Livorno Ferraris

AutoriDel Bo, Beatrice
Anno Compilazione2009
Provincia
Vercelli
Area storica
Contado di Vercelli. Vedi mappa.
Abitanti
4.320 (ISTAT 2001); 4428 (Comune 2010)
Estensione
58,11 Km2
Confini
A nord-est Bianzè;  a sud-est Trino  e Fontanetto Po; a sud Crescentino  e Lamporo;  a sud-ovest Saluggia;  a ovest Cigliano;  a nord-ovest Moncrivello.
Frazioni
San Giacomo; Gerbidi; Garavoglie; Castell’Apertole; Colombara. Località: Mariette, Madonna di Loreto, Mandria.
Toponimo storico
Leburno, Levurni, Liburnum, Liberuno, Liborni, Liburinum, Liberonis, Liberone. Denominata inizialmente Livorno Vercellese, dal 1863 la località si chiamò Livorno Piemonte e assunse il predicato Ferraris dal 1924.
Diocesi
Vercelli sino al 1474, quando entrò a far parte della nuova diocesi di Casale. Nel 1805 il vicariato di Livorno fu riaggregato alla diocesi di Vercelli.
Pieve
Livorno fu sede di pieve, intitolata a San Lorenzo, sin dall’VIII-IX sec. (Ferraris, Le chiese “stazionali”, p. 101; altra attestazione ivi, p. 251; cfr. anche Panero, Primo elenco di insediamenti umani, p. 17). Nel privilegio di papa Urbano III concesso alla Chiesa di Vercelli nel 1187 si menziona la pieve di Livorno (Panero, Una signoria vescovile, p. 156). La chiesa di San Lorenzo, sita nei pressi del fossato (Le carte del monastero, doc. 12, pp. 18-20, a p. 18, 1208 agosto 29), compare come plebs sive prepositura nell’elenco delle decime del 1298-1299 (ARMO, I, p. 34); nel 1319 la collegiata fu visitata da Eusebio di Tronzano (Orsenigo, Vercelli sacra, p. 281). Nell’elenco delle decime riscosse dal vescovo di Vercelli nel 1348 si menziona la prepositura di Livorno e tre dei suoi canonici (ARMO, I, p. 101; ulteriore menzione nell’elenco delle decime del 1440, “con canonici e cappellani”: ARMO, I, p. 226; Orsenigo, Vercelli sacra, p. 403). Dalla prevostura di Livorno dipendevano le chiese di Borgo d’Ale, di Santa Maria di Desana e di Saluggia (Orsenigo, Vercelli sacra, p. 282). La parrocchiale fu riedificata a partire dal 1694; la sua costruzione fu interrotta e ripresa nel 1728; la chiesa venne ultimata e consacrata nel 1778 (Orsenigo, Vercelli sacra, p. 282). La torre campanaria, tuttavia, risale al XV secolo (Destefanis, Strutture fortificate, p. 616).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Oltre alla pieve di San Lorenzo, nel territorio di Livorno sono attestati altri enti ecclesiastici e religiosi. Nell’elenco delle decime raccolte dal vescovo di Vercelli tra il 1298 e il 1299 si menzionano la prevostura (San Lorenzo), la chiesa di Sant’Andrea, sottoposta all’abbazia, di San Genuario, la chiesa di Santa Maria di Isana, appartenente all’ordine templare, la chiesa di Sant’Emiliano, la chiesa di San Pietro de Vachulo, la chiesa de Burgeto e l’ospedale di San Giovanni (ARMO, I, p. 34).
La chiesa di Sant’Andrea compare per la prima volta in un privilegio di papa Eugenio III del 18 maggio 1151, nel quale la si menziona “cum pertinenciis suis” fra le dipendenze del monastero di San Genuario di Lucedio (Kehr, Papsturkunden in Turin, pp. 98-99, n. 12; cfr. anche L’abbazia di San Genuario, doc. 2, pp. 57-59). Essa fu inclusa nella cinta del cimitero, quando il borgo ottenne l’affrancamento (Ferraris, Borghi e borghi franchi, p. 156). L’edificio sorgeva sul sito di un’antica cella monastica, come attesta il microtoponimo “in finibus Liburni, loco dicto ad Sanctum Andream seu ad Cellam […] loco dicto in Lacella […] loco dicto in Cella sive ad Sanctum Andream”, ancora attestato nel XV secolo (L’abbazia di San Genuario, doc. 92, pp. 407-422, alle pp. 413, 415 e 420, 1446 gennaio 28; Ferraris, Borghi e borghi franchi, p. 156). Negli elenchi delle decime della Chiesa vercellese del 1298-1299 e del 1440 essa viene indicata tra le dipendenze dell’abbazia di San Genuario (“ecclesia Sancti Andre eque subest abbati Sancti Ianuarii”: ARMO, I, pp. 34 e 226). La chiesa fu in buona parte riedificata nel XVIIII secolo (Capellino, La chiesa di Sant’Andrea). Nei pressi dell’edificio, “ove esiste il vecchio cimiterio”, fu edificato il nuovo cimitero, sulla base del progetto presentato nel 1794 (ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 51); il cimitero fu ampliato nel 1831 (ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 48).
Appena fuori dall’abitato, almeno dal 1208, risulta documentata una fondazione templare (“mansio Templi”), nei pressi del “fossatum ville”, confinante con alcune possessioni del monastero di Rocca delle Donne (Le carte del monastero, doc. 12, pp. 18-20, a p. 18, 1208 agosto 29). Essa è identificabile con la «domus Sancte Marie de Ysana» che in un atto del 1222 compare tra le case del Tempio affidate alla tutela di frate Giacomo de Mellacio, precettore della mansio vercellese di San Giacomo d’Albareto. Come accennato, la domus viene annotata nell’elenco delle decime della Chiesa vercellese redatto fra il 1298 e il 1299 (ARMO, I, p. 34: “Ecclesia Sancte Marie de Exana et subest ordini milicie Templi”). Menzionata ancora il 29 gennaio 1310 (Giuliano, Santa Maria d’Isana, pp. 41 e 77, nota 131), essa compare nell’elenco delle decime del 1440 (ARMO, I, p. 226). Tuttavia, la mansio de Liburno con la soppressione dell’Ordine del Tempio, nel 1312, dovette essere assegnata ai Gerosolimitani (Avonto, Presenza gerosolimitana, pp. 119-120; Id., I Templari, pp. 151-152) ed entrò a far parte della commenda di Verolengo, da cui dipendeva ancora nel XVIII secolo (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 44; Spegis, Presenza gerosolimitana, p. 16). Santa Maria di Isana fu incorporata nella diocesi di Vercelli nel 1817 (Tosco, Architetture dei Templari in Piemonte, p. 62; Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 143).
Nel 1145 è documentato il priorato dei canonici regolari agostiniani di Sant’Emiliano, dipendente dai canonici di Sant’Egidio di Verrés, situato sulla strada verso Cigliano, a circa un miglio dall’abitato (Ferraris, Le chiese “stazionali”, p. 251, n. 499; cfr. Frutaz, Le fonti, pp. 228-230 e 232-234), che compare ancora in un privilegio di Innocenzo III del 12 maggio 1208 (Frutaz, Le fonti, p. 251; per la datazione del privilegio cfr. Capellino, Notizie per la storia della parrocchia, pp. 114-115). La chiesa è attestata negli elenchi delle decime del 1298 e del 1440 (ARMO, I, pp. 34 e 226). La canonica vantava un saldo rapporto con le istituzioni municipali di Vercelli, tanto che i canonici furono chiamati a rappresentare in più occasioni il Comune (Capellino, Notizie per la storia della parrocchia, pp. 140-143). Nel 1787 gli edifici del priorato necessitavano di riparazioni (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 74, nota 113), che probabilmente non furono eseguite, giacché l’ente è menzionato per l’ultima volta nella visita pastorale di Alessandro d’Angennes del 1835 (“capella antichissima di Sant’Emiliano, situata in mezzo ai campi verso Cigliano, alla distanza dal recinto di un miglio circa”: ACAV, Visite Pastorali, vol. 5, f. 36v, 24 ottobre 1835; Capellino, Notizie della parrocchia, p. 115) e a oggi risulta scomparso.
Dal XIII secolo è documentata anche la chiesa di San Pietro de vachulo (ARMO, I, p. 34, 1298-1299) o de Baculo, menzionata anche nell’elenco delle decime del 1348 (de vacullo), officiata dal chierico Enrico de Vescho (ARMO, I, p. 101), e ancora attestata nel secolo successivo (ACV, Armadio G, cart. 66/bis, Decime Papali, 1420 e 1432; ARMO, I, pp. 34, 101 e 226; Le chiese “stazionali”, pp. 28, 34, 150 e 266; Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 73, nota 104, per altre attestazioni quattrocentesche). Non è stata identificata l’area nella quale sorgeva; si ritiene che la costruzione sia scomparsa nel corso del XVI secolo.
Negli elenchi delle decime del 1298-1299 e del 1440 compaiono anche una chiesa de Burgeto (ARMO, I, pp. 34 e 226), ubicata probabilmente in località Borghetto (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 73, nota 106), e la domus hospitalis di San Giovanni (ARMO, I, pp. 34 e 226), nei pressi della frazione Colombara, incorporata, in seguito, nella Commenda di San Giovanni Battista di Verolengo e ora scomparsa (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 71, nota 100; Spegis, Presenza gerosolimitana).
Nel corso dei secoli XVI e XVII si moltiplicarono gli edifici religiosi, anche in virtù del diffuso spirito assistenziale e dell’azione delle confraternite locali. Nel 1586 fu ultimata la costruzione dell’ospedale della confraternita della Misericordia (Gauzolino, Storia antica, p. 75; Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 52). La confraternita possedeva anche la chiesa dell’Addolorata e di San Giovanni Decollato aperta nel 1608 (Orsenigo, Vercelli sacra, p. 283). La costruzione del convento agostiniano di Santa Maria delle Grazie, deliberata nel 1590, iniziò nel 1591 e terminò con la consacrazione del vescovo di Casale Giulio del Carretto il 13 dicembre 1611 (Giuliano, Santa Maria d’Isana, pp. 55, 82-83, nota 171; Orsenigo, Vercelli sacra, p. 283). Nel mese di maggio del 1571, il vescovo di Casale consacrò la nuova chiesa dedicata a San Giovanni Battista, presso la Colombara, erigendola in parrocchia e separandola dalla parrocchiale di San Lorenzo (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 50; Gauzolino, Storia antica, pp. 57-58). In un ricco resoconto del 19 settembre 1624 relativo all’area delle Apertole, al punto nove si relaziona che “più che fra dette cassine e in dette fila d’esse v’è chiesa parrocchiale eretta a loro benefficio sotto titolo San Giovanni con campanile, campana, battisterio, sepolture e altre cose pertinenti a cure d’anime e vi risiede un curato che celebra la messa e amministra i sacramenti a cassinari, la quale chiesa là avanti di sé e sopra le Avertole una cruce fatta d’un longo et grosso trave da detti cassinari” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9). Prima dello smarrimento del documento (Inventario, p. 22), presso l’Archivio storico del Comune di Livorno si conservava il progetto della nuova chiesa della Colombara (non datato). La parrocchiale della Colombara è rappresentata nel catasto del 1880 (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 5 bis).
Nel XVII secolo furono altresì fondati il convento dei Cappuccini (1623), dove nel 1842 fu aperto l’ospedale, il romitorio di Loreto (1625), lo stesso, forse, indicato nel catasto del 1880 come Madonna di Loreto e “chiesa privata di Santa Maria dell’Oreto” (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 14), e cinque anni più tardi (1630) la chiesa di San Rocco, costruita forse dove sorgeva un oratorio precedente (Orsenigo, Vercelli sacra, p. 283). Si tratta della cappella comunitativa di San Rocco, circondata da “siti incolti”, ubicata nei pressi della chiesa di Sant’Andrea. Nel 1794, San Rocco fu annoverata tra i siti nei quali si proponeva la costruzione del nuovo cimitero, appena fuori dall’abitato fra la strada tendente a Torino e la strada di Crescentino (ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 51, 1794, con sezione e disegni). La chiesa non è da identificarsi con la parrocchiale costruita nel XVIII secolo (Cfr. oltre).
Nella visita pastorale del 1586 si menzionano inoltre l’oratorio dei Disciplinati, l’oratorio degli Angeli (Santissima Trinità) e l’oratorio degli Apostoli (Capellino, Notizie per la storia della parrocchia, pp. 118-119). La compagnia della Trinità, a seguito di una supplica, ottenne nel 1588 la concessione di una torre nell’abitato di Livorno “per includerla nella fabbrica che intendeva fare” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Materie ecclesiastiche, mazzo 5, 1588 marzo 29).
Nel già citato resoconto del 19 settembre 1624 relativo all’area delle Apertole, al punto cinque si indica che “sul margine d’esso fosso v’è la chiesa di Santo Deffendente con campanile e campana e con la facciata verso le Avertole e vi si celebra la santa messa a commodo d’essi cassinari” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9). La chiesa si trovava nell’area della cascina San Defendente, nei pressi della cascina Fracassa (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 8).
Nel corso del XVIII secolo furono erette due nuove parrocchiali. Nel 1731 fu costruita una nuova parrocchiale intitolata a San Rocco nella località di Castell’Apertole, che fu oggetto di rivendicazioni inerenti alla nomina del parroco da parte dei vescovi di Casale e di Vercelli (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 9; dal 1803 la chiesa fu assegnata alla diocesi di Vercelli: Caligaris, Le Apertole, p. 106).
Nel 1742 gli abitanti della località San Giacomo presentarono una supplica al vescovo di Casale per ottenere che l’esistente chiesa dedicata a San Giacomo fosse anch’essa eretta in parrocchiale, in virtù della distanza delle loro case dalla parrocchiale di San Lorenzo (circa due miglia). L’anno seguente il vescovo provvide a smembrare la chiesa di San Giacomo da San Lorenzo e a erigerla in parrocchiale (Orsenigo, Vercelli sacra, pp. 294-295). La cappella battesimale della nuova parrocchiale, attestata nel catasto del 1880 (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 11), fu oggetto di lavori di ripristino nel 1909 (ASCLF, Archivio storico, parte II, categoria VII, mazzo 327).
Nel catasto del 1880 compaiono alcuni edifici religiosi dei quali non si hanno attestazioni precedenti e dei quali non si conosce la data certa di edificazione: nel foglio 3 la chiesa campestre intitolata a San Bernardo appena fuori dell’abitato, sul confine con Bianzè (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, Indice; ASTo, Catasti, Livorno Vercellese, alleg. A, pf. 239; cfr. anche Orsenigo, Vercelli Sacra, p. 283). Nella località Mariette esisteva una chiesa campestre intitolata a Santa Margherita (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 14). Nel catasto francese, nel quadro di sintesi, vi è indicata la chiesa di San Cristoforo, sulla strada detta “Navello” (ASTo, Catasti, Livorno Vercellese, alleg. A, pf. 239). Nella frazione Gerbidi è testimoniata la chiesa di San Michele Arcangelo (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 13; Orsenigo, Vercelli sacra, p. 283) e nella frazione Garavoglie la chiesa di San Bartolomeo Apostolo (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, foglio 17 e Orsenigo, Vercelli sacra, p. 283).
Le confraternite attestate nel 1898 risultano essere quella di San Francesco, quella dei Santi Apostoli, quella della Misericordia e quella della Trinità, quest’ultima con il patrimonio più consistente (ASCLF, Archivio storico, parte II, categoria VII).
Assetto Insediativo
Lo sviluppo dell’habitat di Livorno risale all’età antica, come confermato dagli scavi archeologici, condotti in anni recenti, che hanno portato alla luce una vasta necropoli di età romana, sita in prossimità dell’abitato (cfr. Ambrosini, Livorno Ferraris). Situato su un asse viario importante, lungo la strada che collegava Vercelli a Torino, il borgo non conobbe fasi di abbandono. In virtù dell’affrancamento ottenuto dalla località nel 1254 dal Comune di Vercelli (Panero, Comuni e borghi franchi, pp. 49n, 94n), con ogni probabilità, fu interessato da un flusso migratorio che ne innalzò i livelli demici. Fra XIII e XIV secolo l’abitato, all’interno del quale è attestato un edificio fortificato definito castrum (con riferimento al XVI secolo, ma preesistente: Destefanis, Strutture fortificate, p. 604), era cinto da un duplice fossato e da mura, nella quali si aprivano porte turrite. Lo scavo dei fossati e la fortificazione del borgo è databile agli anni immediatamente successivi alla conquista del borgo da parte di Teodoro I di Monferrato avvenuta nel 1314; l’iniziativa di fortificazione fu condotta nell’ambito della campagna promossa dal Porfirogenito di consolidamento territoriale, in particolare delle aree di confine (Lusso, La presa di possesso del territorio, pp. 91-94; sulla costruzione dei fossati cfr. Settia, “Sont inobediens et refusent servir”, pp. 97 sgg.); due di queste porte furono demolite nel 1842 (ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 340, fascicolo 75, Piano corografico; Cfr. Destefanis, Strutture fortificate, pp. 598-599, 604, 614 e 616). Tra la fine del XIV e il primo decennio del XV secolo, durante la fase più critica dell’età medievale sotto il profilo demografico, sulla base dei riparti e per la taglia (1388) e per il sussidio (1412) imposti alle terre monferrine, Livorno doveva contare circa mille abitanti (Del Bo, Uomini e strutture, pp. 49-50; ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi, m. 12, 1412 dicembre 22). Nel 1471, con ogni probabilità, Livorno fu colpita da un’epidemia di peste, che determinò un temporaneo abbassamento del livello demografico (Comba, La popolazione in Piemonte, p. 63). Le iniziative assistenziali con fondazioni di ospedali per i poveri rilevate nel corso del secolo successivo lasciano intendere che tra la popolazione gli indigenti fossero numerosi (Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 52). Sullo scorcio del Cinquecento la località doveva risultare discretamente popolosa, stando alla definizione di Michel de Montaigne che vi soggiornò nell’inverno del 1581. A proposito di Livorno, nel suo diario il viaggiatore scrisse che si trattava di un “petit village assez garni de maisons”, notizia alla quale il curatore della settecentesca edizione italiana M. Bartoli commentava che “adesso è ben altra cosa” (M. de Montaigne, Journal du voyage de Michel de Montaigne en Italie par la Suisse et l’Allemagne en 1580-1581, avec des notes par M. de Querlon, III, Paris 1774), riferendosi a una notevole crescita delle dimensioni dell’abitato. Nel 1604, il cancelliere del Senato di Casale, Evandro Baronino, aveva annotato che la popolazione livornese era di 3.124 bocche (Baronino, Le città, le terre, p. 167).
L’intensa attività di bonifica e aroncamento promossa dai marchesi di Monferrato dell’area delle Apertole, in particolare a partire dal XV secolo e con maggiore intensità nei successivi, favorì un notevole sviluppo della maglia insediativa, al di fuori del nucleo accentrato del borgo di Livorno.
Nel 1629 è attestata in tale zona la presenza di numerose cascine: un tipo del 29 ottobre 1629 con la misura delle Apertole, censisce “44 corpi di case e cascine al longo del Lamporo sopra le fini di Livorno, con suoi ponti sul Lamporo, fra qual numero vi è due chiese, una parrocchiale, et una hostaria” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 2). Alla fine del XVII secolo, si rilevano, oltre alle cascine di pertinenza dell’abbazia di Lucedio, del marchese di Morozzo e della comunità di Fontanetto, alcune cascine del “tenimento delle Apertole”, pertinenti al territorio e al feudatario di Livorno, il marchese di Pianezza: le cascine San Defendente, La Fracassa, San Paolo, due cascine dette Brochetta, la Riella, cassina Santa Giovanna, detta il Colombero (già attestata almeno dal XV secolo e dotata di un patrimonio cospicuo, essa testimonia, inoltre, la precoce diffusione della dimora ‘a corte’: Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, p. 110), e la limitrofa cascina del Torrone. All’interno delle Apertole si trova l’indicazione di un “ridotto”, detto Castel delle Grangie, e di un edificio, detto Castelvecchio (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22). Nello stesso torno di anni (1698), a causa delle guerre continue, forse, la comunità aveva subito un decremento demografico (sono attestati soltanto 12 paia di buoi in tutto il territorio), stando alle dichiarazioni rilasciate dagli abitanti, benché tali testimonianze debbano essere valutate con cautela, dato che furono rese nell’ambito di una lite in corso con il feudatario per il mancato versamento da parte della comunità degli oneri richiesti (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22).
L’assetto insediativo dell’area delle Apertole subì un notevole implemento in virtù dell’intervento del duca Vittorio Amedeo II di Savoia che, nel 1695, acquisì il possesso integrale dell’area (cfr. oltre, “Liti territoriali”): nel XVIII secolo nei pressi della località Castell’Apertole furono costruiti numerosi edifici; i terreni ancora incolti furono dissodati e convertiti a coltura, mentre una parte fu destinata a pascolo per l’allevamento di cavalli. La maglia insediativa si arricchì con la costruzione di numerosi edifici adibiti ad abitazione dei contadini e allo stoccaggio dei prodotti. Si calcola che a metà del Settecento fossero state costruite non meno di 21 nuove cascine, nelle località di Castello, Michelina, Mandrietta, Mandria, Dosso dei Bruchi e Monte di San Pietro (Caligaris, Le Apertole). L’aumentato spessore demico dell’area delle Apertole è ben documentato nelle mappe catastali del 1880, in particolare per la “Borgata San Giacomo” (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, fascicolo senza collocazione, fogli 10-11), per la “Borgata Gerbidi” (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, fascicolo senza collocazione, foglio 13), per la “Borgata delle Garavoglie” (ASCLF, Archivio storico, Catasto del 1880, fascicolo senza collocazione, foglio 17).
Luoghi Scomparsi
Tra i luoghi scomparsi si possono menzionare taluni edifici religiosi, ossia la chiesa di Sant’Emiliano, attestata sino al 1835 e poi scomparsa (s.v. “Altre presenze ecclesiastiche”), l’ospedale gerosolimitano di San Giovanni, nei pressi della cascina Colombara, e la chiesa de Burgeto attestati sino al 1440 (ARMO, I, pp. 34 e 226; Giuliano, Santa Maria d’Isana, p. 73, nota 106).
Comunità, origine, funzionamento
La comunità di Livorno pare organizzata e vivace sin dal XIII secolo, allorché produsse i primi statuti (1238) e acquisì i forni (ASCLF, Archivio storico, parte prima, Pergamene, 1257 marzo 25 e 1265 settembre 16), smarcandosi dall’ingerenza del vescovo che li possedeva. Nel 1332, il rinnovo della raccolta normativa statutaria, composta da 141 articoli, avallata dal marchese di Monferrato, conferma la vitalità della comunità di fronte al nuovo interlocutore politico. Sullo scorcio del XV secolo, la comunità ottenne importanti riconoscimenti: il marchese Guglielmo IX concesse agli abitanti la facoltà di cacciare liberamente (ASCLF, Archivio storico, parte prima, Pergamene, 1499 febbraio 18); vent’anni più tardi la marchesa Anne d’Alençon confermò i diritti di fiera e di mercato, goduti sin dal XIII secolo (ASCLF, Archivio storico, parte I, Pergamene, 1519 dicembre 23). La comunità si dimostra agguerrita e combattiva, nonostante la forza degli avversari con i quali si trovò a confrontarsi, nelle numerose liti territoriali che la videro protagonista fra XIV e XVII secolo per il possesso e lo sfruttamento delle Apertole (cfr. oltre, “Liti territoriali”). Si può ravvisare la forza contrattuale della comunità di Livorno, attraverso una concessione del 1465 da parte del marchese di Monferrato Guglielmo VIII, inerente all’estrazione di una roggia dalla Dora, allorché il Paleologo concesse alla sola comunità di Livorno la facoltà di costruire mulini e proibì a quelle limitrofe di effettuare modifiche o interventi sulla roggia, senza autorizzazione degli abitanti di Livorno (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22), che “vedevano così in qualche modo, collegare al proprio distretto un’ampia porzione territoriale estesa sino ai confini con Fontanetto Po, Crescentino e San Genuario” (Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, pp. 107-108; cfr. oltre, “Liti territoriali”).
Statuti
Una copia probabilmente quattrocentesca degli Statuti redatti il 28 marzo 1238 (“Copia statutorum de 1238”) è conservata presso l’Archivio di Stato di Torino (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 2). L’originale constava di “quadam pergamena longha et collecta”, come si dichiara in un atto del 25 maggio 1560 (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 5). Nel 1332, su mandato di Francesco Cane, podestà di Livorno per conto del marchese Giovanni II di Monferrato, fu rinnovata la raccolta statutaria. Lo statuto è a tutt’oggi inedito e l’originale è conservato in una teca metallica presso l’Archivio storico comunale (ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 1, fascicolo 1). La raccolta consta di un codice pergamenaceo di 26 carte con capilettera in rosso, articolata in 160 capitoli, con numerazione non coeva, probabilmente di mano cinquecentesca. La raccolta è rimasta in uso almeno sino al 1581, a giudicare dalle annotazioni in quella data. Gli statuti furono confermati ancora il 17 febbraio 1620 da Ferdinando duca di Mantova e di Monferrato (ASCLF, Archivio Storico, parte prima, Pergamene, 1620 febbraio 17).
Catasti
In A.C.L. e in A.S.T. [A.C.L., Catasto del 1880, fuori collocazione.A.S.T., Sezioni Riunite, Catasti, Livorno Vercellese, alleg. A, pf. 239. A.S.T., Sezioni Riunite,Catasti, Livorno Vercellese,  copia B. atl. n. 163 e cat. G. fasc. 435].
Ordinati
Si conservano gli Ordinati dal 1618 al 1874 [A.C.L. parte I, Mazzi 3-17].
Dipendenze nel Medioevo
La Chiesa vercellese vantava diritti sulla località sin dal 999, allorché, il potente vescovo Leone aveva ottenuto dall’imperatore Ottone III importanti concessioni e conferme sui diritti esercitati nel distretto vercellese (si tengano presenti le cautele suggerite da ultimo da Panero, Una signoria vescovile, pp. 54-65, sull’autenticità dei documenti e sulle interpolazioni del presule). Il legame fra il vescovo e la comunità liburnasca era corroborato da vincoli feudali: tra i valvassori del vescovo il 18 agosto 1173 (ACV, Carte, p. 336, doc. 294) compaiono membri di famiglie notabili di Livorno (F. Panero, Terre in concessione, p. 21). Nel corso del XII secolo i canonici di Sant’Eusebio e quelli di Santa Maria di Vercelli si contesero la percezione delle decime, anche sui novalia, di Livorno (cfr. Alberzoni, Vercelli e il papato, p. 91). Il legato pontificio, Gregorio da Montelongo, vendette il feudo al Comune di Vercelli (1243 aprile 22). Nel 1254 il comune di Vercelli affrancò la villa di Livorno dagli oneri di dipendenza signorile (Panero, Comuni e borghi franchi, pp. 49n, 94n). Ancora nel XVI secolo, tuttavia, il capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli coltivava i suoi interessi fondiari nella zona come emerge da una vertenza contro la comunità di Livorno concernente i diritti di sfruttamento delle acque del Lamporo.Nel 1314, a seguito della conquista di Teodoro I di Monferrato, la località entrò a far parte del marchesato di Monferrato (Sangiorgio, Cronica, pp. 1001-101; Statuti di Vercelli 1341, f. 154r). Nel 1631 con il trattato di Cherasco, Livorno, con altre ottantatré località, fu annessa definitivamente al ducato di Savoia (Settia, Monferrato, p. 94).
Tra i proprietari fondiari più presenti nell’area liburnasca si annoverano la potente abbazia vercellese di Sant’Andrea che nel XVI secolo avanzava anch’essa pretese sullo sfruttamento delle acque del Lamporo (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9, 1560-1624) e, sin dal XIII secolo, il monastero di Rocca delle Donne (Le carte del monastero, doc. 12, pp. 18-20). Il monastero di San Genuario di Lucedio era, tuttavia, la presenza economica più rilevante: nel XV secolo, esso si distinse per una politica di accorpamento e di compattamento dei possessi nel territorio di Livorno, attuata tramite permute (si veda l’atto del 28 gennaio 1446 relativo a terre a Piverone scambiate con appezzamenti a Livorno (L’abbazia di San Genuario, doc. 99, pp. 474-475).
Nel corso della dominazione monferrina, alcune stirpi radicate nella corte paleologa e residenti a Livorno, i Rippi, su tutti, e i Garroni, consolidarono il loro patrimonio immobiliare e feudale nella località (Del Bo, Uomini e strutture, pp. 281-282 e 340-343).
Feudo
Il legato pontificio Gregorio da Montelongo vendette il feudo al Comune di Vercelli (1243 aprile 22). Nel 1421 il castrum di Livorno fu concesso in feudo dal marchese Giangiacomo Paleologo ai  signori di Montiglio, che negli anni precedenti avevano gestito la castellania per conto dei Paleologi (ASTo, Corte, Consegnamenti, mazzi 37-38, 1421 dicembre 28, con rinnovo del 1467 agosto 27; cfr. Del Bo, Uomini e strutture, pp. 310 e 314). Nel 1432 i marchesi cedettero la località ai duchi di Savoia e ne riottennero l’investitura (Ordano, Castelli, torri e antiche fortificazioni del Vercellese, Vercelli 1966, ms. presso la Biblioteca civica di Vercelli; Ordano, Castelli e torri del Vercellese, Vercelli 1985, pp. 162-163). I Montiglio tennero in feudo Livorno sino ai primi del XVII secolo, allorché fu ceduto al medico Giovanni Mossi (1601 dicembre 3). Il duca Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova e di Monferrato (si ricordi che a seguito dell’estinzione della dinastia paleologa nel 1533, il marchesato di Monferrato fu assegnato ai Gonzaga duchi di Mantova), lo donò a Giovanni Ulrico d’Eggenberg Ehrenhausen (1621 novembre 21). Nel 1631 con il trattato di Cherasco, Livorno, con altre ottantatré località, entrò a far parte del ducato di Savoia (Settia, Monferrato, p. 94). Il 16 giugno 1634 il feudo fu venduto dal principe Giovanni d’Echemberg, duca di Crema, al marchese di Pianezza, Carlo Emanuele Filiberto Giacinto di Simiana, per 20.000 fiorini d’oro di Spagna (per la metà prestati al marchese da Vittorio Amedeo I di Savoia: ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22). Esso fu ereditato dal figlio Onorato Francesco (1676 settembre 10) e dal figlio di questi Giambattista Carlo (1699 luglio 28), poi dalla nipote Irene Delfina Imperiali-Simiana (1716 febbraio 27; ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22) e in seguito da suo figlio Michele Andrea. Estintasi la famiglia, Livorno fu devoluto al principe Vittorio Emanuele di Savoia duca d’Aosta (1785 giugno 3; Guasco,  Dizionario, II, p. 908; Manno, Patriziato, I, p. 254, da cui anche parte delle notizie precedenti).
Mutamenti di distrettuazione
Appartenente alla Chiea di Vercelli, Livorno F. fu venduta al Comune di Vercelli dal legato pontificio, Gregorio da Montelongo (1243 aprile 22). Entrò a far parte del marchesato di Monferrato con Teodoro I nel 1314 e  fu annessa al ducato di Savoia nel 1631 (cfr. “Dipendenza nel Medioevo”).
Mutamenti Territoriali
 Nel XV secolo l’area era stata interessata da varie opere volte a favorire e a migliorarne l’irrigazione, implementati poi con l’impianto della risicoltura. Alla metà del Quattrocento risalgono una serie di interventi marchionali in questo senso, compiuti anche con l’intento di consolidare la giurisdizione paleologa sull’importante area pianeggiante delle Apertole, derivata dalla disgregazione postcarolingia della corte Auriola (Settia, Nelle foreste del re; Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, p. 107). Tra questi, si può menzionare la concessione alla comunità di Livorno, avvenuta in data 9 febbraio 1465 da parte del marchese di Monferrato Guglielmo VIII, per l’estrazione di una roggia dalla Dora, “per le fini di Saluggia e di Livorno, tanto per uso dei mulini costruiti e da costruirsi quanto per l’irrigazione dei beni”; contestualmente il Paleologo concesse alla sola comunità di Livorno la facoltà di costruire mulini e proibì a quelle limitrofe di effettuare modifiche o interventi sulla roggia, senza autorizzazione degli abitanti di Livorno (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22), che “vedevano così in qualche modo, collegare al proprio distretto un’ampia porzione territoriale estesa sino ai confini con Fontanetto Po (segnati dalla “strata publica que itur ab ipsis Uvertulis”, dalla strata Liburnina e dalla roggia del Lamporo), Crescentino e San Genuario” (Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, pp. 107-108). Nel 1479 i marchesi acquistarono dalla comunità di Livorno i possessi delle Apertole oltre il Lamporo, che provvidero a bonificare (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi, m. 44, Livorno, 1479 febbraio 23). Le imponenti opere di dissodamento e aroncamento inaugurate e messe a punto dai Paleologi determinarono una metamorfosi, o, per meglio dire, un rinnovamento degli insediamenti aziendali che interessò tutta l’area (Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, pp. 108-109). Nella prima età moderna nel territorio di Livorno si diffuse la risicoltura, attestata prima del 1599, allorché furono presentate al Consiglio di Casale alcune relazioni, sulla base delle quali “i Monferrini” avevano “fatte delle risiere nelle Apertole” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 4). Alle opere idrauliche citate sopra si riferiscono la gride del 1° giugno 1605 e del 22 marzo 1624 del duca Vincenzo di Mantova e di Monferrato relative alla cura e manutenzione delle rogge di Saluggia, Livorno e Bianzé sul fiume Dora (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22). Le nuove coltivazioni determinarono una maggiore richiesta di opere di canalizzazione delle acque, tanto che nel territorio delle Apertole di Livorno si costruirono una “ficca”, attestata nel 1599, e un nuovo “cavo” nel 1608 (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 4). Tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII, gli interessi economici locali del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, con l’impianto dell’allevamento dei cavalli e il potenziamento della risicoltura, determinarono il dissodamento e la messa a coltura di alcune aree delle Apertole, specie quella centrale destinata ancora a pascolo, rimaste sino ad allora incolte, la costruzione di numerosi edifici e di chiese al servizio dei contadini (Cfr. sopra, “Assetto insediativo”; per la risicoltura nell’area nel XVIII secolo si veda Bracco, Uomini, campi e risaie). L’intendente Giovanni Tommaso Boutal de Pinasca nella sua Relazione del 1755 annotava che, tra le altre, le risare di Livorno erano molto produttive (cfr. Palmucci Quaglino, Un paesaggio a forti contrasti, p. 122), benché avessero sortito l’effetto di conferire al paesaggio un aspetto “selvatico e tanto desolato quanto malsano” a causa della loro vasta estensione (Young, Voyage en Italie, p. 60).
Alla fine del XVII secolo (1695), la comunità di Livorno fu coinvolta in una lite con il feudatario, il marchese di Pianezza, deciso a smembrare e a vendere il “cantone della Colombara”, che la comunità sfruttava  per il pascolo e che, agli inizi del Cinquecento, era stato oggetto dell’interesse imprenditoriale dei marchesi di Monferrato, con la costituzione di una massaria (Lusso, L’insediamento nella prima età moderna, p. 110).. Il territorio fu venduto alla Regia Camera, giacché si stabilì che il marchese si trovava nel pieno diritto, avendolo acquistato il 30 novembre 1621 (cfr. oltre, “Liti territoriali”; ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22, con tipi).
Comunanze
Le comunanze livornesi erano costituite principalmente dalle Apertole, la vasta area pianeggiante, situata in una zona di confine fra le comunità di Livorno, Fontanetto Po, Crescentino e Bianzè e l’abbazia di San Genuario. Le Apertole, inizialmente, erano per lo più destinate a pascolo. A partire dal XV secolo, grazie alla politica di valorizzazione promossa dai marchesi di Monferrato, furono effettuate numerose opere di canalizzazione e di messa a coltura delle terre (s.v. “Mutamenti territoriali” e “Liti”). In particolare i conflitti si fecero più intensi e intestini (cioè potevano trovarsi in causa il Comune contro alcuni suoi abitanti), allorché le terre comuni, sino al XV secolo destinate per lo più al pascolo, furono man mano sostituite dalle risaie, con grave danno per gli allevatori (Rao, Dal bosco al riso). Esemplificativa di tale conflittualità è una lite scoppiata nella seconda metà del XVI secolo fra il Comune a alcuni proprietari. Le recriminazioni di questi ultimi vertevano, fra le altre, sul capitolo 144 degli Statuti del 1332  (“Quod nullus ducat bestias ad pascendum in pratis Liburni”; ASCLF, Archivio storico, parte I, mazzo 1, fascicolo 1, carta 17r), che impediva lo sfruttamento dei prati, prevedendo pene per coloro che avessero portato le loro bestie a pascolare “in pratis Liburni” dal 1° aprile al 15 agosto. I proprietari sostenevano l’illegittimità delle delibere municipali a maggioranza, come, per l’appunto, quella che stabiliva le limitazioni d’accesso alle risorse comuni (sulla vicenda cfr. Rao, Dal bosco al riso e Dani,  Aspetti e problemi giuridici, pp. 292-294). L’estensione delle Apertole di pertinenza di Livorno F. non è quantificabile, benché nel corso del secoli siano state fatte numerose misurazioni, in occasione delle varie liti documentate fra l’abbazia e i borghi sopra indicati per il possesso e lo sfruttamento delle risorse. Una rilevazione dell’agrimensore del 1571 riferisce che “la quantità delle Apertole [ammontava] a moggia 3.361 e 7 staia” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 4, 1571 novembre 4). Nel 1600, nell’ambito di una lite vertente sulla determinazione dei confini di “molti luoghi” degli stati di Savoia e di Mantova, due “esperti” procedettero alla misurazione delle Apertole (3.364 moggia), delle quali si stabilì che 364 dovessero essere a beneficio dello stato sabaudo e il resto diviso a metà tra Savoia e Monferrato, assegnando a quest’ultimo la porzione di Livorno (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9, 1600 18 giugno e 29 luglio).
In una rilevazione effettuata nel 1629 si riferisce che la misura delle Apertole era di 2.926 giornate e mezza, eccettuato il territorio di competenza di Fontanetto, “a cui vanno aggiunte 44 corpi di case e cascine al longo del Lamporo sopra le fini di Livorno con suoi ponti sul Lamporo, fra qual numero vi è due chiese, una parrocchiale, una hostaria” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 2, 1629 ottobre 29).
La quota, in questa occasione non quantificata, di pertinenza della comunità di Livorno F. fu definitivamente ceduta a Vittorio Amedeo II nel giugno 1695 (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9, 1695 giugno 4). L’11 giugno 1695 la comunità vendette alla regia camera “il possesso dei pascoli denominati le Apertole che si trovano tra li confini di Livorno, Lamporo […] tranne la parte che è stata ridotta a prati e occupata da terzi” (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22). Vittorio Amedeo II intraprese nuove opere di messa a coltura e vi impiantò un allevamento equino. Sin dalla fine del XVI secolo, nelle Apertole era stata impiantata la coltivazione del riso, che comportò numerosi investimenti volti al miglioramento delle canalizzazioni per l’irrigazione delle terre e una razionalizzazione degli insediamenti delle frazioni di Castell’Apertole, San Giacomo, Gerbidi e Garavoglie (s.v. “Mutamenti territoriali” e “Liti”).
I dati della perequazione del 1731 riportano una misura dei beni effettuata nel 1709, dalla quale i beni della comunità ammontavano a 3.575 giornate su un totale della misura del territorio di 12.265, cioè circa il 25%, di cui 2.589 concesse in enfiteusi perpetua al marchese di Pianezza.  Le comunanze erano destinate a campi di prima (165 giornate), campi di seconda (195 giornate), campi di terza (433 giornate), prati di prima (98 giornate), prati di seconda (185 giornate), prati di terza (428 giornate), casamenti (25 giornate), risaie (940 giornate), bosco in pianta (4 giornate), bosco da fuoco 14 (giornate), pascoli (640 giornate), gerbidi (377 giornate) e infruttiferi (137 giornate). Tra le coltivazioni più redditizie si annoveravano il fieno, il riso e il frumento (ASTo, Sezioni Riunite, Ufficio generale finanze, seconda archiviazione, capo 21, mazzo 316).
Liti Territoriali
La comunità di Livorno risulta coinvolta in alcune annose liti territoriali. Tra queste, una inerente ai confini fra i territori di Livorno, Crescentino e San Genuario, che fra il 1308 e il 1310 furono fissati e confermati dal podestà di Vercelli. Si stabilì il posizionamento di 17 termini, di cui si precisava l’ubicazione (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 1; cfr. anche L’abbazia di San Genuario, doc. 33, pp. 143-147, 1310 maggio 21). Fra il 22 e il 23 maggio 1455 si raggiunse un nuovo compromesso fra le comunità di Livorno e di Bianzé in relazione alle loro liti per differenze territoriali. In tale occasione, si fissarono i siti dove piantare i termini (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 2). Livorno fu interessata, benché in maniera marginale da una disputa vertente sui confini tra le vicine comunità di Bianzé e di Borgo d’Ale (ASTo, Paesi, Monferrato, Confini, B, m. 10, a partire dall’agosto 1561).
Per secoli gli uomini di Livorno si scontrarono con vari antagonisti per il possesso e per lo sfruttamento del territorio delle Apertole. Nelle liti furono parti in causa le comunità di Fontanetto Po, Crescentino e l’abbazia di San Genuario di Lucedio. Situate in un’area pianeggiante assai estesa ubicata a sud-est rispetto all’abitato di Livorno, a est rispetto al corso del Lamporo, derivanti dall’antica corte Auriola disgregatasi in età postcarolingia, destinate parte a gerbido, parte a prato e parte a coltivazione, le Apertole furono oggetto di una plurisecolare vertenza tra le comunità locali che appetivano il loro possesso e lo sfruttamento, in particolare per il pascolo, delle ricche risorse. L’area fu oggetto di numerosi interventi di bonifica e di potenziamento degli impianti di irrigazione e di canalizzazione delle acque (s.v. “Mutamenti territoriali”). Nel 1392 l’abate di San Genuario di Lucedio dichiarava di fronte al commissario visconteo che le Apertole erano comuni fra la comunità di Crescentino e di San Genuario, mentre nulla spettava a Livorno e a Fontanetto, oltre la Stura” (L’abbazia di San Genuario, doc. 77, pp. 237-240, 1392 ottobre 9). Fra il 1541 e il 1550 Livorno sostenne le sue ragioni sulle Apertole, contro le comunità di Fontanetto e di Crescentino, davanti al Senato di Milano e poi davanti ai delegati di Piemonte e Monferrato (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 6, 1542-1561 e voll. 7-8, 1550; vol. 9, 1560-1624). La lite sulle Apertole è attestata almeno dal XIV secolo, con documentazione fino al XVII (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, voll. 1-9; cfr. anche L’abbazia di San Genuario, doc. 77, pp. 237-240, 1392 ottobre 9; ivi, doc. 105, pp. 494-511, 1498 maggio 26). La conclusione della vertenza si può collocare nel 1695, allorché il duca di Savoia Vittorio Amedeo II entrò in possesso definitivo di tutto il territorio (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 9, 1695 giugno 4), garantendo che “mai si sarebbe fatto lo scorporo del tenimento medesimo dal Comune di Livorno” (ASVc, Int. di Vc, I, Livorno Ferraris-Bianzè, n. 56; cfr. Luoghi fortificati fra Dora Baltea, Sesia e Po, p. 72).
Alla fine del XVII secolo (1695), la comunità di Livorno fu coinvolta in una lite con il feudatario, il marchese di Pianezza, deciso a smembrare e a vendere il “cantone della Colombara”, che la comunità sfruttava  per il pascolo. Essa sosteneva di essere in possesso di una “patente” in base alla quale “non poteva patire la smembrazione”. Di fatto il territorio fu venduto alla Regia Camera, giacché si stabilì che il marchese si trovava nel pieno diritto, avendolo acquistato il 30 novembre 1621 (ASTo, Corte, Paesi, Provincia di Vercelli, m. 22, con tipi).
Fra il 1541 e il 1550 Livorno si scontrò in una causa con i conti Tizzoni e con l’abbazia di San Genuario per i diritti relativi alla “Bosia del Ceralio, al Monterezie e alla Valle di Monterezio”, “separate, come dicesi, dalle Apertole incolte per mezzo d’un longo fosso” (ASTo, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, L, vol. 1, con tipi).
Fonti
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Descrizione Comune
Livorno Ferraris
 
L’attuale estensione territoriale del comune di Livorno Ferraris è frutto degli sforzi effettuati dalla comunità, documentati dal XIV secolo, per mantenere sotto il proprio controllo, in particolare, l’area dei beni comunali delle Apertole, che costituisce una parte rilevante della superficie totale del territorio del comune. I successi ottenuti in tal senso da Livorno, che fra XIII e XV secolo consolidò la sua posizione sotto il profilo ecclesiastico, demografico e politico, determinarono l’assetto territoriale proteso verso le Apertole. Sede di pieve sin dall’VIII-IX secolo, la comunità superava sotto il profilo demico tutti gli insediamenti confinanti, eccezion fatta per Trino. Lo spessore demico di Livorno fu senz’altro favorito dall’ubicazione dell’insediamento lungo una strada di grande traffico, sull’asse Torino-Vercelli, e, nel Medioevo, alla congiunzione fra la Via Francigena e la strata Liburnasca, in un’area di confine nodale per la difesa e il controllo del territorio per i diversi poteri che vi insistevano (Comune di Vercelli, marchese di Monferrato, dominazione visconteo, contea, poi ducato di Savoia). Dal punto di vista politico, costituirono un netto irrobustimento per la comunità la condizione privilegiata acquisita con l’affrancamento dal comune di Vercelli (1254) e, in particolare, la posizione di rilievo conferita a Livorno Ferraris dal marchese di Monferrato Teodoro I, che considerò il borgo una pedina importante nella sua personale scacchiera insediativa. Il marchese provvide a dotare Livorno F. di nuove strutture difensive che conferirono all’abitato una dignità ancora maggiore nella gerarchia insediativa monferrina. La posizione acquisita consentì a Livorno di tutelare con efficacia le sue prerogative territoriali sino alla fine del XVII secolo, quando il territorio subì qualche amputazione: una quota delle Apertole, identificabile con il lembo più estremo del territorio attuale, fu ceduta a Vittorio Amedeo II. Nello stesso anno fu riconosciuto al marchese di Pianezza, all’epoca feudatario della località, il diritto di alienare, smembrandolo dal territorio comunale, il “cantone della Colombara”, benché, ancora una volta, la comunità fosse stata capace di esibire “una patente” in base alla quale “non poteva patire la smembrazione”. Il nesso strettissimo di tali aree territoriali con Livorno Ferraris fu, tuttavia, riconosciuto, giacché nella attuale ripartizione le frazioni di Colombara e di Castell’Apertole fanno parte della sua giurisdizione. Conferma della forza della comunità e quindi del ruolo attivo svolto nel fissare i confini della giurisdizione si trova non soltanto nella forma attuale del territorio, come accennato, tutta protesa nell’area delle Apertole, ma soprattutto nel fatto che esso si spinge oltre quelli che avrebbero potuto fungere agevolmente da confini “naturali”, cioè i Canali di Bianzè, del Rotto (scavato nel XV secolo) e il Canale Cavour, là dove si trovano proprio le frazioni di Castell’Apertole e Colombara.