Fara Novarese

AutoriColombo, Emanuele
Anno Compilazione2007
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Novara.
Area storica
Novarese.
Abitanti
2.115 (1.044 maschi, 1.071 femmine: ISTAT 2001).
Estensione
9,35 kmq (ISTAT 2001).
Confini
A nord Sizzano e Cavaglio d’Agogna, a nord-est Barengo, a sud-est e a sud Briona, a ovest Carpignano Sesia.
Frazioni
Non sono segnalate frazioni.
Toponimo storico
Fara è voce longobarda, che indica una colonia formata da una sola gens unita da vincoli di parentela, con l’esclusione di ogni forestiero. A sua volta, la fara costituiva un contingente autonomo dell’esercito longobardo. Le fare erano poste accanto ai confini per formare una cintura di protezione ai territori occupati dai Longobardi (Cavanna 1966).
Diocesi
Fa parte della diocesi di Novara, vicariato di Carpignano.
Pieve
Si ritiene che Fara facesse parte in etа medioevale della pieve di S. Vittore di Sizzano, a sua volta dipendente da quella di Ghemme (Andenna 1975-76).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La chiesa parrocchiale è SS. Pietro e Paolo dal 1157, quando se ne ha la prima attestazione (Demarchi 1995). Giа nel 1569 si sconsiglia però di tenere la parrocchiale qui, perché troppo lontana dall’abitato. In seguito, nel 1599, con lo spostamento in pianura dell’insediamento Bascapé ordina che la parrocchiale diventi SS. Fabiano e Sebastiano, che viene ricostruita su sua indicazione. Nel 1635 durante l’inchiesta sul feudo alcuni testimoni indicano però ancora SS. Pietro e Paolo come parrocchiale, anche se il curato risiede vicino alla chiesa di SS. Fabiano e Sebastiano nella quale officia (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [14 ottobre 1635]). Nel 1663, in un inventario dei suoi beni, la chiesa di S. Pietro viene chiamata «chiesa parrocchiale campestre» (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1). Nel 1698 è definita «antiqua parochialis» e vi si tiene Messa solo il giorno dei santi apostoli e quando si seppelliscono i defunti. Attorno alla chiesa sta il cimitero dove vengono inumati tutti i parrocchiani poiché (come si dice significativamente) «in utraque parochiali non adsunt sepulturae». A questa data la parrocchiale di SS. Fabiano e Sebastiano ha 700 lire di entrate annuali e in essa vi sono una Società della dottrina cristiana e la confraria del Santo Spirito, gestita dal consiglio comunale. Vi sono inoltre i benefici della SS. Annunciazione con un reddito di 80 lire, uno di S. Giuseppe con reddito di 600, uno della Beata Vergine delle Grazie con reddito di 60 (AD Novara, AC, 220, vescovo Gio. Batta Visconti). Dietro alla parrocchiale si trova una chiesa di S. Marta sorta nel 1598, gestita dalla omonima confraternita di disciplinati di S. Marta, la quale venne soppressa in epoca napoleonica con la motivazione che «fa nascere le divisioni nel popolo e lo avezza alle fazioni coi continui complotti» (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1, Memoria per la soppressione della confraternita di Santa Marta nel luogo di Fara [senza data]). Nel 1663 è inoltre segnalata una compagnia del Rosario, eretta presso un altare della parrocchiale (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1, inventario del 1663). A questa data il saccheggio delle truppe francesi di passaggio nel 1645 pare aver causato molti danni e distrutto la gran parte dei libri parrocchiali. Esiste poi una chiesa di S. Maria delle Grazie, in cui si ufficia messa una volta la settimana nel 1635 (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [14 ottobre 1635]) e due nel 1663, l’oratorio della Beata Vergine del Campo (AD Novara, AC, 220, vescovo Gio. Batta Visconti), l’oratorio di S. Gerolamo costruito tra il 1630 e il 1660 dalla famiglia Tornielli nel loro palazzo, l’oratorio di S. Giovanni Battista in Castello di Sotto descritto giа nel 1597 e con un beneficio di due Messe alla settimana nel 1663 (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1), un oratorio di S. Rocco sorto nel 1599, l’oratorio di S. Eusebio, un oratorio di S. Giuseppe costruito nel 1728 (Demarchi 1995).
Assetto Insediativo
Inizialmente costruito in collina, tra Quattro e Cinquecento l’insediamento farese si spostò gradatamente in pianura (Demarchi 1984). In età moderna il nucleo insediativo è a quanto pare compatto, come testimonia l’assenza di cascine: «cassine non ve ne è per esser la terra tutta unita vi è un solo molino vicino alla terra, et un altro nel corpo della terra, quali tutti e due sono della comunità» (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [22 maggio 1668]). Nel 1635 era però segnalata la cascina del Rhen (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [1635]). Il nucleo risulta suddiviso in quattro cantoni: il Castelletto, i Casali, il Fellecchio e il Fornetto. A inizio Cinquecento pare che gli abitanti del cantone di S. Pietro, sito in collina, si trasferissero in pianura dividendosi fra gli altri quattro. Ancora nel 1973 questa antica suddivisione viene rispettata nella decisione di dividere il comune in quattro rioni per alcune feste celebrative (Demarchi 1984).
Luoghi Scomparsi
Luogo del Castelletto, con ultima attestazione nel 1613 (Demarchi 1984).
Comunità, origine, funzionamento
La comunità era retta da un consiglio formato da diciotto consiglieri dai quali ogni sei mesi venivano estratti a sorte due consoli, scelti fra i consiglieri che non avevano ancora coperto la carica (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1). A causa della dispersione degli ordinati della comunità anteriori al 1703 e della mancanza di statuti nulla si sa sul periodo in cui venne costituito il consiglio; il primo libro di ordinati attualmente conservato porta però il numero undici e fa dunque presupporre una serie precedente continua di dieci volumi. Esistono dei bandi campestri emanati il 26 luglio 1700. Questi prescrivono il divieto di affitto dei boschi a forestieri e stabiliscono che per poter abitare nella comunità occorre fornire ai consoli entro tre giorni una «sigurtà» (cioè una garanzia in solidum) per pagare le tasse. A partire almeno dal 1710 la comunità fa uso di un procuratore «per patrocinare la comunità nelle urgenze tanto presenti quanto future», scelto nella persona di Ottaviano Tornielli (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [20 settembre 1710]), oratore della città di Novara (i Tornielli erano una grande famiglia nobile di Novara con varie proprietà e un palazzo in Fara). Al consiglio comunale spettava la nomina dei quattro confrari a capo della confraria del Santo Spirito «acciò scodino l’entrate di detta confraria et somministrino l’elemosina nelle feste della Pentecoste» (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [1 ottobre 1709]). I quattro confrari sono scelti fra i consiglieri comunali; a partire dal 1717 si afferma però un criterio di scelta differente per cui due confrari devono provenire dal consiglio e gli altri due dall’esterno (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [14 aprile 1717]). A inizio Settecento è pratica abbastanza comune che per sostituire un consigliere venuto a mancare si scegliesse un membro della sua stessa famiglia; viene però ritenuto contro le consuetudini la scelta di un consigliere della stessa parentela di un altro attualmente in carica «non volendo esservi in consiglio due della stessa agnatione» (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [6 luglio 1721]). Il consiglio sceglieva inoltre il tesoriere della società delle anime del purgatorio. La riscossione delle tasse era affidata a esattori in carica per tre anni; si sa che il consiglio deputava un controllore dei conti di sua fiducia. In seguito al regolamento dei pubblici del 1775 a partire dal 1776 il consiglio è formato da cinque consiglieri fra cui un sindaco (Demarchi 1984).
Statuti
Non vi sono segni di produzione statutaria. Gli ordinati settecenteschi parlano piuttosto di consuetudini. Esistono però dei bandi campestri, i Capitoli Vechij stabiliti per la custodia, e governo della campagna, e territorio di Farra per benefitio sì del publico, come de particolari emanati dal consiglio di tutti i capi di casa il 23 maggio 1701, ma quasi certamente antecedenti (ASM, Deroghe giudiziarie per corpi e comunità, cart. 32, fasc. 11).
Catasti
Nell’Archivio comunale non esistono purtroppo catasti antichi. L’unico qui esistente per l’età moderna è un sommarione di Fara provincia di Novara del 1769 (AC Fara, 2), che riporta di seguito il nome del possessore, la qualità del terreno posseduto, la squadra di appartenenza e l’estensione in pertiche. Per la riscossione della decima venne fatto un catasto apposito nel 1779, di cui però non esiste copia nell’Archivio storico civico. Le mappe e i libri catastali relativi del catasto teresiano del 1722-23 sono in Archivio di Stato di Torino, Catasto teresiano. Il catasto sabaudo del 1785 si trova in copia in Archivio di Stato di Milano (ASM, Catasto, 3.852) oltre che nel fondo del Catasto sabaudo in Archivio di Stato di Torino.
Ordinati
Gli ordinati sono andati quasi tutti perduti. Restano un libro, segnato con il numero 11 sulla copertina, che copre le delibere consiliari dal 26 dicembre 1703 al 29 dicembre 1731 e un altro libro, segnato col 15, relativo al periodo che va dalla riunione del 4 gennaio 1761 a quella del 13 agosto 1773. Il successivo faldone, che l’inventario segnala come la prosecuzione dal 1776, è in realtà una silloge di ordinati sparsi successivi a questa data.
Dipendenze nel Medioevo
Dapprima vicus longobardo, come testimonia il toponimo, Fara segue successivamente le vicende del Novarese restando sotto l’egemonia vescovile. Le prime notizie dell’esistenza di un castello datano al 1168, mentre nel 1450 si sa che ne esistevano due, il castrum inferior detto vetus e il castrum superior detto novum. Nel 1251, infatti, Fara aveva concesso ai conti di Biandrate un gruppo di case perché ne facessero un castello. Nel 1354 Galeazzo Visconti II riorganizza il territorio novarese in quattro squadre. Fara fa parte della pieve di Sizzano nella squadra del Sesia (Monferrini 2002; Montanari 2002).
Feudo
Nel 1463 Fara risulta infeudata a Francesco Attendolo, nel 1469 ad Antonio Borri e poi a Donato Borri, cui è sequestrato il feudo nel 1477 per tradimento. Nel 1477 segue quindi l’infeudazione a Gian Giacomo Trivulzio, poi a Manfredo Tornielli che nel 1579 vende il feudo a Rinaldo Tettoni, cui è confiscato nel 1581, restituito nel 1611 e devoluto nel 1640 per morte. Nel frattempo, risulta infeudata anche a Manfredo Tornielli (Dessilani 2003). Subito dopo Fara risulta infeudata ai Farnese principi di Parma, cui Carlo V aveva concesso in feudo il marchesato di Novara nel 1538, che era stato successivamente riscattato da Fuentes, il governatore dello Stato di Milano, nel 1602. Fara e Vespolate non vengono però riacquistate e rimangono in possesso dei Farnese, tanto che l’inchiesta feudale del 1635 indica loro come feudatari (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [14 ottobre 1635]; Bilotto 1997; Parma 1985; Parma 1998). Le consulte del Magistrato Straordinario del 23 agosto 1637 e degli anni 1661-64 reintegrano nuovamente il possesso del feudo ai Farnese. Nel 1660 il duca di Parma trasferisce il feudo al suo maestro di campo Francesco Serafini, all’interno della cui famiglia rimane fino al 1797. In entrambe le occasioni la reintegrazione avviene grazie all’iniziativa della comunità, con la riunione di tutti i capi di casa che esprimono il loro favore nei confronti dei Farnese. Nel 1635 il feudo consiste solamente nel diritto di nominare il podestà (titolare del Minor magistrato, e cioè della giurisdizione sui rurali con diritto di appello al Senato) e il fiscale, mentre i dazi (prestino, beccaria, vendita del vino a minuto, imbottato) sono di proprietà del conte Gio. Batta Tettoni. Il notaio civile e criminale è a questa data Matteo Tornielli, che non ha salario e si occupa di un solo processo per danni dati, il cui colpevole è stato portato alle carceri di Novara non essendocene sul posto. Nel 1668 i dazi appartengono alle convertite di S. Valeria di Milano, assieme al dazio del traverso (riguardante tutto il vino non portato a Novara) (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [22 maggio 1668]).
Mutamenti di distrettuazione
Dal 1535 il Novarese entra a far parte della dominazione spagnola. Dal 1560 circa si costituisce il Contado di Novara, cioè l’istituzione per la riscossione dei carichi fiscali sorta dalla contrapposizione dei contadi alle città. Fara fa parte della squadra di Sesia, una delle sei di cui il Contado era costituito. Il Contado era governato da cinque sindaci, ciascuno dei quali eletto da una delle squadre; una delle due squadre d’Agogna inferiore che non eleggeva un proprio sindaco era rappresentata dal ragionato forense, che era di sua nomina. Fara era una delle ventinove terre vocali del Contado, con diritto cioè di parola alle congregazioni generali del Contado (in tutto quest’ultimo era formato da 124 comunità) (Gnemmi 1981). Le comunità del Contado erano estimate per le contribuzioni principali in cavalli di tassa, una delle tre descrizioni fiscali base dello Stato di Milano (le altre erano gli stara di sale e le lire di estimo). Fara aveva un estimo di 9.8 cavalli di tassa (Descritione 1626). Dal 1738 al 1799 fa parte dello Stato sabaudo, inquadrata nell’Intendenza generale per l’Alto e Basso Novarese e Vigevanasco nella squadra di Romagnano. Dal 1800-14 la municipalità di Fara fa parte del dipartimento napoleonico dell’Agogna (Demarchi 1998; Porzio Giovanolo 2004). Dal 1815-1861, tornata sotto i Savoia nel Regno di Sardegna, fa parte del mandamento di Carpignano e dipende dal Senato di Casale (Casalis 1840).
Mutamenti Territoriali
Non vi sono stati mutamenti territoriali. Nel corso dell’inchiesta preparatoria per il catasto di Carlo VI si pone esplicitamente la domanda, cui si dà risposta negativa:
D: Se il Comune di Farra sia mai stato unito ad altro comune o se dal medemo siansi divise per separatione di quota Cassine o picciòli luoghi che hora faccino comune da sé.
R: Farra hа sempre fatto Conune da se ne a mia notizia è mai seguita alcuna separatione de quota da questo comune (ASM, Confini parti cedute, 40 [18 febbraio 1723]).   
Comunanze
Nel 1602 Fara possiede 5.383 pertiche novaresi di terreni comunali contro 769 ecclesiastiche, 3.714 civili e 1.964 rurali (ASM, Feudi Camerali p.a. 412). Nel 1665 possiede due molini sulla roggia Mora e due forni da cui ricava complessivamente 42 scudi l’anno e il dazio della misura della brenta, cioè «il carico di misurare li vini che si fanno in abondanza in questo terreno» che era affittato a 250 lire nel 1635. A questa data la comunità ricava 700 lire l’anno dai due molini e 400 dai due forni. I boschi appartengono unicamente alla comunità (ASM, Feudi Camerali p.a., 632, interrogationes del 14 ottobre 1635; ASNo, Contado di Novara, 255 [1665]). Nel 1779 è segnalato in occasione del bilancio della decima un perticato complessivo di 13.721 pertiche censuarie, di cui 3.664 di terreni comunali (AC Fara, 2, bilancio della decima). Dal computo sono però esclusi, trattandosi di perticato «decimabile», 1.621 pertiche di terreni boschivi, che ancora a questa data sono in gran parte di proprietà della comunità. Il tanteo della comunità del 1773 riporta redditi provenienti da affitti di boschi per 1.526 lire e di prati per 410 lire; il forno di sopra è affittato a 410 lire annue e quello di sotto a 293, la misura della brenta a 103 (AC Fara, tanteo della comunità di Fara del 1773). Nel corso della lottizzazione e seguente vendita di boschi comunali del 1887 il comune riesce a riservarsi un suo lotto in Valle Strona, il cui alveo era sempre stato di proprietà comunale. Nel 1900 segue la vendita di piccole frazioni di bosco comunale e l’affitto del lotto 40, corrispondente all’alveo dello Strona (AC Fara, sezione separata, cat. quinta, fasc. cessioni aree comunali 1900-1909 [24 giugno 1887, 11 dicembre 1900]). Il Commissario per gli usi civici riconoscerà nel 1940 l’esistenza di terreni di proprietà della comunità nelle due regioni di Morri e Valle Strona (AC Fara, sezione separata, quinta categoria, usi civici, fasc. 1). I due forni rimangono di proprietà del comune fino almeno al 1927, quando si decide di vendere quello sito in via Cavour. La successiva relazione di stima stabilisce che il forno è da diversi anni inattivo e che si tratta di una costruzione ormai vecchia e «in pessimo stato di manutenzione e conservazione», addossata alla quale sta una pompa di acqua viva anch’essa di proprietà del comune. Fino a questa data, inoltre, il comune appalta ogni anno vari diritti: la pesa pubblica, il plateatico o posteggio e la misura pubblica del vino, corrispondente al dazio della misura della brenta, di plurisecolare proprietà della comunità (AC Fara, sezione separata, cat. quinta, fasc. affitto forno comunale).
Liti Territoriali
In età moderna la maggiore lite in cui si trova coinvolta la comunità è quella con la Mensa episcopale per il pagamento della decima sul vino, iniziata nel 1594. Scorrendo gli ordinati di inizio Settecento non mancano informazioni su controversie di Fara con le comunità circostanti per porzioni di bosco di cui non si conoscono con esattezza i confini. In particolare le controversie sono con Barengo per la baraggia (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [29 gennaio 1715, 28 aprile 1720]), con Carpignano poiché non ci si accorda sui termini dei confini, una croce vecchia ed una nuova poste nel bosco (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [21 luglio 1720]), ma anche con Sizzano (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [6 luglio 1721]) e Briona, dove il fittabile del bosco aveva più volte sconfinato nel territorio di Fara (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [2 settembre 1721]). In questo periodo il problema è fortemente acuito dalle richieste del potere centrale di definire con precisione i confini tra le comunità. Il compito a Fara è assegnato dal consiglio ai consoli «a riconoscere se no vi siano tali termini in detti confini e dove manchano si debbano piantare dove credono che se gli aspetta in conformità della crida, portando seco persone che siano prattiche et informate del nostro territorio ad effetto che non seguano de sbagli in pregiuditio della Comunitа» (AC Fara, 1, Ordinati fasc. 1 [6 luglio 1721]).
Fonti
A.S.N. (Archivio di Stato di Novara).
A.S.N., Contado di Novara, cart. 255: Summario breve della qualitа e quantitа delli grani li quali si sono visitati per ordine di sua ecc.nza in ciascuna terra e cassina della provintia novarese nelle case di ciascun habitatore et del numero delle bocche personali in Contado di Novara, 282;
A.S.N.,Prefettura dell’Agogna cart. 169 (bilanci comunali); 191 (crediti comunali); 247 (debiti comunali); 372 (fondi comunali); 953 (luoghi pii); 2.181 (municipalitа).
A.V.N.  (Archivio Storico della Diocesi di Novara).
A.V.N., Acta Visitationum: visite pastorali), faldoni 48 (1597, vescovo Bascapè), 91 (1618, vescovo Taverna), 114 (1628, vescovo Volpi), 178 (1663, vescovo Odescalchi), 195 (1681, vescovo Maraviglia), 220 (1698, vescovo Visconti), 245 (1711, vescovo Visconti), 319 (1761, vescovo Balbis Bertone), 371 (1819, vescovo Morozzo);
A.V.N., fondo Teche parrocchie, 1, Fara.
Bibliografia
Andenna G., Da Novara tutto intorno, Torino 1982.
Andenna G., La costruzione del territorio e del paesaggio novarese tra Medioevo ed Etа Moderna, in Rogge e castelli tra Sesia e Ticino, a cura di A. Scotti, M.L. Tomea Gavazzoli, Novara 1998, pp. 9-34.
Andenna G., Le pievi della diocesi di Novara. Lineamenti metodologici e primi risultati di ricerca, in Istituzioni ecclesiastiche della “societas christiana” dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie. Atti della VI settimana internazionale di studio, Milano, 1-7 settembre 1974, Milano 1977, pp. 487-516.
Bascapè C., Nouaria seu De ecclesia Nouariensi libri duo primus de locis, alter de episcopis, Novara 1612.
Beccaria B., Alle origini della provincia. La diocesi come “prototipo” del territorio novarese, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di M. Montanari, Novara 2002, pp. 37-74.
Benaglio G., Elenchus familiarum in Mediolani dominio feudis, juridictionibus, titulisque insignium, Milano 1714.
Bilotto A., Novara, gli Asburgo, i Farnese: strategie politiche alla periferia di uno stato, in I Farnese. Corti, guerra e nobiltа in antico regime, a cura di A. Bilotto, P. Del Negro, C. Mozzarelli, Roma 1997, pp. 579-94.
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Maspero, Torino 1840, pp. 452-455.
Cavanna A., Fara, sala, arimannia nella storia di un vico longobardo, Milano 1966.
Cognasso F., Storia di Novara, Novara 1971.
Crenna M., Agli albori della burocrazia fiscale. Il censimento di Carlo V nella Provincia di Novara, in «Bollettino Storico per la Provincia di Novara», 78 (1987), pp. 169-298, 566-620, e 79 (1988), pp. 105-52.
Demarchi A., Fara Novarese. Cronaca dall’Ottocento ai giorni nostri, Oleggio 1998.
Demarchi A., Luoghi di culto a Fara Novarese, Fara 1995.
Demarchi A., Storia, personaggi e tradizioni di Fara Novarese ovvero Cuntuli e robi da Fara, Fara 1984.
Descritione dell’entrate camerali di tutto lo stato di Milano delli datij, e censi, che si pagano da ciascuna communita, si spettanti alla regia camera, come a particolari, della quantitа di perticato, che rileva ciascuna città del stato, il suo contado, e le terre tanto unite, quanto separate del Ducato di Milano, e delli contadi delle altre cittа, Milano 1626.
Dessilani F., Feudi e feudatari nel territorio novarese in etа moderna, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Novara 2003, pp. 361-406.
Dessilani F., Le vicende storiche del Novarese dal comune alla signoria, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di M. Montanari, Novara 2002, pp. 75-107.
Diocesi di Novara, a cura di L. Vaccaro, D. Tuniz, Brescia 2007.
Gnemmi V., Ricerche sul “contado” novarese (1645-1675), in «Bollettino Storico per la Provincia di Novara», 72 (1981), pp. 341-66.
Maggiotti L., Notizie di Cavaglietto e de’ paesi circonvicini. Momo, Castelletto di Momo, Agnellengo, Barengo, Briona, Fara Novarese, Sizzano, Ghemme, Cavaglio d’Agogna, Fontaneto d’Agogna, Cressa, Suno e Vaprio d’Agogna, Novara 1886.
Magni C., Il tramonto del feudo lombardo, Milano 1937.
Manno A., Dizionario feudale degli antichi Stati continentali della monarchia di Savoia. Savoia, Aosta, Piemonte, Monferrato, Saluzzo, Novara, Lomellina, Nizza, Oneglia, 1720-1797, Firenze 1895.
Monferrini S., Dai Visconti agli Sforza. L’integrazione del Novarese nello Stato di Milano, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di M. Montanari, Novara 2002, pp. 145-93.
Monferrini S., Novara e il Novarese da Francesco Sforza a Ludovico il Moro, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа moderna (secoli XV-XVIII), a cura di Id., Novara 2003, pp. 77-104.
Montanari M., L’invenzione di un territorio. Dal comitato di Pombia al contado di Novara, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа medievale (secoli VI-XV), a cura di Ead., Novara 2002, pp. 75-106.
Morbio C., Storia della città e diocesi di Novara, Milano 1841.
Morreale G., I mondi divisi di Città e Contado: ceti sociali e giochi economici nel territorio tra Rinascimento ed Illuminismo, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Novara 2003, pp. 13-74.
Parma A., La corte lontana. Poteri e strategie nel marchesato farnesiano di Novara, in “Familia” del Principe e famiglia aristocratica, a cura di C. Mozzarelli, Roma 1985, pp. 487-505.
Parma A., Dinamiche sociali ed equilibri di potere in una Città del Cinquecento. Il caso novarese, Bologna 1998.
Porzio Giovanolo C., Abbozzo storico cronologico e topografico di Fara nel Dipartimento dell’Agogna anno 1812, Fara 2004.
Rusconi A., I conti di Pombia e di Biandrate secondo le carte novaresi, Milano 1885.
Silengo G., Il Novarese nel Settecento sabaudo. Eventi militari e riforme amministrative, in Una terra tra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’etа moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Novara 2003, pp. 223-74.
Stoppa A. Fara Novarese, terra di collina, Fara 1979.
Virgili G., I possessi dei conti di Biandrate nei secoli XI-XIV, in «BSBS», 72 (1974), pp. 633-685.
Zanetta P., Le terre novaresi nell’anno 1450, in «Bollettino Storico per la Provincia di Novara», 73 (1982), pp. 129-39.
Descrizione Comune

Fara Novarese

     La storia di Fara è quella di una comunità economicamente e socialmente determinata dalla produzione del vino e dai diritti relativi (per la topografia del borgo: Porzio Giovanolo 2004). Come si diceva nell’inchiesta sul feudo del 1635 nella comunità non si faceva né fiera né mercato e non era luogo di passaggio. La terra non era “molto insigne” e l’unico palazzo nobiliare era quello dei Tornielli. Il punto forte era la produzione vinicola, su cui esistevano il dazio della misura della brenta, di antico possesso comunale, e l’imbottato di proprietà del Tettoni. Soprattutto, però, la produzione era sottoposta alla decima dovuta alla Mensa episcopale novarese, la “vescovile debitura” come veniva chiamata, di antica imposizione e ancora attiva nell’Ottocento. La sua corresponsione avveniva per una parte in contanti (nel 1707 erano 630 lire [AC Fara, 1, Ordinati, fasc. 1, 30 ottobre 1707; queste corrispondevano ai cento scudi aurei oggetto della convenzione della comunità con la Mensa: AD Novara, AC, 220, vescovo Gio. Batta Visconti, 1698] nel 1779 420 lire [AC Fara, 2, bilancio della decima del 1779]) e per l’altra in vino, consistente in quattro bottali. Il prezzo variabile del vino faceva sì che l’entità da corrispondere fosse dunque anch’essa variabile. Così per esempio nel 1704 il debito per la decima ascendeva a 1.289 lire, nel 1705 a 1.046, nel 1706 a 1.001, nel 1707 a 954 (AC Fara, 1, Ordinati, fasc. 1 [4 novembre 1704, 31 ottobre 1705, 6 novembre 1706, 30 ottobre 1707]). Per esempio, nel 1707 le 954 lire erano composte da 630 lire di pagamento in contanti, 216 per l’acquisto di quattro bottali di vino dai produttori locali, una lira e quattro soldi al brentadore, 20 per la condotta dei bottali alla cantina del vescovo e 187 all’esattore della decima. Nel 1709 a causa della scarsità della vendemmia la comunità propose al vescovo di poter convertire i quattro bottali in contanti, poiché sarebbe stato molto difficile e costoso recuperarli dai produttori. Per trattare l’affare con l’agente del vescovo la comunità deputò due consiglieri comunali (AC Fara, 1, Ordinati, fasc. 1 [7 novembre 1709]). Nel 1779 per i quattro bottali sono ormai «soliti corrispondersi in contanti lire duecento in ragione di lire cinquanta cadaun bottale così convenuto»; la convenzione faceva sì che la decima da pagare fosse più bassa, quell’anno per esempio 728 lire (la cifra restava in minima parte variabile poiché in essa erano compresi anche il salario dell’esattore, le spese per la condotta a Novara e il cosiddetto fondo di riserva) (AC Fara, 2, bilancio della decima del 1779). La decima veniva riscossa sul cosiddetto “perticato decimabile”, cioè la massa totale dei terreni da cui venivano sottratti il perticato comunale, i terreni boschivi e quelli di proprietà della parrocchia, che non erano decimabili. La decima del 1704, per esempio, era stata ripartita su di un perticato di 857 moggia di beni rurali e 678 di beni civili. Ogni moggio rurale pagava nel computo ventuno soldi e mezzo, mentre ogni moggio civile la metà, cioè dieci soldi e diciannove denari (AC Fara, 1, Ordinati, fasc. 1 [4 novembre 1704]). Il denaro così recuperato dalla comunità serviva anche per comprare i bottali di vino destinati al vescovo dai produttori locali. I terreni vignati erano affidati a massari con cui i proprietari dividevano a mezzo le uve «et il massaro è tenuto а tutte le spese de legnami, lavoro, ingrasso, et altro, а riserva degli aggravij camerali, che tocca pagarli li Padroni» (AD Novara, Teche parrocchie [18 maggio 1720], indagine sui beni del chierico Pietro Francesco Conti). Dal sommario dei grani del 1678 sappiamo che Fara notifica di possedere un totale di 2.234 sacchi di grani di cui 59 di frumento, 145 di segale, 106 di miglio, ben 1.598 di mais, 239 di legumi e 85 di risi (Summario breve della qualitа e quantitа delli grani li quali si sono visitati per ordine di sua ecc.nza in ciascuna terra e cassina della provintia novarese nelle case di ciascun habitatore et del numero delle bocche personali, ASNo, Contado di Novara, 282). A questa data, come in altre terre del Novarese della media pianura, il consumo di mais è dunque dominante. In quest’anno sono censite a Fara 768 bocche; nel 1668 in occasione di una rilevazione feudale erano stati censiti 192 fuochi, cioè famiglie residenti sotto lo stesso tetto (un fuoco poteva poi essere composto a sua volta da più famiglie nucleari) (ASM, Feudi Camerali p.a., 632).
Particolare era la situazione feudale di Fara, poiché essa rimase infeudata ai Farnese e poi in via definitiva ai Serafini (famiglia nobile di Piacenza legata ai Farnese) per tutta l’età moderna, ben oltre la redenzione del marchesato di Novara fatta da Fuentes nel 1602. Nel continuo reintegro del possesso ai Farnese nel corso del Seicento sono da scorgere i particolari interessi della comunità e soprattutto dei suoi maggiorenti, che dovevano vedere nella lontananza dei feudatari un possibile vantaggio. A inizio Settecento, comunque, leggendo gli ordinati Serafini pare più presente nella vita della comunità, il cui consiglio non di rado si rivolge a lui.
La storia fiscale di Fara in età moderna sembra denotare una buona resistenza alla congiuntura, che diede vita a un pesante indebitamento per tutte le comunità del Novarese. Dalla notifica debitoria del 1665 risulta infatti che Fara ha un debito consolidato di 32.740 lire di censi, 17.960 di mutui e 17.118 di interessi non pagati, per un totale di 67.818 lire (ASNo, Contado di Novara, 255 [1662]). Se la voce relativa agli interessi non pagati pare cospicua bisogna però rilevare che non compaiono debiti per “egualanza” (il sistema per la compensazione degli alloggiamenti militari da poco abolito e di cui si stava cercando con grande difficoltà di risanare l’enorme indebitamento che aveva prodotto a livello locale) contrariamente alla maggior parte delle altre comunità della provincia. Inoltre Fara ricorre a strumenti di mutuo, raramente presenti in maniera così massiccia nelle comunità, dove veniva utilizzato in maniera quasi esclusiva il censo.
Nel corso dell’età moderna una buona visibilità sul piano provinciale fu assicurata a Fara dal fatto di essere una delle ventinove terre vocali del Contado, con diritto cioè di intervento alle Congregazioni generali ma anche di esprimere la propria opinione sulla convocazione di queste. Così, per esempio, nel 1706 viene richiesto alla comunità se riteneva corretta la domanda di convocazione della Congregazione ad istanza di altre terre vocali del Novarese per chiedere il rendiconto delle spese ai cinque sindaci. La comunità esprimeva nell’occasione opinione favorevole, chiedendo «che si possi venire ad una Congregatione generale per sentire la relatione de sodetti conti et poscia provedere in essa gli abusi» (AC Fara, 1, Ordinati, fasc. 1 [4 luglio 1706]).
Dal punto di vista religioso Fara vede lo spostamento della parrocchiale dai SS. Pietro e Paolo ai SS. Fabiano e Sebastiano nel corso del Cinquecento, a causa della mutazione dell’insediamento (in realtà molto più risalente). Come spiega l’inventario del 1663 «essendo assai discosta dalla detta terra per necessità del popolo è statto ordinato da SS. Superiori si facesse et fabricasse una nova chiesa nel corpo della medesima terra» (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1, inventario del 1663 della chiesa dei SS. Pietro e Paolo). Varie testimonianze mostrano però il radicamento della devozione nella vecchia parrocchiale, da cui il popolo fatica a staccarsi, tanto che coloro che sono interrogati nelle inchieste feudali del Seicento la definiscono ancora parrocchiale. Tra i legati, se ne distingue nel 1663 uno acceso nel 1628 da Bartolomeo Mossetto a favore della compagnia del Rosario, che quest’ultima aveva rifiutato poiché consisteva in una casa da affittare con parecchie spese; il curato vende però in seguito la casa per 850 lire prestandone 400 alla comunità (da cui ricava un interesse di 30 lire annue) per soddisfare al legato. C’è inoltre un beneficio legato alla vecchia chiesa di S. Giovanni nel castello il cui beneficiario, per essere crollato l’edificio, dice ora Messa nella parrocchiale. Quest’ultima nel 1663 possiede 31 moggia di campi (124 pertiche novaresi), da cui si ricavano ogni anno sei sacchi di grano (126,47 litri) per ciascun moggio. Dalle vigne cava invece 25 brente circa di vino all’anno, per un totale di circa 800 lire di entrate (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1, inventario del 1663). La parrocchiale è inoltre sede di una confraternita di Disciplinati che si rifà a pratiche di devozione assai antiche e fonda nel 1598 un proprio oratorio annesso. Stando alla memoria per la sua soppressione, stesa in epoca napoleonica, a fine Settecento la confraternita conterebbe però ormai pochi iscritti, contrariamente all’altra del SS. Sacramento di cui farebbe parte la maggioranza della popolazione. La confraternita di Santa Marta appare invece come un’organizzazione che «multiplica le feste», «impedisce che si faccia la sagrestia» ed è «composta d’uomini sbandati» che non hanno mai dato alcun sollievo agli infermi. La presenza di due confraternite viene inoltre percepita come un motivo di divisione all’interno della comunità, con la creazione di status differenti (ad esempio i forestieri sono considerati inferiori) giacché «facilmente s’intende come in Paese composto di popolo d’egual condizione e di eguale professione riesce di agravio mentre fomenta la dispendiosa emulazione cagionata dal Pontiglio» (AD Novara, Teche parrocchie, Fara, 1, Memoria per la soppressione della Cconfraternita di Santa Marta nel luogo di Fara [senza data]). Nel corso dell’Ottocento Fara divenne poi sede di un gruppo di Protestanti, che cercò non senza successo di espandersi nelle terre circostanti.