Castell'Alfero

AutoriBattistoni, Marco
Anno Compilazione2005
Provincia
Asti
Area storica
Astigiano. Vedi mappa.
Abitanti
2691 (censimento 2001) [ISTAT]; 2782 (dati comunali 2006) [BDDE Regione Piemonte].
Estensione
1997 ha. (19,97 kmq.) [dati ISTAT, BDT  Regione Piemonte]
Confini
Calliano, Asti, Cossombrato, Corsione, Frinco, Tonco.
Frazioni
Callianetto, Contezzi, Perno, Stazione. Vedi mappa.
Toponimo storico
Castrum Alferij (a. 1191) [Gasca Queirazza 1997, p.166].
Diocesi
Asti
Pieve
Nel Registrum Ecclesiarum dioecesis astensis del 1345, le chiese di Santa Maria di Guadarabbio, di San Pietro di Nilcano e di San Pietro di Cassano figurano tra le ecclesiae subditae del capitolo della cattedrale astese, mentre le chiese di Vallescaria e di Callianetto risultano dipendenti dalla pieve di Cossombrato [Bosio 1894, pp. 518, 524]. Dopo il tramonto dell’ordinamento plebano e con l’istituzione dei vicariati foranei nella diocesi di Asti (1578), le chiese di Castell’Alfero fecero capo al vicariato di Castagnole Monferrato (sinodi diocesani del 1593 e 1605). Nel 1805, all’indomani della riorganizzazione delle diocesi piemontesi promossa dal governo napoleonico, furono assegnate al vicariato di Calliano; nel 1817, dopo un nuovo riassetto delle diocesi subalpine, a quello di Corsione [Bosio 1894, pp. 133, 136, 139].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Le chiese di San Pietro di Lissano o Nilcano (Sancti Petri de Liçano) e di San Pietro di Cassano (Sancti Petri de Caxano) sono entrambe attestate dal 1286: la seconda come già «soggetta alla Chiesa astese e al suo capitolo», la prima, dipendente fino ad allora dalla pieve di Cossombrato, nell’atto in cui viene ceduta, in permuta con la chiesa di Sant’Andrea de Fontana stancia, allo stesso capitolo [Cotto et al. 1986, docc. 214 e 216 e 319-320; Bordone 1980a, p. 163, n. 104]. Tra i possessi del capitolo a Viale o Viallo, figura inoltre una chiesa documentata dal 1169 e ricordata nuovamente nel 1279, probabilmente identificabile con l’attuale chiesa della Madonna della Neve e con Santa Maria di Guadarabbio, attestata dal 1345. Nello stesso 1345 compare infine la chiesa di Vallescaria [Bordone 1980a, pp. 163-164 e n. 104; Bosio 1894, pp. 518, 524; Gabotto, Gabiani 1907, doc. 44; Cotto et al. 1986, doc. 163].
      All’atto della visita apostolica Peruzzi (1585), le funzioni parrocchiali proprie di San Pietro di Lissano e di San Pietro di Cassano, entrambe chiese di localizzazione ormai «campestre», venivano esercitate dal curato o rettore di Lissano nella chiesa della Gloriosa Vergine o di Santa Maria Assunta, sita invece «intra terram», cioè all’interno del concentrico, nel recinto del castello. Questa sede si andò configurando come uno spazio riccamente dotato di reliquie e utilizzato come sepolcreto. La «mescolanza» dei fedeli delle parrocchie Lissano e di Cassano, che restavano separate, in una nuova, unica, sede non mancò di generare tensioni giurisdizionali, affrontate mediante una progressiva definizione del confine tra le due circoscrizioni – essa stessa però foriera di tensioni. Alcuni anni prima della visita Peruzzi, i frutti dei due benefici erano stati formalmente destinati alla riparazione dei relativi edifici ecclesiastici da parte del vescovo Della Rovere (1570), mentre durante la visita del vescovo Panigarola (1588) fu suggerita la sostituzione della chiesa di San Pietro di Lissano con una semplice cappella campestre. Di fatto, una incerta opera di riattamento di San Pietro di Cassano sembra attestata dalle visite dei vescovi Pentorio (1619) e Broglia (1627), ma il declassamento di entrambi i luoghi di culto a semplici cappelle campestri fu definitivamente sancito nel 1706 e portò infine alla loro demolizione, probabilmente entro la metà del secolo XVIII [AV Asti; Peruzzi, cc. 282v-286v; Dezzani 1959; Di Lascio 1999;  Relazione 1753, f. 289].
     Risale appunto al 1706 la riunione ufficiale delle due antiche  parrocchie in una sola sotto il titolo di San Pietro di Cassano e di Lissano, con sede in Santa Maria Assunta. La visita Peruzzi registrava poi una «chiesa rurale», fornita di battistero, intitolata a Santa Maria, nel luogo di Callianetto, «unita in perpetuo» alla parrocchiale di Cassano. Inoltre, presso la chiesa della Vergine, la societas corporis Christi, priva di beni fondiari. I lasciti, di carattere prettamente nominativo, sembravano incoraggiare una netta distinzione, peraltro sancita dal visitatore, tra le somministrazioni del Santissimo Sacramento agli infirmos intra terram e quelli extra terram. Sempre nella «terra», risultava inoltre un oratorio «sotterraneo» della società dei disciplinanti dell’Annunciazione [Peruzzi, cc. 282r-289v]. Alla metà del secolo XVIII, l’amministrazione sabauda rappresentava il territorio di Castell’Alfero come organizzato nella parrocchia dalla duplice intitolazione a San Pietro di Lissano e San Pietro di Cassano, e nel beneficio parrocchiale «e Cassinale» di Callianetto, sotto il titolo di Santa Maria [Relazione 1753, f. 289]. La presenza di una ecclesia nel luogo di Callianetto è attestata in occasione da un ordine che ne proibiva l’officiatura, diretto nel 1265 del vescovo di Asti ai consules del luogo. Nel Registrum Ecclesiarum dioecesis astensis del 1345 la chiesa risultava tra quelle dipendenti dalla pieve di Coacium (Cossombrato) [Bosio 1894, p. 518].
     L’aspirazione degli abitanti del luogo a svincolarsi dalla dipendenza dalla parrocchia di Cassano si realizzò entro il 1627, poiché, in occasione della visita pastorale Broglia svoltasi in quell’anno, constatiamo che Santa Maria di Callianetto è chiamata parrocchia ed è provvista di un proprio rettore. Verso la metà del secolo XVIII, quando risulta insignita della dignità di pievania, essa era dotata di un patrimonio di oltre 23 giornate di beni allodiali situati sul territorio di Asti, a cui si aggiungevano poco meno di 42 giornate di beni fiscalmente immuni in quanto «beneficio parrocchiale» noto appunto come il «Cassinale di Callianetto» [AST V;  Dezzani 1959; Di Lascio 1999;Relazione 1753, ff. 282, 289]. In tempi assai più recenti, la frazione Stazione, sviluppatasi tra l’Ottocento e il Novecento, ha promosso l’erezione di una propria chiesa, intitolata all’Immacolata (1948).
Assetto Insediativo
La più antica attestazione di un sito fortificato e di una villa di castrum Alferii, in posizione collinare prossima alle ville di Barche e di Cassano, già esistenti nel secolo XI e ubicate nella pianura, risale al 1189, quando il comune di Asti, che già possedeva una casa nel luogo, vi acquistò diversi appezzamenti, destinati a consolidare un proprio sedimen, come solitamente avveniva nel quadro della fondazione di una villanova. Castell’Alfero si formò dunque per impulso del comune di Asti, sostituendosi a centri minori della Valle Versa quali Cassano, Viale e Lissano. Questo primo intervento del comune cittadino sfociò qualche tempo dopo in una ulteriore, ma non definitiva, ristrutturazione dell’insediamento. Per iniziativa di Asti, infatti, presumibilmente durante la prima metà del secolo XIII, gli abitanti di Castrum Alferii si trasferirono a valle, ai piedi del rilievo oggi corrispondente al sito della Cascina Boana, dove fu edificata una torre, a protezione dell’abitato sottostante.
     Il nuovo insediamento, Guadarabbio o Borgo San Pietro della Versa (dal nome della chiesa che vi sorgeva, dipendente da quella di Cassano), sorto in corrispondenza di un guado del torrente Versa, rispondeva all’esigenza di occupare e difendere la piana della Versa contro l’espansionismo dei marchesi di Monferrato. Un nuovo trasferimento degli abitanti in collina, apud Castrum Alferium – all’origine del nucleo più antico dell’abitato odierno, il «recinto» – si ebbe probabilmente verso la fine del secolo XIII, nel corso della guerra portata contro Asti dal marchese Guglielmo VII di Monferrato. Mentre, infatti, il luogo di Castell’Alfero è menzionato una sola volta durante il secolo XIII (1241), nel 1280 e nel 1288 (verifica dei confini della Versa tra i territori dipendenti da Asti e quelli di Calliano e di Tonco, dominio del marchese di Monferrato) si ha invece notizia del burgum S. Petri de valle Versa sive Guadarabium, a partire dal secolo XIV non si registrano più attestazioni relative a Guadarabbio, se non come regione di Castell’Alfero, nel catasto del 1349 (Guadum de Rabio): le fonti parlano ormai esclusivamente del posse castri Alferii e di quello di Barche, con l’eccezione di una menzione (Guadirabio) negli statuti di Asti, compilati intorno nel 1379 e pubblicati per la prima volta nel 1381 (dove figura anche Castell’Alfero) [Bordone 1976, pp. 225-227; Bordone 1980a, pp. 163-164 e nn. 105, 107; Bordone 2002; Codex Astensis, III, doc. 754; De Bartolomeis 1847, p. 491; Rubrice, coll. I, c. 51].
     Per quanto riguarda l’età moderna, le fonti dell’amministrazione sabauda restituiscono percezioni differenziate di una comunque articolata conformazione insediativa. L’informazione prodotta nel quadro della Perequazione generale del Piemonte (1698-1731) distingue nel territorio di Castell’Alfero, oltre al Recinto e «in attinenza d’esso» i due «membri» dell’Annunciata o Borgoratto e di San Sebastiano, il «borgo allodiale con parrocchia separata» di Callianetto, i «cascinali allodiali» di Moncestino e Serra di Perno e alcuni possedimenti di enti ecclesiastici astigiani: le «cascine» della commenda mauriziana della Torre Rossa, la «masseria della Olla», proprietà della commenda dell’Ordine di Malta di San Pietro Conciavia e il grande «tenimento» della Certosa [AST RN, c. 56r]. La relazione dell’intendente della città e provincia di Asti Balduini, di alcuni decenni più tarda (1753), propone invece l’immagine semplificata di un «luogo diviso in due borgate»: il Recinto e Callianetto, istituzionalizzata nella composizione del consiglio comunitativo [Relazione 1753, f. 73v].
     Di Callianetto, già villa vetus in età comunale, la collocazione giurisdizionale in posse Castri Alferii, documentata in epoca successiva (ad esempio, in una carta del 1338) [Bordone 1980a, tav. II, p. 176], è ribadita nell’ambito della Perequazione generale e dalla logica amministrativa settecentesca. In occasione della misura generale del territorio della comunità effettuata nel 1702, viene infatti «unito» a Castell’Alfero e qualificato variamente come sua articolazione: «borgata», appunto, «cantone» o anche, con più esplicita focalizzazione sugli aspetti impositivi, «membro allodiale in parte registrato in Asti» [AST N; AST RC]. Proprio quest’ultima designazione evoca però nel contempo la contrastante, duratura, attrazione esercitata sulla località dal territorio di Asti, favorita appunto dalla cospicua presenza di proprietà registrate nel catasto della città [AST RN, cc. 36r-36v]. I censimenti della popolazione otto- e novecenteschi adottano perlopiù una griglia di lettura del territorio comunale imperniata sulla polarità insediativa capoluogo-frazione di Callianetto, registrando allo stesso tempo, soprattutto in corrispondenza della frazione, un’alta incidenza del popolamento «sparso». Fa eccezione il censimento del 1955, nel quale, senza che il dato dell’insediamento sparso vi appaia significativamente ridimensionato, si enumerano una serie di «località» minori, alcune ordinate sotto il primo livello costituito dalle due «frazioni» del capoluogo (Castell’Alfero, Casotto e Stazione) e di Callianetto (Callianetto, Perno e Lovisoni), altre elencate senza implicazione di gerarchie territoriali (Contezzi, Monteacuto, Pantrovato e Roggera). [Censimenti] Mentre alcuni di questi toponimi rimandano ad attestazioni molto risalenti – Perno, ad esempio, è ricollegabile a «Paterno», documentato dall’anno 950 o 951 [Bordone 1980b, p. 62 e n. 188] –, Stazione, all’incrocio delle strade provenienti da Casale (SS 457) e da Montiglio (SP 22) per Asti, dovette il suo iniziale sviluppo come nucleo demico alla costruzione della linea ferroviaria Asti-Casale-Mortara, e all’impianto di attività industriali legate all’edilizia nel corso dei primi decenni del secolo XX. Progressivamente esauritesi queste ultime a partire dagli anni intorno al 1980, dagli ultimi anni del secolo scorso la frazione va caratterizzandosi prevalentemente oltre che come area residenziale e commerciale, come sede di infrastrutture scolastiche e ricreativo-sportive.
Luoghi Scomparsi
Barche, Cassano, (San Pietro di) Guadarrabbio o Vidarrabbio, Liciano o Lissano (o Nilcano), Masio, Vallescaria, Viale figurano tra i luoghi che il diploma di Federico I del 1159 confermò al districtus del comune di Asti. Soltanto Barche e Masio compaiono in seguito tra le ville veteres elencate da Ogerio Alfieri: Cassano, Lissano e Viale devono quindi essere scomparsi o gravemente deperiti come centri insediativi entro la fine del secolo XIII [Bordone 1980b, pp. 238-239]. Barche e Cassano risultano già esistenti nel secolo XI [Bordone 1976, p. 225; Vergano 1944, docc. 4, 9]. Lissano è toponimo documentato dall’anno 812 e compare come sito di chiesa ricordata nel 1286 tra le dipendenze della pieve di Cossombrato [Bordone 1980b, p. 249 e n. 286].
Masio è attestato come luogo di provenienza di un testimone abituale degli atti del vescovo Bruningo alla metà del secolo IX: è dunque da considerarsi come centro segnato all’epoca da una radicata presenza patrimoniale e di potere della chiesa astese. Più tardi, compare, insieme con altre villae adiacentes alla città di Asti, in un falso documento, datato all’899, ma redatto all’inizio del secolo XI, che riporta una concessione di decime accordata dal vescovo ai canonici. E’ localizzabile presso l’attuale frazione Valmaggiore [Bordone 1980b, pp. 88-89 e n. 296].
San Pietro di Guadarrabbio (o Vidarrabbio): si tratta di un villaggio localizzabile a nord dell’abitato di Castell’Alfero, al confine con i territori di Tonco e di Calliano [Bordone 1980b, p. 55 n. 166], dal quale prendeva nome la valle di San Pietro, corrispondente alla odierna bassa Valversa [Bordone 1980b, p. 214 e n. 168] Vallescaria, la cui ultima attestazione di esistenza risale al 1359, è ubicabile approssimativamente tra Callianetto e Castell’Alfero. Nel 1054 era sede di un castello, sul quale deteneva diritti probabilmente un proprietario di legge longobarda, che in quell’anno vi sottoscrisse un atto di donazione di terre (boschi e prati) poste nelle vicinanze, sulla sponda sinistra del torrente Rilate, a favore della chiesa di Asti, già titolare nella zona di beni confinanti con quelli del donatore.
Nell’atto di donazione è menzionato il toponimo prediale Le Barche, ubicabile in corrispondenza dell’attuale Cascina San Secondo, presso la confluenza del rio Maggiolino nella Versa [Bordone 1980b, pp. 107, 129 e n. 114]. Barche villa vetus, il cui centro abitato si localizzava presso la Cascina San Secondo, circa sei chilometri a nord-est di Asti, nella valle della Versa, conurbata ad Asti: sul finire del secolo XIV compare come toponimo prediale ad Barchas in posse Astense, probabilmente per la sua contiguità con Masio, entrata precedentemente a far parte del posse municipale, e per la presenza di numerosi proprietari cittadini nel suo territorio Versa [Bordone 1980a, pp. 170-171]. Il territorio di Barche, insieme con quelli di Masio e di Caniglie, sembra aver raccolto nel corso del secolo XII una serie di loci et fundi minori di età altomedievale. Dalla sua prima attestazione (in Le barche) nel 1053 compare insieme con Caniglie (in Cananeclis), Aquaviva e Vallis Liscaria, località, tranne Caniglie attualmente frazione di Asti, già scomparse all’epoca del diploma federiciano del 1159. Aquaviva è probabilmente ubicabile sulla sponda destra della Versa, presso il mulino Catena, dove confluisce un rio forse identificabile con il rivus Aquavive menzionato in un documento s.d. (ma secolo XIV): «super posse Ast, ubi dicitur Aquaviva seu Yveria, desuper viam a manu sinistra, ultra dictum rivum Aquevive, eundo a civitate Ast versus Castrumalferium». Il toponimo Val Liscaria è nuovamente attestato nel 1056, per l’ultima volta prima del 1345, quando riappare come «titolo» della pieve di Cossombrato. Nei documenti del secolo XIV è presente nel territorio di Castell’Alfero un’indicazione ad Lischam, localizzabile poco lontano dal sito probabile di Aquaviva, assorbito nel territorio di Barche in epoca anteriore al 1350. Per l’alto medioevo, possiamo riferire al territorio di Barche un altro luogo documentato nel 1073 come de rigo Maiorino, dal nome del rio Maggiolino, affluente della Versa [Gabotto 1904, doc. 172]: nel 1272, il posse di Barche risulta in effetti estendersi a cavallo del corso d’acqua. A nord del rio sorge la Cascina San Secondo, il cui nome richiama S. Secundus de barchis, sito attestato nel secolo XV. Si può ritenere che il centro abitato di Barche sorgesse, come quello di Masio, nei pressi della Cascina San Secondo, riducendosi nel secolo XV alla domus Barcharum, menzionata nel 1350 come mota Barcharum. Il territorio originario di Barche occupava la parte a nord di San Secondo fino ai confini di Castell’Alfero [Bordone 1980a, pp. 170-171, n. 127; Gabotto 1904, doc. 174] [Su Nilcano e Vidarrabbio vd. Altre presenze ecclesiastiche].
Comunità, origine, funzionamento
Con il trasferimento a Guadarabbio nella prima metà del secolo XIII, gli abitanti di Castell’Alfero conseguirono lo stato di cives Astenses, conservandolo anche dopo il ritorno, alla fine del secolo, dell’abitato sulla collina [Bordone 2002]. In un atto del 1293 compaiono «sindici, auctores et procuratores credendariorum comunis et hominum Castri Alferii» [Cotto et al. 1986, doc. 268].
Statuti
La redazione degli Statuti e ordinamenti di Castell'Alfero risale probabilmente al 1397 [Dotti 1993].
Catasti
Vi è traccia di un catasto locale formato nel 1349, pur nella probabile presenza di un estimo complessivo per il «districtus» relativo all’imposizione del «fodrum rusticale». La coesistenza di una doppia registrazione nel distretto è comunque attestata ancora nel secolo XVII: si veda il Registro del loco di Castell’Alfero fini di Asti e poder di Castell’Alfero [AC Asti; Bordone 1980a, pp. 160-161, p. 160, n. 95]. Presso l’AC Castell’Alfero, si conservano inoltre catasti del 1645, 1723 e 1728; libri dei trasporti del 1728 e 1743; un Catasto e memorie ricavate dai registri, del 1769 [AC Castell’Alfero C]. Durante una delle ricognizioni preparatorie della Perequazione generale del Piemonte, condotta agli inizi del secolo XVIII, si affermava tuttavia che la comunità non disponeva di «altro Cattastro che un antico formato prima dell’anno 1612 hoggidì non più in uso», per cui risultava impossibile fornire «la misura cattastratta» del territorio comunale. Vi era notizia inoltre di «un Brogliasso rimasto dalla Città d’Asti con li beni a misura vechia», neppure questo «in uso», forse corrispondente al Registro del loco di Castell’Alfero cit. Per le registrazioni correnti dei mutamenti di proprietà degli appezzamenti, si ricorreva ai «quinterneti dell’esazione» utilizzati per il riparto del carico fiscale, valendosi, in particolare, di «alcune liste di misure particolari per far far transporti de registro ne’ quinternetti». Notevoli conseguenze per ogni progetto di catastazione derivavano dalla presenza condizionante della proprietà cittadina, anzitutto perché si traduceva nel fatto che «parte de beni» del territorio continuasse a rimanere «affetta al catastro d’Asti». Nel 1686, un tentativo di «misura general del territorio col trabuco camerale» era fallito «per causa di differenze insorte con la Città». La difficoltà di ragguagliare le vecchie unità di misura astigiane localmente ancora in uso con il «trabucco camerale» dell’amministrazione sabauda, che contribuiva a complicare simili operazioni, è una spia della resistenza degli antichi assetti territoriali, fondiari e fiscali imperniati sul predominio della città, alle iniziative uniformatrici del governo centrale [AST RN, cc. 36r-36v] La «misura generale» risulta effettivamente portata a termine nel 1702, [AST N] ma, ancora alla metà del secolo, nel giudizio dell’intendente provinciale essa appare inaffidabile, così come il catasto, «antico» e «inutile», è ritenuto foriero di confusioni nell’identificazione degli appezzamenti e di conseguenti errori nella registrazione dei passaggi di proprietà. [Relazione 1953, f. 75].
Ordinati
Variamente denominati ordinati originali e ordinati consolari compongono una serie, conservata presso l’ AC Castell’Alfero, pressoché continua dal 1618 al 1791, a eccezione di due interruzioni minori, in corrispondenza degli anni 1626-1628 e 1639-1642. Ordinati decretati 1746-1799 (interruzione: 1796-1798). Copie di Ordinati della Comunità relativi agli anni 1618-1640 e 1643-1673. E’ presente inoltre un Compendio degli Ordinati della Comunità, per gli anni 1620-1698 [AC Castell’Alfero O].
Dipendenze nel Medioevo
Cassano, Lissano, Viale e Barche, ma non Castell’Alfero, figurano tra i luoghi elencati nel diploma con il quale Federico I confermò nel 1159 ad Asti la giurisdizione sulle località precedentemente sottoposte al districtus del vescovo [Bordone 1980a, pp. 163-164, n. 104]. Sebbene fosse il frutto di un riordino territoriale avviato dal comune cittadino verso la fine del secolo XII, la nuova Castell’Alfero mantenne la condizione giuridica di villa vetus dei precedenti insediamenti: alla fine del secolo XIII, Ogerio Alfieri la elenca tra i luoghi facenti parte, cent’anni prima, del posse Astense che «proprie vocantur ville veteres comunis Astensis» [Bordone 1980a, p. 139 e n. 24]. La concessione della cittadinanza astese ai suoi abitanti, fondamento del regime di maggiore autonomia di fronte agli organi di governo cittadini caratteristico dei loci novi, giunse infatti, come si è visto, solo nel corso della prima metà del secolo successivo [Bordone 1980b, p. 238-239].
Feudo
Nel 1619 Castell’Alfero venne smembrata da Asti e infeudata al referendario Gerolamo Germonio di Ceva dei marchesi di Ceva e dei signori di Sale, in cambio del feudo di Peveragno, con il titolo comitale. Questi la vendette nel 1640 al borghese Alessandro Amico, controllore delle finanze sabaude, investitone dal duca di Savoia nel 1643. Gli Amico rimasero signori di Castell’Alfero per tutto l’antico regime e si estinsero nel 1832. Il feudo, sorto tardivamente, non sostenuto dalla concessione di prerogative particolarmente incisive e dalla presenza di beni feudali, oltre al castello, non sembra avere esercitato un’influenza significativa sulla configurazione territoriale di Castellalfero [AC Castell’Alfero T; Bordone 1976, p. 227; Guasco 1911, p. 449].
Mutamenti di distrettuazione
L’affermarsi del regime signorile e soprattutto il periodo di instabilità politica che segnarono la storia di Asti nel secolo XIV riportarono Castell’Alfero a una più stretta dipendenza dai poteri insediati nella città. Negli Statuta revarum civitatis Ast redatti nel 1377, la comunità, restituita ai Visconti nel 1364 dopo una breve parentesi di dominio monferrino, viene infatti annoverata tra le ville del districtus, un’articolazione entro la quale sembra riproporsi, nella mutata situazione, la condizione delle ville veteres in età comunale. Al momento del passaggio di Asti sotto la dominazione orleanese, nel 1386-1387, Castell’Alfero appare saldamente inserita tra le località direttamente sottoposte alla giurisdizione della città [Bordone 1980a, pp. 147-148 e nn. 49-50, 53; Gnetti 2007, doc. 5, p. 404], situazione confermata cent’anni più tardi da un elenco parziale di ville districtus Ast, contenuto in una norma risalente al 1485, inserita negli Statuta revarum. Nel linguaggio delle fonti del tardo secolo XIV e del secolo XV, i termini districtus (che compare però solo nelle fonti comunali e non in quelle ducali) e iurisdictio civitatis indicano una circoscrizione distinta dal capitaneatus Astesane, una giurisdizione istituita nell’età viscontea e dipendente non dagli organi cittadini, ma dall’amministrazione viscontea e poi orleanese, che, di fatto, si esercita in gran parte su località che in età comunale si configuravano come loca nova [Bordone 1980a, pp. 148-149, n. 55; Bordone 1989, p. 24; Bordone 1998, pp. 24-25]. La distinzione tra distretto e capitaneato si mantenne vitale per tutto il secolo XVI, anche dopo la definitiva incorporazione negli stati dei Savoia e la riduzione in provincia, nel 1560, della contea di Asti (pervenuta a casa Savoia attraverso la sposa del duca Carlo III, Beatrice di Portogallo, che nel 1531 ne era stata investita dal cognato Carlo V), e in tale quadro la posizione di Castell’Alfero restò quella fissatasi due secoli prima. L’assetto amministrativo consolidato subiì tuttavia un significativo scompaginamento con la massiccia politica di infeudazioni inaugurata da Carlo Emanuele I a partire dalla prima guerra del Monferrato (1615-1618), e con le misure di scorporo dei contadi attuate negli anni successivi [AST I; Bordone 1980a, pp. 152-153, n. 73]. Così, mentre nel dicembre del 1561 mediante un arbitrato si stabiliva che Castell’Alfero formasse un corpo unico con la città e i suoi abitanti godessero i privilegi della cittadinanza, nel 1619 il luogo venne smembrato da Asti e infeudato [Bordone 1976, p. 227]. Gli ordinamenti settecenteschi relativi alle intendenze, alle prefetture e alle assise dei giudici (1723, 1724, 1729, 1730 e 1749), confermarono la collocazione di Castell’Alfero all’interno della provincia di Asti, dove rimase fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798) [Cassetti 1996; Duboin 1818-1869, III, pp. 58, 72, 79, 98, 133, 160]. Il luogo figura inoltre, almeno dal 1733, compreso nel Dipartimento (o Regolamento) di Asti delle Gabelle Unite del Piemonte [AST B]. Entro la maglia amministrativa francese, Castell’Alfero seguì le sorti dell’intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di estensione variabile avente per capoluogo Asti. Si trattò dapprima del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, dopo il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1805, del dipartimento di Marengo, circondario (arrondissement) di Asti. Dopo la parentesi napoleonica, Castell’Alfero rientrò, nel 1814, a far parte della ricostituita provincia di Asti che, dopo alcune instabili riorganizzazioni mandamentali nel 1818, fu ridotta a circondario della divisione amministrativa, poi provincia di Alessandria nel 1859 [Cassetti 1996; Sturani 1995; Sturani 2001]. Lo stesso circondario di Asti venne soppresso e aggregato a quello di Alessandria nel 1927 [Istituto Centrale 1927, p. 1], quindi staccato dalla provincia di Alessandria e aggregato alla nuova provincia di Asti formata nel 1935 [Bordone 2006; Istituto Centrale 1937, p. 8; Gamba 2002].
Mutamenti Territoriali
Nel 1929, dal territorio comunale di Castell’Alfero venne smembrata una zona (50 ha. di superficie, 152 residenti), corrispondente alla località Stazione di Portacomaro, e aggregata al territorio di Asti. [Gamba 2002, p. 34; Variazioni  1927-1930, pp. 9, 11].
Comunanze
Per buona parte della prima età moderna, gli abitanti di Callianetto parteciparono, con quelli di Cossombrato, Corsione, Montechiaro e Villa San Secondo, all’uso promiscuo, non privo di tensioni, degli ampi boschi del «Debatto» [vd. LITI TERRITORIALI]. Uno «spoglio di consegnamento» prodotto nel 1715, durante le operazioni della Perequazione generale del Piemonte, elenca circa 5 giornate di beni appartenenti alla comunità, siti in varie regioni del suo territorio, tutti classificati come «gerbido» (incolto) o «pascolo». L’estensore del documento annota: «quali tutti beni non sono d’alcun reddito alla Comunità, salvo che servono di pascolo» [AST SC].
Liti Territoriali
Tra il secolo XV e il secolo XVIII si aprono e trascinano contenziosi principalmente con Asti, innescati dalla forte presenza di proprietà registrate nel catasto cittadino e di estesi possedimenti fiscalmente immuni appartenenti ad alcuni tra i principali enti ecclesiastici della città. Le contese riguardano principalmente l’area di Callianetto [AST CF; AST F]. Nel secolo XVIII insorgono alcune questioni territoriali con la comunità di Frinco, anche in questo caso favorite dalla presenza di beni posseduti da abitanti di Frinco, che questi hanno iscritto a catasto nella comunità di residenza [AC Castell’Alfero L; AST SL; Relazione 1753, f. 75r]. Nel 1457 si addiviene alla «separazione dei confini» tra Castell’Alfero e la comunità monferrina di Calliano, anche se la questione appare ancora sul tappeto agli inizi del secolo XVIII [AST T]. La stabilità locale della frontiera con il Monferrato sembra consolidarsi nel 1473, quando viene definito il confine tra Callianetto e Villa San Secondo (nell’area del «finaggio», allora condiviso, del feudo di Cossombrato), per sentenza arbitrale pronunciata dai delegati della duchessa di Orléans, signora di Asti, e del marchese di Monferrato e, a cui spettavano rispettivamente i due «luoghi». Di fatto, anche in questo caso, in particolare a causa dell’indistinzione dei territori di Villa San Secondo e di Cossombrato, restarono a lungo, almeno fino ai primi anni del secolo XVII, ampi spazi di incertezza e di contesa tra i signori di Cossombrato, la comunità di Villa San Secondo e gli altri luoghi, come Montechiaro, Corsione e Callianetto, che si affacciavano sull’area controversa, assai vasta, comprendente perlopiù boschi «indivisi», usati in comune dagli abitanti degli stessi luoghi (i cosiddetti boschi «del Debatto» e boschi e incolti di diretto dominio della mensa vescovile di Asti) [AST CS].
Fonti
AC Castell’Alfero (Archivio Storico del Comune di Castell’Alfero). Vedi inventario.
AC Castell’Alfero C, Serie Prima, 1, Catasto [1645]; 2, Catasto [1723]; 3, Libro dei Trasporti [1728]; 4, Catasto [1743]; 5, Libro dei trasporti [1743]; 6, Catasto e memorie ricavate dai registri [1769].
AC Castell’Alfero L: AC Castell’Alfero, Serie prima, 40/1, Lite tra la Città di Asti e la Comunità di Castell’Alfero, 1588-1671; 40/1, 1, Città di Asti e situazione delle ville [1588]; 40/1, 2, Sentenza arbitramentale tra la città d’Asti e le ville del distretto della medesima città [1561]; 40/1, 3, Copia di sentenza della Comunità di Castell’Alfero contro la città di Asti [1598]; 40/1, 4, Sentenza nella causa tra la Comunità di Castell’Alfero e la città di Asti [1598]; 40/1, 5, Comunità di Castell’Alfero contro città di Asti [1671]; 40/1, 6, Sommario delle regioni della Comunità di Castell’Alfero contro l’ill.ma Città di Asti [s.d., ma fine sec. XVI-inizio sec. XVII]; 40/1, 7, Causa tra Castell’Alfero e Asti [s.d., ma sec. XVI]; 40/2, 8, Lite tra questa Comunità e quelle di Portacomaro e Scurzolengo e contro Pagliero [1640-1642].
AC Castell’Alfero O: AC Castell’Alfero, Serie prima, 23/1-11, Registri degli Ordinati originali [1618-1625, 1629-1638, 1643-1698], 23/14-16 [1706-1716, 1728-1738], 23/18-25 [1753-1791]; 23/12-13, 23/17-Registri degli Ordinati consolari [1698-1706, 1739-1742]; Registri degli Ordinati decretati, 24/1-3 [1743-1786, 1791-1795, 1799-1800]; 24/4-5, Ordinati della Comunità di Castell’Alfero, copie [1618-1640, 1643-1673]; 24/6, Compendio degli Ordinati della Comunità di Castell’Alfero [1620-1698].
AC Castell’Alfero S: AC Castell’Alfero, Serie prima, Scritture della Compagnia de Disciplinanti erretta nel luogo di Castell’Alfero contro la Comunità di detto luogo [1705-1735]; Carte riguardanti l’obbligazione del vice-curato in seguito unione delle due parrocchie [1706, 1829].
AC Castell’Alfero T: AC Castell’Alfero, Serie prima, Transazione tra l’Ill.mo sig. Conte di Castell’Alfero e la Comunità d’esso luogo per gli bandi campestri, forni e molini delli 26 giugno 1743.
AV Asti: Archivio Vescovile di Asti, Visite pastorali, Visita Della Rovere [1570]; Visita Panigarola [1588].
AC Asti: Archivio Storico del Comune di Asti, III sez. 53/A, fasc. 4 [1978], Registro del loco di Castell’Alfero fini di Asti e poder di Castell’Alfero [cit. in Bordone 1980a, p. 160, n. 95]. Vedi inventario.
AST B: AST [Archivio di Stato di Torino), Corte, Materie economiche, Gabelle generali, m. 1 d’addizione, n. 4, Billancj per le Regie Gabelle [1733].
AST CF: AST, Corte, Paesi, Paesi in genere e per province, Consegnamento fatto da Simone Passalacqua delle sue possessioni e proprietà poste parte nella Città d’Asti e parte sulle fini della medesima oltre il Tanaro […] ed altresì sulle stesse fini ove si dice a Calianetto […] [11 aprile 1588].
AST CS: AST, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, V, m. 1, cc. 47r-50r, Copia di sentenza arbitr.le pronunziata da Gioachino Pelleri Delegato dal March.e di Monferrato, ed Alberto Bainerio Delegato della Ducchessa d’Orleans sulla divisione de’confini, e terminazione tra i Luoghi di Caglianetto, e Villa S. Secondo [1473].
AST F: AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, m. 32, fasc. 7, Castell’Alfero, n. 2, 1526, 11 Giugno. Francesco Bergagna del fu Bartolomeo Cittadino d’Asti acquista all’asta pubblica […] una casa e varie pezze di terra, prato e bosco poste sulle fini d’Asti e sul territorio di Castelaferio distretto d’Asti nelle regioni dette in Valle Glarea ossia in Valle Calianeti ad Fontanam de Ciglia, ad Montem de Fichu, in Valle de Arbere, ad Canapalle, ad Fornacam, ad Ronchum, de Presbitero, ad Moneron, in Valle de Insermino; 10 dicembre 1344. Oberto de Serra di Castelalfero e Maylana sua madre vendono a Giacomo de Vialle giurisperito cittadino d'Asti una pezza di terra situata sul territorio di Callianetto ove dicesi in paniali […]; 17 febbraio 1496. Tommaso de Regnis Arciprete di Neive […] e Michele Sacco di Castellalfero abitanti nella valle di Callianetto […] vendono ad Angelina de Olegio di Vercelli abitanti in Asti […] varie pezze di Terra, vigna, bosco e prato sulle fini d’Asti in quel di Callianetto, regioni dette in paniali, in preis, in surello, ad faniniginem;  17 febbraio 1496. Michele Sacco di Castelalfero dimorante sulle fini d’Asti nella Valle di Callianetto vende […] ad Angelina de Allegio di Vercelli dimorante in Asti, due pezze, di campo e prato l’una, di bosco l’altra […] poste sulle fini d’Asti in quel di Callianetto ove dicesi in surello […]; 13 maggio 1496. Gioanni Sacco di Castelalfero, dimorante nella valle di Callianetto, sulle fini d'Asti vende […] ad Angelina de Ollegio di Vercelli dimorante in Asti una pezza di terra di 12. staia posta sulle fini d’Asti in quel di Callianetto, nel luogo, detto in paniali […]; 28 maggio 1496. Tommaso Sacco di Castelalfero, distretto d'Asti, dimorante nella Valle di Callianetto sulle fini d'Asti vende […] ad Angelina de Olegio di Vercelli, dimorante in Asti, una giornata di terra posta sulle fini di Asti in quel di Callianetto, ove dicesi in paniali […].
AST I: AST, Corte, Paesi, Provincia di Asti, m. 25, n. 5, Informations prises sur le Logement des gens de guerre dans les Terres de l’Eglise d’Ast… [1529].
AST N: AST, Camerale, II Archiviazione, Capo 21, n. 1, Nota Alfabetica de’ territorii stati misurati coll’indicazione dell’annata nella quale seguì la misura [s.d. , ma ca. 1731], c. 4v.
AST RC: AST, Sez. riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 16, Ricavo de Cantoni delle 12 Provincie del Piemonte non facienti corpo di Communità  [s.d., ma dopo 1721], cc. 5r, 45r.
AST RN: AST, Sez. riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 161, Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali [s.d.].
AST SC: AST, Sez. riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 73, Spoglio del Consigna.to fatto dal Sig.r Teodoro Monte li 28 maggio 1715 ricevuto dal Comissaro Galvagno per li seguenti Beni sittuatti nel Territorio di Castel Alfero se ben compresi nella misura G.n.ale della Città d’Asti.
AST SL: AST, Sez. riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, m. 1, Stato delle liti, che hanno vertenti le Città, e Communità della Provincia d’Asti [16 dicembre 1717], c. 4r.
AST T: AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, m. 32, fasc. 7, Castell’Alfero, n. 3, 13 giugno 1703. Tipo indicante la separazione dei confini tra Castellalfero e Calliano, enunciata nell’istrumento del 1457.
AST V: AST, Corte, Materie ecclesiastiche, Benefizi di qua da’ monti, Viglietto Regio di commissione all'Avvocato generale Gallo per la terminazione delle questioni tra la Comunità di Castelalfero, e li Particolari di Callianetto Cantone di quel Luogo, riguardo alla riedificazione di quella Parrochiale. 13. Marzo [1761].
B.N.F. (Bibliothèque nationale de France). Vedi catalogo.
B.N.F., département Cartes et plans, GE DD-2987 (5054 B), La principauté de Piémont, les marquisats de Saluce et de Suze, les comtés de Nice et d'Ast, le Montferrat / dediée au roy par son très humble, très obéissant, très fidèle sujet et serviteur H. Jaillot, géographe de sa Majesté, [chez l'auteur] (A Paris), 1695 [Jaillot, Alexis-Hubert (1632?-1712). Cartographe].
Vedi mappa.
Bibliografia
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Relazione 1753: «Relazione generale dell’Intendente d’Asti sullo stato della Provincia», 1753, in Andrea Merlotti, Costruire lo Stato in provincia: l’intendenza astigiana di Giovan Francesco Balduini di Santa Margherita (1750-54),
Schiavone 1981: «Cabreo della commenda d’Asti fatto l’anno 1619», a cura di
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Sturani 2001: Maria Luisa Sturani, «Innovazioni e resistenze nella trasformazione della maglia amministrativa piemontese durante il periodo francese (1798-1814): la creazione dei dipartimenti ed il livello comunale», in), Dinamiche storiche e problemi attuali della maglia istituzionale in Italia. Saggi di geografia amministrativa, a cura di Maria Luisa Sturani, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, pp. 89-118.
Variazioni 1927-1930: Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, Variazioni di territorio e di nome avvenute nelle circoscrizioni comunali e provinciali del Regno dal 1 ° aprile 1927 al 15 ottobre 1930, Roma, Tipografia Operaia Romana, 1930.
Descrizione Comune

Castell'Alfero

          Nei primi anni del secolo XVIII, i funzionari della Perequazione generale osservano che «la Città d’Asti per la cattastratione si regola anchor hoggidì sovra sette volumi di cattastro tutti dell’anno 1588» e che «oltre il registro de’ beni, che sono sovra il sicuro territorio di Città, la medema ne colletta sovra diversi altri territorij». Anche per questo, la «misura generale del territorio» intrapresa nel 1677 non aveva avuto compimento  [AST RN, cc. 31r-32r].
     Il «registro forastiere» della città era massicciamente presente sul territorio di Castell’Alfero, favorito in primo luogo dalla prossimità dei potenti interessi patrimoniali, sia laici sia ecclesiastici, che in essa si concentravano. Si tratta però di un fattore che non bisogna isolare dall’importanza dei vincoli secolari tradizionalmente serrati e complessi, di dipendenza giurisdizionale cioè ma anche di assimilazione giuridica, esistenti tra la comunità e il corpo politico della città. Anzitutto, va ricordata l’assegnazione di Castell’Alfero al distretto cittadino, avvenuta con il determinarsi, nel corso del secolo XIV, della segmentazione dello «stato» astese in distretto, appunto, e capitaneato, ma radicata nella sua preistoria e nei primi tempi della sua esistenza, vissuti nell’orizzonte giuridico delle ville veteres. Nello stesso tempo, il rapporto conobbe riassetti nei quali saremmo portati a vedere, per così dire, correzioni equitative della preponderanza astigiana: dapprima, la riaffermazione, nel 1333, dei diritti della cittadinanza astese acquisiti al momento della «seconda fondazione» del luogo; più tardi, nel 1561, dunque già in epoca sabauda, la formale confluenza di Asti e Castell’Alfero in una comune identità corporata, al termine di un contenzioso fiscale pressoché permanente, la cui precedente provvisoria soluzione risaliva al 1482 [Gabiani III, p. 313].
     Si delinea così una tradizionale simbiosi, seppure tutt’altro che esente da tensioni, che il successivo smembramento e infeudazione di Castell’Alfero, operati da Carlo Emanuele I nel 1619, non sembrano avere, nella sostanza, dissolto.
     Anche qui, ormai nel secolo XVIII, attraverso la documentazione prodotta dalla Perequazione generale avvertiamo l’impossibilità di stabilire «qual sia la misura cattastratta, non havendo questa communità altro cattastro, che un antico formato prima dell’anno 1612 hoggidì non più in uso». Alle proprietà presenti sul territorio di Castell’Alfero si riferisce anche un vecchio «brogliasso», che però è gelosamente custodito presso gli archivi astigiani e di cui non si fa alcun uso, almeno alcun uso conoscibile dall’amministrazione sabauda, ai fini della determinazione e ripartizione dei carichi fiscali. A breve distanza da quella astigiana, nel 1686, anche Castell’Alfero ha sperimentato un tentativo di «misura generale del territorio», significativamente interrotto «per causa di differenze insorte con la Città» [AST RN, cc. 36r-36v].
     E ancora alla metà del secolo, l’intendente della provincia trova che nel «libro dei trasporti» correntemente utilizzato per registrare e identificare i passaggi di proprietà dei fondi, le «coherenze» (i nomi dei possessori confinanti) degli appezzamenti, desunte dal catasto di Castell’Alfero, «antico» e «inutile», «mettono in questione l’identità de’ beni» e favoriscono «errori di trasporti e confusioni di partite». Si torna a reclamare la «misura generale» [Relazione 1753, f. 75], benché risulti che una simile operazione sia stata effettivamente portata a termine nel 1702 [AST N]. Anche sulla sua scorta, peraltro, l’anno successivo si era affrontata la questione di fissare definitivamente i confini con Calliano, delineati una prima volta in un atto del 1457. Il fatto è che una parte non trascurabile del territorio comunale, come dell’intero distretto, essendo «affetta al catastro d’Asti» [AST RN, cc. 36r-36v], si rivela refrattaria a consentire la precisa determinazione quantitativa richiesta nel quadro dell’ambizioso progetto perequativo.
La sezione forse più cospicua dei beni astigiani in Castell’Alfero è costituita da beni «eccelsiastici», «bona parte de’ quali restano descritti al Cattastro della Città d’Asti», ma che comunque «si pretendono immuni dai carichi» [AST SC], cioè soprattutto esenti dalla «misura» e dal pagamento dell’imposta prediale, non senza più estese implicazioni di immunità giurisdizionale. Si tratta principalmente delle cascine della commenda mauriziana detta della Torre Rossa, di quella gerosolimitana di San Pietro in Conciavia e del vastissimo «tenimento» della Certosa di Valmanera, tutti e tre localizzati nella parte nordorientale del territorio comunale, almeno in parte oltre la Versa, nell’area cioè dell’incerto confine con Calliano. Questi possedimenti hanno evidentemente, agli occhi dei funzionari della Perequazione, un rilievo demico e una valenza giurisdizionale che inducono a rappresentarli come elementi («membri») a pieno titolo dell’articolazione territoriale. Ma si segnalano inoltre con ragguardevoli presenze patrimoniali: la Mensa vescovile, il Capitolo della Cattedrale, la Collegiata e la Cantoria di San Secondo, gli Agostiniani del Convento di Sant’Agostino, i Barnabiti di San Martino, i Domenicani di Santa Maria Maddalena, i Minori conventuali di San Francesco, le Clarisse di Sant’Agnese, il Monastero dell’Annunciata, il Convento del Carmine, Santa Maria Nuova. Nell’economia locale, la proprietà ecclesiastica, in primo luogo il tenimento della Certosa, ha il controllo pressoché completo dei boschi che coprono un’ampia porzione della superficie comunale [vd. ASSETTO INSEDIATIVO; Relazione 1753, ff. 73v, 74, 75; Schiavone 1981, pp. 32-36; Schiavone 1982, p. 37; Schiavone 1983, pp. 16-17].
Il problema del possesso fondiario da parte di forestieri che si sottrae alla catastazione e genera isole di immunità fiscale si verifica oltre che con la città, anche con Frinco, feudo imperiale fino al 1726. Il conte e i «particolari» di Frinco possiedono infatti a Castell’Alfero diversi beni, soprattutto incolti e pascoli, che «non si vedono descritti nel cattastro di questa Communità per esser lacero, e mancante» e che «da memoria d’huomo in qua non hanno mai concorso ad alcun carigo». La difesa dell’immunità da parte di questi proprietari, con in testa il feudatario e la comunità, genera la rivendicazione giurisdizionale di appartenenza di quei fondi al «territorio e finaggio di Frinco» [AST SC].
Per gran parte del medioevo e dell’età moderna, dunque, «territorio» a Castell’Alfero (come del resto, in ragione di differenti specificità locali, in numerose altre situazioni coeve) è una categoria che può essere operativa solo parzialmente, con pluralità di riferimenti e con notevoli margini di ambiguità. Certamente, l’esclusività del proprio «territorio e finaggio», che si manifesta nei consueti perentori richiami al suo carattere «indubitato», rappresenta per la comunità un principio pragmatico di azione irrinunciabile negli specifici contenziosi che la coinvolgono, ad esempio intorno alla tassazione. D’altra parte, in più occasioni, il suo contenuto è stato effettivamente negoziato con i vicini e definito attraverso procedure e atti formali. Ma alla generalità e univocità della sua applicazione si oppongono diversi fattori interrelati: il patto di cittadinanza con Asti, la stabile inclusione di Castell’Alfero nel distretto cittadino e l’intersezione dei rispettivi «registri», la presenza di potenti interessi immunitari, soprattutto ecclesiastici e astigiani, ma anche, in misura minore, feudali, la materiale continuità (in termini sia fisici sia di pratiche di utilizzo) delle grandi estensioni a bosco e a pascolo attraverso confini, che possiamo immaginare stabiliti, dove lo sono, secondo il criterio della «linea retta dello sguardo» che unisce «termini» divisori posti dall’uomo e/o punti di riferimento «naturali» non sempre stabili e soprattutto incontestati [Raggio 2001].
L’attrazione esercitata dalla città e l’influenza degli interessi che vi risiedono sembra favorire il policentrismo e l’autonomia di singoli nuclei insediativi come Callianetto. Nei documenti del tardo medioevo e della prima età moderna, transazioni private o pubbliche, Callianetto e, in particolare, la sua «valle», si trovano in un rapporto piuttosto indistinto con «fini di Asti», «distretto» della città e «territorio di Castell’Alfero» (mentre la stessa Callianetto è accreditata di un proprio «territorio») [AST CF]. Ed è semplicemente nella sua qualità di «luogo», senza riferimenti al comune di appartenenza, che nel 1473 compare, allo stesso livello della comunità di Villa San Secondo, nella determinazione del confine che dovrebbe separarle nella contenziosa area del «Debatto» [AST CS]. Callianetto sembra così caratterizzarsi a lungo come una sorta di luogo condiviso, in una condizione che consente ampi spazi di autonomia. Anche più tardi, nel corso dei secoli XVII e XVIII, emerge la peculiare identità della «borgata»: riconosciuta sul piano delle istituzioni comunitative, attraverso i criteri di composizione del consiglio, si esprime inoltre sul piano rituale, attorno alla chiesa di Santa Maria, assurta alla dignità di parrocchia entro il 1627, e titolare di un beneficio che in fonti settecentesche risulta di discreta estensione, composto di terre per circa due terzi immuni e ubicate sul territorio di Castell’Alfero, per circa un terzo allodiali e comprese nel territorio della città [vd. ASSETTO INSEDIATIVO e ALTRE PRESENZE ECCLESIASTICHE]. Tra Sette- e Ottocento, essa si arricchisce infine di una legittimazione storiografica attraverso il mito di fondazione che attribuisce l’origine del luogo all’iniziativa di fuoriusciti di Calliano «nelle guerre civili che infestarono l’Astigiana» [Bordone 1977, pp. 97-98].
Dal punto di vista delle dinamiche sociali associate al particolare assetto territoriale di Castell’Alfero, possiamo notare che la simbiosi con Asti e il controllo di una porzione cruciale, per quantità e destinazione, delle risorse locali, da parte di cascine e vaste tenute ecclesiastiche gestite da affittuari cittadini promossero l’urbanizzazione della élite locale e ostacolarono la formazione di aziende contadine vitali, in grado di bilanciare un’economia di sussistenza con aperture selettive al mercato. Alla metà del secolo XVIII, l’intendente della provincia osserva che i «frutti» del territorio «sarrebbono sufficienti per il mantenimento del popolo che ivi abita, quando buona parte d’essi non venisse estrata da possessori forensi, che la maggior parte sono corpi ecclesistici», non restando alla maggioranza degli abitanti altro rimedio che un largo ricorso all’impiego come giornalieri su beni altrui [Relazione 1753, f. 74]. Questa situazione si consolida con la liquidazione dell’antico regime e la vendita dei beni nazionali nel periodo napoleonico, accaparrati da «possidenti forestieri», spingendo ulteriormente gli abitanti verso il bracciantato, in particolare nelle risaie del Vercellese [Casalis 1837, p. 107].