Monastero Bormida

AutoriGiana, Luca
Anno Compilazione2013
Provincia
Asti
Area storica
Monferrato
Abitanti
1002 (al 31.12.2010; fonte ISTAT).
Estensione
1415 ha.
Confini
Bistagno (AL), Bubbio, Cassinasco, Denice (AL), Loazzolo, Ponti (AL), Roccaverano, Sessame.
Frazioni
case Cicco e case sparse (dal 1951 fino al 2001; fonte ISTAT).
Toponimo storico
Fino alla metà dell'Ottocento è indicato come Monastero d’Acqui, anche per differenziarlo da località analoga nei pressi di Mondovì (Casalis 1842, pp. 500 sgg.). Nei documenti medioevali e di età moderna si trova Monastero di Santa Giulia "vallis Burmide", Monasterium Aquensium o solo Monastero (Longhi 2013, p. 24 sg.). Dal 1863 viene aggiunta la dicitura Bormida.
Diocesi
Acqui
Pieve
In quanto terra sottoposta al controllo diretto degli abati viene considerata al di fuori della maglia pievana, tuttavia la tradizione assegna alla chiesa di S.Desiderio il ruolo di fonte battesimale (Moriondo 1789-1790, vol. II, coll. 89-114) per l'area. Prima che si affermasse la pieve di Bistagno tra Due e Trecento, nell'area è incerta l'esistenza di un rapporto con la più antica pieve di Serithello (Sessame) (Il tempo di san Guido 2003; L'organizzazione ecclesiastica 2007).[Voce a cura di Marta Longhi, 2013]
Altre Presenze Ecclesiastiche
La chiesa parrocchiale è intitolata a Santa Giulia che conserva l'intitolazione del monastero benedettino da cui ha origine l'insediamento di cui vengono attestate alcune dipendenze da S.Benigno di Fruttuaria (G.B. Moriondo 1789-1790, vol. III, p. 245 sg). Nel XVII secolo le cappelle presenti sul territorio sono:  San Desiderio, San Rocco, Santa Libera, Assunta, San Sebastiano, Nostra Signora delle Grazie, San Lorenzo, San Bernardo, San Benedetto e l'oratorio dell’Annunziata. Sono inoltre attestate la piccola cappella intitolata a Maria Vergine (nel castello) e le quattordici cappellette della Via Crucis costruite all’inizio del Settecento lungo la strada che da Monastero porta ad Acqui (AVA, Parrocchia di Monastero Bormida, faldone 2, relazione parrocchiale di don Giulio Cesare Benci del 29 maggio 1728).
A partire dal 1579 è attestata la presenza del Convento di S. Pietro dei padri Agostiniani soppresso nel 1652. A partire dal 1689, nello stesso convento vengono chiamati i Minori Osservanti che restano fino alla soppressione definitiva di età napolenica (AVA, Parrocchie, Monastero Bormida, f. 4 c1 f1).
Assetto Insediativo
Nell’alto medioevo, la Valle Bormida era stata caratterizzata dalla presenza di abitati sparsi e punti fortificati lungo le vie fluviali e le principali arterie di collegamento tra i centri di persistenza romana (come Acqui e Cortemiglia) in quanto area di confine interno tra territori occupati dalla popolazione longobarda e bizantina. Labili tracce materiali e toponomastiche suggeriscono un primo insediamento della regione verso il VII secolo, quando si costituirono almeno due distinti luoghi di culto presso altrettanti spzi abitati, uno vicino a San Desiderio e l'altro presso l'antica chiesa di Santa Giulia, poi sede del monastero benedettino a partire dall'XI secolo.
L'edificazione di un ponte in muratura e la fondazione monastica presso la villa e il castum di Santa Giulia favorirono lo sviluppo dell'attuale nucleo abitativo sulle rive del Bormida di Millesimo, lasciando decadere il più periferico insediamento presso il guado sulla Bormida di Spigno (Longhi 2013).
Luoghi Scomparsi
Nei pressi dell'attuale chiesa di San Desiderio nel XIII secolo è attestato un insediamento abitato autonomo (Pavoni 1977, doc. 227).[Voce a cura di Marta Longhi 2013]
Comunità, origine, funzionamento
La prima attestazione dell'attività di una comunità deriva dalla menzione di consules risalenti al XV secolo (Moriondo 1789-1790, vol. I, col. 515; Longhi 2013, pp. 26-28.). Nel 1596 la comunità di Monastero ricorre al Duca di Monferrato per ottenere la riconferma degli Statuti (AST, Corte, Monferrato Feudi per A e B, 6 maggio 1596).
Gli Statuti vengono successivamente riconfermati anche nel 1671 sempre dal Duca del Monferrato (AST, Corte, Monferrato Feudi per A e B, 8 febbraio 1653).
 L'attività del Consiglio della comunità è attestata attraverso gli ordinati comunali a artire dal 1631 (AC Monastero Bormida, 1).
Statuti
Si ha notizia di una copia degli Statuti di Monastero datata 1596 (AST, Corte, Monferrato Feudi per A e B, mazzo 6 maggio 1596). Una copia a stampa risalente al 1664, riporta che erano stati concessi nel 1481, ma non si hanno ulteriori attestazioni (Biblioteca Estense di Modena).
Catasti
Nel 1664 i sindaci, Giovanni Battista Merli e Giovanni Battista Scaiola, danno il via ai lavori di compilazione di un catasto: Sommario del novo registro di Monastero fatto quest’anno 1664, conservato presso l'Archivio storico comunale (AC Monastero Bormida, 67). L'esito di tale operazione è un catasto descrittivo che restò in vigore fino al 1823 quando venne sostituto da uno particellare (1823-1830, AC Monastero Bormida, 66/13 e 14).
Nell’archivio di Stato di Asti (ASAT) è conservato un catasto di Monastero del 1879 e tre successivi fino 1924.
Ordinati
Gli ordinati del consiglio della Comunità sono conservati nell'Archivio Comunale a partire dal 1631 (AC Monastero Bormida, 1-26) le serie sono complete fino al 1888 tranne per alcune piccole lacune nel XVIII secolo e sono raccolte in 26 cartelle.
Dipendenze nel Medioevo
Nel X secolo è attestata la presenza di un monastero di Benedettini attorno al quale si sviluppò il centro del paese. Si hanno, solo tardivamente, indicazioni di una dipendenza del monastero di Santa Giulia dall'abbazia di San Benigno di Fruttuaria (Chabrol, Casalis, S. Novelli, pp.139-142; Longhi 2013).
Monastero si ritrova, come Bubbio e Cassinasco, nel consegnamento feudale del 1313 fatto da Oddone III e dal figlio Manfredino ad Asti (Moriondo 1789-1790, vol.II, col. 453). Nel 1337 Manfredo IV vende Monastero Bormida agli Scarampi. Oltre agi Scarampi sono menzionate anche alcune proprietà dei Del Carretto. Nonostante queste presenze signorili, fino alla fine del Trecento, la giurisdizione sugli uomini e sulle terre dell'area spettava agli abati del monastero benedettino di Santa Giulia (Longhi 2013).
Feudo
Nel 1337 Manfredio di Saluzzo vende a Odone, Giacomo, Mateo, Gioanone e Tomiano fratelli Scarampi la quarta parte di Monastero (AST, Corte, paesi, Asti, 7 febbraio 1337). Nel 1435, Monastero compare nella donazione fatta dal Marchese Giacomo di Monferrato a Amedeo di Savoia (AST, Corte, paesi, Monferrato, Ducato del Monferrato). Nel 1481 Guglielmo del Monferrato vende il feudo a Giovanni Della Rovere “milite savonese, nipote di Sisto IV”   (Casalis  vol. X, pp. 502). Nel 1533 viene confermata, e poi nel 1539 rinnovata, l’infeudazione da parte del marchese Guglielmo del Monferrato a Giovanni Francesco della Rovere (AST, Corte, Monferrato, Feudi per A e B, 5 aprile 1533 e 19 aprile 1539). Il feudo rimase poi sempre legato alla famiglia savonese dei Della Rovere.
Nel 1724 Il feudo ha fitti minuti, fodro annuale (dovuto per alpe della Chiapetta in formaggio, orzo e testa di porci selvatici cacciati); miniere di ferro tenute da particolari, che pagano carichi nel luogo; segreteria e cause; alcuni fitti minuti affrancati da comunità ma, si precisa, il contratto può essere ancora sciolto dal marchese. (Cfr. AST, Camerale, I archiviazione, feudi e giurisdizioni, m. 4).
Mutamenti di distrettuazione
Dal XV secolo e fino al XVIII secolo, fa parte delle terre e castelli del marchesato, poi ducato, del Monferrato “oltre il Tanaro”, i cui territori successivamente - sotto la dominazione Savoia – entreranno quasi tutti a far parte della provincia di Acqui. Nel periodo francese fece parte del dipartimento di Montenotte, cantone di Acqui (Chabrol), rientrò poi a far parte della ricostituita provincia di Acqui, ridotta a circondario nella provincia di Alessandria nel 1859 (Casalis), ed infine di quella di Asti nel 1935.
    
In anni recenti ha aderito alla Comunità montana “Langa Astigiana-Valle Bormida”.
Mutamenti Territoriali
Nel 1927 vengono aggregate le frazioni di Casale e Malfatti staccate da Sessame.
Comunanze
In base alle denunce catastali, tra il XVII e XVIII secolo, la comunità possiede un consorzio zerbido di stara 2, tavole 9 e piedi 5; una strada pubblica in località Tatorba sui confini con Bubbio di stara 6, tavole 7 e piedi 2; un’isola in mezzo al fiume Bormida di 33 stara, 0 tavole e 9 piedi; una terra vicino al ponte Garrone sulla strada della Ponta di stara 24, tavole 10 e piedi 6; un pezzo di terra al passo del ponte vicino alla Porta Sottana detta la Barbeba o sia presso il ponte in direzione di Monastero di 5 tavole e 6 piedi (AC Monastero Bormida, 1664 – 1740, f. 77).
In una relazione fiscale del Seicento sono indicate 2741.2 moggia registrate, 0 immuni e 241 feudali (cfr. AST, Corte, Paesi/Monferrato/Materie economiche e feudali, m.19).
In una relazione degli anni ’80 del Settecento è segnalato tra le comunità della Provincia di Acqui (Alto Monferrato) che non possiedono boschi (Cfr. AST, Materie economiche per categorie, perequazione del Monferrato, m.1 d’addizione).
In uno stato delle comunità della provincia di Acqui del 1750 Monastero ha 376 di lire di redditi (AST, Sezioni Riunite, I archiviazione, Regolamento e amministrazione delle comunità, m. 1).
In una inchiesta sullo “stato degli effetti, e gabelle spettanti ai pubblici dell’Alto Monferrato risultanti dai convocati del 1782”, non sono segnalate giornate di bosco; i beni coltivi di estensione non indicata danno 9 lire di reddito; vi sono poi 20 giornate di gerbidi e pascoli; 572.6 lire sono le entrate per gabelle e daciti (Cfr. AST, Materie economiche per categorie, Perequazione Monferrato, m. 1 d’addizione).
Liti Territoriali
Nella lite secolare con la comunità di Sessame, Monastero ridiscute continuamente le sentenze arbitrali che fanno riferimento ad un antico atto di lite, oggi non conservato in originale, risalente al 1489 (AC Monastero Bormida, 1657-1663, f. 83 - 84, “Controversie colla comunità di Sessame”). A più riprese tra il 1657 e il 1663 e tra il 1730 e il 32, la comunità di Monastero produce visite di confine, atti possessori per esprimere il possesso della “ Strada di S. Desiderio”, detta “la Ponta”. La lite avrà un esito nel Novecento, con l'aggregazione di 2 frazioni (Malfatti e Casale) al comune di Monastero (1927).
Negli anni Trenta del Novecento, fino alla fine degli anni Cinquanta, alcune frazioni dei comuni limitrofi (Roccaverano, Bubbio, Vesime, Loazzolo, Cessole) richiedono di essere aggregate al comune di Monastero Bormida in virtù della loro vicinanza agli uffici del capoluogo di quel comune (Archivio di Roccaverano, Sezione Moderna, f. 33). Le frazioni di fatto non vengono scisse.
Fonti

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Descrizione Comune
Monastero Bormida
     I dati Istat presentano un incremento della popolazione tra il 1901 e 1921 passando da 1470 abitanti a 1821. La popolazione decresce in modo significativo a partire dagli anni Cinquanta (l’Istat nel 1951 censisce 1453 abitanti), si riscontra però già un calo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, fino a raggiungere circa 1000 abitanti dell’ultimo decennio.
La categoria di analisi della frazione cambia nel corso dei censimenti pertanto i dati riguardanti gli spostamenti della popolazione nelle frazioni sono soggetti a questo problema teorico. Nonostante questo è possibile osservare che le frazioni sono indicate, per Monastero a partire dal censimento del 1951. L’unica frazione riportata si chiama Case Cicco e ha 3 abitanti. Attualmente la frazione ha un solo abitante ma viene censita come frazione perché è un’isola amministrativa nel territorio comunale di Bubbio. Non sono riscontrate altre frazioni.
Nell’archivio comunale di Monastero sono conservate alcune carte riguardanti le indagini eseguite sulla popolazione durante i censimenti del 1861 e 1871. In questi fascicoli compaiono diverse frazioni e (AsCM, mazzo 106, “Stato della popolazione diviso per frazioni e contrade, 31 dicembre 1871”). Nel centro del paese nel 1871 sono attestati 1434 abitanti complessivi, di questi solo 328 risiedono nel centro del paese.
Gli altri sono distribuiti nelle frazioni che non hanno nuclei insediativi, ma sono conteggiati come “case sparse”.
160 abitanti risiedono nella frazione Tatorba che comprende le località di Paratori, Tatorba, Sesania e Piini. 296 abitanti risiedono a S. Desiderio, nella sezione principale di Ferbale e a Cociazze, nella sezione secondaria di Bogliolo e a Valletto. 316 abitanti risiedono nella frazione di Regnassini Scandolino, 321 abitanti in quella di Norati e 328 in quella della Madonna.
Nel 1861 le uniche frazioni indicate sono quelle poste sulle strade di collegamento tra Monastero e i comuni circostanti (ACM, mazzo108, “Stato della popolazione diviso per frazioni e contrade, 31 dicembre 1861”).
Sulla strada per Cassinasco c’è la frazione Regnassini, su quella per Bubbio la frazione Norati, su quella per Bistagno la frazione della Madonna, su quella per Roccaverano la frazione di S. Rocco, su quella per Ponti la frazione di S. Desiderio.
I dati ottocenteschi raccolti dal Casalis e da Chabrol stimano 1394 abitanti l’uno e 1484 l’altro.
In una relazione fiscale del Seicento sono indicati 455 abitanti e in un'altra simile 615 (cfr. AST, Corte, Monferrato, Materie economiche e feudali, m.19) la popolazione sembra però essere in aumento tra la seconda metà del XVII e i primi anni del XVII. Vengono censite 1448 anime nel 1717, 1247 nel 1724, 1310 nel 1750 (AST, Camerale, I archiviazione, tributi del Monferrato, m.1 e I archiviazione, feudi e giurisdizioni, m.4). A partire dal 1750 però è registrato un drastico calo (894 abitanti nel 1751, 852 nel 1752 e 800 nel 1753) per poi ritrovare gli stessi valori di inizio secolo nel XIX secolo. (AST, Camerale, I archiviazione, tributi del Monferrato, m.1 e BRT, Storia Patria 341, relazione della Provincia di Acqui (Alto Monferrato) dell’intendente conte Traffano, 1753; AST, Camerale, II archiviazione, capo 79, nn. 4-6).
In epoca moderna a Monastero è presente un’importante comunità ebraica che ha un’attività commerciale che si estende tra Acqui e Cortemilia. Il “Banco ebraico di Monastero” sopravvive al drastico ridimensionamento del 1622 quando si passò da 29 banchi a 5. Nel 1731 la comunità è costretta a trasferisi nel ghetto di Acqui: lo spostamento coinvolge 7 famiglie (circa 40 persone). Nella documentazione successiva si riscontrano solo 4 famiglie e una di queste acquista appalti su forni a Monastero (Dolermo p. 61-64).
A Fine XVII secolo la chiesa parrocchiale non è ancora conforme ai dettami tridentini e il vescovo richiede ai parrocchiani un ulteriore investimento in apparati sacri necessari alla celebrazione delle funzioni. La parrocchia, descritta dal parroco nel 1664, è suddivisa in sei contrade nelle quali sono presenti benefici ecclesiastici: Guardia, Bastiero, Pian di Bondio, Moglie, Partiale, Fabale.
La presenza dei frati agostiniani nella parrocchia produce, nell’archivio diocesano, numerosi processi soprattutto per condotta immorale e per disordini sociali. Le accuse sono sempre rivolte contro i frati e mai viceversa. È evidente che, con la loro “cura d’anime”, si trovano in competizione con i sacerdoti locali. Ciò è anche attestato dal fatto che la chiesa di S. Pietro dei padri Agostiniani è molto più grande e riccamente dotata rispetto a quella parrocchiale (Giana, 2013, pp. 56). La parrocchiale diventa il centro cultuale locale solo dopo la chiusura del conento in età napoleonica. Investimenti significativi di restauro sono datati nei primi decenni del XX secolo (Lanzi, 2013, pp. 73-84).
I frati hanno regolari patenti di confessori rilasciate periodicamente dalla diocesi

 
ed è proprio questo tipo di rapporto con la diocesi ad essere l’unico legame documentato. Gli scontri tra clero locale e regolari sono attestati solo fino alla soppressione del convento (1652); non si hanno invece particolari notizie riguardo alle relazioni locali con i Minori osservanit se non che sono chiamati a supplire gli agostianiani dal feudatario Della Rovere. I francescani si insediano nel 1689. Nel periodo di vacanza della chiesa di S. Pietro parte delle suppellettili vengono ricoverate sia dai laici (Della Rovere) sia dagli agostiniani che le trasferiscono a Bubbio e a Canelli. L'archivio del convento  risulta dipserso già nel XVII secolo (Giana 2013, pp. 49).
La presenza di luoghi di culto che sui confini tra le comunità limitrofe attestano ampi spazi di indipendenza dalla parrocchia è evidente nella documentazione dell'archivio vescovile (cfr. Prosperi 2013, pp. 139-198). La cappella di San Sebastiano appartenente alla parrocchia di Monastero risulta promuovere una forte attività sostenuta dagli abitanti dei finaggi vicini ossia Sessame, Ponti, Roccaverano. L'apice di tale attività è il XVIII secolo mentre, alla fine del secolo successivo, risulta abbandonata. Tra le cappelle campestri quella di San Benedetto si trova in una situazione particolare: risulta in un'isola amministrativa all'interno di Monastero di pertinenza di Bubbio; tuttavia è frequentata da “molti particolari” delle parrocchie di Roccaverano, Loazzolo, Cessole, Bubbio e Monastero. La chiesa campestre serve gli abitanti delle cascine ancora menzionati nel 1756 aggegandoli attorno al piccolo centro cultuale ("alcuni pochi cassinali in distanza circa tre miglia” [da Bubbio] che hanno “la commodità di una chiesa campestre sotto il titolo di S. Benedetto”). 
Le relazioni con la comunità ebraica di Monastero non sono sempre leggibili chiaramente e non sembrano influire in modo decisivo nella costituzione del territorio parrocchiale e comunale. 
L'attività fieristica locale e la presenza dei banchieri ebrei produce a Monastero un transito consistente di merci e mercanti. Monastero è infatti una delle tappe più frequentate della strada che da Canelli e Nizza si dirige verso Savona e Finale. Il vescovo di Acqui si preoccupa, all’inizio del XVIII secolo, di regolamentare le fiere e di subordinarle alle funzioni parrocchiali intervenendo localmente attraverso l’attività del tribunale ecclesiastico (AVA, parrocchie, Monastero Bormida, f. 7, c. 1, f. 21).
Ulteriori informazioni sulle presenze ecclesiastiche e sulla consistenza del loro patrimonio ci provengono da due relazioni eseguite una nel 1728 e l’altra nel 1753. Nel 1728, è indicata solo una piccola rendita, inferiore alle 10 moggia, per la chiesa parrocchiale (AST, Sezioni Riunite, II archiviazione, capo 26, m. 37 “Relazione generale dell’operato dal commendatore Petitti in dipendenza del Regio Editto delli 24 giugno 1728 concernente li beni posseduti dalli ecclesiastici e luoghi pii nel Ducato di Monferrato”). Venti anni dopo la parrocchia ha una rendita di 23 moggia e alcune terre immuni e paga rispettivamente 100 e 120 lire.
Sono attestate anche 89 lire pagate sui censi della compagnia dei disciplinanti e 85 lire pagate sulle 17 moggia della compagnia Del Rosario (AST, II archiviazione, capo 26, m. 40 “Stato generale dei benefici, cappellanie, confraternite, congregazioni di carità, e ogni altra opera della provincia di Acqui” [con aggiunta di beni e redditi che si trovano fuori provincia, ma legati ad istituzioni presenti nella provincia stessa], firmata dall’intendente Traffano, luglio 1753).
Tra il 1737 e il 1741 l’abate Giacomo Francesco Cordara di Calamandrana - ottenuta la nomina di cameriere d’onore dal Papa, e dopo aver tentato di ottenere un vescovato in partibus per ottenere gli emolumenti che gli avrebbero permesso una residenza a Roma - porta avanti un progetto per erigere un vescovato in Nizza, sottraendo alcune parrocchie dipendenti dal vescovato di Acqui (34 delle 125 della “vastissima” diocesi). Il progetto non ha però alcun esito.
Monastero fa parte delle terre elencate, che si trovano “nella valle del Belbo, e nelle maggiori vicinanze della città di Nizza in Monferrato”(cfr. AST, materie ecclesiastiche, materie beneficiarie, m.4).
Una descrizione interessante del luogo di Monastero ci proviene dalla relazione della provincia di Acqui eseguita da Traffano (BRT, Storia Patria 341, relazione della Provincia di Acqui (Alto Monferrato) dell’intendente conte Traffano, 1753; AST, Camerale, II archiviazione, capo 79, nn. 4-6). Nella relazione del 1753 Monastero Bormida conta 220 fuochi circa (880 anime), “su piano” (pianura), infeudato al marchese Della Rovere di Casale che ha titolo comitale. A monastero viene censito un convento di Minori Ossevanti, con 7 sacerdoti e 3 laici, un mulino sul Bormida per canapa e lana, 10 fornelletti da seta, una fabbrica di “capelli” ordinari e 6 telai da canapa. Nella perequazione del 1782 è
segnalato invece solo un filatoio da seta ad acqua a 4 piante, di proprietà del sig. marchese Della Rovere, ed una ferriera dello stesso proprietario (AST, Camerale, seconda archiviazione, capo 26, mazzo 18bis). Il consiglio è composto da 14 soggetti, 2 sindaci e 12 consiglieri, i sindaci si cambino ogni anno e non hanno voto, i consiglieri si cambiano 3 ogni anno, e chi esce nomina chi subentra. Ha 2 segretari associati. L’archivio è nella sagrestia della parrocchia, senza inventario. Si è ordinato di farne inventario e di metterlo nella casa comunale. Il catasto è in cattivo stato, fatto con la misura del 1664 “e sta per farsi nuovo”. Il territorio è pianura di buona qualità.
Si vende una piccola quantità di grano al mercato di Acqui o a “forestieri commercianti” e poche noci. Dei confini attuali non è indicato Bistagno, e compare invece Cassinasco. Il fumante concorre per un terzo alle caserme, “e in questo si caricano forestieri residenti”, il resto con privilegio del forense. Il territorio misura moggia 3000 comprese le immuni (coltivo 500, prato 70, vigna 700, castagneti 700, bosco 300, poco colti o corrosi 700, feudali 237).
I dati raccolti per la perequazione del 1782, tra i quali ci sono i dati relativi al territorio delle comunità si possono confrontare con quelli di 30 anni precedenti provenienti dalla relazione del 1753 del Traffano.
La misura, espressa in giornate di Piemonte, è di 3000 (campo 538, prato 100, vigna 800, castagneto 350, bosco 410, “zerbido” 802), di cui 237.91.8 giornate non collettabili (12.48 ecclesiastici, 218.23.8 feudali, 7.20 comunitativi, 0 convenzionati) (AST, Sezioni Riunite, II archiviazione, capo 26, mazzo 18bis).
Un ricorso del notaio Rinaldi (già segretario del luogo) sul “mal maneggio” della comunità del 1759 ci informa sulla cronica assenza di catasti aggiornati. In una lettera del viceintendente Galiani si ha notizia della composizione di un registro della comunità che però non è un vero catasto e non supplisce il vecchio catasto, pieno di errori ma ancora in uso (AST, Camerale, I archiviazione, Provincia di Acqui, m.1).
Il sottointendente ci informa che fu pagata e incaricata una persona per redigere il nuovo catasto, ma poi non portò a termine il lavoro, tanto che suggerisce di fare causa agli eredi. Sempre nella lettera di Galliani, leggiamo alcune informazioni sulla gestione della comunità: il consiglio è costituito da 14 membri, 12 consiglieri e 2 sindaci.
L’ufficiale propone la riduzione a 6 più uno (come è stato già fatto in altri luoghi con successo, e come vorrebbe la comunità), poiché “spesso finiscono eletti uomini illetterati e con poche proprietà”.
I rapporti tra i feudari e le istituzioni della Comunità risultano di difficile valutazione tuttavia gli ordinati comunali sembrano attestare una gestione piuttosto autonoma del consiglio comunale (cfr. Raviola 2013 pp. 31-45). Con un dettaglio non privo di significato, tuttavia, è la ricorrenza di podestà della famiglia della Rovere: appartenenti forse a rami secondari, i giudici della Rovere assicuravano la residenza in loco e costituivano probabilmente  il tramite fra il municipio e i signori territoriali”.
L'infeudazione su Monastero Bormida non era però unico appannaggio dei Della Rovere che spartivano parti del codominio con gli Scarampi e i Santa Maria di Nizza (attivi nell'area fino al XVI secolo e presenti anche a Calamandrana e Moasca). Menzionati in epoca medievale i Del Carretto sono invece del tutto assenti nelle vicende di epoca moderna. I Della Rovere restano a Monastero molto stabilmente fino agli anni venti del XIX secolo quado vendono il feudo ai Polleri. I Polleri imprenditori genovesi mantengono unite le proprietà fino al 1870 quando le vendono smembrando l'unità della proprietà Della Rovere (Archetti 2013, pp. 199-203). 
Nel 1782 il catasto non è ancora stato rifatto, e nell’indagine sullo stato delle misurazioni territoriali e dei catasti delle comunità dell’Alto Monferrato, Monastero risulta tre quelle in possesso di catasti disordinati o mutili, e di cui si ignora la data di compilazione (forse 1664), invitate quindi a provvedere ad una nuova misura per la perequazione del Monferrato (cfr. AST, Materie economiche per categorie, Perequazione Monferrato, m.1 non inv.; AST, Camerale, II archiviazione, capo 26, m.18).
In una supplica (1787) attribuita alla “comunità di Bubbio e popolazione del Monastero nell’Alto Monferrato” (ma più probabilmente opera di un particolare del luogo di Bubbio), si ritiene non necessaria un nuova, onerosa misura dei territori (come probabilmente richiesto all’intendente) (AST, II archiviazione, capo 26, m.16). Il catasto e le misure sarebbero infatti recenti ed ordinate (per Monastero si parla di un catasto del 1750), e inoltre le comunità dichiarano di non avere fondi per effettuare una nuova misura: i redditi, “depurati da pesi”, non andrebbero oltre le 400 lire per Monastero, i territori sarebbero sterili, con frutti sufficienti ad appena la metà della popolazione. La supplica è smentita dalla lettera del segretario della comunità di Bubbio, Borgno, del giugno 1787. Il tentativo disonesto sarebbe del consigliere Gamba di Bubbio, che “briga e va a fare richieste come da suo costume” a ministri nella capitale Torino. Sempre su sua iniziativa sarebbe stata promossa la richiesta per fare una strada tra Bubbio a Canelli, solo per odio del Gamba verso la marchesa Della Rovere, feudataria di Monastero, luogo di origine del Gamba. In un’altra lettera il segretario Borgno segnala che il catasto di Monastero, fatto nel 1750, in realtà è solo un principio di misurazione, mai concluso, senza dati né mappe. I frutti del territorio sarebbero poi molto più di quelli denunciati, e la povertà del territorio una invenzione dell’appellante.
Le liti territoriali con i comuni confinanti vertono soprattutto per porzioni di terra poste su vie di transito a conferma della vocazione commerciale di Monastero sede di importanti fiere e via di transito tra la Liguria e il Piemonte meridionale.
L’archvio di Stato di Torino conserva un procedimenti di lite sui confini tra Monastero e Bubbio risalente al XV (AST, Corte, Monferrato, Feudi per A e per B, m. 8).
Nella lite secolare con la comunità di Sessame Monastero vengono continuamente discusse le sentenze arbitrali che fanno riferimento ad un antico atto di lite, oggi non conservato in originale, risalente al 1489 (ACM, 1657-1663, f. 83 - 84 “Controversie colla comunità di Sessame”). A più riprese tra il 1657 e il 1663 e tra il 1730 e il 1732, la comunità di Monastero produce visite di confine, atti possessori per esprimere il possesso della “ Strada di S. Desiderio”, detta “la Ponta”. Discutere il possesso di questa strada permette a Monastero di avanzare pretese di possesso sulla contrada chiamata Casale. La discussione tra le due parti verte sull’identificazione di un “ritano” citato nel documento del 1489.
Dipende dal luogo di identificazione di questo ritano e cambia il possesso della contrada. L’aggravante della situazione riguarda le taglie che gli abitanti della contrada pagano a Monastero anche per terreni che sono sui confini della comunità di Sessame.
Sessame, presso l’intendenza di Casale tra il 1730-32, ottiene una sentenza favorevole, con il decreto di separazione a suo favore e senza pregiudizio delle rispettive comunità di tanti dei beni contesi, per un ammontare di lire 36 di registro. Si fa riferimento ad una visita dell’Intendente Conte, con concessione territoriale di un prato ad entrambi i comuni, “ma per mancanza di fondo è derelitta la causa” (parla di una mappa territoriale eseguita). Lo stesso registro di lite, alla voce Monastero, registra la causa con una differente cronologia, 1664-1731, e riporta che tale causa riguarda beni situati nella contrada Della Rovere e Casale, “da ambi detti comuni pretese”, oggi possedute una da un comune, e l’altra dall’avversario. Il registro riporta che la causa è ancora in corso (AST, Camerale, I archiviazione, tributi del Monferrato, m.1).
Ritornando alla documentazione dell’archivio comunale di Monastero, si legge che la contesa si sviluppa attorno all’identificazione della strada che va alla Rocca e che passa tra Sessame e Monastero. La strada è coperta da spine e boschi e non è identificabile chiaramente. Quelli di Sessame sostengono che si tratti della strada di S. Desiderio in opposizione a quelli di Monastero che identificano la stessa strada più a valle, in un altro luogo. Vengono prodotti alcuni testimoniali che non sono in grado però di risolvere la contesa perché occorre chiarire, in quella porzione di terreno, come sono pagate le taglie alle due comunità.
I sindaci di Monastero costringono quindi i sindaci di Sessame a dichiarare chi ha pagato i fitti. Quelli di Sessame nominano la contrada in modo differente da quelli di Monastero per dimostrarne il possesso: la contrada di Casale viene chiamata dei “Malfatti ossia in Valgioanni”. È infatti Giovanni Bernardino Malfatti a pagare i fitti a Sessame e a legittimare le richieste dei sindaci. I sindaci di Sessame dichiarano inoltre che tutti i beni della contrada sono registrati a Sessame. I sindaci di Monastero replicano che gli uomini di Monastero non sono al corrente delle misurazioni fatte da Sessame e che non avendo mai pagato nulla i territori in contrada Casale sono ancora in discussione.
Vengono tracciati i confini e i sindaci si scontrano sull’attribuzione di nomi a cascine e “ritani” (ruscelli). La sentenza finale sancisce che la contrada di Casale venga divisa in due parti: “una parte ove può collettare Sessame e l’altra Monastero”. La lite però si conclude solo nel 1927 quando le frazioni di Casale e Malfatti vengono definitivamente scisse da Sessame (Istat 1931).
Nel 1837 le liti vertono sempre sulla strade ma questa volta non sono più liti tra comunità ma sono interne e riguardano soprattutto la costruzione della viabilità interna: in particolare si tratta della costruzione della strada per Cortemilia ma anche dei collegamenti con le frazioni (ACM, f. 100 – 105).
Nel 1951 alcune frazioni di Roccaverano richiedono di essere aggregate al comune di Monastero Bormida in virtù della loro vicinanza con questo comune (Archivio di Roccaverano, Sezione Moderna, f. 33). Le frazioni di fatto non vengono scisse. La lettera, inviata al prefetto dai sindaci di Bubbio, Roccaverano, Cessole e Loazzolo in tale occasione, ci informa sulle motivazione che negarono l’aggregazione delle frazioni: Monastero non ha bisogno di “ingrandimenti territoriali per sanare o migliorare il suo bilancio, perché, a differenza di tutti gli altri comuni della zona, oltre alle normali entrate per imposte e tasse, ha un grandioso mercato settimanale, unico in tutta la Valle Bormida, e quindi ha la possibilità di avere molte altre entrate per imposta di consumo, plateatico, commercio, industria, ecc… tutte entrate queste che sono assolutamente impossibili per altri comuni”.