Cinaglio

AutoriLombardini, Sandro
Anno Compilazione2005
Provincia
Asti
Area storica
Contado di Asti. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2.
Abitanti
426 [censimento 1991]; 459 [censimento 2001].
Estensione
Ha. 538 [ISTAT] / ha. 528 [SITA].
Confini
Asti, Camerano Casasco, Chiusano d’Asti, Corsione, Cortandone, Monale, Montechiaro d'Asti, Settime.
Frazioni
Le fonti ISTAT segnalano la presenza di un “centro” insediativo, che raccoglie poco meno dei tre quarti della popolazione; si aggiungono tre “nuclei”, che ne raccolgono complessivamente poco più del 15 per cento mentre meno del 10 per cento della popolazione risiede in “case sparse”. Vedi mappa.
Toponimo storico
Il luogo è menzionato in documenti del 1196 e del 1198, che riportano, rispettivamente, i toponimi Cinaglo e Cinalio (nel caso ablativo) [Gabiani e Gabotto 1907, pp. 133-34, doc. 144; Sella e Vayra 1880-87, doc. 777]. E’ stato ipotizzato che il nome derivi dal latino cenaculum, nel significato di “albergo, locanda”, ossia luogo di sosta, in prossimità dell’ottavo miglio da Asti Hasta (Asti) sulla strada per Industria (l’attuale Monteu da Po) [Eydoux 1998, p. 4; Settia 1991; Torretti 1996]. La congettura, avanzata nell’Ottocento, di una menzione di Cinaglio sotto forma di “Cinisi” in un diploma imperiale di Ludovico II dell’869 è stata smentita dalla lettura corretta in “Civisi” [Casalis 1839, p. 226; Eydoux 1982 p. 72; Massia 1917, pp. 43 sgg.; Settia 1974, p. 969].
Diocesi
Asti.
Pieve
L’esistenza di un edificio di culto a Cinaglio è attestato dalla metà del secolo XII. Verso la metà del secolo seguente, una ecclesia Sancti Felicis è citata in una dichiarazione di possedimenti della Chiesa astese in territorio Cinagli. Nel Registrum Ecclesiarum dioecesis astensis del 1345 la ecclesia de Cinaglo figura tra le chiese dipendenti dalla pieve di Montechiaro, a sua volta elencata tra le chiese subditae della chiesa cattedrale, con un “registro” del valore di £19  astesi [Bosio 1894, p. 524; Torretti 1996, p. 57; Vergano 1942, pp. 93-95, doc. 70 (29 settembre 1246)] (la villanova astese di Montechiaro assorbì, all’atto della sua fondazione, avvenuta nel 1200, il luogo, ora scomparso, di Pisenzana, documentato dal 905 come sede di chiesa plebana intitolata a Santa Maria Assunta [Eydoux 1978b; Gabiani e Gabotto 1907, doc. 44; Gabotto 1904, p. 60, doc. 27; Pittarello 1984, pp. 7-11; Romanello 1991, pp. 12 e 18]).
     Dopo l’istituzione dei vicariati foranei nella diocesi, avvenuta nel 1578, Cinaglio dipese dal curato e vicario foraneo di Camerano entro una giurisdizione comprendente, forse già a fine secolo XVI, San Paolo di Casasco, come fu riportato nel sinodo indetto nel 1627 dal vescovo Ottavio Broglia [Bosio, pp.524-25; Gentile 1934, p. 66].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nell’età della Controriforma, la chiesa di San Felice fu sottoposta alla visita apostolica del 1585 in quanto parrocchiale (ecclesiam parochialem), preposta alla cura delle anime del luogo, che erano calcolate in circa 300 comunicanti (ad communionem ascendunt ad numerum tercentum in circa). Di libera collazione dell’ordinario, la parrocchia, con rendite annue valutate in 32 scudi, era provvista di un rettore e, sia pure officiata raramente per la messa (in ea de raro missa celebretur), risultava tuttavia correttamente custodita (bene clausam) insieme con il contiguo cimitero ([c]oemeterium [...] eidem ecclesiae contiguum). Il visitatore la definì campestris, a dispetto della breve distanza che la separava dal concentrico, e ordinò una ornamentazione pittorica per l’altar maggiore (mandavit altare maius saltem picturi loco iconae ornari).
     Come per altre parrocchie astigiane sottoposte alla visita apostolica di quell’epoca, sia la canonica sia l’edificio di culto in cui risultava svolgersi di fatto la cura d’anime erano ubicati nel concentrico, anzi dentro il castello ([c]ura vero, que eidem ecclesiae imminet animarum, exercetur in oratorio S.ti Georgii, intra castrum ipsum). Qui l’oratorio di San Giorgio appariva adatto a sostituire l’antica parrocchia, in quanto solido e capiente (satis amplum et suis edificiis bene se habet). Tuttavia, il visitatore si limitò a decretare un ampliamento dell’arredo dell’oratorio e a constatare il mancato insegnamento della dottrina cristiana a causa dell’analfabetismo di tutta l’infanzia del luogo (non habentur pueri qui sciant legere). Dedicò particolare cura alla conservazione dell’eucaristia, impartendo l’ordine di istituire una Compagnia del Corpus Domini, che avrebbe dovuto essere preposta, tra l’altro, al trasporto del viatico agli infermi entro una circoscrizione parrocchiale malagevole e scoscesa (quia cura dictae ecclesiae se extendit per vias arduas).
     Di fatto, l’oratorio di San Giorgio, forse distrutto, insieme con il castrum, sullo scorcio del secolo XIV, non divenne parrocchia. Le rendite della chiesa di San Felice, calcolate, verso la metà del secolo XVIII in “giornate 40.50 beni immuni [ossia fiscalmente esenti] di reditto accomunate £350 annue, oltre £100 d’incerti” (considerate insufficienti per mantenere un vicecurato), furono invece assegnate in beneficio , durante l’età moderna, per un nuovo edificio, di forme barocche con facciata in mattoni a vista, la cui titolatura appare a tutt’oggi oscillante tra San Felice e i Santi Giorgio e Felice. Nel “borgo” di Montegrosso (aggregato, a partire dal secolo XX, al territorio comunale di Asti come “frazione”), si segnala la presenza della chiesa intitolata a San Carlo, oggi chiesa parrocchiale [A.C.V.A., Visite pastorali, Visita apostolica Peruzzi (1585), cc. 221v-23v; Relazione 1753, f.290v; Cinaglio 2004; Eydoux 1982, p. 70; 1983, p. 55].
     La chiesa antica di San Felice, peraltro, sembrò conservare e precisare nel corso del tempo una propria specificità cerimoniale e simbolica. Nel 1604 è attestato un rifacimento dell’edificio, nel quale fu eretta, nel 1665, una Compagnia del Rosario. In epoca più tarda, è rimarcato il ruolo centrale della chiesa come fulcro delle celebrazioni della festa del santo patrono, “col concorso”, secondo un osservatore dei primi decenni dell’Ottocento, “di circa duemila persone”. Verso la stessa epoca, la chiesa ospitava un altare dedicato a San Felice, oltre che un altare dedicato alla Vergine. Il notevole afflusso di fedeli al luogo di culto, insieme alla preseza di ex-voto e di altri indizi di un intenso utilizzo, suggeriscono una tendenziale specializzazione in santuario. Nel 1838, il visitatore vescovo Lobetti, constatando che l’edificio aveva bisogno di “riparazioni” (indiget reparationibus), decretava senza esitazione la pronta esecuzione dei lavori: “fieri mandantur”. In questa stessa aura devozionale, la storiografia locale ha volentieri ipotizzato l’esistenza di un luogo di culto anteriore all’anno 1000 (che si vorrebbe sotto l’egida del Monastero di Rocca delle Donne), in corrispondenza di un agiotoponimo evocante un’area antica e fertile, le “terre e vigne di San Felice” [A.C.V.A., Visite pastorali, Visita Lobetti (1835-39); Casalis 1839, p. 226; Eydoux 1982, pp. 69-70; Pittarello 1984, pp. 98-99; San Felice 2004].
     Mentre la documentazione disponibile tace circa l’eventuale fondazione di una Compagnia del Corpus Domini nell’oratorio di San Giorgio, sono attestate, nel corso dell’età moderna, le attività di tre asssociazioni devozionali, in aggiunta alla Compagnia del Rosario eretta in San Felice. Sebbene con tempi di costruzione lenti e con traslochi tra i diversi edifici di culto, si distinse innanzitutto la Confraternita di Sant’Antonio Abate, fondata nel 1575. Si trattava di una confraternita di disciplinati, con forti valenze di coesione comunitaria nella “insaccata” di colore bianco indossata dai confratelli e nell’avvio della costruzione di un “oratorio”, che, durante l’età moderna, accumulò un totale di tre altari fondati da famiglie del notabilato locale. Poco prima della metà del secolo XVIII, l’oratorio risultava sottoposto a una lenta opera di ricostruzione, in cui faceva spicco il coro, nonostante la lunga mancanza della prevista copertura a volta. E’ ipotizzabile che la ridedicazione della confraternita al titolo del Santissimo Sudario (un culto d’ispirazione sabauda) a fianco di quello di Sant’Antonio Abate desse un impulso decisivo alla ristrutturazione dell’oratorio. Si segnalarono inoltre, durante l’età moderna, una Confraternita di Sant’Antonio da Padova e una Compagnia della Dottrina Cristiana, entrambe presso la chiesa parrocchiale. Ciononostante, nelle inchieste dei funzionari sabaudi della metà del Settecento, non era segnalata né la presenza di “luoghi pii”, né, a differenza che in molte comunità astigiane, la fondazione di una Congregazione di carità [A.C.V.A., Stato dei beni e delle chiese della Diocesi di Asti (1742), tomo 6, Vicarie di Montechiaro, Bagnasco, Cunico, Piovà, fald. 55; Visite pastorali, Visita Migliavacca (1694), vol. 21, c. 104; Visita Lobetti (1835-39), f. 379v; Torre 1999, pp. 25, 135, 234; Relazione 1753, f. 91r].
     Benché situata entro il territorio di Camerano Casasco, va rilevata la presenza della chiesa, oggi “campestre”, di San Bartolomeo, costruita forse nel secolo XII in una zona boschiva dell’attuale località Madonna, entro un’area di confine lungamente incerto, e forse conteso. Dipendente dalla pieve di Montechiaro verso la metà del secolo XIV, la chiesa era stata forse sede di cura d’anime dell’abitato, oggi scomparso, di “Rio Croso” (Rivum Crosum). Suffragano questa ipotesi l’esistenza di un cimitero attiguo, attestato fino al 1669, e le preoccupazioni espresse dai visitatori episcopali nel corso del secolo XVII, che rilevarono le condizioni precarie dell’edificio (1628), il suo successivo restauro a spese dei signori di Camerano (1635), infine un nuovo incipiente abbandono (1663). Successivamente, la chiesa divenne dipendenza dapprima di Cinaglio, quindi di Camerano. Non è chiaro se le oltre 60 giornate di terre fiscalmente esenti, dipendenti verso la metà del secolo XVIII dalla Cappella di San Bartolomeo sul territorio di Villafranca d’Asti e “possedute” dai marchesi di Camerano, costituissero il patrimonio fondiario dello stesso beneficio. In età contemporanea, l’area circostante alla chiesa fu sito di un eccidio compiuto, nel 1944, “da forze partigiane a carico di civili fascisti” [A.C.V.A, Visite pastorali, Visite Broglia (1626, 1633, 1645); Visite Roero (1656, 1661); Visite Tomatis (1667, 1676); Bordone 1980b, p. 136 nota 16; Bosio 1894, p. 525; Eydoux 2004; Pittarello 1984, pp. 64-66; Relazione 1753, f. 220r; Renosio 1999].
Assetto Insediativo
Nelle inchieste condotte dai funzionari dello Stato sabaudo tra la fine del secolo XVII e il secondo decennio del successivo, il “Territorio” di Cinaglio, all’infuori del principale nucleo abitativo, o concentrico -- sviluppato in modo “non regolare” su un ampio crinale alla destra del rio Riale, affluente del Borbore --, era descritto come composto da “alcuni fuochi dispersi”, nonché dal “borgo allodiale” (cioè non infeudato) di Montegrosso, ai confini di Asti, che contava una ventina di “fuochi”, o nuclei familiari. Alcuni anni più tardi, verso la metà del secolo XVIII, una inchiesta dell’intendente di Asti accentuava l’immagine di accentramento insediativo: Cinaglio risultava “luogo”, che, “situato in collina”, era “unito e non diviso in borgate”.
     Non è chiaro, allo stato attuale delle conoscenze, come mutasse il rapporto tra assetto insediativo e l’evolversi del popolamento durante l’età moderna e quella contemporanea. Nella stessa inchiesta dell’intendente di Asti, Cinaglio risultava abitato da 157 “capi di casa”, o nuclei familiari, anche se aveva subìto una diminuzione di un centinaio di abitanti nel corso dell’anno precedente, a causa di “decessi”. A poco meno di un secolo di distanza, il censimento del 1839, registrando 176 nuclei familiari, sembrò confermare uno sviluppo demografico alquanto più contenuto rispetto a quello di altre località astigiane durante lo stesso arco di tempo. Appena dieci anni più tardi, tuttavia, nei dati di censimento del 1848, il numero di nuclei familiari ascendeva a ben 213, una cifra destinata ad aumentare ancora, sia pure di poco, fino agli inizi di quel processo di emigrazione permanente che cominciò a rendersi visibile dopo la prima Guerra mondiale. I dati del censimento del 1921 segnalarono infatti un primo calo nel numero di famiglie residenti (207) contestualmente alla emigrazione di circa 100 persone.
     Se il tendenziale spopolamento del luogo, accelerato nella seconda metà del secolo XX, non potè ancora dirsi arrestato alla fine del millennio, è interessate osservare come la fase di crescita precedente avesse modificato soprattutto l’assetto insediativo all’esterno del concentrico. Fu il censimento del 1881 il primo a segnalare (a prescindere dai dati di Montegrosso) come residente fuori del concentrico circa il 40 per cento degli abitanti, una proporzione che giunse a sfiorare la metà della popolazione nei dati del 1911. A partire dal 1931, dopo lo scorporo di Montegrosso, i dati di censimento cominciarono a elencare una rosa variabile di nuclei abitativi minori e distinti: San Sebastiano, Varisella e Rubaterra; sostituiti, nel 1951, da Cascina Sorelle, San Grato e da “case sparse”, oltre al centro di Cinaglio. L’articolazione territoriale attuale del Comune di Cinaglio sembra riflettersi in una pluralità di toponimi locali dotati di una qualche valenza amministrativa, tra cui: Casero, Madonna, Migliarine, Sorelle, Valancurone, Viavaggio [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 161, cc. 38r, 84; Bordone 1977b, p. 119; (citaz. De Canis); Informazioni 1839, p. 27; Istituto Centrale 1956; Ministero 1883 e successivi; Presidenza 1927 e successivi; Relazione 1753, f. 89v].
     Lo stesso concentrico di Cinaglio è comunemente considerato frutto di un processo di incastellamento di età medievale, che spostò un precedente nucleo abitativo, forse ubicato più a valle, dove, in località “Strada”, poteva collocarsi un tratto locale della strata romana che univa i due importanti centri di Hasta (Asti) e Industria (Monteu da Po) [A.S.T., Paesi, Paesi per A e per B, C, Mazzo 61, Pietro de' Bonifazi di Cinaglio vende ad Oberto de Mollino del medesimo luogo una pezza di sedime con edifici posto nella cerchia delle mura di Cinaglio pel prezzo di 3 fiorini d'oro e di 23 soldi astensi. (13 marzo 1374); Agnesina del fu Lorenzo Molino di Cinaglio fa quittanza ad Oppezzino Molino suo zio paterno, agente a nome dei fratelli di essa Agnesina di tutto ciò che le può spettare sull'eredità di suo padre, mediante l'assegnamento fattole di alcune possessioni per esserle costituite in dote nel matrimonio che sta per contrarre con Petrino Durando detto l'Acquabile del detto luogo di Cinaglio. (7 marzo 1423); Eydoux 1982, pp. 59-61; Torretti 1986].
     Grazie ai convincenti sforzi della recente storiografia locale disponiamo di ricostruzioni del percorso della strada romana, in particolare nel suo primo tratto astigiano, pur in assenza di studi sulla grande variabilità di direttrici e di flussi di traffico a partire dal medioevo. Per il territorio di Cinaglio, è stato persuasivamente argomentato che un percorso transitasse lungo la valle di San Michele, donde, per una tappa intermedia corrispondente a un secondo toponimo “strada”, proseguiva per Casasco (nell’attuale comune di Camerano Casasco), lungo un percorso di altura. Poco più avanti (sull’attuale territorio di Soglio) l’antico tracciato sarebbe ravvisabile nella contiguità di ben tre odonimi: Croce (attestato nel 1122 e con significato di crocevia), Sette Strade (incrocio o snodo di altrettante strade) e Bocchette (un valico tra il bacino del Rilate e quello del rio di Piea). Da qui a Industria il percorso, reso incerto dalla pluralità di possibili tracciati e dal loro variare nel corso del tempo (più ancora che dall’assenza di “toponimi significativi”, o di “resti dell’impianto stradale”, lamentata dalla storiografia locale), è plausibilmente considerato di “altura”, in direzione di Remorfengo (sul territorio di Montiglio Monferrato) e della valle di Marcellina, verso Cocconato [Eydoux 1978a, pp. 17-36; 1998, p. 4]. In effetti, l’ipotesi di una buona percorribilità stradale “in altura” sul territorio di Cinaglio sembra trovare conforto in alcuni sopralluoghi sette e ottocenteschi. Per esempio, l’intendente di Asti, in una “visita delle strade” di metà secolo XVIII, dichiarava:
 
non essere necessaria alcuna riparazione atorno alle medesime [...] così non vi è stato luogo a dar alcuna providenza attorno alle medesime,
 
una situazione di buona manutenzione tutt’altro che diffusa nell’area astigiana dell’epoca. A sua volta, un osservatore dell’eta della Restaurazione commentava favorevolmente la presenza di “[p]arecchie vie comunali, che di qua mettono ai paesi circonvicini [...] della lunghezza d’un miglio circa”, aggiungendo: “Le strade dei colli, che sorgono in questo territorio, sono tutte praticabili con vetture” [Relazione 1753, f. 91r; Casalis 1839, p. 226].
Luoghi Scomparsi
Sono stati considerati “relitti toponomastici”, indicanti presenze preromane, i toponimi “Montalbarche” e “Redne”, attestati nei secoli XVI e XVIII [Eydoux 1997; pp. 53 sgg.; 1998, pp. 3-4; Vergano 1942, doc. 159]. Il luogo di Pecedum, o Pecjedum, attestato verso la fine del secolo IX grazie a una serie di attestazioni di transazioni fondiarie, in particolare, un atto del 899 riguardante l’acquisto di beni fondiari ubicati in villa vel fine Peciedo da parte del vescovo astigiano Saturasio. E’ stato ipotizzato che la “villa” sorgesse sul braccio della collina che unisce Cinaglio a Settime, entro la parte superiore del bacino formato dal rio Valleandona e dai suoi affluenti. Una regione catastale dall’analogo toponimo è compresa nel catasto del 1751 come sede di beni fondiari allora appartenenti alla parocchia di Cinaglio [Eydoux 1982 pp.68sgg.; 1983, p. 55; Gabotto 1904, docc. 29, 31, 43]. La presenza, nello stesso catasto, dei toponimi “Castello” e “Castellazzo” ha dato adito all’ipotesi che il castello di Cinaglio (distrutto nel tardo secolo XIV) abbia avuto, in epoche imprecisate, due distinte ubicazioni [Eydoux 1982, p. 70].
Comunità, origine, funzionamento
Le attestazioni documentarie di una comunità formalmente organizzata sono sporadiche prima del tardo medioevo. Tra i luoghi enumerati dal cronista cittadino Ogerio Alfieri alla fine del secolo XIII e riferite all’anno 1190, Cinaglio non è compreso tra le ville veteres del dominato comunale astese esterno alle dirette dipendenze della città. Successivamente, non compare tra le villenove, né tra i loca nova, che entrarono a far parte del territorio comunale nel secolo XIII [Bordone 1980b, pp. 132-35; 139, nota 24; 175-77]. In età più tarda, i patti di dedizione del 1381 a Iacopo del Verme, capitano delle truppe conquistatrici di Gian Galeazzo Visconti, gettano luce su alcuni elementi dell’assetto politico formale del luogo in un’epoca di profondo rimaneggiamento della circoscrizione cittadina. Definito qui genericamente “villa”, Cinaglio appariva dotato di un proprio territorio, o “posse”, di cui però non erano specificate l’ampiezza territoriale e le prerogative giurisdizionali. Nella organizzazione politica formale della villa convergevano vuoi la communitas (o commune), vuoi la universitas, questa formata da homines sia stantes sia habitantes – privi di beni stabili -- per i quali era prevista una presenza non episodica (nunc et in futurum) (articoli 1-4).
     Il contenuto dei patti s’incentrava su tre punti principali: pacificazione sotto l’egida viscontea, con il disarmo permanente della villa e delle sue fortificazioni, ormai demolite (articoli 1, 2, 5-7); consolidamento dei vincoli statutari e giurisdizionali alla città di Asti nel rapporto di duplice subordinazione politica entro la rinnovata iurisidictio civitatis, o districtus della città, e alle sue magistrature sotto il dominio visconteo (articoli 3, 4, 9-11); istituzione di uno stringente vincolo fiscale, sia pure ammantato di una franchigia temporanea (per un periodo di cinque anni) dietro il versamento annuale di 40 fiorini d’oro (articolo 8).
     Sebbene interpretati talvolta dalla storiografia locale alla stregua di un“privilegio”, quasi si trattasse di una carta di franchigia, i patti del 1381 rispecchiano piuttosto i termini della incisiva riorganizzazione territoriale, giurisdizionale e fiscale operata sotto i Visconti, che riguardò, oltre a Cinaglio, importanti villenove e loca nova, tra cui Montechiaro, Chiusano e Castell’Alfero. Dal punto di vista fiscale, con i patti del 1381 Cinaglio fu sottoposta a tutto l’insieme di tributi e imposte cumulativamente prelevati nell’ambito della giurisdizione cittadina: “omnibus fodris, taleis, dacitis, gabellis et aliis quibuscumque” (art. 8). Il lunghissimo contenzioso che si accese e acuì tra le ville del distretto e la città a partire dagli anni Quaranta del secolo XV è tardivamente attestato dalla notizia di due sentenze a favore delle istanze di Cinaglio per ottenere sgravi fiscali a ridosso dell’incorporazione entro i domini sabaudi (27 aprile 1529 e aprile 1543).
     A partire dal 1560, le istanze di Cinaglio, appoggiate dal governatore di nomina sabauda ad Asti, sembrarono effettivamente promuovere i patti del 1381 a precedente giuridico di “privilegio”. Nel clima della convenzione, o “concordia” fiscale, del 1561 tra la città e le ville, Cinaglio ottenne una dichiarazione del duca Emanuele Filiberto, “colla quale fu proibito a qualunque esattore d’esigere alcuna benché minima somma oltre i quaranta fiorini summentovati” (9 maggio 1562), in seguito confermata con lettere patenti dal duca Emanuele Filiberto (6 dicembre 1581). Di fatto, il raggiunto scorporo fiscale di Cinaglio preluse direttamente alla piena autonomia amministrativa come comunità destinata a essere presto infeudata, insieme con Chiusano, entro il 1619. A secolo XVIII inoltrato, l’intendente di Asti lodava l’amministrazione della comunità infeudata: retta da un “ordinario Consiglio” formato di “tre soggetti”, essa si presentava con “[...] gl’affari di quel pubblico [...] bene manegiati; non vi sono né litti né contabilità verso il pubblico [...]” [A.C.C., Consegnamento generale delle arti e professioni e del bestiame per la levata del sale (1785); Atti di lite (secolo XVIII); A.S.C.A., Sez. III, 65°, fasc. 30, Convenzione del 1561; Sommario della causa della città d’Asti contro li signori e le ville del distretto e capitaneato infeudate (s.d., ma dopo il 1621); A.S.T., Corte, Paesi, Paesi, in genere e per province, Mazzo 40, Proposizione dell'Intendente di Asti acciò vengano autorizzate all'erogazione di fondi comunali in pagamento delle spese provinciali e del Tributo personale e mobiliare le comunità di Antignano, Cinaglio e Montechiaro. [cc. 4] (25 febbraio 1826); Paesi, Paesi per A e per B, C, Mazzo 61, Alienazione di Stabili del Comune di Cinaglio. (18 luglio 1828); Bordone 1977b, pp. 280-82 (citaz. G.S. De Canis); 1980b, pp. 153 e nota 73, 159-63 e nota 101; Relazione 1753, ff. 89v-90r].
Statuti
Non si hanno attestazioni di compilazioni statutarie locali. I patti di dedizione della comunità ai Visconti del 1381 prevedono (9° articolo) l’applicazione degli Statuti di Asti: Homines gubernantur et regantur secundum formam Capitulorum Civitatis Ast, sebbene non sia dichiarata l’applicabilità alla comunità dell’intero corpus degli statuti cittadini [Bordone 1977b, p. 281; Patti 1381; Rubrice 1534]. Statuto comunale 2002. Vedi testo.
Catasti
Il moltiplicarsi di ricerche storiche sulla fiscalità astigiana dei secoli XIV-XVI consentirà in futuro di ricostruire la storia della catastazione di Cinaglio [Bordone 1980b, pp. 148 sgg., 161 sgg.; Fissore 1971]. Allo stato attuale delle conoscenze, sono note sia la resistenza generale delle “ville” del distretto alle ipotesi di una nuova catastazione a partire dall’ultimo ventennio del secolo XV sia la crescita effettiva dell’imposizione fiscale gravante su di esse nello stesso periodo. [Bordone 1980b, p. 162].
     Durante l’età moderna, secondo i funzionari dello Stato sabaudo in una inchiesta condotta dai tra lo scorcio del secolo XVII e gli inizi del XVIIII, a Cinaglio iniziò “sin dall’anno 1624”, a ridosso dell’infeudazione ai conti Caissotti, la formazione di un nuovo catasto, che applicava i criteri definiti “a misura nova Camerale”, vale a dire “valutandosi il staro p[er] tav[ole] 12½”. Il “Territorio” era stato diviso “in quatro valbe a tenimenti”, con l’imponibile ripartito “a soldi di danari dodeci, danari di quatro parti, et il quarto si divide in mettà”. All’epoca della inchiesta, le nuove misure, estese anche al “Comercio”, erano considerate ormai entrate nell’uso “da memoria d’homo vivente”. Il “borgo” di Montegrosso appariva dotato, a partire dal 1664, di una catastazione a sé stante, “a valbe di tenimenti” in conformità con la “misura nova camerale”, ma “con circa la metà de’ beni [...] affetti al Cat[ast]ro d’Asti”
     In un successiva inchiesta su Cinaglio, condotta verso la metà del Settecento, l’intendente di Asti commentava: “Li libri di trasporto e di cadastri sono in pessimo stato ed essendo neccessaria una misura generale del territorio, a questa si è proceduto e presto sarà terminata nel modo e forma prescrita dalle instruzioni e de’ Reggi Ordini”. Era appena stato avviata, all’epoca, la redazione di un nuovo catasto come conseguenza della riforma della fiscalità terriera nota come Perequazione. Il risultato, Catastro della Comunità di Cinaglio, reca la data d’inizio della opera di redazione (1751). La documentazione catastale di Cinaglio oggi sopravvissuta è conservata in A.S.A. e in A.S.T. Vedi mappa. [A.S.T., Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato C. Mappe del catasto antico, Circondario di Asti, Mandamento di Montechiaro, Cinaglio, Mazzo 11, Mappa del territorio di Cinalio, 8 febbraio 1755 (Autore disegno originale: Giovanni Freria).] Vedi mappa.
     La documentazione storica conservata presso l’archivio comunale (che al 2004 è in attesa di riordino) comprende, in particolare, alcuni Quinternetti esattoriali relativi al secolo XVIII. Vi si aggiungono circa 13 fascicoli di Ruoli delle contribuzioni prediali per il periodo compreso tra il 1776 e il 1890, oltre alla serie (circa otto fascicoli) di Conti esattoriali per gli anni 1826-1890 [A.C.C.; A.S.A., Fondo catasti antichi (1501-1937); A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 161, cc. 38r, 41v; 84; Cassetti 1996, p. 73; Eydoux 1982 p. 70; Relazione 1753, f. 91r].
Ordinati
La serie storica dei volumi di Ordinati e delibere conservata presso il Comune di Cinaglio (il cui archivio storico è, al 2004, in attesa di riordino), in parte lacunosa, si compone di circa cinquanta fascicoli a partire dal 1635. La serie è integrata, a partire dal 1880, dai Causati e bilanci, costituiti da circa 32 fascicoli (con qualche lacuna) e dai Conti consuntivi, che si compongono di circa 80 fascicoli, a decorrere dal 1911 [A.C.C.].
Dipendenze nel Medioevo
Non abbondante, la documentazione tardo medievale sull’assetto politico di Cinaglio s’intensifica tra lo scorcio del secolo XII e gli inizi del XIII. Fu l’epoca in cui, mentre il vescovo di Asti esercitava la propria signoria tanto sui cives di Asti quanto sui milites dei castelli vescovili del circondario, il comune astigiano iniziava però ad assumere e a estendere gradualmente un controllo politico e militare sul territorio circostante la città. Uno dei modi più frequenti adottato dal comune fu l’aggregazione alla cittadinanza astese dei signori (domini) dei principali insediamenti del retroterra. In particolare, è ipotizzabile che a Cinaglio, dove pure il Capitolo della cattedrale deteneva la giurisdizione, o districtus, sugli uomini delle terre dipendenti, la presenza di possessi diretti del Capitolo stesso fosse relativamente più rada che non in altre località del circondario, quali Pisenzana, Montechiaro, o Camerano. La prima menzione di domini di Cinaglio è del 1190. Nel luglio 1198 il cittadinatico fu concesso a diversi domini di Cinaglio e di Casasco, forse membri di un unico gruppo parentale, oltre che di Camerano. Nel 1227, quindi nel 1246, diversi “uomini” di Cinaglio fecero dichiarazioni, o consegne, a un rappresentante del Capitolo della Cattedrale di beni sia della Chiesa di Asti sia allodiali situati nel territorio del luogo (in Cinalio et in eiusdem loci posse) [Cotto, Fissore, Gosetti e Rossanino 1986, docc. 65, 71; Eydoux 1983, pp. 55, 73; 1998, pp. 10-11; Gabotto e Gabiani 1907, pp. 286-87, doc. 330; Sella e Vayra 1880-87, docc. 776-78; Torretti 1996, p. 60; Vergano 1942, pp. 93-95, doc. 80 e doc. 168].
     Cinaglio figura tra i loca et villae appartenenti al posse et districtus astensis elencati negli statuti cittadini del 1379, ossia tra le località dipendenti dalla giurisdizione astese al momento della sua massima espansione territoriale, raggiunta verso la fine del secolo precedente. Gli stessi statuti istituivano in effetti una distinzione (formulata sullo scorcio del secolo XIII da cronisti municipali come Ogerio Alfieri e rimasta sostanzialmente alla base dell’assetto territoriale di un embrionale “stato” cittadino per tutta l’epoca della contea visconteo-orléanese, tra il 1379 e il 1531, e ancora valida nei primi tempi del governo sabaudo) tra le località che fanno direttamente parte del “dominio” del comune e i luoghi, spesso infeudati a cittadini astesi, sui quali la città esercitava una forma più indiretta di controllo politico. Nel 1386, Cinaglio fu incluso nella dote assegnata da Gian Galeazzo Visconti alla figlia Valentina, andata in sposa a Luigi di Valois, duca di Orléans [Bordone 1977b, p. 119; 1980b, pp. 149 e nota 56, 165; 1989, p. 286-90; 2003; Rubrice 1534, pp. 59-60; Sangiorgio 1975, pp. 280 sgg.].
Feudo
Verso la metà del secolo XII, diverse presenze signorili sembrarono caratterizzare l’area compresa tra Cinaglio, Camerano, Soglio e altri luoghi circostanti. Innanzitutto i signori de Casasco, di cui sono attestati, in particolare, i rapporti con i canonici del capitolo della cattedrale di Asti, a partire dal 1161; in secondo luogo, i signori de Playa, o di Riva e Piea, la cui capillare penetrazione locale sembra suffragata dalla presenza di un ramo de Casasco degli stessi signori de Playa. Cinaglio era stato una delle sedi dei possedimenti terrieri dei signori de Cursembrando, forse uno dei rami dei signori di Montiglio, tra i cui possessi si annoveravano probabilmente il dominio su due castelli dell’antico Cossombrato, nonché diritti su quelli di Chiusano, di Settime e, forse, beni fondiari a Corsione [Bordone 1976a, pp. 35-36; Eydoux 1982, p. 58; Molina 1993, p. 4]. Tra la fine del secolo XII e la fine del XIII, i signori di Casasco, discendenti di Manfredo e Raniero, sembrarono sviluppare un dominio che si diramava dal nucleo originario fino appunto a Cinaglio, Camerano e Piea [Bordone 1976a, pp. 74-75; Eydoux 1971, p. 74; Gabotto e Gabiani 1907, doc. 25; Sella e Vayra 1880-87, docc. 779-81]. Nel luglio 1198 furono ammessi al cittadinatico astese Ascherio e il fratello Giacomo di Cinaglio; Guglielmo di Cossombrato con il nipote Rainerio e il fratello Sismndo di Camerano; Ottino di Camerano, Obizzo e Gualofredo, fratelli, insieme a Ugo di Casasco e alle loro consorti; Uberto di Cortanze e i suoi eredi, salva la dispensa dal fare guerra per il comune di Asti quando vi fossero contrasti con i loro domini: (“salvis dominis eorum”), con esplicita esclusione del marchese del Monferrato. [Eydoux 1998, p. 12; 1998, pp. 10-11; Sella e Vayra 1880-87, docc. 776-79]. Verso la stessa epoca, erano possessori di terre e detentori di diritti in Cinaglio Camerano, Chiusano, Montechiaro, Villa San Secondo e Cossombrato anche i Comentina, signori di Settime [Gallo 1975, pp. 62, 118 sgg; Sella e Vayra docc.775, 769., 777, 778, 780; Torretti 1996. p. 60]. L’assenza di signori locali sancita dalla riorganizzazione territoriale e giurisdizionale dei Visconti sullo scorcio del secolo XIV fu, di fatto, la premessa per l’infeudazione del luogo operata dai Savoia durante l’età moderna [Patti 1381].
     Nel 1619, insieme con Chiusano, scorporato da Cossombrato e ceduto dal vescovo di Asti al duca di Savoia Carlo Emanuele I durante la prima Guerra del Monferrato (1613), Cinaglio fu infeudato a Giovanni Antonio Caissotti, discendente da una famiglia di notabili già attivi nell’area tra Ventimiglia, il Maro e Tenda, che aveva sposato Silvia Valperga dei conti di Rivara e ricevuto patenti di nobiltà dai Savoia nel 1590 (approvate per interinazione della Camera ducale soltanto nel 1614). A Cinaglio, secondo le inchieste settecentesche, la signoria dei Caissotti -- che, elevati a conti, risiedevano a Cuneo, perseguivano carriere nell’amministrazione sabauda e rinnovavano rapporti matrimoniali verso l’area rivierasca -- non comprendeva “in q[uest]o luogo [...] alcun fondo feudale” e neppure “alcun reddito” [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.161, cc. 38r; 84; Relazione 1753, f. 90r]. Peraltro il “borgo” di Montegrosso rimase estraneo alla infeudazione dei Caissotti, conservandosi “Borgo allodiale” fino alla incorporazione in Asti nel secolo XX [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 161, c. 41v]. Una breve parentesi nella lunghissima signoria sul nuovo feudo di Cinaglio (e su quello di Chiusano) si aprì soltanto tra il 1635 e il 1638, quando, temporaneamente avocato ai Caissotti, fu concesso per quel breve lasso di tempo a Francesco Villa, marchese di Cigliano, nel quadro di una permuta che comportava la cessione dei feudi di Prazzo, Ussolo e San Michele, mentre si realizzava l’unificazione, sotto la signoria dei Villa, dei vicini feudi di Camerano e Casasco. [Guasco 1911, vol. I, pp. 360-61; 423-24; vol. II, pp. 53 (581), 62 (590), 654-655 (126-127); vol. IV p. 1578 (522)].
Mutamenti di distrettuazione
Nel 1389 Cinaglio entrò formalmente, insieme con il Asti e il suo distretto, a far parte del patrimonio degli Orléans [Rubrice 1534; Sangiorgio 1975, pp. 280 sgg.]. Nel 1531, con l’investitura del Contado da parte dell’imperatore Carlo V alla cognata Beatrice di Portogallo, moglie del duca Carlo III di Savoia, i duchi di Savoia divennero conti di Asti. Lo stesso anno, con un diploma imperiale confermato nel 1562 dall’imperatore Ferdinando I, fu conferito ai duchi il vicariato imperiale sul Contado, con pieno esercizio di tutti i diritti regali, che nel 1555 erano stati estesi alle diocesi del dominio ducale. Verso quest’epoca, mentre Asti veniva eretta a provincia nella riorganizzazione del 1560 dei territori sabaudi da parte del duca Emanuele Filiberto, acquistò nuova attualità, entro il “corpo” del Contado astese, una distinzione, già presente nello strumento dotale di Valentina Visconti ma con ascendenti più antichi, tra la città di Asti con le ”terre” del suo distretto, tra cui Cinaglio; il Capitaneato dell’Astigiana (Capitaneatus Astesane), formato da “terre” esterne al distretto non infeudate, ma ora di immediato dominio ducale; quindi le “terre” infeudate; infine le “terre della chiesa d’Asti”, sulle quali la corte sabauda dichiarò talvolta di esercitare prerogative di “quasi possesso” fino alla cessione allo stato sabaudo nel 1784.
     Per quanto riguarda Cinaglio nei suoi rapporti con il resto della circoscrizione di cui faceva parte, è importante sottolineare le forti tensioni, in particolare, intorno all’aumento di pressione fiscale e ai tentativi di nuova catastazione nelle ville o “terre” del distretto a partire dallo scorcio del secolo XV. [A.S.C.A., Sez. III, 65°, fasc. 30, Convenzione del 1561; Sommario della causa della città d’Asti contro li signori e le ville del distretto e capitaneato infeudate (s.d., ma dopo il 1621); Bordone 1976a, pp. 38, 81; 1980b, pp. 148, nota 53, 149-53, 173-75; Graziano. 1984; Rubrice 1534; Sangiorgio 1975, pp. 280 sgg.; Savio 1934, pp. 220-24, 261, 265-99, 270, nota 6].
     La posizione della comunità di Cinaglio entro l’assetto delle province piemontesi si mantenne fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798). Entro la maglia amministrativa francese, Cinaglio seguì le sorti dell’intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di estensione variabile avente per capoluogo Asti. Si trattò dapprima del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, dopo il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1805, del dipartimento di Marengo, circondario (arrondissement) di Asti. Vedi mappa.
     Dopo la parentesi napoleonica, Cinaglio rientrò, nel 1814, a far parte della ricostituita provincia di Asti che, dopo ulteriori instabili riorganizzazioni mandamentali nel 1818, fu ridotta a circondario della divisione amministrativa, poi provincia di Alessandria nel 1859 [Cassetti 1996; Romano 1998, pp. 15-45; Sturani 1995; 2001]. Lo stesso circondario di Asti venne soppresso e aggregato a quello di Alessandria nel 1927 [Istituto Centrale 1927, p. 1], quindi staccato dalla provincia di Alessandria e aggregato alla nuova provincia di Asti formata nel 1935 [Gamba 2002; Istituto Centrale 1937, p. 8]. In anni recenti Cinaglio ha aderito alla Unione dei Comuni Comunità Collinare  "Val Rilate".
Mutamenti Territoriali
Nel 1929 fu distaccata da Cinaglio e aggregata al Comune di Asti la frazione Montegrosso (oggi denominata anche “Montegrosso Cinaglio”), con una superficie di ha. 50 e, all’epoca, una popolazione residente di 303 abitanti [Istituto Centrale 1930, p. 11]. Nel corso dell’età moderna, circa la “metà” dei beni fondiari del “Territorio” di Montegrosso erano risultati “affetti al Cat[ast]ro di Asti” [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n. 161, c. 41v; vd. anche scheda Asti].
Comunanze
Nelle inchieste dei funzionari statali di metà secolo XVIII, “boschi” e “gerbidi” (terreni incolti) coprivano non meno della “metà del [...] territorio”, ma con limitatissime possibilità di uso:
 
sì gl’uni che gl’altri sono situati in terreno tanto sterile che apena pono pululare e germogliare erbaggio di puoca bona qualità.
 
Di fatto, i boschi apparivano destinati in loco esclusivamente a “l’impalamento delle viti e per il giornagliere foccaggio degl’abitanti”. L’incolto era invece sfruttato:
 
per pascoli comuni de’ bestiami, essendo esclusa la speranza di poter riddurre a coltura li gerbidi poiché, oltre ad essere situati in siti alpestri e montuosi, il loro terreno è di sua natura sterile ed infecondo.
 
Nel 1990 il territorio risultava gravato da usi civici per una superficie di poco più di 10 ettari sia secondo i dati comunali sia nelle valutazioni del Commissariato per gli usi civici [C.U.C.; Fracchia 1982; Relazione 1753, ff. 89v-90r].
Liti Territoriali
Non si hanno attestazioni di contenzioso in materia di confini.
Fonti
A.C.C. (Archivio del Comune di Cinaglio) al 2004 in attesa di riordino.
 
A.C.V.A. (Archivio della Curia Vescovile di Asti), Visite Pastorali.
 
A.P.C. (Archivio Parrocchiale di Cinaglio).
 
A.S.A. (Archivio di Stato di Asti). Vedi inventario.
A.S.A., Fondo catasti antichi (1501-1937) [Cassetti 1996, p. 73].
A.S.A., Stato civile del dipartimento di Marengo, Comune di Cinaglio, [Cassetti 1996, p. 77].
 
A.S.C.A. (Archivio Storico del Comune di Asti). Vedi inventario.
A.S.C.A., Sez. III, 65°, fasc. 30, Convenzione del 1561 [Bordone 1980b].
A.S.C.A. Sommario della causa della città d’Asti contro li signori e le ville del distretto e capitaneato infeudate (s.d., ma dopo il 1621) [Bordone 1980b].
 
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino). Vedi inventario.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Dipartimenti, Mazzo 1, "DÉPARTEMENT / DE / MARENGO / Divise en 3 Arrondisemens / et en 31 Cantons." Carte dei dipartimenti della Dora (n.1), di Marengo (n. 2, 2 bis), del Po (n. 3), della Sesia (n. 4), delle Alpi Marittime (n. 5, 5 bis). Note : In alto: "N.° 101.", "ATLAS NATIONAL DE FRANCE", s.d., [Autore incisioni: P.A.F. Tardieu; autore edizione: P.G. Chanlaire]. Vedi mappa.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Po, Mazzo 1,"LE / COURS / DU PO / DEDIÉ AU ROY / Par son tres humble, tres obeissant / et tres fidele Serviteur et Sujet, le / P. PLACIDE Augustin Dechaussé, et / Geographe Ordinaire de sa Majesté". Carta Corografica in stampa del Corso del Fiume Po delineata e dedicata a S.M- Cristianissima dal P. Placido Agostiniano scalzo nel 1734. Sulla Scala di 1/253.600 (Note: La carta è formata da 5 fogli giustapposti. Il 1° reca l'indicazione "A PARIS 1704"; il 3° e il 4° sono datati 1703; sul 1° e sul 5° foglio è riportata la data di concessione del privilegio reale, rinnovato per 15 anni nel 1734. Cfr. anche Carte Topografiche Segrete, PO 29 E IV ROSSO, 1703-1734 (ma vd. Note) [Autore disegno originale: P. Placide; Autore incisioni: Berey; Autore edizione: "A PARIS / Chez les Augustins pres la Place des Victoires"]. Vedi mappa.
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S 3, Memoria, con cui si dimostra al Duca di Mantova quanto importi al suo interesse di Stato l’opporsi all’idea del Duca di Savoja d’impadronirsi delle Terre della Chiesa, e spezialm.e di Govone (agosto 1608), cc. 250r-55v.
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 7, Relazioni, e Memorie riguardanti li Confini Antichi tra il Monf.o ed il Piemonte (1574-1621), n. 14, Nota delle differenze de confini, che vertono tra diverse Terre del Monferrato, con quelle del Piemonte.
A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 20, n. 19, Descrizione delle Strade publiche del Monferrato coll’Indice di caduna Terra [s.d.].
A.S.T., Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, Mazzo 27, Montechiaro (Asti), 1297-1842.
A.S.T., Sezioni Riunite, Catasti, Catasto sabaudo, Allegato C. Mappe del catasto antico, Circondario di Asti, Mandamento di Montechiaro, Cinaglio, Mazzo 11, Mappa del territorio di Cinalio, 8 febbraio 1755 [Autore disegno originale: Giovanni Freria]. Vedi mappa.
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 1, n. 3, Stato delle liti, che hanno vertenti le Città, e Communità della Provincia d’Asti [cc. non num.te 1r-16v] (Intendente Granella, Asti, 16 ottobre 1717).
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 2, n. 1, Relazione, ed Informative dell’Intendente d’Asti con Stati della Coltura, e raccolto de’ beni, del personale, e bestiami di Cadun Territorio della Provincia (1747-1757).
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 2, n. 2, Rellazione dello Stato, e coltura de beni de Territorj delle Città, e Comm.tà della Provinc.a d’Asti (1747) [fasc. ril., cc. non num.te].
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, m. 2, n. 3, Regolamento, e Amministrazione delle Comunità. Notizie concernenti l’economico d’alcune terre d’essa Provincia, cioè Rocca d’arazzo, Coconato, Cocconito, Cortanze, Piea, Viale, Bagnasco, Montafia, Cortandone, Cinaglio, Montechiaro, Casasco, Cossambrato, e Camerano (1760).
A.S.T., Sezioni Riunite, I Archiviazione, Provincia di Asti, Mazzo 2, n. 16, Ricavo de Cantoni delle 12 Provincie del Piemonte non facienti corpo di Communità, cc. 41-54, Provincia d’Asti.
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Articolo 746, paragrafo 3, vol. 80, Titoli, Investiture e Proroghe Chiesa d’Asti (s.d., ma dopo 1738).
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Articolo 746, paragrafo 3, vol. 81, Notta, et Protocollus sive Volumen Instrumentor. et Investiturar. bonor. Rusticalium feudalium sequtan. sub Ill.mo et R.mo D. D. Octavio Brolia Ep. co Asten. et Comite et receptar. per … D. Jacobus Fran.cus Vignolas Notarium Collegiat. et Secretarium Ep.alem eiusd. Civitatis ab anno 1625 usque ad annum 1645 [vol. ril., cc. 1r-506v, + c. non num.ta con titolo al r., bianca al v.; sul dorso: “Mensa d’Asti Investiture feudali 1625 ad 1710”; contiene in testa “Indice” cc. non num.te].
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Articolo 794, Relazione, e descrizione di beni feudali in diversi Territorij delle provincie d’Alba, Asti, Mondovì, e Torino, fol. 3, Relazione, e descrizione de’ beni feudali esistenti sulli Territorij di Cossombrato, Cortanze, e Corveglia. Del reddito, e dritti appartenenti a questi feudi semoventi dalla Mensa Vescovile d’Asti, e posseduti dagli infrascritti Vassalli [Intendente Di Bonvicino, Asti 19 giugno 1784].
A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.1 (3), Nota Alfabetica d’ territori stati misurati coll’indicazione dell’annata nedlla quale seguì la misura. Stato de’ Tenimenti, che non fanno Corpo di Comunità, quali prima del Conto di Perequazione erano immuni, o sia non pagavano Tributo, ed in esecuzione d’esso Conto si sono sottoposti alla collettazione ed applicati alle infra nominate Comunità per la pura esazione del R.o Tributo a medesimi imposto, cc. 24r sgg. (s.d., ma dopo il 1731).
A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.73, Beni comuni ed immuni. Provincia di Asti (1721-22).
A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.161,Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali.
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, articolo 746, paragrafo 3, vol. 81, Mensa d’Asti. Investiture feudali 1625 ad 1710, Libri diversi Investiturarum bonorum feudalium, et Feudorum in hoc Volumine uniti ab anno 1625 ad 1710, Indice.
A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, articolo 746, paragrafo 3, vol. 81, Mensa d’Asti. Investiture feudali 1625 ad 1710, Libri diversi Investiturarum bonorum feudalium, et Feudorum in hoc Volumine uniti ab anno 1625 ad 1710, Notta, et Protocollus sive Volumen Instrumentor. et Investiturar. bonor. rusticalium feudalium sequtan. sub Ill.mo et R.mo D. D. Octavio Brolia Ep. co Asten. et Comite et receptar. per … D. Jacobus Fran.cus Vignolas Notarium Collegiat. et Secretarium Ep.alem eiusd. Civitatis ab anno 1625 usque ad annum 1645.
A.S.T., Sezioni Riunite, Patenti controllo finanze (1791).
 
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B.N.F. (Bibliothèque nationale de France). Vedi catalogo.
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C.U.C. (Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici, Torino).
 
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Descrizione Comune
Cinaglio
     Tre caratteristiche sembrano connotare la conformazione dell’attuale territorio di Cinaglio. Innanzitutto il tracciato dei confini comunali, delimitati dal percorso dell’alta Valleandona e solcati dal rio omonimo; in secondo luogo, la modificazione, relativamente recente, dei confini dovuta allo scorporo amministrativo del borgo, o frazione, di Montegrosso, aggregato ad Asti nel 1929; infine una vocazione agricola condizionata da vastissime estensioni sia di boscaglia sia di terreni “arenosi” tradizionalmente considerati “infruttiferi”. Sia pure in termini indiziari e nell’attesa di studi locali sistematici, questi elementi richiamano l’attenzione su particolari processi storici di lungo termine, che, affioranti dalla documentazione disponibile, possono forse gettare qualche luce sulla evoluzione del territorio comunale.
     E’ noto come, nel quadro della distrettuazione carolingia, il territorio odierno di Cinaglio appartenesse al comitato di Asti. Svanita definitivamente, intorno alla metà del secolo X, l’autorità pubblica del conte, si affermò progressivamente sul territorio del comitato, sia pure in forme non omogenee, l’egemonia politica del vescovo, favorita da vaste presenze patrimoniali e della concessione di pubblici poteri da parte degli imperatori. Tra i possessi assegnati e confermati alla chiesa d’Asti, dapprima nel diploma dell’imperatore Ottone del 969 al vescovo Rozone e successivamente nel diploma dell’imperatore Enrico III al vescovo Pietro del 1041, figura la silva de Andona, una foresta da localizzare in corrispondenza degli odierni idronimo e toponimo Valleandona, che, ancora nel secolo XI, si estendeva in gran parte inattaccata dal dissodamento. La selva de Andona appariva inoltre interessata dall’estensione, decretata dallo stesso diploma enriciano, del districtus del vescovo a un raggio di sette miglia intorno alla città, destinato a segnare i limiti del territorio più direttamente subordinato alla città di età comunale, al di là dei “borghi” suburbani [Bordone 1980, pp. 103-104, 129-30 e nota, 154, 160-61233-42, 255-28; M.G.H., vol. V, doc. 70].
     Il territorio di Cinaglio venne a trovarsi in tal modo compreso in quest’area, di profonda penetrazione giurisdizionale vescovile, ma anche, localmente, di disuguale radicamento patrimoniale. Se è documentata a Cinaglio una presenza di beni della Chiesa di Asti, in origine appartenenti ai canonici del Capitolo cattedrale, vi fu anche spazio per l’affermarsi di un intreccio di poteri signorili laici, sia pure relativamente deboli e incentrati su una rosa di luoghi circostanti. La documentazione locale tace sulle prime forme di dipendenza politica di Cinaglio dal regime comunale affermatosi ad Asti a partire dalla seconda metà del secolo XII., quando altre località vicine, insieme con i loro domini, consolidarono rapporti di alleanza militare con la città, all’epoca in cui la questa era guerra con l’imperatore Federico I. Cinaglio compare invece nella documentazione, di alcuni decenni successiva, attestante un più deciso rafforzamento dei legami con la città. Nel 1198, ora in occasione del lungo conflitto in cui si misurarono le contrapposte mire espansionistiche di Asti e dei Marchesi di Monferrato, i signori locali sottoscrissero il contratto di cittadinanza, impegnandosi al pagamento del fodro (straordinario) e a prestare, ogniqualvolta ne fosse richiesto, assistenza militare alla città [Cotto, Fissore, Gosetti e Rossanino 1986, docc. 65, 71; Eydoux 1983, pp. 55, 73; 1998, pp. 10-11; Gabotto e Gabiani 1907, pp. 286-87, doc. 330; Sella e Vayra 1880-87, docc. 776-78; Torretti 1996, p. 60; Vergano 1942, pp. 93-95, doc. 80 e doc. 168]. 
     Come risultato di tale progressiva subordinazione politica, Cinaglio figurò tra i loca et ville appartenenti al posse et districtus astensis elencati negli statuti cittadini del 1379, ossia tra le località direttamente dipendenti dalla giurisdizione astese al momento della sua massima espansione territoriale, raggiunto verso la fine del secolo precedente. Una più stretta subordinazione giurisdizionale e fiscale di Cinaglio alla città (insieme allo smantellamento delle opere difensive di carattere militare che avevano cartterizzato il concentrico del luogo) fu ribadita specificamente -- a partire dal pagamento di un fodro annuale -- dai patti di dedizione imposti nel 1381 dalle autorità viscontee. Tra il periodo visconteo-orléanese e l’incipente dominazione sabauda, le importanti iniziative di riforma della fiscalità operate entro il dominato astese non sono ancora state analizzate in dettaglio sotto il profilo delle modalità di imposizione, di esazione e delle reazioni locali da queste suscitate[Bordone 1977a; Patti 1381; Rubrice 1534].
     La storiografia esistente segnala tuttavia, soprattutto a partire dalla metà circa del secolo XV, il succedersi di contenziosi di lunghissimo termine incentrati sul rapporto tra il peso crescente delle esazioni cittadine e la loro ripartizione, tendenzialmente sperequata, sui beni fondiari registrati nei catasti delle ville, dove gli sgravi fiscali rivendicati dai cives di Asti, possessori di beni iscritti al catasto cittadino, tendeva ad estendersi anche ai loro dipendenti e massari nelle ville, accrescendo così le quote d’imposta gravanti sui proprietari locali. Si può ipotizzare che l’opposizione alle ipotesi di formazione di nuovi catasti per la città e il suo distretto, a partire dai decreti di Maria d’Orléans e di Luigi XII sullo scorcio del secolo XV, vertesse, in particolare, sul conflitto tra la natura “personale” delle esenzioni godute di fatto dai possessori cittadini nelle ville, e la natura “reale” dei nuovi criteri di catastazione, che avrebbero viceversa vincolato i possessori locali a rigorosi criteri di registrazione dei beni distinti per estensione e destinazione colturale: “cum situ et coherenciis suis omnes et singule ipsorum [...] domus, vinee et possessiones, terre culte et inculte etc”. E’ probabile, altresì, che l’aspro contenzioso giudiziario attestato per una villa quale Cinaglio intorno alla catastazione e alle imposizioni fiscali durante il secolo XVI fosse sorretto da un’amministrazione locale che vedeva ridursi i proventi necessari alla conservazione di una qualche autonomia finanziaria effettiva da parte della comunità [Patti 1381; Bordone 1977a, pp. 159-63 e nota 101].
     Il quadro che stiamo tracciando del tratto di Valleandona comprendente Cinaglio prescinde del tutto dalla risorsa eventualmente offerta dai percorsi stradali e dai transiti di merci e di armati che forse presiedettero all’emergere del luogo stesso in epoca romana, per essere riattivati nel medioevo e durante la prima età moderna, ma con tempi e con modalità che non sono attualmente conosciuti. E’ ipotizzabile, per esempio, che, ai confini di Cinaglio, i rapporti diretti consolidati dai signori di Camerano e di Casasco con l’Impero durante una parte dell’età moderna avessero l’effetto di rivitalizzare, almeno in certi periodi, una trama di percorsi dell’antico sistema viario, nel quadro di una complessa situazione giurisdizionale. E’ possibile che Cinaglio abbia potuto costituire, in questo senso, un fulcro locale di snodo verso tappe di percorsi a giurisdizione imperiale (nonché ecclesiastica), nel quadro di una più ampia area di collegamenti discontinui non solo incentrati su Asti, ma anche tra il basso e l’alto Monferrato: un’area, come scriveva un consigliere del duca di Mantova e Monferrato, di “terre libere”, per le quali “V[ostra] A[ltezza] può andare sino alla Riviera senza toccare del statto di savoia” [A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Confini, S3; A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Materie economiche ed altre, Mazzo 7, n. 14].
     Di fatto, gli spunti offerti dalla documentazione a partire dalla prima età moderna, dall’epoca dell’infeudazione di Cinaglio, insieme a Chiusano, alla famiglia Caissotti nel secondo decennio del Seicento, portano l’impronta, diretta o indiretta, di un rapporto quanto mai sofferto tra la popolazione locale e l’uso delle risorse fondiarie. Non è escluso che l’infeudazione a signori assenteisti e privi di cespiti locali fosse accolta, per così dire, con sollievo dalla comunità di Cinaglio, che potè forse vedersi sollevata dalla diretta soggezione fiscale alla città di Asti. Un indizio in questo senso è purtuttavia il contrasto tra la perdurante fragilità amministrativa ed economica di Cinaglio e l’organizzazione apparentemente più salda che Chiusano seppe costruire sulla propria precedente condizione di locus novus, più svincolato dai poteri e dalle imposizioni della città.
     A Cinaglio la situazione di stallo virtuale di precisi criteri di catastazione, pure impostati agli inizi del Seicento, non potè dirsi risolta entro l’età moderna. Sotto la patina di un’amministrazione formalmente corretta agli occhi dagli intendenti, le finanze comunali sembravano reggersi, a un esame più attento, su bilanci precari, con cespiti incerti in entrata e voci d’uscita in natura. Così troviamo, per esempio, in un dettaglio settecentesco dell’uso dei beni di proprietà comunale, l’assegnazione di circa 55 giornate di terra “in regione al Castello”, che “la Comm[uni]tà lascia golder dal messo [comunale] p[er] suo stipendio”. Un cespite comunitativo è fornito da circa 15 giornate di “boscho di castagno, rovere et altre sorti”, che “si vendono all’incanto di dieci in dieci anni livre quaranta cad[una] g[iorna]ta e s’impongono [...] cadun decennio p[er] sgravio del registro”. Per altri appezzamenti, già privati e abbandonati, “la Comm[uni]tà è astretta buonificar agli Esatori pro tempore il registro”. Circa 39 giornate “sono gerbide e servono p[er] il pascolo a benefficio comune. Era assente, a secolo XVIII inoltrato, una “misura generale del territorio”. Sia pure a distanza di molto tempo, la cessione ad Asti del borgo di Montegrosso, appartenente in buona parte a proprietari cittadini, non dovette apparire al Comune di Cinaglio un grave sacrificio territoriale [A.S.T., Sezioni Riunite, II Archiviazione, Capo 21, n.73,c 103r-v].
     Ancora in contrapposizione a Chiusano, la situazione agricola di Cinaglio appariva poco meno che sconsolante agli osservatori dell’età moderna. Verso la metà del secolo XVIII, l’intendente di Asti raccomandava come unico possibile rimedio la bachicoltura [Relazione 1753]:
 
Quasi d’infima qualità è il terreno di questo territorio e, non ostante che gli Agricoltori s’industrino a ben coltivarlo, non puono ricavare da esso il necessario loro sostentamento che li mancha quasi la metà dell’anno, parlando delle granaglie, e per suplirvi sogliono vendere il vino che sovrabbonda al loro uso e col prezzo d’esso farne acquisto in parte e l’altra parte a procaciarsella colle opere manuali che prestano a beneficio de’ particolari circonvicini e, stante che il terreno è di sua natura arenoso, non vi è altro mezzo per renderlo di miglior condizione se non quello d’accrescere maggiori piante di moricelli ai beni esistenti in alcuni siti delle valli, il di cui terreno solamente si è riconosciuto abile per il loro germoglio.Qui non vi sono né fiere né mercati né comercio e, stante la povertà degl’abitanti, non vi è luogo ad introdurvene; non vi sono altresì né fiumi né torrenti né miniere.
 
Alla base del problema, le quasi cinquecento giornate di “boscaglie” e le 400 di “gerbidi infruttiferi” che si stimava formassero circa i due terzi del territorio. Soltanto ulteriori studi locali potranno precisare l’evoluzione capillare degli usi del suolo in una vicenda storica che pure annoverò, nel secolo XIX, una ulteriore espansione della viticoltura (per un osservatore ottocentesco: “[L]a posizione ed il territorio sono adattissimi per le viti”), nonché una temporanea ma decisa espanzione demografica su terre marginali e in nuclei demici decentrati [Bordone 1977b, p. 119 (citaz. G.S. De Canis)].