 13; Benedetto 1966, p. 105; Casiraghi 1979, pp. 49-50; Cipolla 1899-1900, p. 103). Sebbene sia stato dimostrato che il documento del 1065 costituisce un falso diplomatico, esso si può ritenere corretto nella sostanza (Cipolla 1899-1900, p. 119), ed è quindi da considerarsi valido l’elenco dei possessi donati o confermati alla prevostura. Infatti, in un documento di poco più tardo (21 settembre 1098), il successore di Cuniberto, Guiberto, confermò a Nantelmo tali possessi, tra i quali figurano le chiese di Bardonecchia, Beaulard, Cesana, Oulx, Salbertrand, Exilles e Chiomonte (Benedetto 1966, pp. 107-108; Casiraghi 1979, p. 49; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. LXI, pp. 68-71). Più o meno negli stessi anni, ossia tra il 1053 e il 1063, Guigo I il Vecchio, primo dei conti di Albon, che presto avrebbero assunto il titolo di Delfini, concesse alla chiesa di S. Lorenzo un «mas» in Cesana, insieme con le decime delle chiese della stessa Cesana, di Oulx e Salbertrand (Benedetto 1953, p. 19; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. XVIII, p. 18). In seguito, tanto Guigo il Vecchio che i suoi successori effettuarono donazioni di beni siti in alta valle o redditi alla prevostura. Particolare rilevanza per le implicazioni di carattere politico ebbe l’estensione della giurisdizione della prevostura sulla pieve di Santa Maria di Susa, la cui dignità di antica chiesa matrice della valle era riconosciuta da tutti. Questa concessione fu all’origine di una serie di interminabili dispute tra i due enti (Casiraghi 1979, p. 50). La tendenza autonomistica dei chierici di Santa Maria si fece più evidente alla morte della contessa Adelaide, avvenuta nel 1091. Nel 1097 Umberto II, conte di Savoia e nipote di Adelaide, introdottosi nella Valle di Susa, fece predisporre un diploma con il quale confermava alla prevostura le donazioni effettuate dalla nonna: «post obitum Adalaide comitisse dederat quando dominus Ubertus ingressus est longobardiam concessit Sancto Laurentio de plebe martyrum et canonicis ibidem habitantibus et concedendo dedit omnia que in hac carta continentur sicut prefata comitissa dederat» (Casiraghi 1979, p. 50 n. 178; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. XLVII, pp. 59- 60). L’appoggio dato in questa occasione al conte Umberto dal vescovo di Moriana, Conone, realizzatore del diploma, può essere messo in relazione alla difficile e tesa situazione politica e religiosa verificatasi nella valle dalla morte della contessa e che determinarono liti tra le sedi vescovili di Torino e di Moriana. La tensione si inasprì fino a scoppiare apertamente nella prima metà del secolo XII quando il vescovo di Moriana, Amedeo di Faucigny, approfittando di una nuova lite tra i chierici di Santa Maria e il prevosto di Oulx, Arberto, riuscì a prendere possesso della chiesa di Susa. Malgrado i numerosi interventi pontifici la lite si protrasse dal 1120 al 1149, quando sebbene alcuni dei suoi predecessori si fossero espressi in modo contrario (Le carte della prevostura d’Oulx, doc. CIII, pp. 103-105, doc. CIV, pp. 105-106, doc. CVI, pp. 107-108), papa Eugenio III, su intervento del vescovo di Torino, Claudio, pose fine alla questione, ordinando il silenzio ai chierici di Susa (Casiraghi 1979, p. 52; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. CXVII, pp. 117-120; Sergi 1981, p. 75). Con il loro definitivo prevalere nell’alta Valle di Susa fino oltre Gravere, dopo la morte di Umberto III il Beato di Savoia nel 1189, i Delfini del Viennese continuarono nella tradizione di generosità verso la prevostura (Benedetto 1953, pp. 19-20; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. CLXXIV, pp. 184-185, doc. CLXXV, pp. 185-186, doc. CLXXX, pp. 192-193, doc. CLXXXI, p. 193, doc. CLXXXIII, pp. 196-197, doc. CLXXXIV, pp. 197-198, doc. CLXXXV, pp. 198-199, doc. CLXXXVI, p. 199, doc. CLXXXVII, pp. 199-200) contribuendo a un ulteriore consolidamento del suo potere sull’intera valle. Schede storico-territoriali dei comuni del Piemonte Nel 1226, il vescovo di Torino Giacomo ribadì le concessioni effettuate dai suoi predecessori (Casiraghi 1979, p. 73 n. 268; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. CCLIV, pp. 264-267), enumerando ancora una volta le chiese della diocesi donate alla prevostura. Il lungo elenco coincide solo in parte con il più limitato distretto plebano di Oulx, all’interno del quale ritroviamo le chiese dell’alta Valle di Susa: confirmamus in primis ecclesiam Sancti Johannis de Sesana, ecclesiam Sancti Sicarij, ecclesiam Sancti Restituti, ecclesiam Sancti Gervasij ecclesiam Sancti Arigij, ecclesiam Sancti Marchi, ecclesiam Sancte Marie de Ulcio, ecclesiam Sancti Gorgoni de Savolio, ecclesiam Sancti Michaelis de Bedullario, ecclesiam Sancte Marie et Sancti Jppoliti de Bardonescha, ecclesiam de Salaberta et quicquid inter plebatum vestrum vobis a nostris predecessoribus est concessum. Della circoscrizione facevano inoltre parte le chiese dell’alta val Chisone (Casiraghi 1979, p. 73 n. 268). Il patrimonio prepositurale tra i secoli XI e XIII garantì il consolidarsi di una circoscrizione plebana omogenea e unica nelle terre delfinali cisalpine, con le sole eccezioni delle parrocchie di Exilles e Chiomonte, che il prevosto controllava solo con la mediazione del priorato di Santa Maria Maggiore di Susa (Patria 1996, p. 77). Nel 1386, il territorio plebano della prevostura, compreso nel comprensorio dell’odierna alta Valle di Susa, era formato dalle chiese di San Pietro di Rochemolles, San Pietro di Exilles, San Giovanni di Salbertrand, San Michele di Beaulard, Santa Maria di Bardonecchia, Santa Maria di Oulx, San Giovanni di Cesana e San Restituto di Sauze di Cesana. Nel periodo compreso tra il 1455 ed il 1464, il distretto di San Lorenzo d’Oulx comprendeva sette chiese, ossia le cure di Salbertrand, Cesana, Sauze di Cesana, Mentoulles, Bardonecchia, Beaulard e Rochemolles (AA Torino, Decime, ff.18v, 20v, 22v, 24v, 28v, 31v, 36v). Se alcuni sintomi di decadenza si manifestarono già verso il 1350, la prevostura mantenne ancora a lungo un notevole potere economico, tanto che è stato detto che il suo periodo di maggior floridezza si ebbe nella prima metà del XV secolo. Nella seconda metà dello stesso secolo, tuttavia, la congregazione smise di eleggere il capo per insufficienza di canonici e il diritto di nomina passò al delfino-re di Francia (Benedetto 1966, pp. 117-118). Dal 1452, sembrerebbe essersi verificato il passaggio sotto il governo di prevosti commendatari (Valentini 1966, pp. 127-128). Tra questi ultimi si possono ricordare quelli provenienti dalla famiglia Birago, che ricoprirono il ruolo con continuità dal 1572 al 1681, e grazie ai quali per oltre un secolo la prevostura interruppe la strada del declino, sulla quale sembrava avviata (Valentini 1966, pp. 123-124; Mola di Nomaglio 2000, p. 95). La presenza di gruppi eterodossi in tutto il territorio, fino dal medioevo, e la loro successiva adesione alla Riforma calvinista, secondo la tradizione nel 1532, determinò conseguenze dirette in occasione delle guerre di religione. Il 23 giugno 1562, in seguito ad una vasta incursione ugonotta che attraverso lo spartiacque, si portò nei villaggi di Cesana, Oulx, Salbertrand e Chiomonte con l’intento di sequestrare e distruggere gli apparati liturgici delle chiese e delle cappelle cattoliche, la prevostura di Oulx venne saccheggiata e data alle fiamme. I canonici utilizzarono per officiare negli anni a seguire prima la chiesa di Santa Maria in Oulx, poi la cappella cimiteriale romanica della Maddalena. Per impedire che le rovine della prevostura venissero fortificate e utilizzate dai Protestanti, esse vennero abbattute nel 1574. I canonici abbandonarono così Oulx dove tornarono solo nel 1593 (Patria 1996, p. 85). Con il trattato di Utrecht, l’alta Valle di Susa passò sotto il dominio di casa Savoia e conseguentemente la stessa sorte subì la nomina dei commentadari, ma i Savoia non fecero uso di tale diritto per oltre trent’anni, forse con l’intento preciso di liquidare l’ente e finendo con il nominare solo nel 1743 il nobile savoiardo Giovanni Battista d’Orlié de Saint Innocent. Un documento datato 1747 rivela in effetti chiari intenti di soppressione dell’ente (AST, Schede storico-territoriali dei comuni de Progetti), evento che si realizzò nel 1749. Appare comunque significativo che il prevosto commandatario d’Orlié, l’ultimo prevosto di Oulx, sia stato nominato primo vescovo di Pinerolo: numerosi studiosi, infatti, hanno visto nell’istituzione della diocesi di Pinerolo il perpetuarsi del ruolo precedentemente ricoperto dalla prevostura (Caffaro 1893-1903, II, pp. 30-35; Mola di Nomaglio 2000, pp. 96-97).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Gli abitanti di Clavières furono dipendenti dalla parrocchia di Montgenèvre fino all’epoca napoleonica. Una cappella venne costruita nel villaggio intorno al 1770 e parrebbe essere stata intitolata alla Visitazione di Maria Vergine, riprendendo il nome di una antica cappella situata nel vicino villaggio delle Beisse e andata distrutta con tutto il paese a causa di valanghe di incredibile violenza, nel corso del XVIII secolo (Ferraris 1983, p. 41). Tra il 1778 (quando iniziò a funzionare per Clavières un cappellano vicario) e il 1812, i fedeli di Clavières vennero aggregati alla parrocchia di Cesana. Troviamo, infatti, tra le Provvisioni Semplici della diocesi di Torino un documento del 1808, che attesta questa situazione: «ecclesia parrochialis sub titulo visitazionis B. Mariae Virginis Regionis nuncupatae Clavieres, parocia Cesanae» (Provvisioni Semplici, anno 1808). Il 7 aprile 1812 la chiesa venne eretta in parrocchia, sempre sotto lo stesso titolo, dal vescovo di Torino, separando definitivamente «locum Clavieres [...] a Parocia loci Cesanae» (Provvisioni Semplici, anno 1812; AD Susa, Governo del territorio, Parrocchie, cart. 54, fasc, 2 [1818- 1869]). Esisteva, inoltre, nel territorio un’antica cappella intitolata a San Gervasio, nominata nell’atto di donazione di Cuniberto alla prevostura d’Oulx, datato 1065 e nella conferma di donazione del vescovo Giacomo del 1226 in cui si trova un riferimento a «ecclesiam Sancti Gervaxii» tra quelle comprese nel distretto plebano di Oulx (Le carte della prevostura d’Oulx, doc. CCLIV, p. 265; Ferraris 1983, p. 44). La sua presenza è testimoniata anche in successive visite pastorali, prima tra tutte quella compiuta nel 1546 dall’inviato del vescovo di Torino, De Mari, che la visitò tramite un suo delegato, malgrado, in realtà, essa sorgesse nel territorio della diocesi di Embrun: «Martinus Milletus de mandato et commissione prefati reverendi Domini episcopi et suffraganei se personaliter transtulit [...] ad eclesiam Sancti Gervaxii sitam super montem Iano et que est ultima eclesia diocesis Thaurinensis» (AA Torino, De Mari). Nel 1771, il vescovo di Pinerolo, d’Orlié, vietava ai fedeli residenti nei comuni sabaudi limitrofi di recarsi in pellegrinaggio a tale cappella: il y a sur le haut de la montée des tours, la chapelle sous le titre du martir Saint Gervais, sur les confins du diocèse d’Embrun, sans recteur, ni patron, en fort mauvais état, malmeublé et maintenue per les habitants de Clavières [...]. Monseigneur dans sa visite du 1771 a supprimé expressement la procession que les parroisses de cette vallée avaient coutume d’y faire le jour de la fête (19 juin) à cause des inconvenients qui en resultaient (Ferraris 1983, p. 45). Gravemente danneggiata da cannoneggiamenti negli anni 1940-43 e resa pericolante, la primitiva cappella fu abbattuta nel 1957 e ricostruita a breve distanza alcuni anni più tardi.  
Assetto Insediativo
L’abitato sorge al margine orientale dell’ampio pianoro del Colle del Monginevro a quota 1670 metri slm, snodandosi ai due lati della S.S. n. 24 del Monginevro. Sul territorio comunale, piuttosto ristretto dopo le cessioni del 1947, non si rilevano altre realtà insediative di rilievo.
Luoghi Scomparsi
In località Beisse è segnalata l’esistenza di un agglomerato residenziale, già abbandondonato nel XVIII secolo, forse abbandonato a causa della distruzione dovuta ad una valanga. Secondo alcune interpretazioni avrebbe potuto essere il villaggio stesso di Clavières, spostato dagli abitanti nell’attuale sito proprio al fine di sfuggire le devastazioni delle valanghe (Ferraris 1983, p. 43).
Comunità, origine, funzionamento
L’apparizione di prime, incoative, forme di rappresentanza comunitaria tra le popolazioni rurali del Delfinato è testimoniata, e in certo modo promossa, dalle “inquisitiones” amministrative condotte sotto Guigo VI negli anni 1250-1267. Il processo acquista maggiore consistenza con le affrancazioni collettive concesse dai delfini a partire dalla fine del secolo, soprattutto grazie alla vera e propria politica indirizzata in tal senso da Giovanni II (1307-1319).
Nelle vallate alpine del Brianzonese, l’importanza delle pratiche di uso collettivo delle risorse silvo-pastorali, unita a una più debole e frammentata presenza di poteri signorili autonomi, favoriscono un processo di autorganizzazione delle popolazioni contadine e di limitazione dell’arbitrio signorile più precoce ed esteso, che in parte già si intravede nelle inchieste citate del delfino Guigo VI. L’opera di costruzione di un principato dotato di una propria, sia pure , struttura burocratica, perseguita dai delfini in questi anni, si avvale di e nello stesso tempo seconda questi sviluppi locali. Sul terreno di tale interazione, a partire dalla metà del secolo XIII, si vengono, in particolare, delineando:
- la tendenza per tutti gli abitanti delle valli alpine (esclusa, in parte, la valle di Bardonecchia) a essere visti e a rappresentarsi come vincolati alla condizione di “homines ligii” esclusivamente nei confronti del delfino, concepito come loro “maior dominus”, di cui – anche per influsso prevalente, in quest’area ai confini dell’Italia e della Provenza, di una cultura giuridica di impronta romanistica – si sottolinea contemporaneamente la qualità di detentore di poteri comitali, di forte risonanza pubblica;
- il consolidamento di una fiscalità specificamente delfinale, attraverso un parziale riordino della stratificazione di diritti censuari e di decimazione signorile creatasi nel gioco spontaneo delle forze che ha opposto nel tempo potenti e rustici locali, e in seguito alle massicce, ma pur sempre eterogenee, acquisizioni di diritti e proventi signorili conseguite dai delfini; in quest’ambito si segnala, in particolare, un rafforzamento della caratterizzazione funzionariale di “ministeriales” e altri detentori di diritti di prelievo sulle risorse locali, solo formalmente esercitati in nome del conte-delfino, in realtà, al servizio di interessi individuali o dinastici.
L’azione accentratrice condotta dai delfini tra i secoli XIII e XIV scaturisce dunque, nella situazione alpina, in un disciplinamento relativamente efficace delle forme di supremazia locale e in una ridefinizione e regolamentazione come prerogative comitali dei diritti, originariamente vissuti dai loro detentori come essenzialmente patrimoniali, sui beni e le eredità dei rustici. Nello stesso tempo, una generalizzazione e formalizzazione del superiore dominio delfinale sulle selve e sui pascoli si accompagna al riconoscimento e alla garanzia dei diritti collettivi di possesso da parte delle popolazioni locali organizzate in “universitates hominum” di mandamento (castellania) o di parrocchia. A Oulx, per esempio, già le inchieste promosse da Guigo VI registrarono, da un lato, l’alto dominio delfinale, dall’altro, il possesso garantito agli “homines” del mandamento, dietro corrispettivi “certi”, delle principali risorse agro-silvo-pastorali:
pascua, patheco, ripagia acquarum, decursus eorum et omnia nemora nigra fuerunt comitatis domini Andreae dalphini et antecessorum suorum et nunc domini Guigonis dalphini, ita tamen quod cum locus praedicti loci Ulcii et mandamenti fuit habitatus, fuerunt homines ipsius loci de praedicti rebus investiti et propter ea, habuerunt et tenuerunt sub certis censibus et usagiis [Benedetto 1953, p. 36]
Sul fronte del prelievo più tipicamente associato all’esercizio di poteri “bannali”, notiamo poi come la qualifica di “uomo ligio e tagliabile” non abbia qui tutte le connotazioni di soggezione all’arbitrio impositivo del signore-delfino che conserva nel resto del territorio del principato. Già alla metà del secolo XIII, infatti, ad esempio, alcune comunità alpine, come Briançon, Exilles e Névache, ottennero carte di franchigia che trasformavano la “taglia comitale”, arbitraria e in natura, in un prelievo fisso e annuale in denaro, anche se si tratta di un’evoluzione che si generalizzò solo con le più tarde concessioni di Giovanni II e Umberto II. Occorre precisare che nella regione alpina, a differenza che in altre parti del Delfinato, la taglia è commisurata al possesso fondiario, di cui rappresenta in tal modo un fattore di stabilizzazione, contribuendo nello stesso tempo ad attenuare l’accentuazione personale e corporale ancora associata alle forme della dipendenza e del coordinamento politico. [Bligny 1976, pp. 142-146; Chomel 1999, pp. 51-57; Patria 1996, pp. 53-54]
La più matura espressione di queste tendenze fu raggiunta al tramonto del principato indipendente e consegnata nella transazione (“contractus”) conclusa il 29 marzo 1343 tra il delfino Umberto II, vincolante sé stesso e i suoi successori nel principato, e diverse “universitates” del Balivato del Brianzonese, tra le quali, per quanto riguarda i territori della odierna Alta Valle di Susa: la “Universitas Vallis Pratorum et Montis Iani” (Val-des-Prés e Montgenèvre, comprendente perciò il territorio dell’attuale Comune di Claviere), la “Universitas Sezannae” (Cesana), la “Universitas Ulcii” (Oulx), le “Universitates Salicis et Salbertrani” (Sauze d’Oulx e Salbertrand). [Benedetto 1953, pp. 31-62; Desponts 1645, pp. 1-3]
La transazione ebbe la sua origine in un contenzioso (“materia quaestionis”) sorto alcuni anni prima intorno alla natura e all’estensione dei diritti delfinali: le comunità e gli abitanti del Brianzonese (“universitates et singulares personae”), sollecitati dai commissari inviati dal delfino nel 1338, nel quadro di un’inchiesta condotta in vista della progettata cessione di parte del Delfinato al papa Benedetto XII, a “recognoscere particulariter et distincte Dalphinalia iura”, replicarono infatti di volersi attenere alla forma che asseriscono già praticata “quarant’anni prima” e consegnata “in libris seu cartularijs Dalphinalis curiae”, cioè come “reducta ad certas pecuniarum quantitates”.
L’istanza delle comunità venne accolta dalla transazione, che stipula all’art. iii l’esenzione di tutti gli abitanti del Balivato da “subsidia, carnagia, & focagia” (l’editore secentesco riassume: “tailles & impositions quelconques”), e all’art. vi la conversione in una rendita monetaria annuale di: “blada ipsi Domino Dalphino debita”, da pagarsi “una cum talliis comitalibus & generalibus debitis eidem Domino Dalphino” (oneri, resi nella sintesi dallo stesso editore, come “censes en bleds, tailles & autres droicts”). I diritti redenti tornano a essere elencati più meticolosamente all’art. vii:
omnia jura sibi competentia & competitura in laudimiis, tertiis, trezenis, vingtenis, placitis, seu mutagiis, pasqueriis, gallinis, seu caponibus, fidanciis, retrofidanciis, agnis & caseis Paschalibus sequelisque eorum & omnibus aliis obventionibus & echeutis (“censes en bleds, lots, tiers, trezains, vingtains, bois, bans d’iceux, usages, aisances, pasqueirages, champars, eaux, fours, moulins & generalement tous autres droicts & fiefs seigneuriaux”).
Mentre all’art. ix si stabilisce che in futuro sarà sufficiente da parte dei “subditi Briançonesij” e dei sindaci o consoli delle “universitates” una semplice “generalis recognitio” di “tenerli” dal delfino, mediante la corresponsione della rendita pattuita, “absque speciali descriptione ulterius facienda vel designanda de rebus, & bonis suis”, e la dichiarazione di pagarla:
pro tallis comitalibus seu generalibus & pro censibus, & servitiis consuetis […] pro dicto censu pretij bladorum, nemorum, & etiam laudimiorum, tertiorum, trezenorum, vingtenorum, placitorum. seu mutagiorum, pasqueyriorum, fidantiarum, gallinarum & aliarum obventionum & eucheutarum.
Ma la portata del documento è assai più ampia. Esso si apre infatti con il preliminare riconoscimento di “omnes libertates, franchisias, omniaque privilegia boni usus, & bonae consuetudines Briançonenses” (art. i), espresso in forma più dettagliata e solenne più avanti nel testo (art. x): confirmauit [scil.: il delfino] omnia, & singula afranchimenta, libertates, conventiones & privilegia, bonos usus & consuetudines ipsis hominibus & personis dictae Balliviae, & singulorum locorum, villarum & Parochiarum ejusdem universaliter, vel singulariter ab ipso Domino Dalphino vel eius antecessoribus indulta hactenus concessa, vel donata, vel admissa, etiam & usitata, ita quod de caetero praedictae Universitates & personae singulares ipsis privilegiis, libertatibus, afranchimentis, usibus & consuetudinibus & quaelibet ipsarum Universitatum potiantur, & gaudeant pleno jure.
Tale riconoscimento è poi coronato dal conferimento a tutti gli “homines” delle “universitates” stipulanti della qualità di “franchi atque burgenses” (art. xxx).
Troviamo inoltre altre numerose concessioni che valgono a legittimare le pratiche locali del possesso, individuale e collettivo, a limitare la possibile insorgenza di forme di preponderanza o immunità di tipo signorile, e che configurano uno spazio di vita amministrativa autonoma per le comuntà. Appaiono particolarmente significativi: la sanzione della piena libertà di successione (allo stesso art. I); garanzie giudiziarie (all’art. ii: il giudizio deve avvenire all’interno della castellania del convenuto, se non per espresso mandato del balivo; all’interno del balivato di appartenenza, per quanto riguarda le cause di competenza del tribunale del balivo, se non per mandato del delfino o del suo consiglio); la facoltà di riunirsi liberamente, conferita alle “universitates” e ai loro abitanti in quanto “singulares personas”, “pro suis necessitatibus & negotiis licitis faciendis” (art. viii); la “recognitio” da parte di sindaci o procuratori, in nome delle rispettive “universitates” e delle “singulares personae” che le compongono, di essere “homines ligii” del delfino “contra omnes alias personas mundi” e di “tenere” da lui “res atque bona sua”, eccettuate le cose che eventualmente si possiedono, legittimamamente, come “franche” o “si tengono da altre persone” (art. x); la facoltà per le “universitates” di eleggere ogni anno da un minimo di uno a un massimo di sei “manserij seu Procuratores, & Scindici”, tenuti a giurare nelle mani dei castellani di preservare “status et honor” del delfino, oltre che di “fideliter & legitime gerere” gli affari delle loro comunità e di rendere conto alla comunità della loro amministrazione allo scadere del mandato; a queste figure viene inoltre attribuita l’autorità di riscuotere le somme dovute al delfino (art. xii); l’obbligo per i successori nel principato e per gli ufficiali delfinali di giurare l’osservanza del contenuto della transazione, preliminare all’obbedienza e all’omaggio dei sudditi (art. xiii); la facoltà per “qualsiasi persona” del Balivato di concedere liberamente, “absque superioris authoritate, vel consensu”, in enfiteusi “res suas quas tamen franchias habent” (art. xvi); la rinuncia del delfino ai proventi sullo sfruttamento e sulla derivazione delle acque (art. xvii); il divieto agli ufficiali delfinali e ai “nobiles” del Balivato di far recidere piante o far estrarre tronchi o legna “in nemoribus hominum dicti Domini Dalphini Castellaniarum Briançonij, quadracij vallis putae, Sezanae, ulcij, & quarumlibet aliarum dictae Balliviae” (art. xviii); il permesso alle comunità di imporre le contribuzioni necessarie alla loro amministrazione (art. xix) e la loro facoltà di nominare scrivani, segretari, cancellieri ed esattori di loro scelta (art. xx); il potere conferito ai sindaci e consoli di far “deboinare, restringere, & ampliare […] vias, patega, & nemora, & quaecunque alia communia ipsarum Universitatum & singularum personarum”, senza chidere il permesso della curia delfinale (art. xxii); il divieto per gli ufficiali delfinali e i “nobili” del Balivato di acquistare o “arrentare” redditi e censi sui beni delle chiese (art. xxix); l’esenzione per tutti gli abitanti del Balivato dalle gabelle delfinali, eccettuata quella sul “bestiame lanuto” (art. xxxiii).
Per tutte queste concessioni le comunità accettarono di pagare, era, in primo luogo, una somma, versata “pura donatione”, di 12000 fiorini, pagabili in sei anni. Di questa somma, 4000 fiorini ricadevano sulle “Universitates Castellaniarum Sezannae, Ulcij, & Salabertani, Exilliarum, Bardoneschiae, & Vallis Cluzonis”. Notiamo che le “universitates” delle castellanie di Bardonecchia, di Exilles e della Val Chisone non parteciparono alla transazione e compaiono solo là dove si specificano le entità e modalità dei pagamenti; si prevede anzi espressamente che, nel caso non avessero accettato di contribuire, restando così escluse dai benefici della transazione, la quota addebitata alle altre tre castellanie cismontane sarebbe stata ridotta a 2000 fiorini. Il secondo onere era costituito dalla rendita annuale di cui si è detto, fissata in “convenzioni particolari”, stipulate il 19 giugno 1343 con le diverse “universitates” aderenti alla “transazione generale&rdquo..
La concreta applicazione della transazione si scontrò con il fatto che molti dei cespiti e delle prerogative concesse alle comunità risultarono alienati a terzi: i sindaci di Oulx e di Sauze d’Oulx, ad esempio, scoprirono nel 1344 che la mistralia (ufficio, spesso di fatto patrimonializzato, riguardante l’amministrazione di diritti e redditi delfinali) del mandamento era stata accensata a un notaio locale. Il ricupero, tutt’altro che agevole, dei redditi delfinali finiti in tal modo nelle mani di esponenti di vecchie aristocrazie locali o di finanzieri attivi presso la corte papale avignonese accrebbe notevolmente il costo pagato dalle comunità per entrarne in possesso. [Patria 1996, p. 72]
Inoltre, a rigor di termini, le cessioni effettuate, pur ampie, non riguardavano tutti i suoi diritti delfinali nel Brianzonese, anche se nei secoli successivi, alcuni decreti del parlamento di Grenoble e ordinanze del governatore del Delfinato ne legittimarono un’interpretazione estensiva. Nel 1738 lo stesso parlamento di Grenoble e altre magistrature della provincia, su richiesta delle comunità cedute allo Stato sabaudo con il trattato di Utrecht, certificarono che, in virtù della transazione del 1343, esse, con la restante parte del baliaggio di Briançon, avevano goduto “da sempre”, a titolo di veri “droits seigneuriaux, domaniaux et de fiefs”: des droits seigneuriaux dans l’étendue des vallées, consistant aux droits des francfiefs, droits de lods, tiers, trezains, vingtains, bois, bans champêtres d’iceux et même de ceux des particuliers, de la police et des amendes prononcés contre les contrevenants, des droits de mistralie et garde des bestiaux pris en dommage, usages, paquerages, champarts, du cours des eaux et de leurs riverages, fours, moulins, pêche et chasse en tant que port d’armes a été permis, et généralement de tous les droits seigneuriaux et des fiefs qui pouvaient appartenir aux princes-dauphins dans lesdites vallées. [ASTO Patenti; Benedetto 1953, pp 48-50]
Anche se non è corretto affermare, sulla scorta di un filone storiografico di impronta romantica inaugurato da Fauché-Prunelle [Fauché-Prunelle 1856-1857], che la carta del 1343 abbia segnato l’atto di nascita di forme federative di inedita inflessione democratica (la “repubblica degli Escartons”), essa promosse indubbiamente forme intercomunitarie di rappresentanza e di coordinamento, funzionali in primo luogo alla ripartizione dei tributi, resi ormai più omogenei, dovuti al principe. Non mancano, del resto, precedenti attestazioni di colleganze o associazioni tra “universitates” valligiane, indipendentemente dunque dalla transazione del 1343.
La tenuta regolare di assemblee incaricate della ripartizione dei carichi fiscali (“excartonamentum”) tra le comunità e, più in generale, della consultazione su temi di interesse condiviso, è però sufficientemente documentata solo dal tardo secolo XV. Da questo momento, il termine “escarton” (o “écarton”, secondo l’ortografia affermatasi dal secolo XVIII) prende a designare ciascuna delle quattro, poi cinque, associazioni intercomunitarie legate a tale pratica. Si contarono infatti, in un primo momento, gli “écartons” di Briançon, del Queyras, di Casteldelfino (alta Val Varaita), e quello di Oulx, comprendente le valli e castellanie di Oulx, Bardonecchia, Cesana e del Pragelato o (alta) Val Chisone, mentre, allo scoppio delle guerre di religione, le comunità del Pragelato, massicciamente conquistate alla Riforma, si costituirono in “écarton” distinto. In quanto compresa nella comunità di Montgenèvre, Clavières appartenne all’écarton di Briançon fino alla cessione ai Savoia nel 1713, quando l’aggregazione di riferimento divenne l’écarton di Oulx. Esempi comparabili a quelli brianzonesi, su base tuttavia meno regolare, di riunioni di rappresentanti di comunità rurali (accanto a quelle associate alla prassi delle “assemblées de Pays”, di norma però dominate, come le assemblee degli Stati provinciali di cui erano, almeno in origine, emanzione, dagli ordini privilegiati e dai rappresentanti delle città) si conoscono anche per aree diverse del Delfinato fra il tardo medioevo e la prima età moderna, sopratturro nei baliaggi di Embrun e di Gap. [Benedetto 1953, pp. 95-101; Chomel 1999, pp. 127-128; Hickey 1993, p. 225; Patria 1996, pp. 70-72]
Le concessioni di Umberto II furono confermate dai successivi delfini e re di Francia. L’ultima ratifica, prima del trattato di Utrecht fu siglata da Luigi XIV nel 1644, e in essa si tiene a precisare che i sudditi del Brianzonese “hanno sempre pagato e pagano”, oltre alla rendita annuale fissata nel 1343, “les tailles ordinaires & extraordinaires, qu’ils supportent comme les autres habitans de nostre pays de Dauphiné”. [Desponts 1645, pp. 90-91] La rendita annuale, più tardi nota come “ducats briançonnais”, è infatti l’espressione locale di vari “revenus” delfinali, in qualche modo riassunti nel più noto, la “taille comtale”, che l’opinione giuridica di Antico regime differenzia nettamente dalle taglie, introdotte successivamente, “dipendenti dalla volontà dei principi”, poiché, qui come in altre parti del Delfinato, “cette taille comtale était toujours fixe et terminée et participait du domaine du prince et nullement de ses finances”. [Allard 1970, coll. 653-654]
In effetti, nonostante i particolari privilegi di cui godeva, il Brianzonese non si sottrasse alle tendenze evolutive che, tra la metà circa del secolo XVI e quella del secolo XVII, modificarono profondamente i rapporti tra il Delfinato e la monarchia francese. Risentì perciò dell’estensione e del generale inasprimento della fiscalità regia (data dal regno di Francesco I la sostituzione di quelli che fino ad allora si configuravano giuridicamente come “dona gratiosa”, anche se regolari, della “patria Delphinatus” al suo principe, con imposizioni generali della corona, sebbene ancora sottoposte formalmente all’approvazione degli Stati provinciali) e della sia pure graduale erosione delle autonomie godute in campo amministrativo e finanziario dalla provincia. Restano tuttavia ampiamente da studiare in rapporto a questo più generale contesto, da un lato, la effettiva singolarità delle istituzioni comunitarie brianzonesi fra il tardo medioevo e la prima età moderna, dall’altro, le ripercussioni locali di alcuni conflitti e trasformazioni di portata decisiva. Basti pensare, a questo proposito, alla conflittualità quasi permanente che, in materia fiscale, oppose, dal 1540 al 1640 circa, il Terzo stato agli ordini privilegiati, le città alle comunità rurali del Delfinato. Studi recenti hanno dimostrato come il contenzioso giuridico cui dette luogo, noto come “procès des tailles”, e le agitazioni sociali che lo accompagnarono abbiano dominato, accanto alla questione religiosa e non di rado in combinazione con essa, la vita politica delfinatese dell’epoca, spianando la strada agli interventi sempre più incisivi della corona, come la soppressione degli Stati provinciali e l’introduzione di nuove circoscrizioni finanziarie emananti dal centro, facenti capo ai “bureaux d’élection”, nel 1628. [Chomel 1999, pp. 86-88, 110-138; Hickey 1993]
Come, in generale, nel resto del Delfinato, nelle valli del Brianzonese, consoli, consiglieri e auditori dei conti nominati dalle comunità erano responsabili della ripartizione e riscossione nel territorio di loro competenza della “taille royale”, il tributo dovuto al sovrano, oltre che della fissazione e della riscossione della cosiddetta “taille négotiale”, destinata a far fronte alle spese locali. Entrambi i tributi gravavano sul possesso della terra. La quota di “taille royale” attribuita a ogni comunità era determinata da un indice (il numero di “fuochi”) che secondo l’amministrazione centrale ne esprimeva la capacità contributiva, valutato in base al numero dei capifamiglia assoggettati all’imposta e a una stima della quantità e qualità delle proprietà fondiarie. L’ammontare della “taille négotiale”, ripartito fra i contribuenti nella stessa proporzione della “taille royale”, era invece stabilito a livello locale. La compilazione dei “ruoli” delle somme dovute dai vari contribuenti e le modalità di imposizione e riscossione delle taglie erano regolate da norme e sottoposte a controlli emananti dalle competenti magistrature provinciali (il cui assetto istituzionale e le cui attribuzioni, bisogna osservare, mutarono, soprattutto nel corso del secolo XVII, per iniziativa della monarchia, nel senso di un progressivo trasferimento di poteri dal parlamento agli uffici dell’elezione e all’intendente della provincia). [Bligny 1973, pp. 245-256, 289-292; Chomel 1999, pp. 135-145; Hickey 1993]
Dopo l’invasione sabauda nel corso della guerra di successione spagnola, manifesti fatti pubblicare nel 1708 dal duca Vittorio Amedeo II rassicuravano gli abitanti delle valli appena conquistate sul fatto che l’amministrazione della giustizia e “l’économie ou régie des affaires publiques et des communautés” avrebbero osservato le forme seguite fino ad allora. Nel 1713, l’articolo IV del trattato di Utrecht contemplava l’impegno dei due sovrani contraenti a rispettare “consuetudini e privilegi” dei territori reciprocamente ceduti. Le trattative subito avviate dai rappresentanti delle comunità per ottenere dai nuovi sovrani la conferma dei diritti acquisiti, nel corso delle quali le riunioni dell’ “écarton” di Oulx furono sede attiva di concertazione e decisione, occuparono, senza concludersi, tutto il regno di Vittorio Amedeo II.
Disturbava, agli occhi della nuova amministrazione, l’ampia autonomia goduta, di fatto se non sempre di diritto, dalle comunità, soprattutto in campo fiscale. Venivano messe sotto accusa, in particolare, alcune modalità di esazione delle taglie e la determinazione della “taille négotiale”, che pareva sottrarsi a ogni effettiva possibilità di controllo esterno. Uno spazio di intervento sembrava aprirsi ai rappresentanti dello Stato dai conflitti che agitavano le realtà locali. Negli anni 1718-1719, emerge infatti e cerca udienza presso i nuovi governanti, come nel periodo immediatamente precedente si era indirizzato alle magistrature del Delfinato, un malumore probabilmente inasprito dai costi eccezionali sopportati nel lungo periodo bellico appena trascorso, ma che si direbbe in buona parte endemico e connesso a cause strutturali. Da comunità come Oulx, Salbertrand, Chiomonte e Cesana, gruppi di “particolari” avanzano richieste di “revisione dei conti” consolari, ossia dei bilanci delle loro amministrazioni comunitative, di cui denunciano irregolarità e malversazioni nella riscossione delle taglie e nella certificazione delle voci di spesa. I rappresentanti delle amministrazioni in carica si oppongono alla procedura invocata dai loro accusatori e difendono pratiche di riscossione della taglia additate come contrarie agli stessi regolamenti emanati dal parlamento di Grenoble nel 1661, in nome dei peculiari “usages du pays du Briançonnais”, rispettati dalla giurisprudenza dell’ufficio dell’elezione di Gap e dello stesso parlamento.
L’intero sistema delle “libertà brianzonesi” viene rappresentato in una relazione del castellano Syrod del 1719, come lo strumento di una oligarchia chiusa, padrona delle istituzioni comunitarie grazie a complicità e meccanismi di cooptazione tra gruppi cementati da rapporti di parentela e di alleanza, artefice di fortune realizzate attraverso una gestione spregiudicata della fiscalità regia e locale, e grazie agli estesi rapporti di credito che questo le procura. Vengono stigmatizzate in particolare le riunioni degli “écartons”, la loro informalità, la scarsa trasparenza di processi decisionali che prevedono livelli successivi di consultazione fra gruppi sempre più ristretti, i rimborsi spese e i compensi stabiliti in maniera arbitraria: Il s’est de longtemps pratiqué des assemblées généralles d’Écarton, ménagées et conduites par des principaux chefs et habitants de quelques Communautés sous des motifs ou prétextes d’affaires importantes, par eux des uns aux autres réciproquement communiquées en des assemblées particulières entre eux convoquées, et dez qu’entre quelques uns des principaux chefs des deux Écartons ils avoint proposé, delibéré et conclud, ils donnoint part de leur détermination à quelques uns des autres principaux pour convoquer des assemblées généralles d’Écarton sur les avis qu’ils leur mandoint. […] dans les assemblées de chacun des quels Écartons sur les propositions et par les délibérations et conclusions on deputoit deux ou trois des mêmes principaux chefs […] muni[s] des premières assemblées d’un ample et suffisant pouvoir, dont ils se prévaloint dans une seconde assemblée pour députer un ou deux ou plus d’entre eux pour quelle négociation que ce puisse estre. Dans les premières, ou secondes délibérations on couchoit des sommes certaines pour avance des frais, et fournitures, et sur le certificat raporté de chaque député de ses vacations et fournitures on couchoit un second article dans le compte général de l’Écarton dont les sommes se repartissoint sur chaque Communauté à livres, sols, et deniers à proportion de cottes d’estime de taille royalle dans un ou plusieurs articles de la négocialle sans y spéciffier et sans y donner au public ny même quelques fois aux Consuls et auditeurs de compte aucune connoissance de cause de telles impositions, et sans sçavoir s’il y avoit des causes avantageuses ou préjudiciables au public, les Consuls, et auditeurs de chaque Communauté passoint aveuglement comme un article privilégié toutes les impositions qui sortoint du compte général de l’Écarton sans qu’aucun d’iceux ny des particuliers habitants eut ozé former aucune opposition ny contredire. [ASTO Memoria 1719; ASTO Ricorso Valli; Maurice 1976, pp. 13-26, 201-212; Patria 1996, pp. 97-102]
La questione della ratifica degli antichi privilegi si riaccese con l’inizio, nel 1734, di una politica di infeudazioni, che nel 1747 riguardò Clavières. Le infeudazioni comportavano la cessione della giurisdizione “con il mero e misto imperio”, la “prima e seconda cognizione” delle cause, i proventi delle pene e multe comminate, la “facoltà di deputare i sindaci, fiscali, segretari, campari ed altri inservienti alla giustizia”, i diritti di caccia e pesca, la facoltà di redigere i bandi campestri. Le comunità videro nelle infeudazioni un attentato ai loro antichi privilegi, soprattutto in tema di nomina degli ufficiali locali e di amministrazione della giustizia, rifiutando la prospettiva di giurisdizioni feudali, in nome della precedente esclusiva competenza sui loro abitanti della giustizia del re-delfino. Con lettere patenti del 28 giugno 1737, il re Carlo Emanuele III confermò infine la carta del 1343, limitata dalla clausola, suggerita dall’avvocato generale presso il Senato di Torino, “senza pregiudicare ai diritti del regio patrimonio” e “compatibilmente con quanto disposto dalle Regie Costituzioni”. A questa ratifica non abbastanza rassicurante fece seguito, da parte delle amministrazioni comunitative, la raccolta di “certificati” comprovanti i privilegi goduti sotto il passato regime, rilasciati nel 1738 da varie magistrature del Delfinato, e il progetto, deciso in una riunione dello stesso anno degli “écartons” di Oulx e del Pragelato, di riedizione del testo delle transazioni del 1343, delle successive ratifiche e della giurisprudenza relativa. [ASTO Pareri; ASTO Patenti; Maurice 1976, pp. 32-36]
L’impatto delle infeudazioni, peraltro non generalizzate, fu probabilmente attutito dalla circostanza che i diritti più strettamente legati al possesso e al godimento delle risorse collettive restassero sotto il controllo delle comunità, dall’assenza dell’elemento costituito dalla proprietà feudale immune, dalla lontananza ed estraneità dei titolari del feudo e dalla continuità dell’esercizio concreto della preminenza e delle funzioni di governo locali.
Nel 1776 le “comunità delle valli di Oulx, di Cesana e del Chisone” presentarono al re Vittorio Amedeo III un’istanza per essere dispensate dall’osservanza del Regolamento generale delle comunità emanato nel 1775, appellandosi alla carta del 1343 e allo statuto delfinale del 1349, oltre che alle successive ratifiche dei sovrani, fino a Carlo Emanuele III. Chiedevano, in particolare, il mantenimento del principio della nomina dei consoli e consiglieri “e altri ufficiali municipali” nelle “assemblee generali degli abitanti” (è possibile tuttavia che qui, come più in generale nel Delfinato dei secoli XVII e XVIII, queste fossero di fatto limitate ai capifamiglia più agiati [Bligny 1973, p. 254]) e “mediante la prestazione del giuramento semplice degli eletti nelle mani del castellano”, inoltre, in numero sufficiente ad assicurare una presenza di “agenti” proporzionata al numero degli “hameaux dispersés” di cui si componevano normalmente le comunità; il privilegio di riunirsi liberamente senza il permesso e l’intervento del castellano; infine, la continuazione dell’uso della lingua francese nei documenti interni delle amministrazioni locali e negli atti dell’intendenza che le riguardavano. [ASTO Osservazioni; Maurice 1976, pp. 233-236]
La comunità delfinatese del tardo medioevo e l’età moderna è un raggruppamento amministrativo che può avere basi territoriali differenti e non mutualmente esclusive. Soprattutto nelle aree alpine, non coincide quasi mai con una singola unità insediativa, ma costituisce perlopiù l’espressione organizzata degli abitanti di una castellania o mandamento che estende spesso la propria giurisdizione al territorio di un’intera valle. D’altra parte, vari “villaggi” o “borgate” che di per sé stessi non hanno caratterizzazione giuridica di “corpo di comunità”, mantengono comunque una qualche forma di individualità riconosciuta e rappresentata all’interno delle “università” di castellania o mandamento. Queste ultime appaiono dunque dotate di una interna articolazione, non priva di aspetti di subordinazione gerarchica (e di corrispondenti tensioni) rispetto a un “borgo” principale che funge da “capoluogo”, ed è anche la sede in cui il castellano amministra la giustizia e gli interessi demaniali del signore (che nelle castellanie di Oulx e di Cesana corrisponde allo stesso delfino). Nel corso del secolo XVII, la valle di Oulx vide l’erezione in comunità autonome di alcune tra quelle che fino ad allora erano state semplici borgate aggregate al capoluogo. Se la base di tali smembramenti fu la “separazione” dei catasti e quindi la creazione di cellule autonome dotate di forti attribuzioni nella gestione della fiscalità regia e locale, il possesso e il godimento delle risorse silvo-pastorali collettive conservarono, con declinazioni giuridiche diversificate, forme associative che spesso segmentavano o intersecavano variamente le singole realtà comunitative. In quest’ambito, le fonti lasciano intravedere, ad esempio, una duratura rilevanza, fino a tempi non troppo remoti, della parrocchia, il cui ambito territoriale, in diversi casi, si situa al di sotto o a cavallo di quello delle circoscrizioni comunali. Ancora tutto da studiare è poi il ruolo delle confrarie dello Spirito Santo, la cui presenza e attività durante la prima età moderna sono documentate a Oulx e Savoulx, oltre che a Chiomonte. [ASCO Confraternita; ASCO Conti; Benedetto 1953, pp. 64-66; Cornagliotti 1975] Solo tra il secolo XIX e il secolo XX, comunque, si avvia un tendenziale scioglimento delle residue forme di “promiscuità” sulle terre comuni.
La più saliente peculiarità del Brianzonese risiede nel fatto che la sfera comunitaria disponeva qui, almeno dal tardo secolo XV, di un ulteriore espressione istituzionale, anch’essa dotata di incisive attribuzioni finanziarie, costituita dai quattro, poi cinque, “écartons” presenti nel “paese”, e dalle loro forme di coordinamento. Dopo il distacco della Val Chisone nella seconda metà del secolo XVI, l’“écarton” di Oulx corrispondeva, come ambito territoriale, al mandamento omonimo e a quelli di Cesana e di Bardonecchia. Come si è visto, l’“écarton” di Oulx si dimostrò un’organismo politicamente vitale, anche se contestato, nel corso dei primi due decenni successivi all’annessione sabauda. Intorno al 1740 si nota invece una drastica rarefazione delle sue riunioni e la caduta in disuso del termine stesso di “écarton” nei loro atti deliberativi, mentre non si conserva alcuna documentazione relativa a una eventuale attività dell’ “écarton” di Oulx dopo il 1748.[Benedetto 1953, pp. 19-20; Bligny 1973, pp. 254-258; Maurice 1976, pp. 55-57]
Come risultato del suo smembramento da Montgenèvre, Clavières mantenne a lungo uno statuto ibrido, nel quale, pur non potendosi qualificare pienamente come comunità, godette di forme di rappresentanza e di autonomia comunale. Intorno al 1750, la sua posizione era dunque ancora quella di una “borgata”, che, dopo la separazione da Montgenèvre, “non sendo unita ad alcun altra Comunità fa corpo da sé medesima, e nomina un Console ogni anno, comparendo per tal fine quei particolari nel Luogo di Cezanna regolarmente il giorno di S. Lorenzo all’occasione che detta Cezanna tiene la sua assemblea generale ed ivi ad alta voce dichiarano il Console che intendono di nominare.” [ASTO Notizie Statistiche, c. 258v] Non è stato ancora individuato il provvedimento preciso che presiedette all’erezione formale di Clavières in comunità; questo sviluppo va comunque collocato nel corso degli anni Settanta del secolo XVIII. [Ferraris 1983, p. 35]
Statuti
Non attestati.
Catasti
A differenza di gran parte del Delfinato fino al 1634, il Brianzonese, come, più in generale, la regione compresa nel «baillage des Montagnes», era paese di «taglia reale», cioè gravante sul possesso fondiario, e in base allo statuto giuridico dei fondi e non dei proprietari. Erano dunque, in linea di principio, le terre, in base a una classificazione fissatasi in un qualche momento del passato, a essere considerate immuni dalla taglia, in quanto nobili o ecclesiastiche, oppure imponibili, in quanto «routurières», indipendentemente dalla condizione di chi ne entrava in possesso. La registrazione della proprietà fondiaria in «parcellari» o catasti si era quindi affermata dal tardo medioevo (Allard 1970, col. 191; Bligny 1973; Chomel 1999; Hickey 1993, pp. 36, 77). Nel secolo XVIII, sotto il nuovo governo sabaudo, sebbene da parte degli intendenti si deprecasse occasionalmente lo stato di disordine e vetustà dei catasti, non fu intrapresa alcuna operazione di aggiornamento, ispirata, ad esempio, alla Perequazione sperimentata dai domini piemontesi e savoiardi (AST, Memoria 1719; AST, Notizie Statistiche). La situazione appariva ai funzionari sabaudi complicata dalla ingente presenza di beni comuni non registrati nei catasti delle comunità locali. Come scriveva l’intendente della provincia poco dopo il 1750: «non si è potuto fare alcuna menzione di quella superficie de’ beni che sono comuni, come de’ pascoli, e boschi, stante che le dette comunità non hanno alcuna misura di questa sorta di beni, sendo li cadastri, de’ quali si servono fondati per la maggior parte sovra le medesime ricognizioni passate ne’ tempi antichi dalli stessi particolarj proprietarj de’ fondi» (AST, Notizie Statistiche, cc. 297v-298r). Ancora intorno alla metà del secolo XVIII, la «borgata» di Clavières non possiede catasto «ma solo una memoria ricavata dal cadastro di Monte Ginevro nella quale si contengono li beni coltivi da questi particolarj posseduti» (AST, Notizie Statistiche, c. 258v). Il materiale di natura catastale conservatosi non risale oltre il 1884 e consiste in «volture» e domande di voltura (AC Clavières, Catasto; AC Clavières, Deliberazioni; AC Clavières, Categoria I, Amministrazione [1844-1952], Classe 5, Consiglio e Giunta comunale [1899-1952], Registri deliberazioni, fascc. 13-14 [1929-1942]).
Ordinati
Le deliberazioni del Consiglio e della Giunta comunali sono conservate solo dal 1929 (AC Clavières, Deliberazioni).
Dipendenze nel Medioevo
Nel quadro della distrettuazione carolingia, il legame di dipendenza giurisdizionale della Valle di Susa dal comitato di Torino è documentato nei placiti dell’827 e dell’880, tenuti rispettivamente dai conti Ratberto e Suppone. Intorno alla metà del secolo X, il comitato di Torino era con ogni probabilità retto da Arduino III «il Glabro», benché egli non compaia mai nelle fonti coeve con il relativo predicato d’ufficio, mentre lo sappiamo per certo, almeno dal 945, a capo del comitato di Auriate, carica nella quale successe al padre Rogerio. Nel 964, è attestata l’adozione, da parte dello stesso Arduino del titolo marchionale, a coronare lo smembramento della grande marca di Ivrea e a sanzionare la rapida ascesa della famiglia arduinica ai vertici del potere pubblico e del radicamento signorile nell’area nordoccidentale del regno italico. Arduino III, impegnato nella lotta contro i Saraceni di Frassineto, fu all’origine della cospicua presenza patrimoniale della famiglia arduinica nella Valle di Susa. Il Chronicon Novalicense (metà del secolo XI) ne lamenta, sia pure conferendole dimensioni probabilmente eccessive, la spoliazione, collocabile tra il 940 e il 946, in tal modo effettuata ai danni dei monaci della Novalesa: «cum vallis Segusina inermem et inhabitatam permaneret, Arduinus vir potens eripit illam et nobis tulit». Più tardi, la particolare attenzione riservata dagli Arduinici, ormai impegnati nella costruzione di un principato territoriale dinastico, per la Valle di Susa, connessa al controllo dei passi alpini, è confermata da alcune tra le più importanti delle numerose iniziative di fondazione e protezione di enti religiosi assunte dal marchese Olderico Manfredi, fondatore del monastero di San Giusto di Susa nel 1029 e dalla figlia Adelaide, con interventi e largizioni in favore della prevostura di San Lorenzo di Oulx (anni 1057, 1073) e di Santa Maria di Susa (1033, 1080) (Cipolla 1896, doc. I, p. 68; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. 7, pp. 7 sgg., doc. 25, pp. 31 sgg.; doc. 34, pp. 42-43; docc. 37-38, pp. 48 sgg.; Sergi 1994, pp. 38-41; Sergi 1995, pp. 85 n. 124, p. 87 nn. 138-139, p. 99 nn. 195-196). Un diploma emanato dall’imperatore Ottone III il 25 luglio 1001 confermava a Olderico Manfredi il possesso della «terciam partem Vallis Seguxiae», probabilmente in quanto erede, attraverso il padre Manfredo, di Arduino III. Nel documento sono citati, tra gli altri, i luoghi di Oulx, Bardonecchia e Cesana. Quasi tutte le località menzionate nella concessione ottoniana furono a loro volta interessate dalla cessione di una terza parte, inserita nella dotazione dell’abbazia di San Giusto, vero “monastero privato” e perno della valorizzazione di un’area di eccezionale «densità patrimoniale» della famiglia. Acquisita buona parte della titolarità del patrimonio arduinico presente nella Valle di Susa, l’abbazia vi costituì la più importante presenza signorile, ancora per molto tempo dopo la morte di Adelaide (1091) e l’affacciarsi nell’area dei conti di Moriana-Savoia. Per i marchesi arduinici, la fondazione e il potenziamento di San Giusto assunsero anche una funzione di bilanciamento e contrapposizione verso due prestigiose realtà monastiche preesistenti nella zona e caratterizzate, nei confronti del loro potere, da diffidenza, come San Michele della Chiusa, od ostilità, come San Pietro di Novalesa (MGH, doc. 408, p. 842; Sergi 1995, pp. 71-77, 85, 87, 99-101 n. 205, 134-140) Mentre, dalla fine del secolo XI, i conti di Moriana-Savoia, pretendenti all’eredità di Adelaide, imponevano la loro egemonia sulla parte centrale della Valle di Susa e sul passo del Moncenisio, cercando inoltre di estendere la loro influenza all’alta valle, segnatamente attraverso donazioni alla prevostura d’Oulx, attestate nel 1053 e nel 1073 (Chomel 1999, p. 12; Le carte della prevostura d’Oulx, doc. 4, p. 5, doc. 24, p. 29; Patria 1996, pp. 36-37), si registrano le prime testimonianze di una presenza patrimoniale nel Brianzonese e nell’alta valle della Dora Riparia (valli di Cesana e di Oulx) della famiglia transalpina dei Guigonidi (Guigues, nella forma francese). I Guigonidi appartenevano alla nuova aristocrazia militare impostasi, con la dissoluzione dell’inquadramento postcarolingio nel regno di Borgogna dei comitati di Vienne e di Grenoble, come protagonista del processo in atto di nascita della signoria di castello. Nel 1016 è attestato per la prima volta l’uso del titolo comitale, privo di specificazione geografica, da parte di un membro della famiglia, Guigo I «il Vecchio». Un suo discendente, Guigo III «il Conte», vi aggiunse per primo, nel 1079, il predicativo «di Albon» («comes Albionis»). Lo stesso personaggio, in un documento redatto intorno al 1100, si fregia del titolo di «princeps». Il figlio, Guigo IV, ricevette il soprannome di «Delfino», attestato dal 1110 («Guigo Delphinus»), che sarebbe diventato più tardi il marchio della dinastia: «delfinus viennensis» finì in tal modo con il sostituire il più vecchio titolo di conte di Albon, mentre il termine «Dalphinatus», a indicare l’ambito istituzionale e territoriale del potere dei delfini, comparve solo nel 1293, sotto l’ultima dinastia delfinale del principato indipendente, quella dei de La Tour du Pin. Nel 1155, Guigo V ottenne dall’imperatore Federico I la conferma di diritti e privilegi riconosciuti a lui e ai predecessori come derivanti dall’Impero, tra i quali il diritto di battere moneta a Cesana («villa qui dictur Sesana que sita est ad radicem Montis Iani»): i primi esemplari che attestano il suo esercizio effettivo datano dal 1192 (Bligny 1973, p. 119; Benedetto 1953, p. 19; Patria 1996, p. 39). Dalla seconda metà del secolo XII, la preminenza delfinale appare abbastanza solidamente stabilita nell’alta Valle della Dora Riparia, estendendosi, nel decennio finale del secolo, in un moto di espansione favorito dalle difficoltà successorie incontrate allora dai Savoia, fino ai pressi del rio Gelassa, oltre Gravere. Elemento essenziale di questa affermazione fu il coinvolgimento di una cerchia di famiglie locali, già protagoniste per autonoma iniziativa del processo di incastellamento che aveva interessato il territorio, in forme di coordinamento scaturite da empirica sperimentazione politica, anche se non insensibili all’effetto legittimante di gesti e titoli che rimandano all’esercizio di funzioni pubbliche e al riconoscimento imperiale. Espressioni spontanee di supremazia locale si trovarono in tal modo riqualificate come forme di esercizio delegato dei poteri “comitali” attribuiti a se stessi dai Guigonidi, da parte di «ministeriales», custodi di castello o anche «vicecomites»: dignità e funzioni che venivano, a loro volta, regolarmente patrimonializzate e dinastizzate (Benedetto 1953, p. 19; Patria 1996, pp. 40, 46). Altro potente strumento di penetrazione nell’area, attraverso l’aggregazione di interessi e clientele, fu il favore largito agli enti ecclesiastici locali, in primo luogo alla prevostura di San Lorenzo di Oulx, in un quadro di adesione e sostegno ai principi della riforma ecclesiastica. Nei secoli XI e XII, la prevostura ricevette in questo modo beni fondiari (il primo esempio, riguardante un «mas» in Cesana, risale al 1053), diritti di decimazione, diritti di strada incentrati sul transito dei pellegrini lungo la strada del Monginevro tra Cesana e Oulx, l’esenzione dai pedaggi per i propri uomini e merci, le decime sui prodotti delle attività estrattive (piombo argentifero e ferro) praticate «a monte Jani usque ad Caput moncium» (Le carte della prevostura d’Oulx, docc. 185, 187, 247): si segnalano a questo proposito le concessioni effettuate dai primi due mariti di Beatrice – la figlia di Guigo V (m. 1162), con il quale si estinse la prima dinastia delfinale – Aubert de Taillefert e Ugo di Borgogna, rispettivamente nel 1178 e nel 1188, oltre alla conferma di tutti i privilegi accordati dai suoi predecessori, compiuta nel 1223 da Guigo Andrea (o Andrea Delfino), primo esponente della dinastia borgognona (1190-1236) (Patria 1996, pp. 37, 39-40; Benedetto 1953, pp. 19-20). Tra i conti di Albon-delfini del Viennese e i Savoia intercorsero nei secoli XI-XIII legami di alleanza matrimoniale; la coesistenza, in una situazione di accentuata intersezione dei rispettivi territori e ambiti di influenza, fu inoltre resa possibile dalla politica di lealtà plurime praticata dalle aristocrazie locali, anche se gli antagonismi, in parte legati al controllo dei transiti fra la valle del Rodano e l’Italia, non mancarono di esplodere in aperte ostilità: per la prima volta nel 1140, con l’assedio posto da Guigo IV al castello sabaudo di Montmélian. Solo assai più tardi, tuttavia, tra le due dinastie sarebbe prevalsa la logica del confronto militare: uno stato quasi permanente di belligeranza caratterizzò, in particolare, gli anni dal 1283 al 1334, sebbene gli scontri interessassero principalmente teatri transalpini come il Viennese, il Grésivaudan, il Faucigny, la Bresse. La competizione si espresse però anche nel tentativo, posto in essere dai delfini, di restituire al valico del Monginevro l’antica preminenza, perduta in età medievale a vantaggio del Moncenisio: ostacolati nei loro progetti dal controllo esercitato dai rivali sulla sezione mediana della valle di Susa, nel 1228, ad esempio, stipularono un accordo con il comune di Torino, per mezzo del quale cercarono di convogliare il traffico dalla pianura padana al Monginevro attraverso la Val Chisone (Benedetto 1953, p. 19; Bligny 1973, pp. 113-114; Chomel 1999, pp. 7, 10-14, 18, 26; Patria 1996, pp. 38, 49-50; Sergi 1981, pp. 21-23). I resoconti delle inchieste amministrative condotte sotto Guigo VI (1236-1269) tra il 1250 e il 1267, e conservateci in parte nel cosiddetto «Probus», documentano la presenza del Brianzonese, dell’alta valle della Dora Riparia, dell’alta Val Chisone e dell’alta Val Varaita tra i domini delfinali: troviamo, in particolare, tra le castellanie o comunità visitate, Montgenèvre, Cesana, Sauze di Cesana, Oulx, Salbertrand, Exilles, Chiomonte. Il potere delfinale, seriamente e permanentemente limitato – nonostante lo sforzo di riorganizzazione burocratica e di feudalizzazione dei poteri signorili perseguito sotto un principe come Guigo VI – dai poteri vescovili nelle città e dalla grande aristocrazia insediata nelle terre più ricche della valle del Rodano, appare alquanto più forte precisamente nelle valli alpine del Brianzonese e dello «outre-monts». Qui, dalla metà del secolo XIII, la diffusione del giuramento ligio nei contratti di infeudazione e nel rapporto dei rustici con il principe, insieme al crescente ricorso a un funzionariato effettivamente revocabile nominato dal delfino nell’amministrazione giudiziaria e fiscale ridussero lo spazio per lo sviluppo di poteri signorili con tendenze autonomistiche. Si sottrasse in buona parte a questo processo ancora per un secolo il dominio esercitato in un quadro che restò sostanzialmente “allodiale” dall’antico lignaggio «de Bardonisca»-de Bardonnèche sulla valle omonima (Patria 1996, pp. 49-53). Fra il 1343 e il 1349, indottovi dalla insostenibile situazione finanziaria del principato e dalla mancanza di eredi, il delfino Umberto II, che da alcuni anni ormai andava esplorando diverse ipotesi di cessione di sovranità, si rese protagonista di quello che storici e giuristi posteriori avrebbero definito il «trasporto» del Delfinato alla Francia: con il trattato di Vincennes del 23 aprile 1343, egli cedette infatti il diritto a succedergli, in caso di morte senza eredi, al duca di Orléans, figlio cadetto del re di Francia Filippo VI. In seguito (11 aprile 1344), un atto unilaterale del re Filippo VI trasferì i diritti di successione al proprio figlio maggiore, il duca di Normandia, mentre un ulteriore trattato, concluso ad Avignone il 7 giugno 1344 tra il delfino e il duca di Normandia, rese infine destinatario della cessione il figlio maggiore di quest’ultimo, Carlo. La vicenda si concluse con la stipulazione definitiva, avvenuta a Romans, il 30 marzo 1349, da parte di Umberto II, rimasto vedovo e in procinto di abbracciare lo stato religioso, della sua rinuncia al Delfinato in favore del principe Carlo, perfezionata dal solenne passaggio dei poteri inscenato a Lione il 16 luglio successivo. Tra le clausole del «trasporto», il divieto di unione del Delfinato al regno di Francia, l’interdizione agli ufficiali e alle corti del re di occuparsi di cause riguardanti i sudditi delfinali, la conservazione delle «libertà, franchigie, privilegi, buoni usi e consuetudini del Delfinato», in parte compendiati nello «Statuto delfinale» («Statutuum solemne») promulgato da Umberto II nel 1349, alla vigilia della sua abdicazione (Chomel 1999, pp. 74-81; Benedetto 1953, pp. 31- 62).
Feudo
Passato sotto il dominio sabaudo con il trattato di Utrecht del 1713, il luogo di Clavières venne infeudato a titolo oneroso ai fratelli Gianfrancesco e Alessandro Guaschi, colonelli a Servizio Cesareo, il 17 maggio 1747 e investita il 9 settembre con il titolo di contea. Morto Gianfrancesco nel 1762, nell’aprile del 1780 Alessandro lasciò il feudo al nipote Francesco Molineri, capitano dei dragoni di Coburgo, il quale, in seguito alla morte senza prole degli zii materni, ne venne investito con il titolo di conte, il 1 dicembre 1781 (AST, Indice dei feudi, vol. 304, f. 314; Guasco 1911, pp. 598-599; Manno 1895, p. 199; Maurice 1976, pp. 24-26).
Mutamenti di distrettuazione
Il termine mandamentum appare in Delfinato verso il 1050 a designare il territorio controllato da un castello, di origine perlopiù allodiale, sviluppando pienamente nel secolo successivo i contorni di cellula organizzativa fondamentale della percezione della rendita signorile e un forte connotato giurisdizionale. Rari fino al secolo XIII furono i coordinamenti di tipo feudale di queste formazioni locali, quando sorte da iniziative di altri signori, nei confronti dei delfini, che potevano perciò contare essenzialmente sul loro patrimonio diretto o su poco impegnative lealtà nate da rapporti di parentela e alleanza matrimoniale. Nelle terre demaniali dei delfini o là dove essi riuscirono a imporre la loro superiorità sui signori locali, il «mandamento» o «castellania» funzionava come circoscrizione amministrativa, giudiziaria e fiscale di base del principato, ruolo che in qualche modo avrebbe mantenuto fino al tramonto dell’Antico Regime (Chomel 1999, pp. 31-32, 197).
     Nella prima metà del secolo XIII, l’articolazione locale dell’ufficialità del principato vide aggiungersi, al di sopra dei castellani, i «balivi», attestati dapprima nei territori maggiormente in contatto con la cultura giuridica provenzale e italiana, come il Brianzonese. Dall’inizio del secolo XIV, il balivo venne affiancato da un giudice maggiore e da un procuratore fiscale, di nomina delfinale. A quest’epoca, erano presenti otto baliaggi, tra i quali, quello del Brianzonese, il cui tribunale sedeva a Briançon. Al balivo spettavano compiti di organizzazione e direzione militare, di amministrazione civile (in particolare relativamente ai ponti, alle strade e alla manutenzione delle fortezze delfinali) e giudiziaria, mentre la riscossione dei tributi e dei diritti dovuti al delfino restava di competenza dei singoli castellani. Il giudice maggiore teneva le sue «assise» periodicamente nelle sedi delle diverse castellanie che componevano un baliaggio, con compiti di alta giustizia di prima istanza in materia criminale e in cause riguardanti la persona o il patrimonio del delfino, di appello nei confronti dei tribunali delle castellanie e delle corti signorili dei vassalli del delfino (Bligny 1973, pp. 130-132). Tra le diverse riforme amministrative promosse dal delfino Luigi II (futuro Luigi XI di Francia) figura l’accorpamento, deciso nel 1447, in due soli baliaggi degli otto precedentemente esistenti nel principato. In seguito a questa misura, il baliaggo del Brianzonese entrò a far parte, con quelli dell’Embrunais, del Gapençais e delle Baronie, nel baliaggio delle «Montagnes», conservando, però come gli altri tre, la propria sede separata, a Briançon, e un proprio vicebalivo (Bligny 1973, p. 177; Chomel 1999, p. 99).
     Nel 1453, sotto lo stesso principe, il Consiglio delfinale, creato da Umberto II con una serie di ordinanze prese fra il 1336 e il 1340, detentore di alte funzioni giudiziarie e anche di vicarie funzioni di governo, si trasformò in Parlamento del Delfinato, con sede stabilmente a Grenoble. Durante la prima età moderna, questo organismo, oltre a pronunciarsi in appello sulle cause civili e criminali discusse nei tribunali inferiori, come quelli di baliaggio, ponendosi a un tempo come difensore delle “libertà” delfinali sancite nello «Statutuum solemne» del 1349 e come corte sovrana rappresentante della monarchia francese nella provincia, consolidò poteri giurisdizionali assai ampi, intervenendo su numerose questioni anche con l’emanazione di norme e regolamenti di carattere generale, e muovendosi frequentemente con i propri «arrêts» e le proprie «homologations», in un campo che oggi definiremmo più propriamente amministrativo. In particolare, ebbe un ruolo di certificazione e di controllo assai rilevante, con la tendenza a espandersi nel corso del secolo XVII, nei confronti dell’amministrazione interna delle comunità e dell’esercizio delle loro attribuzioni in materia di fiscalità regia e locale. Inoltre, costituivano regolarmente materia delle sue sentenze e dei suoi interventi normativi, questioni come le liti territoriali e i contenziosi sorti fra le comunità o fra articolazioni interne alle stesse, intorno ai beni comuni o alla ripartizione dei carichi fiscali. Solo nel 1679 fu stabilmente installato a Grenoble un «intendant de justice, police et finaces» come rappresentante diretto del re, e solo verso la fine del secolo i suoi poteri giunsero a sostituirsi in misura significativa a quelli tradizionalmente esercitati dal Parlamento nel controllo dell’amministrazione e della finanza locali (Favier 2001, pp. 11-23; pp. 54-74).
     Rimane largamente inesplorato il tema di come le autonomie incarnate dagli «écartons» del Brianzonese (cfr. il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’) si situassero, oltre che in rapporto ai poteri di controllo amministrativi e finanziari del parlamento, anche nel più ampio quadro tracciato dalle prerogative esercitate dall’assemblea degli Stati dei tre ordini della provincia, creati nel 1367, nei confronti delle richieste fiscali della monarchia. Allo stesso modo, è quasi del tutto sconosciuto il rapporto con l’amministrazione finanziaria più centralistica che la sostituì, a partire da quando gli Stati furono aboliti nel 1628 – dopo avere già perduto, nel corso del secolo precedente, alcuni dei suoi poteri più significativi – a vantaggio di dieci, poi (nel 1634) sei «bureaux d’élection»: per il Brianzonese fu competente quello di Gap (dalla cui giurisdizione restava però escluso il «receveur particulier» incaricato di riscuotere i «ducats briançonnais») (Allard 1970, col. 191; Chomel 1999, pp. 135-136).
     Più in generale, attendono di essere studiati in dettaglio i processi concreti di affermazione dell’autorità dei delfini-re di Francia sui territori alpini che qui ci interessano, in rapporto con la definizione delle forme del possesso della terra e della giurisdizione. La «transazione» con le comunità del Brianzonese del 1343 e lo statuto delfinale del 1349, puntualmente ratificate dai re di Francia, restano punti di riferimento costantemente invocati nella giurisprudenza e nel dibattito politico successivi, dove concorrono insieme a compattare un sistema tradizionale di “libertà”. Andrebbero però pienamente apprezzati il significato e la portata specifici di ciascuno dei due documenti, in rapporto l’uno con l’altro, e alla luce dei differenti assetti “originari” dei poteri esistenti nelle diverse regioni del Delfinato. Si ritiene, in particolare, che lo Statuto delfinale abbia contribuito a preservare in Delfinato, paese di diritto scritto, il principio dell’allodialità del possesso, in assenza di titoli certificabili di signoria. Con un editto reale del 1658, la monarchia rinunciò di fatto, dopo alcuni tentativi andati a vuoto per la resistenza parlamentare, a imporre il principio di un proprio «diritto eminente universale» sul Delfinato, riconoscendo che «dans notre province de Dauphiné le franc-alleu est établi suivant l’usage de tout temps observé». Per quanto riguarda il Brianzonese, tuttavia, la dottrina di Antico Regime riconosceva che «le roi est seigneur de tout ce pays outre la souveraineté» (precisando: «à la reserve de quelque legère portion, dans Bardonnêche, à Oulx et à Chaumont», cioè di quelle «porzioni» di diritti signorili detenuti dai de Bardonnèche e dalla Prevostura di Oulx, i primi acquistati dalle comunità alla fine del secolo XVII) (Allard 1970, col. 191; Favier 2001, p. 54).
     Dopo l’annessione allo stato sabaudo, sanzionata dal trattato di Utrecht (1713), il territorio corrispondente alle castellanie di Oulx, Cesana, Bardonecchia, Chiomonte, Exilles e Salbertrand, insieme con la borgata di Clavières, smembrata dalla comunità di Montgenèvre, entrarono a far parte della Provincia di Susa. La loro individualità giuridica e linguistica (salvaguardata del resto dalle clausole della cessione da parte della Francia) fu tuttavia riconosciuta per tutto l’Antico Regime, a cominciare dal lessico degli atti burocratici sabaudi, che le designava generalmente come «Vallées du Dauphiné cédées a Sa Majésté», «Vallées du Dauphiné en deça des monts». Inoltre, dal 1708, data nella quale furono invase dalle truppe sabaude, esse furono affidate alla speciale competenza di un commissario con potere delegato dall’intendente, con la qualifica, di risonanza tradizionale, di «castellano» delle «Valli conquistate», mentre all’ufficio di intendente generale di Susa veniva conferito rango senatorio e la giurisdizione di «giudice maggiore» («juge mage»), un tempo aggregata al tribunale del vicebalivo del Brianzonese. Ai primi commissari, il piemontese Petiti e i savoiardi Claude e Pierre-François Syrod, successe Pierre Bernard Latourrette, di Oulx, appartenente a una delle principali famiglie della élite che dominava le amministrazioni locali. Nel 1748, Latourrette fu nominato «castellano delle Valli di Oulx e Cesana», mentre la sua carica di commissario veniva stabilizzata in quella di viceintendente o «subdelegato» dell’intendente generale di Susa (Duboin 1818-1869, pp. 1723, 1729, 1749; Maurice 1976; Patria 1996, pp. 88, 101; A.S.T., Stile).
     Dopo l’invasione napoleonica, secondo la nuova maglia amministrativa messa a punto dopo il voto espresso dal Governo provvisorio piemontese in favore dell’annessione alla Francia nel 1799, riconfermata, senza sostanziali modifiche per l’area che qui ci interessa, con l’unione del Piemonte alla Francia, decretata a titolo «temporaneo» nel 1801 e resa definitiva nel 1803, l’intera Valle di Susa entrò a far parte del Dipartimento dell’Eridano, con capoluogo Torino, di cui costituì un circondario («arrondissement»), retto da un sottoprefetto (Sturani 2001).
     Con la Restaurazione, fu ricostituita la Provincia di Susa, come parte della Divisione di Torino. Più tardi, il territorio della Provincia di Susa fu circondario all’interno della Provincia di Torino, fino al 1926, quando venne abolito. In anni recenti il comune di Claviere ha aderito alla Comunità Montana Alta Valle di Susa, con sede nel comune di Oulx, quindi alla 
Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone.
Mutamenti Territoriali
I principali mutamenti territoriali furono: - 22 agosto-17 settembre 1714: incontro a Briançon tra i commissari e i procuratori deputati da Vittorio Amedeo II e da Luigi XIV «pour regler les limites et dependances des cessions reciproquement faittes», con incarico di «aller sur les lieux et dresser une carte des dits terreins». L’esito dell’incontro, consegnato in un «Processo verbale» e in una carta topografica, determina sommariamente l’andamento del confine. Il trattato di pace ha previsto che i pianori («plaines») posti lungo la linea di cresta delle montagne siano divisi in modo che le «metà» assegnate alla Francia e al Piemonte contengano «le acque pendenti» rispettivamente dalla parte del Delfinato e del Piemonte. In applicazione di questo principio, da parte sabauda si sostiene che «la plaine, où est située la Communauté de Montgenèvre, et son territorie, doit être partagée suivant le cours de l’eau», determinando così il passaggio sotto la sovranità sabauda di «une partie des maisons d’habitation du Bourg, et en entier le Village de Clavières, qui fait partie de la ditte Communauté». Il procuratore del re di Francia obietta che la «vaghezza e generalità» del principio delle «acque pendenti» lo rendono inapplicabile senza la mediazione di una «conoscenza esatta e precisa del terreno». Nella loro visione, tale principio ha inoltre valore di semplice «spiegazione» delle «disposizioni principali» del trattato di pace, che contengono «in dettaglio, nome per nome le comunità e valli cedute da una parte e dall’altra», poiché, con la sola eccezione del «plateau du Montgenèvre», i confini che separano «le comunità cedute sulla frontiera del Brianzonese» e quelle rimaste sotto sovranità francese sono già «naturalmente regolati, da sempre» dallo spartiacque e dalle creste dei «rochers» o «monticules» che segnano le cime delle montagne. Da parte francese si nega insomma che le espressioni presenti nel trattato possano genuinamente ricevere una rigida interpretazione “geografica”, fino al punto di comportare, in maniera del tutto implicita, la cessione, nell’area del «plateau», «di un intero villaggio [scil.: Clavières] e di una grande estensione di terreni arabili e praterie» che contribuiscono al pagamento della taglia. Montgenèvre non dipende dalle «valli e comunità cedute», componenti gli «escarton» di Oulx e di Pragelato, ma costituisce «una comunità a parte», unita con altre del Brianzonese «sotto il nome di escarton di Briançon». I suoi confini realmente «conosciuti e naturali» sono quelli che la separano da Cesana, gli stessi che dividono nello stesso tempo le arcidiocesi di Embrun e di Torino. Si prospetta infatti come paradossale l’eventualità di una dipendenza degli abitanti di Clavières, tanto, «per lo spirituale», dalla parrocchia di Montgenèvre, che per i loro beni dalle autorità francesi: in questa particolare situazione, cercare di applicare alla lettera il criterio dello spartiacque e «mescolare indistintamente sotto due dominazioni gli abitanti di una stessa comunità e i loro beni» porterebbe a sconvolgere nella sostanza proprio il principio dei «limiti naturali». Alla visione sabauda che identifica Montgenèvre come «alpe» o «montagna», i Francesi oppongono la sua integrità storica e funzionale di «comunità». Da parte sabauda si ribadisce il principio dei «confini naturali» come realmente corrispondente alla «situazione risultante dalla carta topografica», ai termini del trattato di pace e agli «interessi comuni delle due corone», a fronte dell’irrilevanza della collocazione politico-amministrativa di Montgenèvre e degli «interessi delle comunità o dei particolari». I commissari, prendendo atto delle posizioni contrastanti espresse dai procuratori dei loro rispettivi sovrani, «determinano» concordemente la linea di confine tranne che in corrispondenza del tratto che si estende dal «Rocher de Rocagnon compreso, dove comincia il territorio della comunità di Montgenèvre» al «passaggio della Grande Collette incluso, dove finisce il detto territorio». In quest’area, i commissari francesi sostengono un tracciato che conserva al loro re «la comunità di Montgenèvre in tutta la sua estensione» (corrispondente appunto al confine tra questa e Cesana): les limites des deux Etats [...] demeureront determinez aux sommitez du dit Rocher de Rocagnon, et du Col de Chaberton en suivant la Crête de la Montagne du même nom, et descendant sur le Montgenèvre a deux cent toises au dessous de la Chapelle de Saint Gervais à l’extrémité du dernier fonds compris dans le cadastre du Montgenèvre [...] d’où l’on suivra le Ruisseau de Gimont dans tout son cours, & l’on gagnera le passage de la Grande Collette entre la Montagne de Saureaux et celle de Saurel. La carta topografica prodotta in quell’occasione registra così nell’area contesa, con colori diversi, i due distinti andamenti del confine rivendicati dalle parti (AST, Processo Verbale 1714; AST, Carta Topografica 1714); - 1718: un nuovo trattato, siglato a Parigi il 4 aprile 1718, regola la questione del confine franco-sabaudo, individuando una soluzione di compromesso per quanto riguarda l’area del Monginevro. Dal 12 al 23 settembre successivo, gli ingegneri Pierre Nègre, per la parte francese, e Pierre Audibert, per la parte sabauda, lavorano al «règlement et plantement des limites [...] qui doivent séparer le Briançonnois et la vallèe de Queyras Province du Dauphiné d’avec les vallées cédées d’Oulx, Cézane, Bardonnanche et Château Dauphin». Gli ingegneri individuano sul terreno i siti che servono di riferimento per la linea di confine («les lieux qui doivent servir de limites» e «les endroits où doivent être placées les bornes») e vi fanno «piantare» i termini divisori. Lo fanno seguendo «in tutto e per tutto» la «linea rossa» che compare sulla carta da loro stessi redatta nel 1714, là dove essa rappresenta il tracciato condiviso (AST, Carta Topografica 1714), mentre, per quanto riguarda la «plaine du Montgenèvre», la determinazione del confine avviene secondo le indicazioni del trattato appena concluso a Parigi. Il compromesso raggiunto tra i due Stati prevede in effetti una spartizione che assegna Clavières al re di Sardegna, ma che, abbandonando la rigida applicazione del rigido criterio delle «acque pendenti», lascia a Montgenèvre (il cui abitato rimane in tal modo interamente in Francia) la metà della superficie della «piana» («la moitié de la plaine, qui est au dessus du Montgenèvre»). In questa zona, l’andamento della linea di confine viene infatti così determinato: des rochers dits Grambers, et Roquagneux au roc Charnier; et delà sur la crête, et sommité du col des Frères Mineurs jusqu’à la cime de la montagne qui sépare le col des Frères Mineurs de celui de la Lauza, et de la dite cime elles [scil.: «les limites»] continueront par la crête de la montagne nommée Serre Thibaut, d’où elles descendront en ligne droite sur la plaine du Montgenèvre, qui a été partagée entre le village du dit Montgenèvre, et l’hameau des Clavières par son milieu à égalle distance, et leur éloignement étant de onze cent seize toises, cinq cent cinquante huit toises resteront du côté du dit Montgenèvre, cinq cent cinquante huit du côté de l’hameau des Clavières, sur la quelle plaine ont été plantées des bornes [...] la première sur le chemin, la seconde sur une petite hauteur au dessus du dit chemin alignée avec la crête du dit Serre Thibaut, et la troisième au pied de la montagne dite la Loubatière [...] et outre les susdites bornes on y a fait faire un fossé, qui partage tous les fonds cultivés; de la pointe de la Loubatière elles suivront par toute sa hauteur jusque sur les cimes de la Collette, la crête de Saureaux, l’arête de la Grande Collette, d’où elles descendront sur la cime et crête de la montagne de Saurel (AST, Articoli 1718). - 1947 (Trattato di pace con la Francia; D.L. 28 novembre 1947, n. 1430, con effetto dal 16 settembre 1947): cessione alla Francia di parte del territorio comunale (1236 ha). In conseguenza del trattato, il territorio comunale perse rilevanti risorse agro-silvo-pastorali, rappresentate dal bosco detto del Forte del Bue e dal vallone delle Beisse. Inoltre, la linea di confine, seguendo il corso del rio Secco, tagliava l’abitato. Dopo lunghe trattative fra i governi italiano e francese, la linea di confine venne modificata, in base a un accordo raggiunto nel 1972 e stipulato ufficialmente nel 1973, nel tratto compreso fra i cippi 24-0 e 25, arretrandola di circa 200 metri fino al punto di attraversamento della rotabile Claviere- Montgenèvre (S.S. n. 24), a sud ovest del ponte sul rio Secco. Gli edifici posti alla sinistra del torrente furono, in questo modo restituiti al teritorio italiano, ripristinando l’integrità dell’abitato (ASPT; Campanella 1981; Ferraris 1983; Ugo 1989; Variazioni 1939-1949, p. 61).
Comunanze
Le dispute di confine si innestarono a lungo, in effetti, su disaccordi riguardo all’uso dei pascoli e boschi comuni, un tempo indivisi tra gli abitanti della borgata Clavières e quelli del capoluogo Montgenèvre, siti soprattutto nell’ampio vallone di Gimont. «Disordini e controversie» si prolungano qui dall’indomani di Utrecht al secolo XIX. In precedenza, dal tardo medioevo, la stessa area era stata oggetto di contenziosi e accordi fra le comunità di Cesana e di Montgenèvre, con partecipazione esplicita degli abitanti di Clavières (AST, Clavières; AST, Sentenza).
Liti Territoriali
Diritti di “proprietà” e pratiche del possesso sulle risorse collettive, da un lato, e giurisdizione sul territorio, dall’altro, costituirono lungo la storia di Claviere elementi variamente articolabili nel vivo delle dispute. Le logiche sembrano comuni a molte situazioni, anche se in alcuni casi gli esiti appaiono esasperati e amplificati dalla presenza del confine di Stato. Dopo Utrecht, questo, tagliando il Brianzonese, ne spezzò gli equilibri interni, e soprattutto canali e modalità istituzionali consolidati di risoluzione dei conflitti intercomunitari. Nello stesso tempo, la presenza del nuovo confine poteva costituire una risorsa politica in più a disposizione dei contendenti (cfr. i lemmi ‘Comunanze’ e ‘Mutamenti territoriali’).
Fonti
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AC Oulx (Archivio Storico del Comune di Oulx): Sezione I, Serie 5, Beneficenza, fald. 20, fasc. 1: Confraternita di Spirito Santo. Atti [1575-1618]; Sezione I, Serie 17, Conti, fald. 57: Conti della Comunità. “Comptes de la Communauté [1670-1676]. AD Susa (Archivio Storico della Diocesi di Susa), Governo del territorio, Parrocchie, cart. 54, fasc, 2 [1818-1869]. ASPT (Archivio Storico della Provincia di Torino), Categoria XIV, Classe 02, cart. 36, A/87, Claviere.
AST (Archivio di Stato di Torino): Corte, Paesi, Provincia di Susa, Valli di Bardoneschia, Cezana ed Oulx, m. 6, n. 2: Processo Verbale, ed altri atti fatti dalli rispettivi Commessarj Deputati dal Re di Sicilia, e da S.M. X.ma per il regolamento de’ Confini delle Valli di Pragellato, Oulx, Cezana, e Bardoneschia, come altresì di Castel Delfino e di tutto ciò, che si trova dalle acque pendenti dalla parte del Piemonte, stato ceduto alla prefata M.S. di Sicilia dal Re di Francia in dipendenza dell’Articolo 4 del Trattato d’Utrecht delli 11 aprile 1713, cioè dalla Morenna sino al Col di Longuet al dissopra di Castel delfino [22 agosto- 17 settembre 1714]; n. 3: Carta Topografica delle Valli di Bardoneschia, Oulx, e Cezana, stata formata dagl’Ingenieri Audibert, e Negro, ed approvata dalli rispettivi Commessarj del Re di Sicilia, e di S.M. Xma. Per Estratto Sottos.ta Audibert [12 settembre 1714]; n. 4: Articoli convenuti in Parigi tra li Plenipotenziarii del Re di Francia, e quelli di S.M. per regolare i confini tra la Francia ed il Piemonte, ed il Contado di Nizza ratificati dal Re di Francia li 20 Ap.le sud.to. col Processo verbale de’ 23 settembre suddetto anno fatto da rispettivi Ingegnieri di Francia, e di S.M. per il piantamento de’ Termini tra il Delfinato, e le Valli di Oulx, Cesana, Bardoneche, e Casteldelfino [4 aprile 1718]; n. 10: Memoria rimessa dall’Ambasciatore di Francia sull’arresto fattosi da due Invigilatori della Dogana del Piemonte d’un Mulo carico di Legna in odio d’un Particolare di Montgenevro, il quale aveva escavato alcuni alberi nel proprio fondo situato poco distante dai rispettivi confini. Colla Risposta del Marchese Del Borgo alla sud.ta Memoria [31 gennaio 1726]; m. 1 d’addizione, n. 1: Sentenza del Giudice Maggiore del Brianzonese sulle differenze insorte tra le Com.tà di Cezana, e Montgeinevre per riguardo alla Montagna di Gimont, per cui si è dichiarata dover la medesima spettare alla d.a Com.tà di Cezana, salva la facoltà a Particolari di Mongenevre di tagliar bosco per chiudere i loro Prati [19 dicembre 1471]; Corte, Paesi in genere e per province, Provincia di Susa, m. 91, n. 18: Notizie Statistiche intorno alle Comunità, e Valli componenti la Provincia di Susa [s.d. ma circa 1755); Corte, Paesi per A e B, C, m. 62, Clavières [1780-1844].
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