Grana

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2003
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Basso Monferrato-Valle Versa.
Abitanti
675 (ISTAT 1991).
Estensione
6, 03 kmq.
Confini
A nord-ovest Penango, a nord-est Grazzano Badoglio, a est Casorzo e Montemagno, a sud Castagnole Monferrato, a ovest Calliano.
Frazioni
Nessuna frazione amministrativa. Sul territorio, però, si trovano le località Bricco Colma, Bricco Mondalena, reg. San Rocco, reg. Fornace.
Toponimo storico
Il toponimo compare nella documentazione medievale sin dall’886. Tra le interpretazioni proposte per l’etimologia, vanno segnalate «grana=“granello di biada”», e la più attendibile «grana<krane=“fessura, crepaccio”», da cui deriverebbe l’idronimo Grana riferito al torrente presso cui sorse l’abitato (Il Piemonte paese per paese; tesi riportata e contestata da Di Ricaldone 1997, p. 17).
Diocesi
Dipendente dalla diocesi di Asti nel corso del medioevo, restò a questa soggetto anche in età moderna, costituendo una piccola enclave nel territorio di quella di Casale. Fu a questa assegnato solo in età napoleonica, nel 1804 (Parola 1999, p. 86; con conferma nel 1817), e vi appartiene tuttora.
Pieve
«Fra le più antiche pievi documentate della diocesi di Asti vi è quella di Grana, presente dall’897» e dipendente dal vescovo della città (Bordone 1980, pp. 74, 249). Nel 1003 essa risultava avere la supremazia sulla chiesa di San Pietro di Calliano (Bordone 2002, p. 8; Salerno 2002, p. 60). Nel 1245 Corrado, arciprete di Grana, fu arbitro in una controversia tra l’abate di Grazzano, Enrico, rettore della chiesa di San Giulio d’Altavilla, e le famiglie Chivanadani e Porta (Cartari minori, p. 53). Un secolo più tardi, esattamente nel 1345, quattro chiese di Montemagno – San Vittore, San Martino, San Cipriano e San Quirico – facevano capo alla pieve di Grana, sempre soggetta all’influenza della Chiesa d’Asti (Delmastro, Salerno, 2001, p. 89).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Risale probabilmente al X secolo la fondazione di Santa Maria in Monte Pirano, l’attuale piccola chiesa del cimitero, nei pressi della quale, fra XIV-XV sec., sorgeva l’abitato di Santa Maria poi trasferito sulla collina più alta. Secondo il catasto del 1569, in località «ad portum de Monte» (poi Porta Monte) sorgeva un «templum Petri Martiris» (AC Grana, m. 334, c. 13).
Per il 1624 risulta attiva una confraternita dell’Annunziata che aveva sede nella chiesa omonima, di un certo pregio, ornata da un’Annunciazione di ambito moncalvesco e da un ciclo di sette apostoli e San Paolo commissionato a Guglielmo Caccia tra il 1621 e il 1624 (Ragusa 1999, p. 143). L’attuale chiesa parrocchiale, intitolata alla Madonna Assunta, venne invece edificata nel 1701 su disegno dell’architetto astigiano Pasta (Casalis 1841) e sul sito già occupato da una chiesa quattrocentesca, fatta ornare con tele di Caccia commissionate nel 1593 dall’arciprete Giovanni De Alessi. Nel corso del Settecento fu anche riedificata la chiesa dell’Annunziata, officiata dalla confraternita dei Disciplinanti. Nel 1728, durante la vasta ricognizione dei beni ecclesiastici immuni e non promossa dal governo sabaudo, fu rilevata a Grana la presenza di tre chiesette rispettivamente dedicate a San Sebastiano (di cui era priore don Giuseppe Antonio Ferraro), San Rocco e a Sant’Antonio abate. Continuava a sopravvivere, inoltre, probabilmente già come chiesa cimiteriale, quella di Monte Pirano (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. XII, Immunità reale del Monferrato, m. 1, fasc. 4, Ricavo). Come in altre località del Basso Monferrato, anche a Grana, tra Sette e Novecento, proliferarono le associazioni laiche di carattere devozionale: Parola, sul lungo periodo, ne conta 11 (Parola 1999, pp. 22-23, 31), delle quali solo la più antica, quella della SS. Annunziata, contraddistinta dal titolo di confraternita e da una sorta di noviziato per i membri entranti. Tra le compagnie, quella dell’Addolorata, del Carmine, della Dottrina Cristiana, del Rosario, di Sant’Antonio abate, di S. Luigi, del SS. Sacramento, del Suffragio, delle Figlie di Maria e del Terzo Ordine di S. Francesco (Parola 1999, p. 27).
Assetto Insediativo
Il concentrico si sviluppa su un colle, attorno alla parrocchiale; ha forma tondeggiante, con edifici che si diramano anche lungo le strade di comunicazione del paese. È sulla sponda destra dell’omonimo torrente. Il catasto del 1569 restituisce i numerosi toponimi riferiti alle peculiarità e alle suddivisioni interne del territorio comunale, alcuni dei quali ancora in uso: «ad serram castri» (in riferimento al castello di origine medievale); Santo Stefano; «in Brayda»; «ad Carrariam»; San Salvatore o «ad Paradisum»; Camporosso; Mondalena; Fontana; Baseria; Gattina; «praedium ecclesie vulgo dicitur al Filagno»; San Bernardino; Moleto; Arundineto; «ad Sazam»; S. Antonio; Gersola; Roncalium; Bosia; retropiacium; Montecaprioglio; Monte Pirano; Val Grana; Fazeto; Colombiaio; Zonco; Valle Stroppiana; Pratozanino; «ad sambucum»; Pratocorte; Montebarbano (AC Grana, Catasto, m. 334). Altri nomi si aggiungono nel catasto del 1627 (AC Grana, Catasto, m. 336): Lupano; Ceresole; Sant’Antonio o Borgo nuovo; Repiazzo; Vairo; Prato comune. A tanti toponimi non sembrano aver corrisposto altrettanti micro-insediamenti: nei censimenti otto-novecenteschi, infatti, non sono segnalate per Grana né frazioni, né località, né case sparse in numero significativo, a riprova della compattezza del nucleo abitativo sviluppatosi all’interno di mura tra medioevo ed età moderna.
Luoghi Scomparsi
Nei pressi di Grana sorgeva, tra IX e X secolo, il luogo detto «Curtis Causilone» (Corte Causilona) da cui proveniva una famiglia di vassalli del vescovo di Asti (Bordone 1980, p. 92). Per i secc. XIV-XV, inoltre, è attestata l’esistenza di un centro abitato denominato Santa Maria, sorto nei pressi dell’omonima chiesa del cimitero di Grana.
Comunità, origine, funzionamento
Un Rainerio de Grana fu tra i sottoscrittori dell’alleanza stipulata nel 1191 tra il marchese Bonifacio di Monferrato e la città di Acqui, mentre, in occasione del parlamento convocato da Teodoro Paleologo nel 1320, alla comunità e uomini di Grana fu imposta la consegna di un milite all’esercito monferrino (Casalis 1841, p. 231). Uno dei primi cenni all’esistenza di una comunità articolata, tuttavia, si trova nella copia di un atto del 13 giugno 1379 mediante il quale il cavalier Origone Flota, luogotenente del marchese Giovanni di Monferrato, garantì alla comunità e uomini del luogo il diritto all’inalienabilità, con facoltà di poter commerciare con le località limitrofe senza il pagamento di alcun pedaggio. In quell’occasione i rappresentanti di Grana furono i sindaci Davide Testa e Guglielmo Gavazza (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 1). Tuttavia, in una lettera di Bernardino Scozia del 25 luglio 1591 allegata alla copia della concessione, si fa riferimento a una successiva rinuncia dei Granesi alla prerogativa e alla sostanziale invalidità di quest’ultima:
mando con questa l’instromento della rinuntia fatta dagli huomini di Grana del privileggio di non puoter esser alienati […] anchorché, quanto al parer mio, esso privilegio non vale perché fu fatto da uno governatore del marchese di quel tempo, né mai consta specialmente confermato da quel marchese né da soccessori onde, per totale sicurezza, credo bene il farlo dichiarar per nullo (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 1; sullo Scozia, all’epoca senatore del Senato di Casale: Raviola 2003, pp. 109-111).
Catasti
Il primo catasto conservatosi è del 1569 (AC Grana, m. 334; legatura da restaurare); seguono un Registro per consegnamento dei beni del 1624 (AC Grana, m. 335); un Registro dei trasporti del 1627 (AC Grana, m. 336); il catasto del 1763 (AC Grana, m. 337), con il primo Libro dei trasporti del 1664 e il nuovo catasto confezionato nello stesso anno dall’agrimensore Michele Antonio Polledro (AC Grana, mm. 338-340); gli atti di Ripartizione territoriale e sistemazione di un lapideo nella contrada di Valmaggiore a confine con Montemagno, del 1792 (AC Grana, m. 333), e il quinto Libro dei trasporti, datato 1878 ma contenente indicazioni risalenti al 1778 (m. 341).
Ordinati
Il primo volume conservatosi raccoglie le delibere degli anni 1642-44 (AC Grana, sez. I, m. 2), alle quali seguono quelle del periodo 1680-1719 (AC Grana, sez. I, m. 3) e quelle dal 1779 in poi (AC Grana, sez. I, m. 4). Il primo volume di Convocati, invece, riguarda gli anni 1775-83 (AC Grana, sez. I, m. 1).
Dipendenze nel Medioevo
Nel 911 d.C. la pieve di Grana risultava dipendente dalla Chiesa d’Asti (Bordone 1980, p. 74) e nell’XI sec. il castello del luogo, risalente al secolo precedente, era tra quelli di proprietà del vescovo della città (Bordone 1980, p. 77). Tuttavia, nei secoli successivi, nonostante il perdurare dell’influenza della Chiesa astigiana, il paese, come quelli limitrofi, finì per gravitare sempre più nell’orbita del marchesato di Monferrato. Lo dimostra la partecipazione degli uomini della comunità al parlamento di Teodoro Paleologo del 1320 (cfr. il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’), così come l’occupazione subita dal paese nel 1431 a opera delle truppe del duca di Milano in guerra contro il marchese Giovanni Giacomo di Monferrato (Casalis 1841, p. 231).
Feudo
Già feudo della famiglia Bobba di Lu, nel 1589 fu eretto in marchesato da Vincenzo I Gonzaga e infeudato alla sua favorita napoletana Agnese de Argotte, sposa di Prospero del Carretto. Appartenente, per alcune porzioni, ai del Carretto – con titolo di marchesi di Grana – dal 1591 e per tutto il secolo successivo (alcune quote furono dei casalesi Gambera), il feudo passò nel 1709 a Maria Enrichetta del Carretto, duchessa di Arenberg, e nel 1755 al duca di Aerschott Carlo De Ligne d’Arenberg, principe del Sacro Romano Impero. Nel 1781 fu infeudato, ma con titolo comitale e non marchionale, ad Amedeo Messier, di Moncalieri. Con Regio decreto dell’8 novembre 1868 il titolo di conte di Grana fu rinnovato a favore del torinese Carlo Grosso (Manno 1895-1906, vol. I, p. 239; Guasco 1911, p. 299; Raviola 2003, p. 283. Secondo Casalis, il passaggio di Grana ai del Carretto avvenne tramite «un Francesco, il quale ebbe quest’infeudazione pel valore militare da lui dimostrato quando si trovò al servizio dell’Imperatore»).
Mutamenti di distrettuazione
Grana appartiene al Monferrato sin dal consolidamento della dominazione Paleologo sulla zona. Dal 1536, con l’avvento di quella gonzaghesca, fu compreso tra le terre «di qua da Tanaro» e, con la creazione di suddivisioni amministrative più compiute, nella provincia di Casale, cui continuò ad appartenere anche in seguito al passaggio del Monferrato ai Savoia (1708) (Raviola 2003). Tale assetto fu confermato dalla definitiva sistemazione delle province piemontesi attuata nel 1749 e si mantenne fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798). Entro la maglia amministrativa francese, Grana seguì le sorti del territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato alla circoscrizione di Alessandria, prima nel dipartimento del Tanaro (1799), poi in quello di Marengo (1801), circondario (arrondissement) di Casale. Non toccato dal successivo rimaneggiamento del 1805, l’inquadramento amministrativo del Casalese non mutò fino alla Restaurazione (Sturani 2001). Dopo la parentesi napoleonica, Grana, inserito nel mandamento di Montemagno, rientrò a far parte della ricostituita provincia di Casale, inclusa nel 1818 nella divisione di Alessandria e ridotta a circondario della provincia di Alessandria nel 1859. Con la creazione della provincia di Asti decretata dal governo fascista nel 1935, Grana fu tra le località assegnate alla nuova realtà amministrativa.
Comunanze
Nel 1831 l’amministrazione di Grana rivendicò alcune porzioni del territorio comunale, già di uso comune, ma usurpate da particolari che se ne erano di fatto appropriati. G.B. Gino scese a patti e accettò di rivenderle, altri restarono in lite con la comunità (AST, Corte, Paesi per A e B, G, m. 22, fasc. 2). Questa, dieci anni più tardi, alienò per 120 lire a Pietro Gino «un piccolo pezzo di terreno di tavole 12 e piedi 4, parte ridotto a coltura e parte incolto […] da quale ricava pochissimo utile» (AST, Corte, Paesi per A e B, G, m. 22, fasc. 3, 1841). In quel periodo, inoltre, come attestano diversi atti conservati presso l’Archivio storico del comune, si procedette a una ridefinizione dei contratti di locazione dei beni comunali (AC Grana, m. 319, 1837-40), riaggiornata anche negli anni 1876-’91 e 1882-1913 (AC Grana, mm. 327-328).
Liti Territoriali
Non segnalate
Fonti
A.C.G.  (Archivio Storico del Comune di Grana), riordino e Inventario di Gianna Maria Villata, 1992.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
Corte, Paesi, Paesi per A e B, G, m. 22;
Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34;
Corte, Materie ecclesiastiche, cat. XII, Immunità reale del Monferrato, m. 1, fasc. 3, 1553-1726, Volume in cui sono descritte le transazioni seguite fra le comunità della Prov. di Casale ed Acqui con li corpi o persone ecclesiastiche per il concorso de’ carichi per li beni da essi acquistati, cc. 97-119, Grana; m. 3, fasc. 2, Informative de’ titoli concernenti l’acquisto de’ beni ecclesiastici trasmesse a Torino con lettera delli 5 ottobre 1728 e le loro risolutioni, cc. non numerate; fasc. 4, 1728, ottobre, Ricavo de’ registri de’ signori ecclesiastici da collettarsi. Provincia di Casale, cc. non numerate.
Bibliografia
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Censimento della popolazione del Regno d’Italia al dicembre 1911, Roma 1914.
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Delmastro F., Salerno P., Montemagno, chiesa di San Vittore, in Montemagno tra arte e storia, Asti 2001, pp. 87-89.
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Raviola B.A., Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-stato (1536-1708), Firenze 2003.
Di Ricaldone G.A., Strade romane e borghi monferrini, in «Pagine moncalvesi», 2 (1997), pp. 13-19.
Salerno P., Calliano, chiesa di San Pietro, in Le chiese romaniche nelle campagne astigiane. Un repertorio per la loro conoscenza, conservazione, tutela, a cura di L. Pittarello, Torino 2002, pp. 59-62.
Sturani M.L., Innovazioni e resistenze nella trasformazione della maglia amministrativa piemontese durante il periodo francese (1798-1814): la creazione dei dipartimenti ed il livello comunale, in Dinamiche storiche e problemi attuali della maglia istituzionale in Italia. Saggi di geografia amministrativa, a cura di Ead., Alessandria 2001, pp. 89-118.
Descrizione Comune
Grana
     Il tratto peculiare delle vicende di Grana tra medioevo ed età moderna va individuato nell’appartenenza del luogo al Monferrato e, nel contempo, nella dipendenza dalla diocesi di Asti. Questa posizione di confine, strategica o scomoda a seconda delle contingenze, segnò in buona misura lo sviluppo politico-economico di Grana che, sin dall’alto medioevo, si distinse per l’importanza della pieve che vi aveva sede.
     Tra i centri più popolosi e antichi della zona insieme con Scurzolengo, Calliano, Portacomaro e altri, contraddistinti tutti dalla scarsità di boschi e, al contrario, dallo sfruttamento agricolo del territorio (arativi e vigneti) (Bordone 1980, p. 118), Grana fu soggetto all’influenza della Chiesa di Asti sin dal X sec.: la sua pieve, infatti, dipendeva dal controllo del vescovo cittadino che ne possedeva anche il castello, collegato a un’azienda agraria secondo il sistema di altri «castelli curtensi» della zona (Bordone 1980, pp. 127, 155-158). «Col castello di Grana, già presente nel 969, troviamo il cardine settentrionale dell’incastellamento di un’area dove in precedenza le attestazioni erano scarse o nulle» (Bordone 1980, p. 158).
Il ruolo politico dell’arcipretura di Grana è dimostrato dall’atto di arbitraggio dell’arciprete Corrado emanato nel 1245 a conclusione di una controversia tra l’abate di Grazzano da una parte e, dall’altra, la chiesa di San Giulio di Altavilla e le famiglie Chiavandani e Porta che vantavano diritti sulla decima parte dei redditi percepiti dall’abbazia su alcuni beni siti in Altavilla. L’accordo fu infatti siglato «in castro Grane» (Cartari minori, pp. 53-54). Contemporaneamente alla Chiesa d’Asti, anche il comune consolidò la sua ingerenza in zona e nel 1281 il podestà Giacomo di San Miniato assegnò a Gerardo de Platea, creditore della città, possedimenti in Angrisano e in Grana confiscati agli eredi di Oberto de Grafagno «sive de Grana», debitore dell’amministrazione (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 248-250; Castellani 1998, p. 142). Nell’atto si fa più volte riferimento al «posse Grane» e ad alcune pezze di terra degli eredi Grafagno, site «ubi dicitur in valle Canina» e coerenti alla non meglio specificata «ecclesia» (probabilmente l’antica pieve) e alle proprietà di Oberto di Monticello. I Grafagno e i Monticello appartenevano al ceto signorile locale, così come Raniero Ceresole, anch’egli di Grana, attivo negli stessi anni ad Asti in qualità di notaio «sacri palatii» al servizio della Cattedrale cittadina (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 307-308), o come la famiglia Vanedo che, nel 1334, prese in affitto alcune terre di proprietà dell’abbazia di San Bartolomeo d’Azzano (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 609-610, atto d’investitura del 23 marzo concesso dall’abate Nicolò Miroglio a favore di Domenico, figlio di Bartolomeo). Altri personaggi della comunità di Grana di cui si ha traccia per la fine del XIII sec. e la prima metà del XIV sono il notaio Guglielmo de Grana e il «presbiter Bartolomeus de Grana», forse suo figlio (è indicato come figlio di un Guglielmo), presenti come testimoni ad altri atti e contratti di locazione stipulati dall’abbazia (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 171-174 [1 luglio 1281]; p. 297 [28 febbraio 1294], documento in cui Guglielmo e sua moglie sono indicati come proprietari di un terreno in Azzano «ubi dicitur in Valle Egnia»; p. 343 [28 maggio 1299], documento da cui Guglielmo risulta ormai residente ad Azzano; per Bartolomeo: Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, p. 405 [12 febbraio 1308]; p. 458 [14 aprile 1317]; p. 460 [16 aprile 1317]; p. 462 [24 aprile 1317]. Segnalato anche un Guglielmo de Grana «sartor», testimone in atti analoghi e forse padre di Jacopo de Grana: Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 394-400 [17 novembre 1303]).
Nello stesso periodo il potere di Asti su Grana e dintorni fu ridimensionato da quello, crescente, dei marchesi di Monferrato e nel 1320 i rappresentanti della comunità parteciparono al Parlamento generale del Monferrato indetto da Teodoro I contribuendo con un milite all’armamento dell’esercito marchionale. I legami con la dinastia Paleologo furono rinsaldati con l’atto di fedeltà giurato dagli uomini e comunità di Grana al marchese Giovanni nel 1379 in cambio della concessione dell’inalienabilità della giurisdizione locale (cfr. il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’). In seguito – sebbene non si sappia con esattezza quando – i Granesi rinunciarono (o furono costretti a rinunciare) all’importante prerogativa (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 1), accelerando così il processo di declino delle autonomie comunali a vantaggio di esponenti della nobiltà monferrina quali i Bobba di Lu, che, tra Quattro e Cinquecento, acquisirono a Grana beni e porzioni feudali. Alcune furono da essi cedute intorno alla metà del XVI sec.: tra il 1563 e il 1564, per esempio, vendettero al giureconsulto Beniamino di Montalero una pezza di terra coltiva di 3 moggia e 2 stara «semovente dal castello di Grana» e sita nel «feudo castri Grane, ubi dicitur ad fictam Borghetii, seu ad planuram» (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 2).
Secondo il catasto compilato dal notaio Bartolomeo Mazzola nel 1569 (AC Grana, m. 334) – si ignora se per ordine sovrano o per decisione autonoma dell’amministrazione – la proprietà era all’epoca piuttosto frammentata: i beni della comunità erano di scarsa entità (essa possedeva solo la casa comunale e un altro edificio in paese), così come inesistenti risultano eventuali beni ecclesiastici (di chiese locali o della vicina abbazia di Grazzano o di chiese di Asti o Casale). «Le case poste nel recinto di questo luogo» rilevavano a moggia 1,3 per un valore complessivo di registro di 26,11 fiorini. I principali registranti – oltre ai Bobba di Lu che vi possedevano beni feudali – erano membri delle famiglie Mazzola, Testa, Capretto, Simoni, Forcella, Capello e Chiesa. Una nota posta a suggello della descrizione degli edifici del recinto (AC Grana, m. 334, cc. 13-13v) rende poi conto dei confini tra i territori di Grana (1436,1 moggia complessive) e di Grazzano (2329 moggia), lasciando presumere screzi in proposito tra le due comunità: un «termine» era individuabile «nella contrada detta la Vallara […] deffinitivo tra Grana e Calliano»; un altro, tra Grana e Grazzano, era invece «nelle terre della Cravetta»; altro ancora, indicatore dei confini di Grana con lo stesso Grazzano e con Moncalvo, «nella contrada detta alle Zerbette».
Il ribadimento dei propri confini rispetto ad altre località del Monferrato gonzaghesco andava di pari passo con il tentativo dell’amministrazione comunale di mantenere i suoi legami con Asti, tanto che, nel 1591, subodorando l’intenzione di Vincenzo I di infeudare il luogo, il consiglio fece leva su questi per dissuaderlo: «passano già trecento e trenta anni che il comune e gli huomini di Grana si coligorno con la città d’Asti con conditione fra l’altre ch’esso comune et huomini havessero le cognitioni delle cause et insieme le pene eccetuati li delitti del sangue come nelle loro investiture» (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 3, Memoriale della comunità e uomini di Grana al duca di Monferrato perché esso luogo non venghi alienato [28 febbraio 1591]). La convenzione era sopravvissuta al passaggio di Grana al Monferrato, così come la solida posizione del paese «quale è murato atorno con li suoi fossi, distante dall’Asteggiana non più d’un miglio in circa et è nobile sì di edefficii come di persone, essendovi dottori di legge et medicina et altri che hanno giurisditione in altro luogho et altre persone di conto». In realtà, com’è ovvio, il duca non si fece convincere e cedette la giurisdizione di Grana a una sua favorita napoletana sposata del Carretto, dando così il via all’avvicendarsi di vari feudatari con titolo di marchese (cfr. il lemma ‘Feudo’).
L’assenza degli ordinati per quegli anni impedisce di valutare quale fu l’impatto della nuova dominazione sulle istituzioni locali. I libri di mutazione del periodo 1624-27 sembrano restituire una situazione più movimentata di quella di metà Cinquecento: si assiste, innanzitutto, a un aumento delle famiglie di medio-piccoli proprietari (Acuto, Avezzano, Balliano, Dotto, Garrone, Gavazza, Gino, Guazzo, Moizio, Monaco, Pane, Varvello) (AC Grana, Catasto, mm. 335-336), al consolidamento delle proprietà feudali in mano a patrizi monferrini (i conti Mazzetti e Magnocavalli) e non solo (i conti Arescott) (AC Grana, Catasto, m. 336, cc. 200, 279, 300) e, in ultima battuta, alla comparsa di enti ecclesiastici o laici a loro volta proprietari di piccoli appezzamenti (AC Grana, Catasto, m. 336, c. 396v, 17 tavole di terreni in tutto). Tra questi, le compagnie legate agli altari di San Sebastiano e Sant’Anna della parrocchiale, la chiesa di San Rocco, l’antica Madonna di Montespirano e la confraternita della SS. Annunziata, o dei Disciplinanti, fondata nel 1624 e contraddistinta da una sorta di noviziato per i membri entranti (Parola 1999, pp. 31, 86-87). In attesa che venga studiata la documentazione da essa prodotta, si può ipotizzare che essa fosse espressione di parte dell’élite granese, in grado di commissionarne i dipinti a Guglielmo Caccia e alla sua bottega (Ragusa 1999, p. 143).
Nel catasto del 1627 sono segnalate in dettaglio anche le strade che garantivano il collegamento di Grana con il Monferrato e con l’Astigiano: «la via maestrale da Grana sino al termine di Montemagno», «la via che volta verso la fine di Castagnole detta la via della Luvera», due strade per Calliano, altre più interne al territorio comunale (AC Grana, m. 336, c. 397). Percorsi che, se da un lato agevolarono i rapporti commerciali del paese, dall’altro lo resero facilmente accessibile alle truppe impiegate a difesa del ducato durante le due guerre di Monferrato e alle incursioni degli eserciti nemici (si veda la scheda dedicata a Casorzo). Le pesanti condizioni di vita del periodo e l’incremento delle prerogative accordate ai feudatari del marchesato di Grana portarono la comunità a scontrarsi più volte con questi e con le magistrature ducali, come mostrano i ricorsi presentati dal consiglio municipale nel corso del XVII secolo (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fascc. 3-4). Vani furono i tentativi di ricuperare diritti perduti già nel Cinquecento, tanto più che i del Carretto, ben visti a Mantova, ne acquisirono altri (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 5) e poco fortunati, si presume, quelli di ottenere sgravi fiscali. All’inizio degli anni Ottanta, il consiglio supplicò il Magistrato Camera dei Conti di concedere l’esenzione dal pagamento del debito residuo di 1218 scudi d’oro accumulato tra il 1663 e il 1679 tra tasso, alloggiamenti, e spese straordinarie, considerando i continui «alloggi, contributioni, sacheggi nelle case et chiese et abbrugiamenti delle medeme case, perdite de’ bestiami, tempeste e fallanze generali» degli ultimi anni, durante i quali erano «state anche abbrugiate et esportate via scritture, libri e recapiti» con i quali calcolare più esattamente i debiti (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 6, s.d.). A fine secolo fu chiesta la riduzione della tariffa sul sale (che da 7 anni era di 15 libbre di sale per «caduna bocha humana», 8 per vacca e 2 per bove, «tassa troppo eccessiva») «poiché annualmente un povero huomo non puole consumare tanto sale mangiando un poco di pane e bevendo vino; le vache non si mongiano e li bovi non mangiano sale» (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34, Grana, fasc. 6, s.d., ma post 1691).
La situazione restò difficile sino alla fine della guerra di Successione spagnola e all’assegnazione del Monferrato al regno sabaudo. Dopo di che – seppur con gli altrettanto duri intervalli delle guerre di Successione polacca e austriaca, che continuarono ad avere ripercussioni militari dirette sul territorio (si veda la scheda dedicata a Calliano) – ebbe avvio un processo di normalizzazione che anche a Grana fu al culmine tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento. Secondo le inchieste dell’Intendenza di Casale del 1753-55, a metà secolo, Grana aveva 1000 abitanti, suddivisi in 174 fuochi, e dipendeva dalla giurisdizione di un solo feudatario, il marchese d’Arescott, residente a Bruxelles (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, n. 6, Stato della città e provincia di Casale). La popolazione, dedita in parte all’agricoltura, sopperiva alle mancanze del territorio impiegandosi altrove o in attività collaterali: «alcuni particolari attendono a zappar melighe e raccoglier riso oltre Po, come pure a raccoglier messi nella piana di Casale e luoghi di Giarole, Occimiano, Mirabello ed altri vicini. Altri attendono alla raccolta delle strazze come sublocatori di tal gabella, conducendole poi a Genova da dove ritornano con oglio e frutta». Questi generi rendevano almeno 10.650 lire all’anno e il doppio erano garantiti dalla produzione di grano e altri cereali. Il debito comunale ammontava invece a £ 1182. Su un terreno di 1471 moggia complessive, 163 erano di beni ecclesiastici immuni, per un valore di £ 930, cui andava aggiunto un beneficio di £ 200.
Tale realtà è in parte riflessa nel catasto fatto redigere nel 1763, dal quale si evince il predominio degli Arescott, proprietari del castello, di alcuni terreni, nonché del forno, del mulino e del torchio per un tot. di 230 soldi di registro (AC Grana, m. 337, c. 1), seguiti dai Magnocavalli (6 cospicui appezzamenti equivalenti a 200 moggia di registro) e dai Mazzetti (due terreni per 42 soldi di registro) (AC Grana, m. 337, cc. 53-54). I beni comuni erano costituiti dalla casa municipale, da un prato in loc. Granelle (detta, appunto, «Prato comune»), intersecato da una bialera di 116 moggia, da 107 moggia di gerbido, da 46 di vigneti (in loc. Gerbette) e da alcuni campi di poche moggia (AC Grana, m. 337, c. 111). Capillari, per quanto tendenzialmente poco estese, le proprietà degli enti ecclesiastici e laici ad essi collegati: 33 pezze di campo e prato di proprietà della parrocchiale per un totale di 200 moggia (AC Grana, m. 337, c. 102) e vari appezzamenti in mano alle chiese della Madonna di Montespirano, di San Rocco, di Sant’Antonio, di S. Sebastiano, di San Pietro Martire, di San Pietro di Casale, e alle compagnie del SS. Sacramento, del SS. Rosario, di Sant’Anna, di Sant’Antonio abate, di San Vito (AC Grana, m. 337, cc. 106-110).
Undici erano i terreni legati al beneficio di San Sebastiano, in merito al quale si può aggiungere che nel 1672, mentre si andava dibattendo a Casale e Mantova il problema dell’immunità ecclesiastica (Raviola 2003, pp. 363 sgg.), era stato oggetto di una convenzione stipulata con la comunità. L’atto aveva avuto luogo in Grana, nella casa del «nobilis Antonini Gini […] sita in cantono Plathee […] ubi congregari solet consilium huius loci ob destructionem domuns comunitatis», presenti Giambattista Gino e Lorenzo San Martino in qualità di testimoni. L’accordo scaturiva dalla deputazione a erede universale della «capellam Sancti Sebastiani errectam in parrochiali ecclesia dicti loci» fatta dal defunto don Alberto Mazzola, sacerdote di Grana e «capellanus R.R. Monialium Sancte Ursule Muntiscalvi», con usufrutto a favore della sorella Francesca e, alla morte di lei, del canonico astigiano Carlo Socino, residente ad Alessandria. Poiché la donna aveva rinunciato alla concessione e al possesso dei beni fraterni a vantaggio del religioso, era sorta una controversia tra questi, che considerava immuni il beneficio e le proprietà del Mazzola, e la comunità che, al contrario, considerava queste ultime collettabili e tassabili in base al registro catastale. Dopo un primo accordo, fallito, del 1660, secondo il quale Socino avrebbe dovuto sborsare 31 doppie da 85 ff. l’una entro 5 anni, con questo atto, stipulato in presenza del podestà Domenico Francesco Busca e dei consoli Bernardino Gino, Pietro Secondo Varvello e Pietro Maria Mazzola, si giunse alla conclusione che don Carlo avrebbe pagato solo 8 doppie lasciando parte dell’usufrutto di San Sebastiano a Francesca Mazzola (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. XII, Immunità reale del Monferrato, m. 1, fasc. 3, 1553-1726, Volume in cui sono descritte le transazioni seguite fra le comunità della Prov. di Casale ed Acqui con li corpi o persone ecclesiastiche per il concorso de’ carichi per li beni da essi acquistati, cc. 97-119).
Quanto alle compagnie menzionate in relazione al catasto del 1763, va detto che erano di fondazione piuttosto recente: quella del SS. Sacramento (maschile e femminile) era sorta all’interno della nuova parrocchiale nel 1724 (Parola 1999, p. 87), seguita da quelle del Rosario, risalente al 1737 (Parola 1999, p. 89), del Carmine (maschile e femminile), eretta nel 1751 (Parola 1999, p. 88), e di S. Antonio abate (Parola 1999, p. 88). Nel 1728, durante la vasta ricognizione dei beni ecclesiastici immuni e non promossa dal governo sabaudo, era stata inoltre rilevata per Grana la presenza di 100 moggia di terreni immuni di proprietà della parrocchiale, in quegli anni in mano all’arciprete Pietro Giuseppe Rosso. Per dimostrare l’antichità del possesso il religioso aveva presentato copia autentica di un atto tratto da un inventario di beni del periodo 1556-1582 conservato presso la Curia episcopale di Asti (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. XII, Immunità reale del Monferrato, m. 3, fasc. 2, Informative de’ titoli). Altri piccoli benefici erano legati all’altare di Sant’Anna della parrocchiale stessa, a San Sebastiano (priore don Giuseppe Antonio Ferraro), alla chiesa di Monte Pirano, a quella di San Rocco e a quella di Sant’Antonio abate, per un totale di poco più di 5 lire di registro (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. XII, Immunità reale del Monferrato, m. 3, fasc. 4, Ricavo).
Probabilmente, la presenza degli enti ecclesiastici a Grana, scarsa nel periodo in cui il territorio, soggetto alla diocesi di Asti, era sotto la dominazione gonzaghesca, aveva avuto impulso con il passaggio della comunità ai Savoia ed ebbe seguito per tutto il XVIII secolo. Dopo l’interruzione di età napoleonica, nel corso dell’Ottocento e all’inizio del Novecento rinvigorì, qui come altrove nella zona, la tradizione dell’associazionismo laico di stampo devozionale. Non solo resistettero l’antica confraternita dell’Annunziata (la cui attività è documentata fino al 1931) (Parola 1999, p. 87) e la settecentesca compagnia del Carmine, attestata ancora nel 1954 (Parola 1999, p. 88), ma sorsero anche le compagnie dell’Addolorata (1880-1990), delle Figlie di Maria (1915-54), della Dottrina Cristiana (1923-46), del Terzo Ordine Francescano (1923-55) e di San Luigi (1929-31) (Parola 1999, pp. 89-90), la documentazione delle quali resta in attesa di essere studiata a fondo per cogliere le dinamiche sociali interne alla comunità di Grana in età contemporanea.
Circa l’evoluzione del territorio comunale, è invece opportuno segnalare l’accordo tra le comunità di Grana e Calliano raggiunto nel 1764, all’indomani della stesura del primo catasto sabaudo: la seconda, infatti, aveva mosso causa alla prima per via della registrazione a favore delle casse comunali di Grana di terreni siti sul territorio callianese ma di proprietà di Granesi (delle famiglie Gino, Varvello e de Simone). Delle 14 stara controverse, 10 furono così collettate a Calliano e 4 a Grana, con una lievissima riduzione del registro di quest’ultima (AC Grana, m. 340, 1764, nuovo catasto commissionato all’agrimensore Michele Antonio Polledro). Nel 1792, infine, fu amichevolmente individuato in contrada Valmaggiore il termine tra i confini di Grana e Montemagno (AC Grana, m. 333).
Dal punto di vista demografico, l’andamento di Grana è simile a quello delle località limitrofe (crescita nel XIX sec., contrazione nel XX). L’incremento aveva avuto inizio nel Settecento: se nel 1733 la levata del sale aveva riguardato solo 478 bocche, nel 1758 questa era salita a 673 e nel 1787 a 803, con un conseguente aumento dei consumi da £ 7724 a 14.079 (AC Grana, m. 518, 1730-90, Registro delle bocche umane e bestiame per riparto del sale). Nel 1839 il paese aveva 1363 abitanti, suddivisi in 275 nuclei familiari (Informazioni statistiche 1839, p. 29). Nel 1881, secondo il trend demografico positivo che interessò l’area del Basso Monferrato nel corso della seconda metà secolo, la popolazione salì a 1892 unità (solo 6 famiglie delle quali in case sparse) (Censimento 1883). Nel 1901 la popolazione raggiunse le 2069 unità, quasi interamente residenti nel concentrico (solo 21 ab. in case sparse e nessuna frazione registrata) (Censimento 1902, p. 10). Nel 1911 scese a 1848 (sempre solo 6 famiglie in case sparse) (Censimento 1914), mentre dieci anni più tardi salì lievemente, toccando le 1916 unità (con riferimento alla popolazione legalmente residente, poiché 85 ab. risultavano abitare in altri comuni del Regno e 37 all’estero) (Censimento 1927). Nel 1931 fu registrato un nuovo calo: 1500 ab. (e sempre 6 famiglie sole in case sparse) (Censimento, 1933). La guerra, la meccanizzazione dell’agricoltura e l’emigrazione verso l’estero o verso i centri urbani della regione portarono la cifra ad abbassarsi al di sotto delle 1000 unità.
Attualmente, arginato in parte il flusso migratorio (la popolazione si è assestata sui 675 ab.), Grana vive un momento di relativo sviluppo agricolo-industriale, legato in particolare alla raccolta di tartufi, all’allevamento bovino e, soprattutto, grazie alla porzione di vigneti siti al di là del rio Grana, alla produzione del Malvasia D.O.C. in consorzio con il comune di Montemagno (si veda la scheda dedicata a Montemagno).