Grazzano Badoglio

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2003
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Basso Monferrato.
Abitanti
639 (ISTAT 2001).
Estensione
10,44 kmq.
Confini
A nord, a est Ottiglio, a sud-est Casorzo, a sud-ovest Grana, a ovest Penango e Moncalvo.
Frazioni
Nessuna.
Toponimo storico
«Grassano», poi «Grazzano», che deriverebbe dal gentilizio romano Gratius o dalla forma aggettivale Gratianus, data l’origine romana ipotizzata in seguito al ritrovamento di epigrafi allusive all’imperatore Tito (Casalis 1841, p. 241). Con Regio Decreto 29 ottobre 1868 fu denominato «Grazzano Monferrato», mentre nel 1939 assunse il nome di «Grazzano Badoglio» (AC Grazzano, cat. VI, m. 35, u.a. 1957) in omaggio al maresciallo Pietro Badoglio che vi era nato nel 1871 e vi morì nel 1956.
Diocesi
Nel documento in cui si fa riferimento alla dotazione aleramica dell’abbazia dei SS. Vittore e Corona (cfr. il lemma ‘Pieve’), il luogo di Grazzano risultava sotto l’influenza della diocesi di Vercelli, anche se l’abbazia fu inizialmente posta sotto la giurisdizione del vescovo di Torino per limitare il controllo di quello vercellese. Grazzano, tuttavia, appartenne alla diocesi di Vercelli fino a che fu ascritto alla diocesi di Casale all’atto della sua costituzione, nel 1474 (Settia 1987-88).
Pieve
Secondo la tradizione, nel 961 il primo marchese del Monferrato, Aleramo, fondò a Grazzano il monastero dei SS. Vittore e Corona, dotandolo con cospicui possedimenti. L’atto di dotazione, del quale non esiste l’originale, fu pubblicato nella Cronica di Monferrato di Benvenuto di San Giorgio (1521; ed. a cura di G. Vernazza nel 1780) (Gabotto 1929). Il documento fa riferimento alla donazione di Aleramo, della moglie Gerberga, figlia del re Berengario II, e dei loro figli Oddone e Anselmo al monastero che «aedificavimus […] in propriis rebus nostris in loco et fundo Grazani infra castrum ipsius loci in honorem Domini Salvatoris et sancte Marie seu sancti Petri atque sancte Christine»; ad esso, in vista dell’ingresso di alcuni monaci, furono donate varie masserie dei dintorni («in loco et fundo Cardalone […] in loco et fundo Pautrengi […] in loco et fundi Godi […] et fundo Penengi […] et fundo Paciliani […] et fundo Melonense in loco ubi dicitur Mura») (Cartari minori, pp. 1-3). Sempre prestando fede alle carte edite da Benvenuto e riproposte da Durando, il monastero fu poi arricchito da una donazione del marchese Anselmo, figlio dell’omonimo figlio di Aleramo (Cartari minori, pp. 3-4 [17 agosto 1017]) e dalla cessione di un mulino e altri beni a opera del conte Guglielmo, del fu Guido, e della moglie Aycha (8 ottobre 1027): all’epoca l’edificio aveva già assunto l’intitolazione ai SS. Salvatore, Vittore e Corona (Cartari minori, pp. 4-5). I nomi dei santi Pietro e Cristina, uniti però a quelli di Vittore e Corona, tornano invece in un atto del 1156 mediante il quale il marchese Guglielmo e la moglie Giulita, ricordando la fondazione aleramica, concessero ai monaci di Grazzano «totum fictum canevarum quod habebamus […] in castro Lugi et decimam partem omnium reddituum qui veniebant nobis de portu Felicianensi qui currit in fluvio Tanari» (Cartari minori, pp. 12-14 [4 maggio]). Tra XII e XIII secolo gli abati cui era affidata la guida dell’abbazia cominciarono a ricoprire un ruolo politico rilevante: ne sono prova sia l’ordine di Innocenzo IV all’«abbati de Grazano» di indurre all’obbedienza l’abate di San Genuario, eletto vescovo di Torino, in occasione del ricupero del castello di Rivoli (Cartari minori, pp. 51-53 [1 giugno 1245]), sia i primi contrasti sorti tra il rettore dei SS. Vittore e Corona e i poteri signorili consolidatisi in zona (Cartari minori, pp. 53-54 [25 agosto 1245]). L’abbazia comunque continuò a godere dei favori dei marchesi di Monferrato e dei loro protettori, come il re di Sardegna e legato imperiale Enzo che, nel 1246, confermò tutti i suoi privilegi (Cartari minori, pp. 54-55).
Visitata da mons. Scipione d’Este il 18 giugno 1566, l’abbazia, la cui titolatura era ormai stabilmente riservata ai SS. Vittore e Corona, risultava «habentem curam animarum universitatis dicti loci». Fungeva dunque da parrocchiale sotto la guida del presbitero Andrea de Muzzano, grazzanese, solito celebrare le funzioni e impartire i sacramenti con regolarità. La cura dei beni dell’abbazia era invece nelle mani di Giovanni Francesco de Regibus, di Morano, procuratore dell’abate (AD Casale, Visita pastorale di mons. d’Este, 1555-67, cc. 77-81v). L’edificio non era allora in ottime condizioni e tra i vari interventi di restauro il vescovo prescrisse di dotare l’abbazia di un reliquiario che contenesse i resti in essa conservati (tra cui quelli di Aleramo che però non vengono qui menzionati). Nel 1584, in occasione della visita apostolica di mons. Carlo di Montiglio, la situazione era meno precaria: l’abbazia difettava di alcuni arredi sacri, ma nel complesso l’edificio era solido (AD Casale, Visita apostolica mons. Montiglio, 1584, c. 86).
Circa le reliquie, qualche notizia si ricava dalla visita del 1619 di mons. Scipione Pascale: oltre ai corpi dei Santi Vittore e Corona conservati sotto l’altare maggiore, in alcuni reliquiari si custodivano frammenti di Sant’Evasio, Santo Stefano, San Biagio, San Lorenzo, San Giovanni Battista, Sant’Andrea e della Vergine (alcune gocce del suo latte). Infine si dava qui conto della presenza delle presunte spoglie di Aleramo: «nella detta capella (del SS. Rosario) vi è la sepoltura del marchese Aleramo Paleologo, marchese di Monferrato, come appare dall’epitaffio e scrittura posta sopra il muro a mano destra in detta capella» (AD Casale, Visita pastorale Pascale, 1616-24, c. 177v). Funzionante per quanto riguardava il culto, la chiesa risultava anche ben arredata grazie alle elemosine della compagnia del Corpus Domini che a essa faceva capo. Dagli atti di visita di mons. Miroglio del 1656 risulta invece che internamente all’abbazia era sorta una nuova compagnia, dedicata al SS. Rosario e custode delle «reliquie insigni», di molti degli altari e dei numerosi legati provenienti dalle eredità di notabili locali (Lusona, Verasi, Borgo, Plano). Era stato costruito anche un piccolo oratorio intitolato a Sant’Anna che, a differenza della chiesa principale, necessitava di vari lavori di restauro (AD Casale, Visita Miroglio, cc. 127-130). Come si apprende dalla visita di Pietro Secondo Radicati del 1725 – in cui si specificava che «di qual anno sia stata erretta la parochiale non se ne pol sapere» (AD Casale, Visita Radicati, 1725, c. 728v) –, la festa dei santi abbaziali era celebrata il 14 maggio. All’abbazia erano allora legate quattro compagnie: quella della Buona Morte, quella, ancora attiva, del SS. Rosario, quella del Suffragio e Cintura e quella del SS. Sacramento. La parrocchiale era di juspatronato misto dell’abate e della comunità e risultava essere l’unico luogo sacro consacrato e regolarmente officiato; era ricordata anche la Madonna dei Monti, «membro abbaziale», presso cui vivevano due romiti, uno dei quali «serve alla chiesa parrocchiale e l’altro resta impotente» (AD Casale, Visita Radicati, c. 729). Ancora nel 1778 la chiesa era definita «parochiale et abaziale» («ora comandata dall’ill.mo e rev.mo sig. abate Derossi, confessore di S.R.M.») (AC Grazzano, serie I, m. 1, fasc. 35, ricorso all’ufficio d’Intendenza per far fondere le due campane della parrocchiale) e resta tuttora l’unica parrocchia del paese.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Se a metà Cinquecento, l’abbazia costituiva l’unica realtà ecclesiastica di Grazzano, per il 1584 la visita di mons. Montiglio registra sia la nascita di alcune compagnie di laici legate agli altari dell’abbazia sia la costruzione di tre nuove chiese di piccole dimensioni: quella di San Martino, definita «oratorio campestre» e di cui era all’epoca titolare il sacerdote grazzanese Bonifacio Taverna, e quelle di San Giacomo e San Bernardino (AD Casale, Visita Montiglio, 1584, c. 87v). Nel 1619 la confraternita principale era quella del Corpus Domini che si occupava della manutenzione dell’abbazia e della gestione di alcuni suoi legati (AD Casale, Visita Pascale, 1616-1624, cc. 175v sgg.). È attestato anche un oratorio di Santo Spirito, presso cui era attiva un’omonima confraternita che beneficiava di legati degli eredi di Girolamo Zabaldano e del defunto capitano Girolamo Porta (AD Casale, Visita Pascale, c. 178v). Le altre presenze ecclesiastiche censite per il 1619 sono la chiesa di Sant’Anna, costruita «a basso», cioè nella parte più piana del paese, presso la quale era stata eretta una Compagnia delle Vergini; la chiesa di San Biagio con omonima confraternita; la chiesa campestre di San Giacomo, non più officiata regolarmente, e un’altra chiesa campestre dedicata a San Bonifacio e dotata di un beneficio di 12 scudi annui all’epoca posseduto da don Bonifacio Buraneo, di Vignale (AD Casale, Visita Pascale, c. 179v). Sant’Anna, San Biagio e San Giacomo sono ricordate anche negli atti di visita di mons. Radicati (1725), nei quali sono classificate come «chiese nel recinto» insieme con Santo Spirito, San Rocco, San Sebastiano e San Bernardo. Quest’ultima e San Giacomo erano però «dirrochate» (AD Casale, Visita Radicati, 1725, c. 728). Nel finaggio si trovavano altre cinque chiesette campestri intitolate rispettivamente alla Beata Vergine dei Monti, a San Martino, San Salvatore, San Pietro e Santo Stefano, quest’ultima abbandonata. Tuttavia, «solamente la chiesa parrochiale, e non le altre, resta consecrata», né vi erano «oratori né capelle […] né convento né monastero» (AD Casale, Visita Radicati, 1725, c. 728).
Nel 1778 erano ancora attive le confraternite del Suffragio e del SS. Sacramento (AC Grazzano, serie I, m. 1, fasc. 37, 1778, marzo 30, Accordo tra la comunità e le compagnie del Suffragio e del SS. Sacramento), mentre per la costruzione di un nuovo cimitero comunale tra il 1788 e il 1789 fu abbattuta la chiesa di San Rocco, il sito retrostante la quale era «sempre stato considerato comunitativo e non è fin ad ora concorso al pagamento d’alcun carico reale» (AC Grazzano, serie I, m. 1, fasc. 15, Dichiarazione del catastaro comunale Serafino Chiesa Morra). In seguito alla costruzione del cimitero venne anche edificata una cappella cimiteriale (AC Grazzano, serie I, m. 1, fasc. 27, 1791).
Assetto Insediativo
Nel libro dei consegnamenti dei beni enfiteutici dell’abbazia del 1563 (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Grazzano, m. 3 non inv.) compaiono numerosi toponimi riferiti alle suddivisioni interne del territorio comunale, definite contrade o strade: contrada Portanuova «sive ad hospitalem»; Rozzano (sul finaggio del paese); Cornaletto (sul finaggio); Sala; Valgoesia; Valpana; Borghetto; Oliveto; Via nova (negli airali); «ad rutamfrigidam»; «in platea»; «ad plantatos»; «Retroprellas». La presenza di toponimi relativi a piccoli insediamenti e appezzamenti si infittisce nel catasto del 1781 (AC Grazzano, Catasto, u.a. 2) dove sono elencate le seguenti contrade: Acqua fredda; Botto; Braida; Brusea; Brusea e Godio; Capretta; Capri; Casalechio; Casaleto; Cascina della Porta e Scarrone; Cascine de’ Capretti; Cenchio; Cornachia; Cornaleto; Cravane; Crosia; Crosio; Dietro Prelle; Due rivoli; Famergato; Famolenta; Formaggia; Formaggia e Rotaldo; Garbello; Grignano; Godio; Grazzano o sia Caseggiato; Guaito; Guarnero; Guarnero di sotto; Gueizo; Lunario; Mariana; Marzolino; Molavezzo; Mompelato; Moncuchetto; Montalbano; Monteizo; Monteroppio; Novaleto o Cascine; Oramala; Pianeto; Polanello; Pozzo; Pozzetto; Prato Calliano; Prato Calliano o Dietro Prelle; Quarino; Roncarino; Ronco Genaro; Roncoli; Roncrosio; Rotaldo; Rozzato; Salza; San Giacomo; San Martino; San Pietro; San Salvatore; San Sebastiano; Santo Stefano; Serra de’ monti; Sorline; Vallara; Valle Oscura; Valpana; Valverio; Zenaureto.
Per la metà dell’Ottocento è registrata la presenza di una borgata denominata Cascine Napoli (Casalis 1841), mentre nel 1902 furono censite tre borgate o agglomerati di case sparse: Madonna dei Monti, Capretti e Piccinini (Censimento 1902). Attestate anche nel 1911 (Censimento 1914), non lo sono per il 1921 (Censimento 1927) né per il 1931 (Censimento 1933), mentre nel 1951 ricompaiono nei dati di censimento le località «Cascine di Napoli» e «Cascine Piccinini» (Censimento 1955). Il nucleo abitativo risulta oggi piuttosto compatto, arroccato su una collina dominata dalla parrocchiale e dall’antico complesso abbaziale dei SS. Vittore e Corona. Le poche case sparse, non costituenti né frazioni né borgate dal punto di vista amministrativo, si trovano dislocate lungo «strade» che talvolta conservano alcuni dei toponimi sopra ricordati (strada Sant’Anna, Piccinini, Madonna dei Monti, Rotaldo, ecc.).
Luoghi Scomparsi
I toponimi «de God», «Cardalona» e altri menzionati nei primi documenti di dotazione dell’abbazia di Grazzano (cfr. il lemma ‘Assetto insediativo’) paiono far riferimento a luoghi non più attestati in epoche successive.
Comunità, origine, funzionamento
Non si hanno notizie certe circa le origini della comunità di Grazzano, certo influenzata dalla presenza dell’abbazia che costituì il primo nucleo di potere politico in loco. Un Vuilielmus de Grazano è menzionato tra i testimoni di un atto di donazione al monastero di San Bartolomeo di Azzano del 1151 (Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo, pp. 37-38). Nel 1275, invece, il presbitero dell’abbazia Gregorio fu presente all’atto di accoglienza dell’alessandrino Galvagno Scaravello come chierico della chiesa di San Secondo d’Asti (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, p. 177), ma si tratta di un personaggio più legato ai SS. Vittore e Corona che non alla comunità grazzanese vera e propria. Lo stesso si può dire per la figura dell’abate Bartolomeo che ebbe un ruolo determinante nell’assemblea dei feudatari monferrini convocata nel 1305 da Manfredo di Saluzzo come procuratore del marchese Giovanni di Monferrato o nei negoziati del 1309 tra il marchese di Saluzzo e il nuovo marchese Teodoro (Casalis 1841, p. 242)
Bisogna attendere il tardo medioevo per avere informazioni più specifiche sulla comunità e in particolare il 1419, anno in cui il marchese Giovanni Giacomo di Monferrato concesse a Montemagno l’esenzione dai pedaggi imposti sulle merci scambiate con le comunità limitrofe: tra queste è menzionata quella di Grazzano la cui economia era prevalentemente agricola. Infine, un giureconsulto grazzanese, Giovan Francesco de Regibus, risulta esser stato podestà di Casale nel difficile 1533, anno di transizione dalla dominazione Paleologo a quella gonzaghesca (Raviola 2003, p. 12); il dato dimostrerebbe l’esistenza di una ristretta élite locale capace di conseguire incarichi di livello medio-alto anche nella capitale del marchesato. Si ignora, però, se l’amministrazione della comunità fosse legata all’osservanza di statuti di antica data: negli ordinati di prima età moderna si fa infatti riferimento alla necessità di «reformar gli capitoli della ferratia» (AC Grazzano, OC, m. 2, fasc. 52, c. 17v [5 gennaio 1592]), ovvero all’insieme di gabelle e bandi campestri locali, ma non a testi statutari che fossero soliti regolarne l’applicazione.
Catasti
AC Grazzano, u.a. 1, 1780, Mappa originale del territorio di Grazzano; u.a. 2, 1780-81, Libro figurato desunto dalla mappa catastale di Grazzano; u.a. 3, 1811, Tableau d’assemblage du plan catastal parcellaire de la Comune de Grazzano; u.a. 3 bis, 1780-81, Libro figurato; u.a. 4, 1851-95, Libro suppletivo del catasto; u.a. 5 sgg., Giornale del catasto.
Ordinati
AC Grazzano, m. 2, fasc. 52, reg. 1591-1602; la coperta è una pergamena di ricupero con scritte in ebraico; m. 3, fasc. 53, 1622-1633; fasc. 54, 1679-1705; la serie prosegue quindi completa e senza interruzioni sino al 1800.
Dipendenze nel Medioevo
Come testimonia l’atto di dotazione dell’abbazia (cfr. il lemma ‘Feudo’), Grazzano appartenne alla marca di Monferrato sin dal X secolo. Nel 1224 «Grachanum» è tra i luoghi ipotecati dal marchese Guglielmo VI a favore dell’imperatore Federico II che gli aveva concesso un prestito di 9000 marchi d’argento (Cancian 1983, p. 734). Passò poi dal controllo degli Aleramici a quello dei Paleologo e, nel 1536, ai Gonzaga.
Feudo
Del luogo di Grazzano era investito l’abate «col signorato» (Manno 1895-1906, vol. I, p. 239). A partire dal Cinquecento ebbero interessi in loco, in particolare sul dazio del forno, i Callori di Vignale (Raviola in corso di stampa). Nel 1604 Vincenzo I Gonzaga incluse l’abbazia di Grazzano e il luogo nella sfera giurisdizionale del marchesato di Calliano (Guasco 1911, p. 301).
Mutamenti di distrettuazione
Appartenente, sin dai tempi della dominazione gonzaghesca, alla provincia di Casale, Grazzano Badoglio fu assegnato alla provincia di Alessandria in seguito all’unificazione d’Italia, nell’ambito del mandamento di Moncalvo (insieme con Ponzano e Salabue), ma sempre in dipendenza dal circondario e sotto-prefettura di Casale. Il passaggio alla provincia di Asti avvenne all’atto della sua costituzione, decretata dal regime fascista nel 1935.
Comunanze
Dal verbale della seduta del consiglio dell’11 gennaio 1598, si apprende che la comunità aveva acquistato, presumibilmente alcuni decenni prima, «la fossa o sii piazza et gioco della balla» (AC Grazzano, OC, m. 2, fasc. 52, 1598, c. 334; sulla diffusione dei giochi di palla in Monferrato: Raviola 2000, pp. 216 sgg.). Questo sito, alcuni degli edifici di culto del paese – Santo Spirito, Sant’Anna, San Rocco, San Sebastiano, San Biagio e San Giacomo (AD Casale, Visita di mons. Radicati, 1725, c. 728) – e pochi altri terreni adibiti al pascolo comune o a gerbido risultano esser stati, almeno in età moderna, gli unici di proprietà della comunità.
Liti Territoriali
Nonostante, nella documentazione consultata, si faccia cenno a contrasti con le comunità di Moncalvo e Ottiglio almeno nella seconda metà del Cinquecento, non si conservano atti di lite a essi relativi. I primi conservatisi riguardano quelli della municipalità di Grazzano contro il notaio Arrobbio di Grana e Pietro Cotto, grazzanese, per il riscatto di metà del forno comunale (AC Grazzano, m. 11, fasc. 86, 1800). Gli altri, tutti risalenti al XIX sec., sono concernenti contrasti con singoli particolari (in primis il vassallo Dalla Chiesa Morra; AC Grazzano, m. 16, 1844 sgg.) e in un caso con il vescovo di Casale Vincenzo Mossi di Morano (AC Grazzano, m. 15, 1829).
Fonti
A.C.G. (Archivio Storico del Comune di Grazzano Badoglio), riordino e inventario di G. Bogliolo, 1999. Vedi inventario.
A.V.C. (Archivio Storico della Diocesi di Casale Monferrato): Visita pastorale di mons. Scipione d’Este, 1555-67, cc. 77-81v; Visita apostolica mons. Carlo di Montiglio, 1584, cc. 86-88; Visita pastorale di mons. Scipione Pascale, 1616-24, 3 voll., vol. I, cc. 175-179v; Visita pastorale di mons. Miroglio, 1656, cc. 128v-130; Visita pastorale di mons. Radicati, 1701-29, 1725, cc. 728 sgg.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 6, s.d. (ma post 1755), Stato delle città e terre della provincia di Casale;
Corte, Paesi, Paesi per A e B, G, m. 23;
Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 34;
Corte, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Grazzano, mm. 1-3.
Bibliografia
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Cancian P., La carta di mutuo di Guglielmo VI di Monferrato a favore dell’imperatore Federico II. Un contributo paleografico all’onomastica piemontese, in «BSBS», 81 (1983), pp. 729-749.
Le carte dell’abbazia di San Bartolomeo di Azzano d’Asti (952, 1151-1299), a cura di A.M. Cotto, G.G. Fissore, S. Nebbia, Torino 1997 (BSS 214).
Le carte dell’Archivio capitolare di Asti (secc. XII-XIII), a cura di A.M. Cotto, G.G. Fissore, P. Gosetti, E. Rossanino, Torino 1986 (BSS 190).
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Censimento della popolazione del Regno d’Italia del 1° dicembre 1921, vol. X, Piemonte 1927.
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Ferraris G., Clero e fedeli nella diocesi di Casale Monferrato. La visita apostolica di Carlo Montiglio (1584) in Stefano Guazzo e Casale tra Cinque e Seicento, a cura di D. Ferrari, Roma 1995, pp. 171-195.
Gabotto F., Commentando Benvenuto San Giorgio. Pievi e chiese del Monferrato alla metà del Trecento, in «BSBS», 31 (1929), pp. 211-235.
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Descrizione Comune

Grazzano Badoglio

     Le vicende relative al funzionamento della comunità di Grazzano nel medioevo e in età moderna appaiono fortemente condizionate dalla presenza dell’abbazia dei Santi Vittore e Corona intorno alla quale si costituì il primo nucleo abitativo del paese. La sua fondazione è attribuita nientemeno che ad Aleramo, capostipite dei marchesi di Monferrato (Settia 1974), e in essa è tuttora visitabile il sepolcro in cui ne sarebbero custodite le spoglie. Il consolidamento del potere spirituale ed economico dell’abbazia è messo in luce dalla documentazione conservatasi (Cartari minori) ed è presumibile che le cospicue dotazioni in terre e benefici abbiano avuto riflesso sulle attività della popolazione dei dintorni: nel 1250, per esempio, l’abate Guglielmo diede a coltura a Loterio di Grengo «peciam unam terre pro tenuta et laborerio iacentem in poderio Tilii ubi dicitur ad God» (Cartari minori, p. 57) e alcuni anni più tardi l’abate Benedetto accensò al casorzese Manfredo Crotti due terreni «in territorio Casurcii ibi ubi dicitur in castro arso» (Cartari minori, p. 58, 1253 o 1280). Questi atti e altri relativi a cessioni a favore dell’abbazia (Cartari minori, pp. 75-76 [14 marzo 1283]) lasciano intravedere la concentrazione di beni non solo grazzanesi e il ruolo politico giocato dall’abate, la cui carica era talvolta tramandanta all’interno della stessa famiglia (nel 1304 è attestato l’abate Bartolomeo Pocapaglia, probabile parente del menzionato Lodovico) (Cartari minori, p. 86). La sfera d’influenza dei SS. Vittore e Corona si estendeva sino ad Alessandria, come pare dimostrare la revoca di un atto di scomunica comminato dall’abate all’alessandrino Oglono Merlano «occasione alicuius offenxionis facte in ecclesia seu in rebus ecclesie monasterii de Graçano» (Le carte dell’Archivio capitolare di Asti, pp. 369-370). Nel corso del XV secolo la gestione dei terreni di proprietà dell’abbazia – molti dei quali proprio nell’Alessandrino (a Solonghello, Cereseto, Ponzano, Castellazzo e Salabue) – fu perfezionata con una serie di contratti enfiteutici di cui resta traccia in un registro su cui furono annotati affittuari e rendimento dei fondi tra il 1436 e il 1458 (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Grazzano, m. 3 non inventariato).
Ancora in età moderna, le prerogative dell’abate paiono predominanti sia in ambito religioso sia dal punto di vista politico-economico. Nel 1563, durante la ricognizione delle risorse del Monferrato promossa dal neo-marchese Guglielmo Gonzaga (Raviola 2003, pp. 93 sgg.), fu effettuato un nuovo censimento dei contratti che legavano vari particolari della zona all’abbazia per la conduzione di campi e vigneti (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, Abbazie, m. 3 non inv., Protocollo dei consegnamenti di beni enfiteotici, Scritture diverse spettanti alli consegnamenti fatti nel 1563, notaio Nicolino della Porta, di Grazzano). I Grazzanesi vi compaiono numerosi, con una certa predominanza di esponenti dell’élite locale come i Badoglio, i Capretto, i Verasi che andavano costituendo a poco a poco le loro piccole fortune familiari. L’abate di Grazzano era però il signore incontrastato del luogo: tra censi in denaro, capi di bestiame, pollame, ortaggi, vino e grano poteva vantare un ingente patrimonio e un controllo sul territorio pressoché totale.
Nel 1566, in occasione della visita del vescovo di Casale Scipione d’Este, l’edificio dedicato ai SS. Vittore e Corona – seppur in cattivo stato di manutenzione – deteneva la «curam animarum universitatis dicti loci Grazani» e scandiva la vita cultuale della comunità celebrando le funzioni e impartendo i sacramenti con regolarità. Retta da un presbitero con funzioni di parroco – all’epoca il grazzanese Andrea de Muzano, esponente di una delle principali famiglie del consiglio comunale –, l’abbazia poteva anche contare su cospicui redditi in canonicati, censi e proprietà fondiarie gestiti da un procuratore dell’abate che aveva il compito di sovrintendere ai contratti d’affitto dei terreni abbaziali: dal 1554 al 1563, per esempio, essi erano stati dati in locazione a un particolare, mentre nel 1563 se ne fece carico per altri cinque anni il procuratore stesso, Giovanni Francesco De Regibus, di Morano. Pagando un fitto annuo di ben 340 scudi, il locatario aveva anche il compito di mantenere «duos presbiteros seculares ad offitium dicte abbatie et cellebrandum missas et ministrandum sacramenta», tenuti entrambi a risiedere presso l’edificio. Secondo alcune testimonianze orali raccolte dal vescovo «a maioribus et senioribus dicti loci» in precedenza l’abbazia era assegnata in commenda ed era stata abitata da un monaco regolare, di nome Michele, zoppo e vestito di una «capam longam et nigram». Alcuni testimoni – come il grazzanese Bartolomeo della Murra, 63 anni – raccontarono che a inizio Cinquecento «in ipsa abbatia […] habitabant monaci regulares ordini Sancti Benedicti qui serviebant dicte ecclesie» (tra essi ricordava il menzionato fra’ Michele, fra’ Giovanni «de Salmona», frate «de Bugiam», di Felizzano). La presenza benedettina, sottoposta alla supervisione dell’abate Augusto di Montiglio, servitore di papa Giulio II, era retaggio delle usanze medievali dell’abbazia i cui monaci, «claustrales», «serbabant clausuram et dabant ellemosinam panis et vini pauperibus». A metà del XVI secolo la situazione era ben diversa: non solo i Benedettini avevano lasciato l’abbazia (o erano stati costretti ad abbandonarla?) che divenne così inaccessibile e inospitale sia per i pellegrini sia per i Grazzanesi, ma lo stesso procuratore dell’abate stentava a racimolare i 25 scudi che gli spettavano come compenso (AD Casale, Visita pastorale di mons. d’Este, 1555-67, c. 77v). Oltre che con il declino causato dalle guerre d’Italia, che devastarono anche il Monferrato nel primo cinquantennio del Cinquecento, il fenomeno può anche essere posto in relazione con il rafforzamento del controllo dei Gonzaga sulla sfera religiosa del marchesato da poco acquisito. Come nel caso di Lucedio e di altre abbazie monferrine (Settia 1999; Raviola 2003, pp. 380 sgg.), anche quella di Grazzano fu progressivamente ridotta ad appannaggio del potere ducale e in tal senso, data la presenza nell’edificio di importanti reliquie (tra cui i resti di Aleramo), appare significativo l’ordine di mons. d’Este all’abate in carica di far costruire «capsam unam congruam et honestam in qua reponantur et conservantur reliquie dicte ecclesie» (AD Casale, Visita pastorale di mons. d’Este, 1555-67, c. 81): il luogo doveva essere depositario della memoria dei marchesi di Monferrato e legittimare così il ruolo della nuova dinastia. È individuabile anche la strategia di controllo sull’abbazia messa in atto dai Gonzaga sin dai primi tempi della loro dominazione. La nomina degli abati, infatti, era da essi indirizzata verso esponenti dell’aristocrazia monferrina o, preferibilmente, mantovana che avessero dimostrato fedeltà nei loro confronti: nel 1583, ad esempio, fu costituito abate di Grazzano il vescovo di Casale Aurelio Zibramonti, che era anche ministro di Stato del duca Guglielmo (Raviola 2003, p. 359), e nel 1619 risultava essere abate Scipione Ferragatta, di Mantova, assistito da suo fratello Girolamo (AD Casale, Visita pastorale di mons. Scipione Pascale, 1616-24, c. 175).
Fatte le debite proporzioni, anche gli esponenti dell’élite locale avvertivano l’esigenza di essere rappresentati nell’abbazia: nel 1584, in occasione dell’accurata visita apostolica di mons. Carlo di Montiglio (Ferraris 1995), l’altare in essa dedicato alla Madonna risultava legato alla famiglia Morra, quello di San Sebastiano al sindaco della comunità Verasio Verasi e quello di Santa Caterina a Francesco de Plano che aveva addirittura avuto l’ardire di apporre «il suo ritratto et sua arma […] sopra la figura della SS. Trinità» (AD Casale, Visita apostolica mons. Carlo di Montiglio, 1584, c. 86v). Attorno alle varie cappelle dell’abbazia, poi, erano sorte alcune «compagnie» laiche, tra cui quella del Rosario, che se, da un lato, vivevano della sua luce riflessa, dall’altro finirono per scalfirne lievemente il monopolio ecclesiastico-religioso secondo un percorso non estraneo ad altre realtà monferrine (Parola 1999). Il discorso vale anche per la comparsa della «chiesa di San Martino, o sia oratorio campestre, del qual n’è titolare ms. P. Bonifacio Taverna» e di altre due chiesette paesane dedicate a San Giacomo e San Bernardino (AD Casale, Visita apostolica mons. Carlo di Montiglio, 1584, c. 87v). Nei primi decenni del Seicento, la confraternita più prestigiosa e maggiormente legata all’abbazia risulta esser stata quella del Corpus Domini nella quale, a vario titolo, era coinvolto il notabilato locale che, tramite essa, contribuiva a manutenere l’edificio e a gestire i numerosi legati effettuati in suo favore. Alcuni altari della chiesa, poi, erano di patronato laicale: quello di Santa Caterina, per esempio, era stato fondato dalla famiglia Plano, tra le principali del consiglio municipale (AD Casale, Visita pastorale di mons. Scipione Pascale, 1616-24, c. 178).
Non va trascurata, comunque, un’altra dimensione tipica di Grazzano e dei paesi limitrofi e cioè la strategicità della sua posizione, prossima ai confini con il contado d’Asti e con l’Alessandrino. Ciò, sempre tenuto conto dell’accentramento di poteri nelle mani dell’abate, ne incentivò lo sviluppo agricolo-commerciale nell’ambito di una rete territoriale piuttosto vasta e che vedeva partecipi anche Montemagno, Casorzo, Grana, Viarigi, Castagnole (Monf.) in un continuo scambio di prodotti della terra (uva in particolare), bestiame, stoffe: la concessione del 1419 del marchese Giovanni Giacomo di Monferrato alla comunità di Montemagno di poter commerciare liberamente, senza pagamento di pedaggi, con le altre località menzionate è prova di tale vitalità (Raviola 2001, p. 44). Buona parte del territorio di Grazzano era coltivato a vigneto e gli abitanti della località, sul finire del Cinquecento, erano tra i maggiori fornitori di uva e vino della Camera ducale avente sede a Casale: nel 1591 ben 69 furono i Grazzanesi che consegnarono 565 rubbi d’uva ai ministri di Vincenzo I Gonzaga (AC Grazzano, OC, m. 2, fasc. 52, c. 4, 3 dicembre) nel periodo cruciale delle esazioni di viveri e denaro per la costruzione della cittadella di Casale (Raviola 2003, pp. 80 sgg.). La posizione finitima comportava anche problemi di sorveglianza dei campi: di qui il provvedimento di «reformar gli capitoli della ferratia» emanato dal consiglio comunale nel 1592 «per conservatione delli fruti et finagio di questo luogho, atteso le grandi malitie» degli abitanti dei paesi vicini e dei contrabbandieri (AC Grazzano, OC, m. 2, fasc. 52, c. 17v). Di qui anche i pochi atti di lite di cui sia rimasta traccia per Grazzano, tutti contro la cittadina di Moncalvo per la vendita di sale di frodo operata da alcuni Moncalvesi residenti sul finaggio del paese (AC Grazzano, OC, m. 2, fasc. 52, c. 332 [4 gennaio 1598]). I Grazzanesi erano soliti infatti acquistare il sale a Felizzano e cercavano di evitare la costosa mediazione dei f.lli Capris, moncalvesi, che vendevano il genere di prima necessità al confine con Grazzano. La controversia con i Capris e il tentativo di riscatto di un censo di 24 scudi annui venduto dalla comunità di Grazzano ai Callori di Vignale (AC Grazzano, m. 2, fasc. 52, c. 334, seduta dell’11 gennaio 1598), il cui potere feudale si andava via via rafforzando nel Moncalvese (Raviola in corso di stampa), costituirono i principali problemi della comunità tra Cinque e Seicento. Il rapporto di Grazzano con i Callori era destinato a durare ancora a lungo e non solo per il diritto del forno: dagli anni Sessanta del Seicento fino alla fine del secolo, infatti, fu abate commendatario dei SS. Vittore e Corona Mario Callori, fratello del ministro Antonio, tra i pochi monferrini di spicco alla corte di Mantova (Raviola 2003, p. 401).
Per il Seicento si può ricordare la brutale incursione effettuata in paese dagli uomini del comandante spagnolo don Gregorio Britto nel 1642, in vista della quale i Grazzanesi, impossibilitati a pagare le contribuzioni richieste durante la fase franco-ispana della Guerra dei Trent’Anni, si rifugiarono nel vicino Casorzo (Musso 2001, pp. 39 sgg.). Per il resto, si può osservare, a partire dalla metà del secolo, un recupero della dimensione cultuale attraverso la costituzione di nuove compagnie laiche solo parzialmente all’ombra dell’abbazia. Questa continuò tuttavia a detenere il monopolio della proprietà terriera in zona e nei dintorni. Lo dimostra un registro compilato a partire dal 1628, in occasione della temporanea conquista di Grazzano effettuata dalle truppe di Carlo Emanuele I di Savoia all’inizio della II guerra di Monferrato (AST, Corte, Mat. ecclesiastiche, Abbazie, Grazzano, m. 3 non inv., 1630 – ma 1628 – in 1656, Protocollo dei consegnamenti di beni enfiteutici). L’occupazione ebbe l’effetto immediato di imporre ai Grazzanesi la requisizione dei beni solitamente consegnati all’abbazia ma negli anni successivi, liberato Grazzano dal presidio straniero, questa tornò a esserne legittima beneficiaria. Rispetto al Protocollo del 1563 su cui sono censiti soprattutto fondi Grazzanesi, molti degli appezzamenti di cui si dà qui conto si trovavano nei territori di Vignale, Montaldo, Castelnuovo, Moncalvo e Alfiano, a dimostrazione della persistente influenza abbaziale su Grazzano e dintorni. Tale concentrazione di beni aveva ovvie ripercussioni sulla tassazione comunale: la maggior parte di essi era immune e sugli abitanti gravava la quasi totalità degli oneri fiscali imposti dal Magistrato Camera dei Conti. Una supplica è quanto resta del tentativo della comunità di scalfire l’intangibilità patrimoniale dell’abbazia: databile alla seconda metà del XVII secolo, mentre a Casale infuriava il dibattito sull’immunità ecclesiastica (Raviola 2003, pp. 363 sgg.), con essa i rappresentanti del comune e dei «poveri terrieri» chiesero al duca di costringere il clero grazzanese a pagare almeno i 25 scudi annui dovuti per i beni ereditati con legati e donazioni (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 34, Grazzano, s.d.).
A metà Settecento, su 2345 moggia che componevano il territorio comunale, 174 erano di beni feudali (per un valore di £ 1400) e 157 di beni ecclesiastici immuni (£ 1000). Molti dei 1017 abitanti, mezzadri sui fondi dell’abbazia, erano costretti a trasferirsi stagionalmente Oltrepo per la raccolta del riso, della meliga e del grano (cereali che, peraltro, a Grazzano scarseggiavano). La comunità, presso cui non si tenevano più mercati, era indebitata per 5174 lire e stentava a far fronte ai tributi camerali ordinari di £ 2618 annue (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 6). La compattezza fondiaria dell’abbazia iniziò a venir rosicchiata in epoca sabauda, ma il processo fu lento: secondo i rilevamenti del catasto del 1781 (AC Grazzano, Catasto, u.a. 2), essa controllava ancora una buona porzione del territorio comunale. Il resto, suddiviso in contrade e strade, era frazionato tra i particolari proprietari, appartenenti per lo più a poche famiglie come i Lusona, i Plebani, i Badoglio, i Busso, i Colombaro, i Dioglio e i Piccinino. Sulla base del documento, è possibile ipotizzare la concentrazione in piccoli nuclei abitativi di gruppi parentali che, in alcuni casi, avevano provveduto alla costruzione di cappellette o piloni votivi a proprio uso e consumo: in contrada Gueizo, per esempio, predominava la presenza dei Piccinino dai quali, non a caso, prese poi il nome una borgata attestata nel XIX secolo; lo stesso si può dire per i Capretto che diedero il nome alle Cascine Caprettini. Il frazionamento dei beni abbaziali subì un’accelerazione durante il regime napoleonico consentendo ai piccoli possidenti di acquistare nuove terre e dar vita così a una classe di proprietari che, riformati i bandi campestri nel 1825 (AST, Corte, Paesi per A e B, G, m. 23, fasc. 1), continuò a metterle a coltura incrementando la produzione vitivinicola. Va detto, però, che si trattò spesso di discendenti di famiglie che si erano già consolidate in età moderna: il caso dei Badoglio, in tal senso, è lampante (Allemano 2002).
Proprio per via del ruolo politico giocato nell’Italia fascista dal maresciallo Pietro Badoglio, inoltre, Grazzano visse un breve momento di notorietà e rinnovamento durante gli anni Trenta del Novecento quando fu fatto costruire il nuovo asilo infantile (AC Grazzano, m. 35, u.a. 157). La progressiva industrializzazione della penisola e la meccanizzazione dell’agricoltura degli anni Cinquanta-Sessanta ebbero però effetto negativo sul paese che non sfuggì al generale calo demografico dei piccoli centri. Dopo il picco di 1877 abitanti censiti nel 1901 (Censimento 1902) – nel 1839 ne erano stati contati 1360 (Informazioni statistiche 1839) – la popolazione cominciò a decrescere: 1773 abitanti nel 1921, 1467 nel 1937, 705 nel 1991 e soli 639 nel 2001, compresi alcuni immigrati stranieri (soprattutto marocchini e moldavi). Il nucleo abitativo piuttosto compatto attorno a quanto resta dell’antica abbazia e la centralità della produzione vinicola (il paese fa parte del consorzio del Malvasia D.O.C. di Casorzo) restano tuttavia due costanti della storia di Grazzano.