Montemagno

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2015
Provincia
Asti.
Area storica
Basso Monferrato.
Abitanti
1178 (ISTAT 1991); 1135 (ISTAT 2015)
Estensione
15,90 kmq.
Confini
A nord Casorzo, a nord-est Altavilla Monferrato, a est Viarigi, a sud Refrancore, a ovest Castagnole Monferrato, a nord-ovest Grana.
Frazioni
San Carlo, Santo Stefano.
Toponimo storico
«Muntemagni» (attestato nel 974), «Montismagni» nelle fonti latine successive e «Montemagno» in quelle in volgare, «attribuito al colle prima e poi al villaggio sortovi» tra XI e XII secolo (Bordone 1976; Bordone 2001, p. 13).
Diocesi
«Nel 1153, nel 1154 e nel 1156 i pontefici romani avevano confermato come appartenente al patrimonio di Asti “quidquid habetis in Montemagno”» (Bordone 2001, p. 14) inserendo così il luogo tra i possedimenti della diocesi astigiana. Fu da questa smembrato nel 1474 all’atto di costituzione della diocesi di Casale (Settia 1987-88) cui appartiene tuttora.
Pieve
Nel 1345 quattro chiese di Montemagno – San Vittore, San Martino, San Cipriano e San Quirico – facevano capo alla pieve di Grana che, a sua volta soggetta all’influenza della Chiesa d’Asti, che perse i suoi diritti sulla zona con la creazione della diocesi di Casale (1474) (Bosio 1894, p. 525; Delmastro, Salerno 2001, p. 89).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Se le prime testimonianze di legami tra Montemagno e la Chiesa di Asti risalgono all’XI secolo, i più antichi edifici di culto di cui si abbia notizia per la località sono del XIV: nel 1345 le chiese montemagnesi di San Vittore (a 650 m dal centro abitato), San Martino, San Cipriano e San Quirico dipendevano dalla pieve di Grana. La stessa fonte trecentesca fornisce anche notizie sull’esistenza di una chiesa dedicata a Santa Maria di Betlemme, identificata con quella di Santa Maria della Cava tuttora esistente all’incrocio tra l’attuale via della Pace e la strada provinciale per Alessandria. Sorta presumibilmente su un edificio di culto preesistente, Santa Maria della Cava ricoprì un ruolo importante per la comunità (parrocchiale?) sul finire del XV secolo, quando fu riccamente affrescata da artisti influenzati dalla lezione di Manfredino Boxilio (Mighetto, Villata 2001, p. 99; Crosetto 2001, p. 101; Pia 2001, p. 103; Villata 2001, p. 108). Dalla visita pastorale di mons. Aldegatti del 1568 risulta, però, che all’epoca essa fosse priva di pavimentazione e in cattive condizioni. Utilizzata in occasione delle ricorrenze dell’Assunta e di San Sebastiano, fu ridedicata proprio all’Assunta dopo il 1621 e come tale risultava ancora officiata nel 1723 (Villata 2001, p. 109). Attiguo a Santa Maria funzionava, nel Cinquecento, un ospedale atto al ricovero dei pellegrini di passaggio e gestito dalla comunità (Pia 2001, pp. 103-104). Quanto a San Vittore, oggi ridotta ai soli abside e campanile recentemente restaurati, nel 1568 risultava unita a quella di San Cipriano e insieme costituivano una parrocchia, così come San Martino. Nel 1584, però, San Vittore era già in stato di abbandono ed era stata sostituita, per il culto, dalla nuova parrocchiale di Santa Maria; restaurata nel 1707, San Vittore tornò a funzionare per tutto il XVIII secolo per poi essere nuovamente abbandonata (Delmastro, Salerno 2001, p. 89).
In occasione della visita di mons. Pascale del 17 aprile 1621, Santa Maria, chiamata Santa Maria Maggiore, fu la prima chiesa a essere ispezionata, con la specificazione che ormai faceva le veci delle vecchie parrocchiali dei SS. Cipriano e Vittore e della chiesa di San Martino, non più adatte alle esigenze della comunità. In Santa Maria erano attive due compagnie, una del SS. Sacramento (cui erano legati alcuni esponenti dell’élite locale, come i Moizio) e una del SS. Rosario (AD Casale, Visita Pascale, 1616-24, vol. II, cc. 127-129). La Compagnia del Rosario, come si apprende dagli atti di visita di mons. Miroglio, fu approvata ufficialmente solo nel 1645; nello stesso anno era stata istituita anche una Compagnia del Suffragio e un’altra, delle Vergini, risultava già attiva. Sopra l’altare della congregazione femminile, si «trovava incassato nella muraglia della chiesa un bel quadro fatto per mano del Moncalvo, sopra del quale è dipinta la Madonna» (AD Casale, Visita mons. Miroglio, 1656, c. 229v). Oltre alla parrocchiale, nel 1656 furono censiti un oratorio dedicato a San Michele, gestito da un’omonima compagnia, ricco di suppellettili ma dall’altare disadorno; uno della Trinità in ottimo stato; una «chiesa di San Carlo fuori del recinto», spoglia, officiata dal canonico Morra e di juspatronato della famiglia Villa (AD Casale, Visita mons. Miroglio, 1656, cc. 231-231v). Quattro anni più tardi, San Michele risultava del «tutto ruinato», così come San Carlo e, in misura minore, l’oratorio della Trinità; la parrocchiale era invece in buono stato. In quell’occasione fu censita anche una chiesa di San Defendente cui erano legati alcuni beni della famiglia Lasagna, frequentante anche la confraternita di San Michele (AD Casale, Visita mons. Miroglio, 1656, cc. 54v-55).
La splendida chiesa parrocchiale, «che la tradizione vuole frutto della combinazione dei progetti dell’architetto Dellala di Beinasco e Delmastro nell’arco di anni compreso tra l’ultimo quarto del Settecento e il primo dell’Ottocento» (Ragusa 2001, p. 84), riprende l’antica titolatura di S. Martino, ma è più conosciuta come Madonna Assunta in Cielo. L’edificio sorge sul sito che già nel 1730, secondo la visita pastorale effettuata dal vescovo Caravadossi, era occupato dalla parrocchiale fatta costruire dalla comunità in seguito alla demolizione di San Michele, poi riedificata nel corso del XVIII secolo (Ragusa 2001, p. 86). In attesa della ricostruzione, i Montemagnesi legati a San Michele assisterono alle funzioni religiose in un’altra chiesa attestata nel Settecento e dedicata a San Carlo (Soffiantino 2001, p. 117). Nel 1791 il vescovo Luigi Avogadro decretò l’unione della parrocchia dei SS. Vittore e Cipriano a quella di San Martino (AC Montemagno, m. 7, fasc. 20, decreto del 17 gennaio).
Assetto Insediativo
Il villaggio si sviluppò sul colle detto appunto «Montemagno», parzialmente disboscato da un gruppo di agricoltori che vi si insediò tra XI e XII secolo (Bordone 1976; Bordone 2001). Tra medioevo ed età moderna il concentrico del paese andò definendosi attorno al castello, assumendo la forma a mandorla che tuttora lo caratterizza. Il resto del territorio comunale, però, appariva piuttosto frammentato e suddiviso in cantoni (come Monfallito e Cava), borgate, regioni, località, contraddistinte da toponimi che richiamano ora le caratteristiche del terreno (prato, fonte, calcinaria, ecc.) ora l’ubicazione (in relazione, per esempio, al torrente Grana) o altri elementi: Caresana; Serra Terrae; Strada Terrae; Leveta; Galla; San Bernardo; Dovenda; Cibollino; «ad Nostram Dominam»; Prato Mariano; Bastia; Crevemile; Rineria; Rasa; Pozzolio; Vallespollario (Vespollara); Valle Tellono; Passarella; Vallescura; Fabula; Airali; Rubiano; Valgattina; Podio; Pario; Castelletto; Pollaria; Cialeto; Socio; Ortello; «ad calcinarias»; Sassinetto; Fonte Casale; Corneto; Fonte Antiae; San Quirico; Valle Moisio; Mondellino; Santa Tecla; Pomaretto; Prato Valle; Gombo; Variatore; Pandito; Valle Fiano; Valle Toselli; Valle Fasolio; Colme; Pozzo; Fey; «ad Clovendas»; San Vittore; «ad Gorrellas»; Crosa; Retrovalle; Montalono; Fornaca; Ceresola; Cerreto; Cassinaria; Prato chiuso; «ad glypsum» (con riferimento a cave di gesso?); Cairella; Montemalbere; Mondianesio; Bocelino; «ad Sexenas»; Val Grana; Montealto; Panizaria; «sub risatiis»; Prambalora; Salarolio; Costa Galla; Valigia; Ultragrana; Cornale; Garbello; Brignone (AC Montemagno, Catasto, reg. 1, XVI sec.). All’inizio del XX secolo, tre erano le frazioni attestate per Montemagno: San Martino, Santo Stefano e San Carlo (Censimento 1902, vol. I, p. 10). Attualmente sui colli San Vittore e San Giovanni, sui quali sorgevano piccoli nuclei abitativi separati dal paese, si trovano ancora alcune case sparse (Delmastro, Salerno 2001). Alcuni degli abitanti, poi, risiedono ancora nelle frazioni di San Carlo e Santo Stefano e in piccole borgate a esse attigue che hanno conservato traccia della toponomastica medievale e moderna (ad es. Pozzolio e Vespollara).
Luoghi Scomparsi
Nessuna attestazione.
Comunità, origine, funzionamento
Già nella prima metà dell’XI secolo si era sviluppata a Montemagno una signoria locale e al principio del XII, precisamente nel 1119, un Guglielmo di Montemagno «compariva come collaboratore del vescovo» di Asti. Altri signori genericamente definiti «de Montemagno» e gli esponenti di casate affacciatesi sulla scena degli intrecci di potere e giurisdizione tra Astigiano e Monferrato condizionarono fortemente le vicende della comunità sin dal XII secolo: essi soli, infatti, a giudicare dalla documentazione esistente e puntualmente studiata dai medievisti (Bordone 1976; Bordone 2001; Pia 2001), furono protagonisti delle scelte che videro Montemagno schierato a favore di Asti contro il crescente potere del marchese di Monferrato e, in un secondo momento (1203), legato ad Alba e all’Astisio – una sorta di consorzio di comunità volto a contrastare lo strapotere astigiano – nel tentativo di mantenere una posizione solida e quanto più possibile indipendente. Non a caso, a livello interno, la vita politico-amministrativa della comunità si concentrò attorno al castello, vero e proprio simbolo di una signoria territoriale di peso tutt’altro che irrilevante. Tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, la città di Asti, la cui influenza sull’area era ancora prevalente, concesse alcune prerogative alla communitas et homines di Montemagno: la scelta del podestà, che avrebbe dovuto essere Astigiano, e la «gestione dei forni, dei mulini, dei mercati e dei beni comuni» (Pia 2001, p. 33); la concessione lascia intravedere un certo sviluppo della comunità come organismo politico.
In mancanza del testo degli statuti da questa elaborati (anteriori, comunque, al 1419), una delle prime testimonianze della sua attività e dell’esistenza di un consiglio comunale gestito da sindaci e consiglieri si trova nell’atto di dedizione a Bonifacio IV Paleologo, marchese di Monferrato, stipulato a Casale il 21 marzo 1483: in quell’occasione i Montemagnesi furono rappresentati dai «prudentes viri Antonius Bacosenus et Rolinus Lasagna, de Montemagno, sindici et procuratores ac mandatarii communitatis et hominum ac singularum personarum et incolarum loci Montismagni» (AC Montemagno, m. 6, fasc. 1, copia sabauda del 12 maggio 1731, cit. in Raviola 2001, pp. 42-43). In cambio della fedeltà, Bonifacio confermò varie prerogative già accordate alla comunità e a quelle limitrofe (Viarigi, Grana, Casorzo, Grazzano e Castagnole Monferrato) nel 1419, relative in particolare all’esenzione dal pagamento di pedaggi (Raviola 2001, p. 44). Dalla fine del XV secolo, con le progressive limitazioni imposte sia dai Paleologo sia, soprattutto, dai Gonzaga, la comunità continuò ad autogestirsi attraverso il consiglio in un complesso gioco di equilibro con l’autorità ducale e i feudatari locali.
Statuti
Gli originali statuti della comunità redatti nel 1403 e approvati dal marchese Teodoro II risultavano scomparsi prima del 1623 per opera di un attacco delle milizie sabaude contro il castello di Montemagno: in quell'occasione la comunità chiese di poter utilizzare una copia oggi non reperibile [Fontana 1907, vol.2, p. 259]
Catasti
A.C.M., reg. 1, XVI-XVII sec., Libro dei consegnamenti della comunità di Montemagno (mutilo e in pessimo stato di conservazione); m. 1, fasc. 1, 1695-1741, Registro degli estimi catastali; m. 1, fasc. 2, 1745, Nota dei tippi di tutti i beni sì coltivi come prativi, unitamente li zerbidi e boschi, posti su queste fini di Montemagno, iscritti e figurati da ms. Tomaso Cunico, console deputato; m. 1, fascc. 3-4, 1749-1767, Vacchette; m. 1, fasc. 5, 1770, Atti preparatori per la redazione della mappa catastale; reg. 2, 1770, Registro per la misura generale del territorio di Montemagno; reg. 3, Mappa figurata del territorio di Montemagno; reg. 4, 1770, Libro figurato del territorio di Montemagno; reg. 5, 1771, Cadastro della magnifica comunità di Montemagno; regg. 7 sgg., Catasti e libri dei trasporti di età napoleonica; regg. 10 sgg., Catasti e trasporti dal 1839 al 1907 (serie completa).
Ordinati
A.C.M., Mazzo 1, 1695-1800, ordinati originali; m. 2, 1780-1790, ordinati in copia (non si possiedono verbali, nemmeno frammentari, dei periodi precedenti).
Dipendenze nel Medioevo
Si è fatto cenno ai legami, risalenti alla prima metà del XII secolo, tra un Guglielmo di Montemagno e il vescovo di Asti. L’influenza della Chiesa astigiana sul luogo appare esplicitata anche da altri documenti del secolo che vedono la partecipazione di alcuni signori di Montemagno ad atti rogati in seno alla diocesi: nel 1143 si ha testimonianza di un «de Montemagno […] missus et confrater» dei canonici della Cattedrale d’Asti in occasione di una compravendita; nel 1166 «un Robaldo di Montemagno compare fra i pari di una curia giudiziaria che riguarda il vescovo di Asti e i signori di Sarmatorio, e nel 1180 un Giacomo di Montemagno è testimone della donazione fatta alla chiesa di una parte del castello di Monale» (Bordone 1976; Bordone 2001, p. 14; Pia 2001). L’imperatore Federico Barbarossa, con il diploma di Belforte del 1164, assegnò Montemagno e alcune terre limitrofe al di là del torrente Versa alla giurisdizione del marchese di Monferrato. In un primo tempo, però, i signori di Montemagno continuarono a privilegiare i rapporti con Asti aderendo nel 1173 a una lega offensiva contro il marchese e mettendo a disposizione del comune di Asti il castello, 20 cavalieri e 20 fanti. La soggezione di Montemagno al Monferrato fu però sancita dal un atto del 1224 in occasione del quale il marchese diede in pegno all’imperatore Federico II il castello del luogo, allora tenuto da non meglio precisati «domini de Montemagno» (Cancian 1983, p. 736). Venduto al comune di Asti nel 1269 dai Brolio che l’avevano acquisito, l’edificio e il villaggio tornarono sotto l’influenza della città nonostante il consolidamento del potere monferrino; questa nuova dipendenza era stata anticipata dal progressivo declino dei signori di Montemagno propriamente detti e dalla comparsa di nuovi signori come i già citati Brolio, gli Zabaldani e i Cocastello. Con la vendita del feudo alla famiglia Turco, astigiana e di tradizione ghibellina, tornò a rafforzarsi il potere signorile in loco, ma sempre sotto la supervisione astigiana (Bordone 2001; Pia, 2001), attestata anche da un esplicito richiamo a Montemagno tra le «ville, castra et loca (quae) intelligentur de posse astensis» (Rubrice Statutorum Civitatis Ast, pp. 59-60). Ciò anche se, nel 1315, il marchese Giovanni aveva ottenuto dal pontefice Innocenzo VI il riconoscimento delle sue ragioni su buona parte del Monferrato, Montemagno compreso (Benvenuto di San Giorgio 1780, p. 177). Il ripristino del controllo dei Paleologo di Monferrato sul territorio risale alla fine del XV secolo, ma solo durante la dominazione gonzaghesca il luogo entrò a far parte definitivamente del marchesato, poi ducato del Monferrato.
Feudo
L’influenza della Chiesa d’Asti su Montemagno si esplicitò, nel corso del XIII secolo, nella concessione di investiture da parte del vescovo cittadino ai signori del luogo: nel 1237-38 ne furono investiti Giraldo e Arnaldo Zabaldano e in un atto del 1238 sono ricordati altri condomini di Montemagno oltre agli Zabaldano, ovvero esponenti delle casate dei Cocastello e dei Brolio. La predominanza di questi ultimi consentì loro di vendere il castello alla città di Asti senza perdere però diritti giurisdizionali sul villaggio. Nel 1342 il comune vendette feudo e castello a Antonino e Turchetto Turco per 30.000 fiorini. Da allora, tra Quattro e Seicento, la giurisdizione del luogo fu piuttosto frammentata: i Turco la mantennero sino ai primi decenni del XVI secolo. Nel 1549 i Gonzaga, duchi di Mantova e marchesi del Monferrato, ne investirono Francesca della Cerda, in cambio di alcune porzioni di Incisa. Nel 1610 il feudo fu permutato dalla famiglia casalese degli Ardizzi, che cedette alla Camera ducale quello di Frassineto. Acquistato dai Gallone, mercanti e banchieri casalesi, nel 1643, Montemagno fu da questi venduto al giurista Antonio Callori, dei signori di Vignale, nel 1669. Morto il primogenito Giulio (†1709) senza eredi, il luogo passò quindi alla sorella Camilla e da questa a suo figlio Ottavio Grisella di Rosignano, che ne fu investito il 17 giugno 1716. L’investitura, con il titolo comitale, fu ribadita a suo favore nel 1736 e nel 1755 e nel 1797 a favore del suo primogenito Francesco Maria (Bordone 1976; Bordone 2001, pp. 19-20; Manno 1895-1906, vol. I, p. 285; Pia 2001; Raviola 2001, pp. 37 sgg.).
Mutamenti di distrettuazione
Soggetto all’influenza della Chiesa e della città di Asti sin dall’XI secolo, ma assegnato al marchesato di Monferrato con diploma imperiale del 1164, Montemagno è amministrativamente ascrivibile a quest’ultimo solo con il consolidamento della dominazione paleologa e, dal 1536, con l’avvento di quella gonzaghesca. Compreso tra le terre «di qua da Tanaro» e quindi nella provincia di Casale, continuò ad appartenere a quest’ultima anche in seguito al passaggio del Monferrato ai Savoia (1708) (Raviola 2003). Tale assetto fu confermato dalla definitiva sistemazione delle province piemontesi attuata nel 1749 e si mantenne fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798). Entro la maglia amministrativa francese, Montemagno seguì le sorti del territorio della vecchia provincia di appartenenza, venendo aggregato alla circoscrizione di Alessandria, prima al dipartimento del Tanaro (1799) e dopo al dipartimento di Marengo (1801), circondario (arrondissement) di Casale. Non toccato dal successivo rimaneggiamento del 1805, l’inquadramento amministrativo del Casalese non mutò fino alla Restaurazione (Sturani 2001). Dopo la parentesi napoleonica, Montemagno rientrò a far parte della ricostituita provincia di Casale, inclusa nel 1818 nella divisione di Alessandria e ridotta a circondario della provincia di Alessandria nel 1859. Con la creazione della provincia di Asti decretata dal governo fascista nel 1935, Montemagno fu tra le località smembrate dal territorio alessandrino e assegnate alla nuova realtà amministrativa.
Mutamenti Territoriali
Nel 1953, con un provvedimento dell'anno passato (D.P.R. n.2591, del 26 ottobre 1952), Montemagno perde la borgata Rossi assegnata a Refrancore (AT).
Comunanze
Secondo il catasto del 1771, la comunità aveva a disposizione 16 moggia di beni comuni (AC Montemagno, Catasto, reg. 4, c. 93). Dall’inizio del XIX secolo iniziò a venderle mettendole all’asta e incrementando così la piccola proprietà locale.
Liti Territoriali
Atti di lite tra la comunità, il conte Gallone e alcuni particolari (AC Montemagno, m. 6, 1645-1733); atti di lite tra la comunità e vari particolari (AC Montemagno, m. 7, 1728-1792); non mancano alcuni atti di lite tra il comune e vari particolari per i secc. XIX e XII (AC Montemagno, m. 19 e serie II, m. 4).
Fonti
A.C.M. (Archivio Storico del Comune di Montemagno), riordino e Inventario a cura di G. Bogliolo e D. Ferro, 2001. Vedi inventario.
ASA (Archivio di Stato di Alessandria): Atti dei notai del Monferrato, m. 226, notaio Vincenzo Bacostello (1517-49); m. 2226, notaio Emanuele Lora (1480-1530); m. 3825, notaio Bernardino Veglio (1539-88).”
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, fasc. 6, Stato delle città e terre della provincia di Casale (s.d. ma post 1755);
Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 50;
Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche e altre, Annona, m. 1, fasc. 1, 1571, Sommario di tutte le consegne fatte da ciascuna terra del Monferrato; m. 20, Miscellanea, fasc. 19, Descrizione delle strade pubbliche del Monferrato, c. 23v (s.d. ma seconda metà del XVII secolo);
Corte, Paesi per A e B, M, m. 28.
A.V.C. (Archivio Storico della Diocesi di Casale Monferrato): Visita pastorale di mons. Ambrogio Aldegatti, 1568, m. 1, cc. 138-141v; Visita apostolica Ragazzoni, 1577, cc. 66-66v; Visita apostolica di mons. Carlo Montiglio, 1584, Decreti, cc. 187v-188; Visita pastorale Borsiero, 1593, cc. 85-85v; Visita pastorale Pascale, Atti e decreti, 3 voll., vol. II, 1621, cc. 127-130, c. 147; Visita pastorale di mons. Miroglio, 1656-60, 2 voll., vol. I, cc. 228-231v; vol. II, cc. 53v-55; Visita pastorale di mons. Radicati di Passerano, 1723, Atti e decreti, vol. II, cc. 525v-526; Visita pastorale Della Chiesa, 1747-58, Risposte, vol. II, c. 668; Visita Pastorale Alciati, 1817-1828, Risposte, vol. II, c. 56; Visita pastorale Ferré, 1866-1886, Risposte, vol. IV, c. 467; Visita pastorale Barone, 1893-1901, Risposte, vol. IV, cc. 286-286v.
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Descrizione Comune

Montemagno

     Il tratto caratteristico di Montemagno tra medioevo ed età moderna è la posizione di confine tra il territorio del contado d’Asti e quello del marchesato di Monferrato, entrambi in fase di consolidamento a partire dall’XI secolo (Bordone 2001; Pia 2001). La collocazione fu resa ulteriormente favorevole dalla bontà del terreno, che, disboscato dai primi abitatori, fu poi ridotto a coltura con precoce preferenza per la vite. Sin dai secoli centrali del medioevo, dunque, per via delle potenzialità del sito, Montemagno fu al centro degli interessi della Chiesa di Asti, che ne controllava i principali edifici di culto, della città stessa che andava espandendo la sua influenza politica sulla campagna circostante e, appunto, del marchese di Monferrato che nel 1164 Federico Barbarossa riconobbe signore della località, sita sulla sponda destra del torrente Versa e quindi al di là dell’area di controllo astigiano. La stessa proliferazione di signori locali – dai «de Montemagno», agli Zabaldani, ai Cocastello, ai Brolio – può essere letta in relazione all’attrattiva suscitata dalle risorse politico-economiche del luogo.
A queste ultime, poi, va connessa la concessione di franchigie accordata agli uomini di Montemagno nel 1419 dal marchese Giovanni Giacomo di Monferrato: questi, in cambio della fedeltà della comunità, tenne conto della sua vocazione commerciale e le garantì l’esenzione dal pagamento di tutti i dazi, pedaggi e imposte locali (come lo «strapasso») su tutte le merci scambiate con i vicini paesi di Viarigi, Casorzo, Grazzano e Castagnole (Raviola 2001, p. 44). Nello stesso anno, Montemagno ottenne anche la facoltà di poter infliggere pene «pro delictis non specificatis in eorum capitulis» – laddove per «capitoli» s’intendono, naturalmente, gli statuti della comunità – e un’altra importante prerogativa di carattere economico: la licenza di condurre «frumentum et victualia quecumque ad molendum et macinandum quo voluerint, etiam extra nostrum territorium pro eorum usum tantum» per mezzo di qualunque tipo di «plaustris, curribus, vehiculis et bestiis». Dal documento si apprende che i Montemagnesi erano soliti portare a macinare il grano fino a Felizzano, quindi già oltre i possedimenti direttamente sottoposti alla dominazione monferrina (AC Montemagno, m. 6, fasc. 1, doc. in copia del 12 maggio 1731, cit. in Raviola 2001, pp. 43-44). La conferma di questi privilegi, sollecitata dal consiglio comunale di Montemagno nel 1483 in occasione del giuramento di fedeltà prestato al marchese Bonifacio IV Paleologo, offre ulteriore testimonianza della vitale importanza ricoperta dal commercio per gli abitanti della zona, non a caso assai ben servita dalla rete viaria che metteva in collegamento il Monferrato con il contado d’Asti da un lato e con l’Alessandrino e il ducato di Milano dall’altro.
In una Descrizione delle strade pubbliche del Monferrato risalente al XVI secolo, infatti, relativamente a Montemagno si ricordano «la strada che va da Casale in Asti, che principia sopra il detto finaggio, nella contrada detta della Valle Fossato et nella contrada della Valle di Rubiano; più la strada che va da Moncalvo a Fubine et Alessandria, che principia nella contrada di Valle Maggiore e, camminando per la strada di San Giovanni, termina nella contrada della Ritana; più la strada che va a Felizzano, che comincia come sopra, et andando per la serra delli boschi, finisce col Stato di Milano» (Raviola 2001, p. 44; il doc. è in AST, Corte, Paesi, Monf., Mat. economiche e altre, m. 20, Miscellanea, fasc. 19, c. 23v, s.d.).
Afflitta da un’epidemia di peste nel 1507 (favorita, si può supporre, dall’intensa circolazione di uomini e merci), la comunità si vide riconfermate tutte le prerogative nel 1511, ma le sue condizioni cominciarono a peggiorare parallelamente alle vicende belliche che condizionarono il territorio nella prima metà del secolo. Alla fine degli anni Venti risultava debitrice di diverse «summe de denari et victuaglie per ocasione de fruti, de herbe, de prate, victualie et altre robe ad loro date et imprestate per il quondam Francesco Rogragno, del loco nostro de Vignale, olim clavaro de quello nostro castello di Montemagno» (ASA, Atti dei notai del Monferrato, notaio E. Lora, m. 2226, ordine di Anna d’Alençon del 10 settembre 1528 letto durante un consiglio straordinario della comunità; cit. in Raviola 2001, p. 46). Se dal documento si apprende che Montemagno era tra le località direttamente soggette al dominio dei marchesi, che ne deputavano il podestà (senza sceglierlo dalla consueta rosa di tre nomi), da una fonte di dieci anni dopo emerge anche che da qualche tempo la comunità era in lite con Grazzano per un problema di definizione dei confini (Raviola 2001, p. 47, atto di procura del consiglio comunale a favore del notaio Vincenzo Bacostello affinché si occupasse della causa a Casale in ASA, Atti dei notai del Monferrato, notaio B. Veglio, m. 3829 [3 novembre 1539]). Non si possiedono riscontri più precisi sulla controversia, ma si può intuire che avesse a che fare anche con lo strapotere dell’abbazia di Grazzano le cui proprietà fondiarie si estendevano oltre i confini del paese. Lo stesso era accaduto con gli Zabaldani, signori di Altavilla e di Casorzo, i quali, pur avendo acquisito proprietà nel territorio di Montemagno, rifiutavano di pagare l’imposta di registro (Raviola 2001, p. 67).
I debiti accumulati e le spese sostenute per la lite con Grazzano, di cui era stato deputato arbitro il celebre giurista Rolando Dalla Valle, contribuirono ad accrescere la dipendenza dei Montemagnesi dai marchesi e dall’aristocrazia che si andava rafforzando sul territorio. Può essere letto in quest’ottica l’atto del 1546, stipulato a Casale in presenza dei «mastri delle intrate ducali et marchionali di Monferrato», mediante il quale il ministro Giovan Francesco di Montalero diede «locatione delli redditi ducali et marchionali dil castello di Montemagno» a tal «ms. Bonifacio quivi presente […] con tutte le case, cassine, et edificii, proprietade cultive, prative, vineate et zerbide di esso castello ac pasculi fitti perpetui […] cum lo esercitio della jurisdictione civille […] accettuato la giurisditione criminale de qual esso conductor non se ne habii ad impazar in modo alchuno, ma sii riservata in solidum alla Camera ducale et marchionale di esso Stato» (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 2 d’Addizione, 1546, maggio 19, Capitoli della locatione di Montemagno). L’appalto dei redditi del castello e la vendita a Rolando Dalla Valle dell’ordinario annuo di 200 scudi solitamente pagato alla Camera (Raviola 2001, p. 47) sono altri sintomi del processo di disgregazione delle antiche autonomie comunali.
Tuttavia, per alcuni decenni, la comunità – controllata da una piccola élite locale tra cui spiccavano esponenti delle famiglie Bacostello, Rinetti, Castaldo, Ferraris e Moizio – restò dipendente dai soli Gonzaga, vivendo anche un periodo di ripresa economica e demografica: se nel 1571, infatti, il paese contava 1329 «bocche» con un consumo di 2475 sacchi di cereali per il loro sostentamento, dieci anni più tardi la popolazione era aumentata a 1432 unità e disponeva di quasi 3000 sacchi (Raviola 2001, p. 69; dati ricavati da AST, Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche e altre, Annona, m. 1, fasc. 1, 1571, Sommario di tutte le consegne fatte da ciascuna terra del Monferrato). I redditi della comunità, però, erano sempre più spesso dati in affitto e, sul finire del Cinquecento, alcuni terreni comunali furono venduti a privati. Fu probabilmente questo incremento dei movimenti immobiliari a indurre la comunità a far redigere in quegli anni un corposo catasto descrittivo (AC Montemagno, Catasto, reg. 1, XVI-XVII sec.). Tra i migliori registranti dell’epoca vanno annoverati i Lombardi, i Bacostello, gli Ascherio, gli Apostolo, i Pomo, i Moizio, i Lasagna, i Veglio, i Castaldo, i Ferraris, i Carello, i Gatto, i Cotto, i Garelli, i Ronfani, i Rinetti e i Boccignone e qualche abitante di Castagnole Monf. e Viarigi. A un rapido esame della fonte, non pare che nessuno dei proprietari elencati abbia preferito investire su una sola delle numerose località ricordate dal catasto; sembra prevalere, infatti, il frazionamento dei fondi che, dal punto di vista colturale, erano già allora in prevalenza campi e vigneti. Anche la proliferazione dei luoghi di culto attestata nel passaggio tra i due secoli (cfr. il lemma ‘Altre presenze ecclesiastiche’) può essere letta come spia della parcellizzazione delle proprietà e, di conseguenza, degli insediamenti e degli edifici religiosi di riferimento.
L’atto d’infeudazione di Montemagno, secondo un fenomeno di più vasto raggio che contraddistinse il ducato di Vincenzo I (Raviola 2003, p. 279), giunse di lì a poco. Nel 1610, infatti, del luogo fu investito il segretario ducale Evasio Ardizzi, di Frassineto e cittadino casalese d’adozione, tipico esponente del patriziato in ascesa. I suoi eredi detennero Montemagno fino al 1643, quando lo vendettero a un altro parvenu, il mercante Giovan Giacomo Gallone che, con il fratello Ettore, possedeva un banco di cambio a Lione. Liberatosene nel 1669 per via di alcuni contrasti sorti con la comunità (AC Montemagno, m. 6, fasc. 2), il feudo fu acquistato quindi dai Callori di Vignale che, ancor più dei loro predecessori, si scontrarono con il consiglio di Montemagno. Alla base delle liti con i feudatari era proprio il controllo dei beni fondiari di Montemagno e della loro tassazione: la comunità, infatti, rifiutava di pagare i censi signorili adducendo a pretesto la morosità di molti dei particolari registrati a catasto. Verificando chi fossero, però, si scopre che alcuni di essi erano membri del consiglio comunale (Moizio, Boccignone, Lasagna e esponenti di famiglie emergenti come i Monaca e i Pollara) e dunque primi responsabili dell’insolvenza a danno dei Callori. La controversia fu conclusa con un ordine del Senato ducale del 1688 che ordinò alla comunità di saldare il debito con gli interessi del 6% (Raviola 2001, p. 74) e forse per questo, negli anni immediatamente successivi, si procedette al rinnovo del catasto (AC Montemagno, Catasto, m. 1, fasc. 1, 1695 sgg.).
Passato ai Grisella di Rosignano per l’estinzione dei Callori nel 1714, nel corso del XVIII secolo, la presenza dei nuovi feudatari in loco fu massiccia e condizionante: i bandi campestri del 1751, per esempio, vennero emanati per volontà di Ottavio Grisella (secondo l’anonimo compilatore della voce «M» in Il Piemonte paese per paese, vol. 5, pp. 26-27, i bandi rivelerebbero «un’attenzione nuova, quasi illuministica e riformatrice, della classe nobiliare verso la proprietà terriera e i prodotti agricoli»). Dal punto di vista della proprietà, i Grisella ereditarono i beni dei predecessori e ne acquisirono altri, come risulta dal catasto figurato del 1771 secondo il quale i marchesi di Rosignano, oltre al castello, possedevano più di 100 moggia di terreni, dislocati soprattutto al confine con Viarigi e Altavilla (AC Montemagno, reg. 4, cc. 1-45v). Molti di essi erano gestiti da massari provenienti da famiglie di nuovi proprietari come gli Alletto e i Roberto, che a loro volta li subaffittavano a contadini del posto. Per il resto la proprietà in Montemagno – anche una volta definiti i contorni comunali con il pacifico regolamento dei confini con Casorzo del 1764 (AC Montemagno, m. 7, fasc. 15) – continuava a essere molto frazionata: i beni comunitari erano pochi (solo 16 moggia) e non mancavano beni ecclesiastici immuni di proprietà della parrocchiale e di alcuni ordini regolari casalesi (in particolare i PP. dell’Oratorio e i PP. di Santa Croce).
Il filo rosso della vocazione commerciale di Montemagno torna invece a essere evidente nella documentazione di taglio statistico-amministrativo compilata dai funzionari sabaudi negli anni Cinquanta del Settecento, nell’ambito della capillare inchiesta commissionata agli uffici di Intendenza e del conseguente rafforzamento di questi e del loro controllo sulle singole realtà provinciali (Costamagna 1985; Ricuperati 1994, pp. 515 sgg.). Nello Stato delle città e terre della provincia di Casale del 1755 circa, a proposito di Montemagno si legge che «diversi particolari fanno li mulatieri, conducendo dalla riviera di Genova oglio, pesci, sapone ed altre robbe che vanno poi vendendo nel Monferrato, Vercellese e Biellese» (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, fasc. 6, cit. in Raviola 2001, p. 45). All’epoca il paese aveva 1650 abitanti, suddivisi in 282 fuochi, pagava 2300 lire di tributi camerali, aveva ridotto i suoi debiti a sole 831 lire e contava una buona produzione di grano, altri cereali e vino coltivati sulle 3205 moggia di terreno comunale. Altrettanto si può dire per il secolo successivo, durante il quale fu potenziata la rete stradale di collegamento con Asti, Casale e località limitrofe (AC Montemagno, m. 18, 1863-1885, Strade; mm. 20-21, 1826, riparazioni e appalti strade).
All’inizio del XIX secolo, la piccola proprietà subì un incremento sia grazie all’abolizione dei diritti feudali decretata dal regime napoleonico sia per via della vendita di beni comuni: nel 1800, per esempio, la comunità mise all’asta 6 delle sue 16 moggia di terreni comunitari e ne approfittarono famiglie come i Romagnolo, i Ferraro, i Monaca, i Ronfani, i Boccignone, gli Alletto e i Lasagna, tutte (tranne la prima) già ben radicate in Antico Regime (AC Montemagno, reg. 4, c. 93). Ci si può anzi domandare se, al di là del ruolo giocato dai Grisella nel corso del Settecento, l’esistenza di particolari piuttosto benestanti non sia stata determinante per la costruzione dell’imponente parrocchiale, che pare espressione di un ceto facoltoso e consapevole. Una relativa floridità delle condizioni socio-economiche è testimoniata anche dai dati demografici: nel 1839 Montemagno contava 2538 abitanti (Informazioni statistiche 1839, p. 29); nel 1902 raggiunse le 3986 unità, suddivise tra il centro abitato e le frazioni di San Martino, San Carlo e Santo Stefano (Censimento 1902, vol. I, p. 10).
Una lieve flessione fu registrata nel 1911 quando, su 1821 ettari di territorio comunale, furono censiti 3398 ab. (800 dei quali nelle frazioni) (Censimento 1911); dieci anni più tardi la popolazione era ulteriormente diminuita: 3120 ab. distribuiti tra il centro del paese, San Carlo e Santo Stefano (Censimento 1927, p. 23). Da allora il calo fu costante: nel 1931 gli ab. erano scesi a 2826, compresi quelli delle frazioni (tra cui San Martino, di nuovo menzionata) (Censimento 1933, p. 26); nel 1937 a 2619 unità, con l’unione delle località Ferreri e Vespollaro alla frazione di Santo Stefano e la definitiva scomparsa di San Martino (Censimento 1937, posteriore alla creazione della prov. di Asti, p. 12). Gli eventi bellici –nell’ottobre del 1943 il paese fu occupato dalle truppe tedesche e nel 1945 il municipio fu incendiato (AC Montemagno, m. 99, fascc. 2 e 3) –, il mancato allacciamento con la ferrovia, l’emigrazione verso le città vicine o l’estero, la meccanizzazione dell’agricoltura avviata nel dopoguerra decretarono un ulteriore decremento demografico: così, nel 1951, furono registrati 2144 abitanti, 1519 dei quali residenti in paese e i restanti ripartiti tra le frazioni San Carlo, cui facevano capo anche la località Rossi e alcune case sparse, e quella di Santo Stefano, attorno cui gravitavano le località di Apostoli, Bricco, Buonasera, Valeggio, Vergana e Vespollaro, tuttora ricordate nella toponomastica montemagnese. Nell’ambito del riassetto della recente provincia di Asti, inoltre, con decreto parlamentare del 26 ottobre 1952 una piccola porzione del territorio comunale (213 ettari con 129 abitanti) fu ceduta al vicino comune di Refrancore (Censimento, 1955). Nel 1981, infine, gli abitanti erano 1295 (ISTAT) e oggi sono assestati poco al di sopra delle 1100 unità.
Non vanno sottovalutate, però, le attuali potenzialità della Val Grana e dello stesso Montemagno che, dopo decenni di spopolamento, è stato rilanciato anche turisticamente grazie al castello (attualmente di proprietà della famiglia Calvi di Bergolo), al dedalo di vicoli medievali che ancora ne caratterizza il centro, alla parrocchiale e al vino che costituisce il prodotto di punta dell’economia locale.