Venaria Reale

AutoriDe Franco, Davide
Anno Compilazione2014
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Torino
Area storica
Torinese
Abitanti
33698 (ISTAT 2011).
Estensione
2029 ha (ISTAT).
Confini
Robassomero (nord), Caselle Torinese, Borgaro Torinese, Torino, Collegno, Druento, Pianezza.
Frazioni
Madonnina I, Madonnina II, Medico Inferiore, Case sparse (ISTAT 2001).
Toponimo storico
L’insediamento di Venaria Reale sorge nel XVII secolo dalla ricostruzione del più antico abitato di Altessano Superiore, toponimo che si ritrova nelle transazioni di beni situati nei «locis et fundis… Altesano» (BSSS, 69/3, 9, 1075, settembre 3). Dalla fine del XIII secolo sono attestate investiture nel feudo «Altessani Superioris». Il toponimo venne mutato per imposizione della corona sabauda in Venaria Reale, quando fu costruita la residenza di caccia con un nuovo borgo, come riportato dall’architetto ducale Amedeo di Castellamonte (A. di Castellamonte 1674, p. 5). Nelle istruzioni date dai sovrintendenti ai cantieri, nel marzo del 1660, si menzionava  «la fabrica della nostra Venaria Reale in Altessano» (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, Mazzo 32, n. 1), e nell’agosto 1660 la «nostra Venaria Reale» (AST, Corte, Materie Giuridiche, Editti originali, mazzo 10, n. 21, 1660 agosto 4). Il riferimento è alla Vénerie, ossia l’arte di cacciare à courre, che identificava, nel suo significato più ampio, strutture ed equipaggi di caccia (Passerin d’Entrèves 2000, pp. 16 sgg). Ma negli ordinati del Consiglio comunale, fino al 1665, venne ancora utilizzato il più antico toponimo di Altessano Superiore, essendo abbandonato nelle fonti locali solo nel 1666 (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 1, fasc. 1, fol. 28, 1666, marzo 11); rimase però il riferimento al feudo nell’atto di investitura ad Ottavio Provana di Druent (AST, Sezioni Riunite, Indice dei Feudi, AB in AZ, vol. 284, Altessano Superiore).  
Una modifica dettata da un significato eminentemente politico si registra durante la seconda guerra mondiale. Dal dicembre 1943, nei fogli di carta intestata del Comune venne cancellata l’apposizione “Reale”, che scomparve, facendo permanere il solo toponimo di “Venaria” (ASCVR cat. I, classe 8, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 47, fasc. 2, 1943, dicembre 23); solo negli ultimi anni si è ripresa l’antica denominazione di luogo, a seguito del crescente interesse rivelatosi intorno alla residenza sabauda.
Diocesi
Il territorio di Altessano Superiore appartiene alla diocesi di Torino, come risulta dal cattedratico del 1386 (Archivio Arcivescovile di Torino, cat. 54, mazzo 1, n. 27; Caglio 1993).
Pieve
Nel cattedratico del 1386 sono attestati i titoli della Ecclesia Sanctae Mariae e della Ecclesia Sancti Eusebii, facenti capi alla pieve di San Pietro di Pianezza. Nel successivo del 1455 si fa inoltre riferimento ad una Cura Altessani Superioris, ovvero ad una chiesa con cura d’anime (Archivio Arcivescovile di Torino, Decime e catterdratico, Sezione 6, protocollo 173, foll. 17-37; Casiraghi 1979, pp. 210-253).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Le notizie sulla parrocchia diventano più numerose dalla seconda metà del Cinquecento, ma neppure sul finire del XVIII secolo erano chiare le sue vicende più antiche; la relazione di don Carlo Giuseppe Rossi del 1771, riporta che sulla sua fondazione non vi era certezza, perché «non si può sapere il tempo dell’erezione ne d’alcune Bolle Pontificie, ne d’altre notizie della sua origine, solo si sa che l’anno 1577 il parroco della Venaria Reale chiamata allora Altessano Superiore celebrava la santa messa nei dì festivi in sua Parochia, d’indi altra ne andava celebrare nella parochia d’Altessano Inferiore» (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Archivio, relazioni e memorie, Faldone 98, Fascicolo 324, 1771 agosto 29). Nel 1577 il cardinale Gerolamo della Rovere, su richiesta di Henrì di Cremieux, signore di Altessano Inferiore nonché scudiero del duca Emanuele Filiberto, divise le chiese di Altessano Superiore e di Altessano Inferiore, costituendole in parrocchie distinte. La prima visita pastorale del nunzio Angelo Peruzzi, del 1584, attesta la separazione (Archivio Storico Arcivescovile di Torino, Visite pastorali, 7.1.5, 1584). Nel 1645 sono attestati impegni finanziari della comunità per la ricostruzione dell’edificio, dopo i danni ricevuti nel periodo della guerra civile (AST, Camerale, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, vol. 5051, rg. 1638 in 1646, f. 219, 1646, maggio 3; Ivi, ff. 221v-222r, 1646, agosto 23).
I cantieri della residenza sabauda previdero la ricostruzione del borgo, e dal 1669 l’antica chiesa venne sostituita dal progetto dell’architetto Amedeo di Castellamonte, che prevedeva la realizzazione di una piazza quadrato-ovale, avente due chiese contrapposte (Vinardi 1990; Cornaglia 1994; AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzo 34, n. 2, capp. 70-77). Descrizioni, piante e disegni sono riportate – è noto - nel volume dedicato alla Venaria Reale (A. di Castellamonte 1674, p. 6). I progetti prevedevano, inoltre, la realizzazione di un’altra chiesa, nella medesima piazza ma contrapposta, dedicata a Sant’Eusebio vescovo, secondo un progetto che venne soltanto iniziato con la realizzazione della facciata e delle fondamenta. Il cantiere venne interrotto, ed i terreni ceduti da Vittorio Amedeo II nel 1724, per la costruzione di un ospizio destinato alla Congregazione di carità, di cui si conservano regie patenti ed un disegno acquarellato in pianta (APNSM, Fondo Congregazione di carità di Venaria Reale, 1724, giugno 14; 1770 settembre 7).
La parrocchiale del Castellamonte crollò nel 1753, forse a seguito di alcune scosse di terremoto, delle quali vi è testimonianza in un registro di battesimo. La ricostruzione venne affidata alla bottega di Benedetto Alfieri (Vinardi 2012), con una partecipazione finanziaria del re Carlo Emanuele III, che presenziò alla posa della prima pietra (ASCVR Categoria I, Classe 8, serie particolari, cartella 2, fascicolo 2, 1753, settembre 6). Si conservano piante e prospetti acquarellati del nuovo disegno della chiesa (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Beneficio, Tipi e disegni, Chiesa e beni immobili, XVIII secolo).
Per quanto riguarda il patrimonio ecclesiastico, nel 1710 Vittorio Vittorio Amedeo II, al fine di proseguire i cantieri di ingrandimento dei giardini, propose al parroco una permuta conveniente, che consisteva nella cessione di diversi appezzamenti sparsi, in cambio di una cascina con annessi campi, raggruppati in un sol corpo e della medesima ampiezza complessiva, a cui aggiungeva l’utilizzo di dodici ore d’acqua della bealera del mulino (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Beneficio, Acquisti e vendite, Faldone 102, Fascocolo 261, 1715). L’Archivio storico della parrocchiale conserva fascicoli della cascina Prevostura, detta anche Luchina, fino alla seconda metà del Novecento. In particolare, sono documentati contratti di fitto e mezzadria, inoltre atti relativi ai diritti d’uso della bealera (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Beneficio, Cascina "La prevostura" e bealera della Venaria).
I rapporti con la chiesa locale si incrinarono dal momento in cui venne costituita una nuova giurisdizione ecclesiastica nel territorio. In particolare, a partire dagli anni quaranta del Settecento, sono documentati contrasti con la neonata parrocchia di corte (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Rapporti con autorità ecclesiastiche, Regia cappella di corte, Faldone 96, Fascicoli 287-288), polo religioso istituito nel 1728 attraverso breve del papa Benedetto XIII, avente una giurisdizione con un proprio apparato di ecclesiastici, dipendenti dal grande elemosiniere,  che svolgevano gli uffici religiosi nell’ambito della corte, ossia sulla famiglia reale, sulla nobiltà e sul personale di servizio (Merlotti 2012). Sovrapponendosi agli spazi dell’arcidiocesi torinese, la parrocchia di corte aggiungeva un nuovo polo religioso controllato dal sovrano. Sono pertanto attestate interrogazioni del parroco al vescovo torinese, nonché situazioni conflittuali sulle modalità di definizione della giurisdzione parrocchiale in un territorio caratterizzato dalla presenza capillare di edifici regi nel tessuto urbano (De Franco 2012).
La parrocchia di corte cessò di esercitare le sue funzioni nel dicembre del 1798, quando cadeva il regno di Carlo Emanuele IV sotto l’urto delle truppe francesi del generale Jourdan. L’esistenza dei suoi registri nell’archivio parrocchiale di Venaria Reale è probabilmente legato alla necessità di mantenere la cura di fedeli in precedenza soggetti alla regia cappella (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Anagrafe parrocchiale).
Nel corso dell’Ottocento, il riutilizzo della residenza sabauda a favore di caserma per reggimenti di cavalleria ed artiglieria, provocarono la progressiva perdita delle funzioni liturgiche della cappella del regio palazzo, detta anche “di Sant’Uberto”; pare che vi fosse ancora l’intenzione di ripristinarne la dignità parrocchiale: l’ipotesi giunge da una smentita del primo segretario di guerra e marina, del 1843 (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Rapporti con autorità civili e militari, Autorità militari nel quartiere del già regio palazzo, Faldone 97, Fascicolo 299, 1843, giugno 19). La chiesa venne smantellata dei suoi apparati nel 1887, quando arredi e paramenti sacri furono ceduti dalle autorità militari alla parrocchiale di Venaria Reale (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Rapporti con autorità civili e militari, Autorità militari nel quartiere del già regio palazzo, Faldone 97, Fascicolo 300, 1887, novembre 22).
La presenza della corte si manifestò sulla religiosità locale anche da un altri punto di vista. Nei primi anni del Settecento emerse il problema del patrono locale. Carlo Emanuele II aveva garantito alla comunità, attraverso l’edificazione delle chiese dedicate a Maria Vergine e a Sant’Eusebio di Vercelli, la protezione celeste di santi cari alla dinastia. Ma l’edificazione della cappella di corte, entro la quale nel 1732 furono traslate, per volontà di Vittorio Amedeo II, le reliquie di sant’Eusebio vescovo e di sant’Uberto (Castellani Torta, Marinello 2003), costrinse la comunità a scegliere un altro patrono. Attraverso un’operazione, forse ambigua e finanche “semantica”, la comunità elesse quale «avocato tutelare, padrone e protettore del presente logo il glorioso martire S. Eusebio la di cui festa cade li 14 agosto» (ASCVR Categoria I, Classe 8, serie particolari, cart. 1, fasc. 2, 1712, marzo 13), confermato in un successivo ordinato (ASCVR Categoria I, Classe 8, serie particolari, cart. 2, fasc. 3, 1728, maggio 2). Nonostante le confusioni con il più noto santo vercellese, pare che il riferimento fosse a sant’Eusebio prete di Roma, il cui culto appare consolidato nella relazione della parrocchia di don Rossi del 1771. Ma la questione del patrono, forse più di altre, rappresenta il segno di una comunità religiosa la cui identità rimase incerta nel momento in cui le sue vicende si confusero con quelle della residenza di corte; Casalis riporta la persistenza del culto per Sant’Eusebio prete, caduto in disuso nel corso del XX secolo: al momento attuale la città festeggia solamente la festa di Maria Bambina, nel giorno 9 settembre.
Assetto Insediativo
La struttura insediativa di Altessano Superiore non è riconoscibile a causa delle profonde trasformazioni urbanistiche introdotte nel 1659 per impulso dato dalla costruzione della residenza di caccia del duca Carlo Emanuele II. La lettura di consegnamenti e catasti precedenti al 1660 lascia presagire l’esistenza di un villaggio di modesta ampiezza poggiante sulla sponda destra del torrente Ceronda, formato da edifici rustici, separato da orti, stalle ed airali, con il lato sud proiettato verso uno spazio pianeggiante di campi e prati, mentre da nord-ovest a nord-est era chiuso dalla vasta copertura boschiva e dallo Stura di Lanzo, che costituiva il confine comunitario. Amedeo di Castellamonte, nella sua descrizione di Venaria Reale, per dare maggiore enfasi al suo progetto, descriveva la modestia della situazione insediativa precedente: «io dissi il vero, che questa era una picciola villa, e mal composta fabbricata con strade ritorte, con case basse, e rusticali» (A. di Castellamonte 1674, p. 5). Tra le emergenze architettoniche di maggior rilievo, oltre alla chiesa parrocchiale, vi doveva essere il castello, formato da una corte indivisa tra le famiglie investite del feudo, una torre-porta di accesso ed un fossato, sul lato verso il torrente Ceronda (AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt, b. 117, n. 8, 1571, febbraio 3; AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, art. 737, § 1, n. 187, foll. 59v-74v).
Il borgo di Altessano Superiore venne ricostruito dal 1663. Il progetto, ideato da Amedeo di Castellamonte prevedeva - è noto - la ricostruzione in una moderna struttura urbanistica integrata e funzionale al palazzo ducale (A. di Castellamonte 1674; Vinardi 1990; Cornaglia 1994). Nota dettagliata dei primi cantieri del borgo si ritrova in AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzi 32-35. La contrada principale venne realizzata a partire dal suo punto di arrivo, con la costruzione della piazza ad esedra, che ospitò il palazzo della principessa Ludovica, sorella del duca Carlo Emanuele II; inoltre dal 1668 cominciarono i lavori riguardanti alcuni edifici pubblici, tra i quali il trincotto, che ospitava il «giuoco di palla à corda» (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzo 33, n. 3). Un disegno mutilo, settecentesco, mostra l’emiciclo nord della piazza con l’edificio ad esedra, detto “Mandria vechia” per il suo utilizzo tardo seicentesco ad uso di scuderie (AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche, serie III, Venaria Reale, mazzo 8, XVIII secolo). Un altro importante cantiere riguardò la costruzione del nuovo filatoio mosso da forza idraulica, (Chierici 1992).
Nel corso del Settecento l’insediamento non ebbe ulteriori, importanti espansioni; un’immagine complessiva è data dal dettaglio nella Carta topografica delle caccia (AST, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Torino, 15.A.VI.rosso, 1764). Verso nord, nord-ovest, la presenza del torrente Ceronda e di ampie distese boschive, in parte comunitarie, bloccarono l’espansione edilizia. Il confine restava segnato dal corso dello Stura. Mentre in direzione sud, verso i confini di Druento e Pianezza, il territorio era stato modellato, creando una vasta area ordinata di terre coltivate a campo e prato, dipendenti da cascine e proprietà dell’Azienda della Venaria Reale, dismesse in gran parte al demanio militare, nel corso del XIX secolo. Il foglio V e IX del catasto Rabbini mostra lo stato dell’insediamento alla metà dell’Ottocento, senza notabili ampliamenti urbanistici, ad eccezione dell’inclusione della borgata di Altessano Inferiore (AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini,  Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Venaria Reale, mazzo 207, 1863).
Tale forma insediativa sarebbe rimasta inalterata fino al XX secolo, quando soltanto un nuovo sviluppo urbanistico, legato alla crescita delle attività industriali che diedero impulso ad un’edilizia che ampliò la città lungo i due assi degli attuali viale Buridani e corso Matteotti. La presenza del corso del Ceronda, nel lato nord, imposero uno sviluppo urbanistico sul lato opposto. Al 1908 risale un piano regolatore di ampliamento verso il lato sud, che proponeva una trama regolare di assi viari e quartieri principiati sulla linea delle strade periferiche del nucleo storico della città. Nell’economia del progetto, il nuovo nucleo urbanistico di Venaria Reale doveva comprendere, senza soluzione di continuità, l’annesso borgo di Altessano Inferiore (ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 52, 1908).
Luoghi Scomparsi
Altessano Superiore.
Comunità, origine, funzionamento
Nonostante le notizie frammentarie, una communitas hominum in grado di relazionarsi ai signori locali era probabilmente presente almeno durante il basso medioevo. Le prime informazioni certe si ritrovano negli statuti del 1445, dove viene attestata l’esistenza di una comunità funzionante, formata dagli homines et universitatem ipsius loci Altessani Superioris. Gli statuti vennero promulgati alla presenza dei due sindaci, degli undici consiglieri e dei ventuno capi di casa.
Dalla seconda metà del Cinquecento la storia della comunità di Altessano Superiore è contraddistinta dai rapporti intercorrenti con i duchi di Savoia, nei cui boschi vi svolgevano battute di caccia. Nel 1589 sono attestate prestazioni d’opera di alcuni particolari che lavorarono alla stesura delle tele nella vicina Caselle (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Conti consuntivi ed esattoriali, cart. 1, fasc. 1, 1589, febbraio 8). Ma la promulgazione di editti ed ordini ducali, fortemente limitatori delle pratiche venatorie, crearono non poche lamentele, da parte delle feudalità e delle comunità (Defabiani 1990; De Franco 2012a); i possessori dei fondi erano danneggiati dalla proliferazione degli animali selvatici. La comunità di Altessano Superiore, a seguito delle suppliche, ottenne in diverse occasioni l’esenzione dal pagamento delle imposte straordinarie (ad esempio AST, Sezioni Riunite, Camerale, art. 689, Patenti controllo finanze, rg. 1590 in 1591, fol. 305, 1591, ottobre 7; De Franco 2011). Nel 1616 furono riconfermate le esenzioni per le sole imposte straordinarie, in virtù dei «danni, e carichi, che patiscono in detto luogo» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, A, Altessano Superiore, mazzo 20, n. 7, 1616, marzo 2).
Dagli anni venti del Seicento sono inoltre attestate transazioni, consegne di beni enfiteutici, operazioni di credito coinvolgenti cacciatori francesi e savoiardi dell’equipaggio di “Venaria”, segno di un processo di radicamento territoriale in atto (AST, Sezioni Riunite, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, voll. 5047-5051, 1611-1646). Alcuni componenti dell’equipaggio di caccia possedevano inoltre beni al registro del 1652 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cart. 1, fasc. 2, 1652).
La partecipazione della comunità alle cacce ducali venne infine riconosciuta da Vittorio Amedeo I nel 1632, attraverso un contratto rimasto in vigore fino allla fine del XVIII secolo (A. di Castellamonte 1674, p. 14; Picco 1983; Cappelletto 1991; AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, A, Altessano Superiore, m. 20, n. 8, 1632, ottobre 24). Gli abitanti del luogo erano tenuti a fornire supporto per la caccia, mettendo a disposizione scuderie ed edifici per i cacciatori. Inoltre, dovevano fornire uomini e carri pronti a muoveri entro un circuito di dieci miglia intorno a Torino. In cambio dei servizi svolti il duca confermava l’esenzione dai carichi straordinari, dal tasso,  e dalle taglie della bealera di Dora, che diventava «franca in perpetuo».
La costruzione della residenza di caccia, a partire dal 1658 ebbe importanti conseguenze sulla vita della comunità e sul suo tessuto socip-economico. Ma un’analisi degli ordinati, dei causati e dei conti consuntivi ed esattoriali della seconda metà del Seicento ha fatto notare quanto nel periodo della metamorfosi territoriale l’assemblea degli eletti continuava ad essere controllata dalle famiglie originarie. Mentre dunque la corona imponeva una nuova organizzazione territoriale, introducendo propri funzionari nell’amministrazione di beni e giurisdizioni, la comunità manteneva una propria identità attraverso il controllo sul Consiglio comunale.
La relazione dell’intendente del 1753 riporta che gli abitanti non impiegati «all’immediato servizio di S.M.», o erano impegnati nei lavori di campagna, oppure esercitavano attività di commerciali, tra le quali si contavano una trentina di osterie. Stando alla Guida di Gaspare Craveri, vi era un rapporto di forte dipendenza locale dalla corte: «in questa villa della Venaria Reale v’è per lo più la gente del regio servizio, cioè palafrenieri, cacciatori a piedi, ed a cavallo, governatori, e garzoni per servizio de’ cani, marescalchi, sellai ed altri di simil servizio per le regie caccie» (Craveri 1753, 165-169). Ma da un’analisi sullo stato delle anime del 1758, nel quale le famiglie vennero enumerate per giurisdizione parrocchiale, la presenza della corte incideva su circa il 20% dei fuochi, i cui componenti erano impiegati al servizio del palazzo e della corte (APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Anagrafe parrocchiale, Stati delle anime, fald. 38, fasc. 166, 1758).
Sul piano fiscale, intorno al 1737 la comunità chiese conferma dei privilegi sanciti dal contratto del 1632, in particolare dall’esenzione del tasso, dal pagamento del diritto della foglietta (imposta versata dagli osti), e da quello delle carmi e dei “corami”; chiedeva inoltre di essere esentata dalla presentazione dei causati all’intendente della provincia (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Prima Archiviazione, Esenzioni e immunità, mazzo 2, n. 15, 1737); su queste richieste il procuratore generale Maistre presentò parere negativo, ma l’intendente della provincia di Torino, nel 1753, rilevava che il tasso non veniva versato alle finanze regie in virtù del menzionato contratto del 1632.
Statuti
Gli statuti di Altessano Superiore del 1445 sono stati pubblicati da Edoardo Mosca nel 1955. Una copia del volume si conserva in Biblioteca Reale di Torino, con collocazione Miscellanea 22. L’autore sottolinea di aver trovato il manoscritto originale nell’estate del 1953, in una casa di campagna del territorio di Santa Vittoria d’Alba.
Il corpus normativo era stato ricopiato da quello della vicina Borgaro, che aveva ricevuto gli statuti nel 1395, sul modello di quelli di Caselle. Non è difficile scorgere il legame tra le comunità di Borgaro ed Altessano in quegli anni: all’inizio del Quattrocento esponenti delle famiglie dei Guasco e gli Arcour avevano interessi in entrambi i luoghi: in particolare Giovanni Arcour, figlio di Aresmino, era sia consignore di Borgaro che di Altessano Superiore (Manno 1906, 27; Id., 13).
L’impianto normativo degli statuti di Altessano si differenzia da quello di Borgaro in alcune norme, specifiche, che regolamentavano l’attività venatoria, concessa agli uomini della comunità in un quadro di controllo dei signori investiti della giurisdizione del feudo. I diritti feudali erano rinnovati dall’obbligo di consegna di parti degli animali cacciati, secondo una casistica dettagliatamente specificata nei singoli capitoli.
Catasti
Le fonti estimative più antiche della comunità di Altessano Superiore risalgono alla metà del XVII secolo. Si conservano un libro delle mutazioni (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 1, fascicolo 1) ed un registro di consegnamenti (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 1, fascicolo 2). La fonte descrive solamente i beni fondiari, campi, prati, alteni, boschi, gerbidi), omettendo le case, esclusi i cascinali rurali. Questa tendenza, che si riscontra in Piemonte dal XVI secolo, è dettata dallo spostamento della tassazione al registro sui soli beni produttivi, escludendo la casa di residenza. L’estimo del 1652 presenta peraltro rappresentazioni figurate sul tema venatorio in corrispondenza delle partite catastali di soggetti riconducibili all’equipaggio di caccia. Il successivo estimo del 1696 si presenta secondo la medesima organizzazione del precedente. È ancora un volume di consegnamenti corredato di libro delle mutazioni, in cui permane l’assenza di riferimenti a quartieri, frazioni o borgate (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 2).
La misura generale del 1727 rappresenta uno dei primi tentativi attestati in Piemonte di realizzazione di catasto geometrico-particellare. Sia la misura generale che il campagnino dei beni immuni sono corredati da rappresentazioni figurate, con dettaglio delle misure e degli estimi (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 3, 1727). Per i decenni seguenti sono conservati i libri delle mutazioni di registro (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 4), ai quali si è allegato, probabilmente dopo l’unione con Venaria Reale, anche il volume relativo alle mutazioni di Altessano Inferiore (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 4, fascicolo 2, 1732-1772).
Venaria Reale venne compresa sia nel catasto francese (AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto francese, Allegato A, Mappe del catasto francese, Circondario di Torino, Mandamento di Venaria, Venaria, mazzo 15, 1802-1814), che nel catasto Rabbini (AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Venaria Reale, mazzi 206-207); l’archivio comunale conserva inoltre diversi registri successivi, tra cui una matricola dei possessori di Venaria Reale (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 9) e di Altessano Inferiore (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 6). Si ritrova, inoltre, un libro di trasporto dei fabbricati soggetti all’imposta (1852-1868), nel quale vengono compresi gli edifici di Altessano Inferiore, unito nel 1847 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 8).
Il più completo catasto ottocentesco, relativo al 1862-1863, presenta una nuova misura del territorio (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 11, 1862-1863), con ventotto fogli di mappa, ai quali vennero allegati anche disegni relativi al periodo precedente; si ritrova ad esempio il dettaglio del borgo di Venaria Reale, ricavato nel 1821 da una mappa esistente nell’Archivio dell’Azienda economica dell’Interno (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 11). Negli anni successivi si ritrovano l’indice e la matrice preparatoria per un catasto del 1872, ed una nuova matricola dei possessori  del 1901-1912 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 12, 1872; 1901-1912).
Ordinati
I più antichi ordinati conservati nell’archivio comunale risalgono al 1649, e proseguono fino al 1670, con una cesura documentaria che riprende solo nel 1699 (ASCVR sez. II, cat. I, classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cartt. 1-3). Da questo momento, senza soluzione di continuità, sono conservati nella sezione storica dell’archivio  fino al 1958. Le delibere emanate tra il 17 settembre 1805 ed il 6 gennaio 1814 sono state redatte in lingua francese.
È probabile che vi fossero atti consiliari più antichi: sono infatti attestati i conti consuntivi dal 1589 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, conti consuntivi ed esattoriali, cartella 1). La serie delle fonti deliberative venne forse persa durante la guerra civile, nel 1639, quando sono attestati saccheggi, incendi e danni a case e parrocchiale del villaggio (AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt, busta 31, n. 14, 1650, aprile 28).
Dal 1861 gli atti deliberativi presentano l’intestazione di “Comune di Venaria Reale” (ASCVR sez. II, cat. I, classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 18, fasc. 4,  1861, novembre 8), cambiando nuovamente dal 14 marzo 1862, dove si ritrova nella forma di “Municipio di Venaria Reale”; la dizione precedente viene nuovamente ripristinata negli atti prestampati del Comune del XX secolo.   
Dipendenze nel Medioevo
Altessano Superiore rientrava nella circoscrizione carolingia del comitato di Torino e nella successiva marca arduinica. Il territorio in cui era compreso il Po, la Dora e lo Stura, nel corso del Duecento divenne area di proiezione delle élites urbane e dello stesso Comune, estendendosi ad ovest fino a Grugliasco, Collegno e Rivoli, a nord fino a Druento e Settimo, ad est fin verso Pino, mentre a sud-est fino a Cavoretto e Revigliasco (Sergi 2002).
Feudo
Nelle numerose investiture documentate presso l’Indice dei feudi dell’Archivio di Stato di Torino, si può riconoscere la permanenza pressoché continuativa di alcune famiglie, dal basso medioevo fino alla metà del Seicento. Tra le attestazioni più antiche vi è quella relativa all’infeudazione dei  Guasco, nel 1280 (AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, AB in AZ, Altessano Superiore, vol. 284), e degli Arcour (o Harcourt), casato ben presente in tutta l’asta dello Stura di Lanzo dal XIV secolo (Chiarle 2011). Nel corso dell’età moderna gli Arcour continuarono ad essere molto attivi nelle professioni giuridiche e nel Consiglio municipale torinese; Francesco Agostino Della Chiesa, nella sua Relatione dello stato presente, li annoverò tra le ventisette famiglie «stimate le originarie» del comune di Torino. La storia di questa famiglia è ricostruibile in tutte le sue fasi storiche attraverso l’archivio privato, pervenuto presso le Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato (AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt). Nella seconda metà del Cinquecento, alcuni esponenti del ramo di Altessano Superirore seguirono il percorso delle professioni giuridiche: Giorgio si era formato come dottore di leggi, fu giudice di Fiano e podestà di Moncalieri (1560), culminando la carriera con l’entrata nel Senato di Piemonte nel 1576. Carlo fece un percorso simile: diventò dottore collegiato di leggi e giudice di Lanzo; il fratello Gaspare, invece, entrò nell’ordine dei Cavalieri di Malta (Manno 1906, XIII, pp. 12-13). L’eredità di Carlo fu raccolta dai fratelli Gaspare, podestà di Carignano (1610) e giudice di Torino (1613), e Tomaso che, già paggio della scuderia ducale, fu ordinato nel 1609 gentiluomo della casa dei principi (AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt, b. 21 n. 10, 1609, giugno 16). Il cugino Alessandro, erede di Giorgio, seguì le orme del padre formandosi come dottore di leggi: ebbe la carica di prefetto di Susa, fu senatore e fece parte del Consiglio di Stato.
Nelle terre sulle sponde del Ceronda erano giunti, a inizio Cinquecento, gli Scaravello, originari di Vercelli, di recente nobiltà; conti di Givoletto nelle Valli di Lanzo, signori di Moriondo, Lovencito, Lesegno e del marchesato di Ceva (Manno 1906, XXIV, p. 259).  Il primo esponente del casato sarebbe stato Giovanni Francesco, investito di Altessano Superiore nel 1515 (AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, AB in AZ, Altessano Superiore, vol. 283, 1515, aprile 14).  Tra i discendenti alcuni entrarono nell’ordine gerosolimitano di Malta.
Un’altra famiglia investita di parti del feudo era quella dei Capris, particolarmente attiva sia nel Consiglio torinese, che nela corte sabauda (Manno 1906, IV, p. 343). Giovanni Francesco, nei primi anni del Seicento, oltre ad essere capitano della caccia, ebbe posizioni di rilievo nell’ambito del Consiglio torinese.  Fu lui ad acquisire, attraverso il matrimonio con Cassandra Margherita Pensa, il feudo di Ciglié e Rocca nelle Langhe.   
Nei primi anni del Seicento entrarono nel feudo nuovi signori, in particolare Ottavio Henry di Cremieu, signore della vicina Altessano Inferiore (AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, vol. 283, AB in AZ, Altessano Superiore, 1602, ottobre 10); l’estinzione della linea maschile fece subentrare i Provana di Druent, ovvero la più alta e qualificata nobiltà piemontese: Paola di Cremieux, figlia dell’ultimo discendente Nicolao, aveva sposato Carlo Provana, il cui primogenito, Francesco, fu in seguito investito del feudo di Altessano Superiore (AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, vol. 283, AB in AZ, Altessano Superiore, 1621, novembre 22).
Sotto la data del 1620, nel libro dei redditi di Francesco Scaravello è riportata la divisione di diritti e rendite feudali di Altessano Superiore (AST, Sezioni Riunite, Archivi privati, Famiglia d’Harcourt, b. 118, n. 21): le maggiori quote erano detenute dagli Arcour, dagli Scaravello, mentre in quota minore figuravano i Guasco, i Capris, i Provana, i Dagna. Nel corso del Seicento avvenne una sostanziale diminuzione del numero di feudatari. I fratelli Melchiorre e Antonio Guasco ricevettero l’investitura nel 1634 (AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, vol. 283, AB in AZ, Altessano Superiore, 1634, settembre 18), ma su questo casato non vi furono più conferme. Manno segnala che il più probabile erede diretto di Melchiorre, Pietro Ottavio, morisse il 2 ottobre 1629 (Manno 1906, XXVII, p. 108). Carte dei Guasco di Altessano sono pervenuti all’Archivio dell’Opera Pia Barolo; il collegamento sarebbe da rintracciarsi nel passaggio del patrimonio dei Provana ai Falletti, e da qui all’ente socio-assistenziale. Resterebbe da chiarire, al momento, le modalità del passaggio di beni e redditi feudali dai Guasco ai Provana, molto probabilmente avvenuti intorni agli anni ’30-’40 del Seicento.
I progetti per una residenza venatoria e per l’avvio di nuove iniziative economiche richiesero non soltanto l’acquisto dei terreni utili all’avvio ed alla prosecuzione dei cantieri, ma anche il passaggio alla dinastia sabauda delle giurisdizioni, divise entro un numero tutto sommato ristretto di famiglie. I signori vendettero le loro porzioni di beni, diritti feudali, pedaggi tra il 1665 ed il 1674 (De Franco 2011a). Oltre a quelle possedute dalla corona, fino alla prima metà del Settecento parte delle giurisdizioni erano soltanto nelle mani dei Provana di Druent, investiti ancora del feudo di Altessano Superiore nel 1677 (AST, Sezioni Riunite, Indice dei Feudi, AB in AZ, vol. 284, Altessano Superiore; AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, § 1, capo 18, mz. 6, fol. 33, 1725, settembre 17).
Per la comunità, l’acquisizione delle giurisdizioni da parte della corona rappresentò un indubbio vantaggio; nella misura generale del territorio del 1703 (AST, Sezioni Riunite, Seconda archiviazione, capo 18, § 1, mz. 1, foll. 329v-364r), i rappresentanti locali dichiararono alla commissione ducale che «in tempo che la giurisdizione di questo luogo era soggetta alli signori antichi di questo luogo si pagavano da particolari in parte qualche fitti minuti, ma sendo d’indi detta giurisdizione stata acquistata da S.A.R. da detto tempo in qua non si è mai più pagata alcun fitto minuto, ne dalla comunità ne da particolari». È peraltro interessante notare che agli atti si registrava la perdita della memoria, essendo per «ciò averlo solo sentito a dire non avendone però certezza alcuna non facendosi pure in questo luogo pagar alcun cotizo personale».
Mutamenti di distrettuazione
A partire dall’istituzione delle province nel 1622, la comunità di Altessano Superiore, poi Venaria Reale, venne compresa nella distrettuazione amministrativa di Torino. Casalis riporta che nella seconda metà dell’Ottocento Venaria Reale era capoluogo di mandamento nella provincia di Torino (Casalis 1853, p. 863).
Mutamenti Territoriali
Il più significativo ampliamento del territorio comunale si verificò con l’unione del borgo di Altessano Inferiore, vicina comunità posta a valle. Un progetto di unificazione è attestato nei primi anni dell’Ottocento, quando il Consiglio comunale di Venaria Reale deliberò la sua opposizione, constatando l’inopportunità della condivisione de «ses ressources avec une commune si pauvre comme celle d’Altessano» (ASCVR sez. II, cat. I, classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 5, fasc. 3, 1806, maggio 12). Ma il progetto venne portato a compimento mezzo secolo dopo; la borgata di Altessano venne separata dalla comunità di Borgaro, ed unita a quella di Venaria Reale nel 1847 (AST, Corte, Paesi per A e B, Altessano Superiore, mazzo 20, nn. 13-15, 1847; inoltre ASCVR sez. II, cat. I, classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 16, fasc. 2, 1849, giugno 15).
Comunanze
Gli statuti di Altessano Superiore del 1445 menzionano un atto di cessione dei nobili di alcuni gerbidi,  da unirsi ai beni comunitari con il diritto di «gaudere pro sua libito voluntatis tanquam in rem comunis» (Mosca 1955, p. 18).  Liti tra consignori e comunità sulle modalità di sfruttamento delle risorse collettive si manifestarono nella prima metà del Seicento. I contrasti erano dovuti all’intenzione di saldare i debiti comunitari vendendo gerbidi ed ore d’acqua della bealera  (AST, Sezioni Riunite Archivio d’Harcourt, busta 23, n. 3, 1617-1620).  Dalla lite emerge che gli Arcour erano in realtà creditori di gran parte dei debiti comunitari, e che erano peraltro orientati a mantenere il controllo sui beni considerati «comuni a tutti et massime ad essi signori». Ma la comunità decise ugualmente di chiedere un prestito di 300 scudi, accendendo un censo «sopra li boschi paschi e ogni altri redditi e beni», scelta giustificata dalle pesanti contribuzioni dovute alla Tesoreria generale, «per ratta della cavaleria assignata a questo luoco» (AST, Sezioni Riunite, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, vol. 5047, rg. 1611 in 1620, foll. 599r-600r, 1618, luglio 25); altre simili azioni causarono contrasti che si protrassero negli anni seguenti  (AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt, b. 119, n. 45, 1625, dicembre 7).
Con la cessione di beni e giurisdizioni al duca Carlo Emanuele II cessarono le liti per i beni comunitari, ma si profilarono nuove difficoltà. Nella misura generale del 1703 la comunità possedeva 852,68 giornate di beni comuni, tra i quali 803,73 giornate di boschi, componente non irrilevante nelle 2048,88 giornate misurate. Si trattava di risorse che avrebbero consentito una maggiore agiatezza alla comunità, ma la corona, che aveva imposto una normativa sulla salvaguardia della selvaggina, limitando fortemente lo sfruttamento boschivo, aveva vietato l’affitto, il pascolo, il taglio del fieno. L’imposizione non era stata però ben accettata da parte dei pastori,  che ab antiquo sfruttavano i beni collettivi. Sulla questione il capitano dei guardiacaccia Giovanni Luigi Bertone di Crillon si rivolse intorno al 1683 a Vittorio Amedeo II, esponendo le ostilità incontrate alle azioni di controllo dei soldati a cavallo (AST, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, mazzo 13bis, n. 62; De Franco 2011a). Secondo una relazione sullo stato dei boschi alla fine del Settecento, il pascolo era consentito anche nei beni comuni, ma dopo cinque anni dall’ultimo taglio, e soltanto per le bestie bovine (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 3, fasc. 3, foll. 165r-168v, 1782, dicembre 22).
Nel corso del Settecento era avvenuta un’erosione della proprietà comunale; secondo il Campagnigno dei beni immuni del 1727 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 3, 1727), la comunità possedeva 623,52 giornate di boschi e gerbidi. Parte dei beni comuni sono rappresentati nella carta dello Stura che presenta la divisione dei territori di Altessano Inferiore, Venaria Reale e Caselle nel 1781 (AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Stura, mazzo 6, 1781). Un confronto tra la quantità e tipologia dei beni comunali nel secolo successivo si può effettuare a partire dai dati riportati nella Matrice preparatoria dei beni-fondi del Comune di Venaria Reale del 1872 (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cartella 12, fasc. 2, 1872); boschi, campi, prati ed edifici di proprietà comunale avevano un’ampiezza complessiva di 286 ettari e di 94 are, cresciuti, rispetto allo stato precedente del 1727, dove nel complesso corrispondevano a 237 ettari.
Tra i beni comuni occorre comprendere l’acqua della bealera, derivata nel 1498 dalla Dora Riparia (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Altessano Superiore, mazzo 6, n. 5 bis, 1498, marzo 8). Un disegno del tratto principiante il canale, nel punto in cui prelevava l’acqua presso Pianezza, con individuazione del partitore che divideva in due il ramo iniziale, di cui uno al servizio dei signori e della comunità di Pianezza, l’altro per il luogo di Altessano Superiore-Venaria Reale, è conservato in AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie III, Venaria Reale, mazzo 11, 1730.
L’individuazione delle sorti di questo prezioso bene consente di comprendere efficaciemente il processo di acquisizione delle risorse territoriali da parte della corona sabauda. È possibile seguire le diverse fasi dal fascicolo di una controversia di metà Settecento tra corona e comunità (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, cart. 349, fasc. 14): nel 1545, dalle 192 ore complessive, valevoli per otto giorni, bisognava esclusderne 24 spettanti a Pianezza; delle restanti 168 ore, la comunità ne possedeva  104, mentre i signori locali 64. La quota comunitaria scese a 72 ore nel 1661 per le cessioni al demanio ducale, abbassandosi ancora a 59 ore nel 1719. Le restanti 109 appartenevano alla corona.
Liti Territoriali
Le principali controversie attestate tra Sei e Settecento avvennero per i diritti d’uso della bealera. In primo luogo sorsero azioni di contrasto all’estrazione  abusiva d’acqua, come avvenne nel 1621, quando la comunità si appellò al Senato di Torino contro Battista Datta, auditore patrimoniale del duca, che aveva costruito una cascina presso Collegno derivando dell’acqua (ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 37, fasc. 7).  
Conflitti sono attestati anche nei confronti della comunità di Pianezza, contro la quale gli uomini di Altessano Superiore si appellarono al Senato di Torino, lamentando le richieste di pagamenti per i carichi della bealera, non giustificate dai privilegi ottenuti nel 1632 (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, cart. 349, fasc. 2, 1636-1651). Le concessioni furono confermate in seguito, come risulta da un fascicolo recante estratti di sentenze del 1638 e 1657 (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, cart. fasc. 349, fasc. 7). Altri conflitti sulle acque si conservano nel medesimo fondo, e fanno riferimento alla responsabilità dei lavori di manutenzione del canale.
Dal momento in cui la corona acquisì la maggior quota delle ore d’uso, i conflitti si spostarono tra questa e la comunità, in merito ai diritti di sfruttamento. È inoltre attestato un ordine dell’intendente di Torino, del 1704, che in tempo di guerra ordinò alla comunità la restituzione di un terzo dell’acqua della bealera, in modo tale che che si potessero macinare le granaglie destinate alle truppe in difesa di Torino (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, fasc. 349, fasc. 11). Al 1723 risale poi la citazione in giudizio del procuratore generale contro alcuni particolari della comunità, che avevano prelevato quote maggiori d’acqua, usurpando il diritto dei due terzi spettanti al regio patrimonio (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, fasc. 349, fasc. 12, 1723). Ma i contrasti con l’autorità regia continuarono nei decenni seguenti, come risulta da diversi fascicoli di metà Settecento, che contenengono atti su diritti d’uso, con allegati documenti rispettivamente prodotti dalle parti (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, cart. 349, fasc. 14, 1754-1758; ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 39, fasc. 10;  ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 40, fasc. 4, 1757).
Danni a beni boschivi sono attestati alla fine del Settecento, quando diversi «devastatori e ladri de’ boschi del regio servizio» vennero arrestati dalle autorità comunali. Si trattava di palafrenieri, garzoni di carrozza, cocchieri, posti alle dipendenze della corte e sorpresi a tagliar legna nei boschi, forse comuni (Archivio Storico Castello di Masino, mazzo 554, fasc. 21, 1796). Sono da collegarsi a pratiche considerate abusive altri atti di lite nei confronti di soggetti privati (ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 41, fasc. 16, 1788), non solo per il pascolo, ma anche per l’illecita riduzione a prato e campo di particelle boschive (ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 42, fasc. 6, 1821-1823).
Per quanto riguarda controversie con le comunità confinanti, è documentata una lite nel 1678 con Druent, relativa all’inclusione nel suo registro di beni riconducibili ai particolari di Venaria Reale. Il contenzioso si concluse con la sostanziale rinuncia territoriale di Venaria Reale, cui seguì la ridefinizione dei confini  (ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 38, fasc. 20, 1684). Questioni di confine sorsero nuovamente nel 1737, quando venne contestata alla comunità di Venaria Reale la proprietà su una particella di bosco in regione Gariglio, permutata con Vittorio Amedeo II nel 1710 (ASCVR sez. I, cat. I, classe 9, Carte, liti e conflitti, cart. 39, fasc. 4, 1737-1741).
Nel 1753 l’intendente di Torino certificava che gli affari pubblici della comunità venivano   regolati a dovere, e che non vi erano liti vertenti (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, capo 79, mazzo 12bis, 1753). Ma pochi anni dopo Carlo Emanuele III giunse ad ordinare all’intendente di Torino lo scioglimento del Consiglio comunale, che si era opposto alla somministrazione settimanale di una certa quantità di carne al capitano della Venaria (Merlotti 2010, p. 96). Nella vicenda era coinvolto anche il macellaio, fornitore al tempo della controversia, che venne sottoposto a procedimento giudiziario (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 3, fasc. 1, 1757).

 

Fonti
Abbreviazioni
Asto: Archivio di Stato di Torino
Ascvr: Venaria Reale, Archivio Storico del Comune
Apnsm: Venaria Reale, Archivio della Parrocchia Natività di Santa Maria
 
Le fonti vengono citate con una suddivisione che rimanda alle singole voci della scheda per facilitare l'accesso alle fonti voce per voce:
Toponimo storico.
BSSS, 69/3, 9, 1075, settembre 3, Burgundio, giudice, del fu Domenico, sua moglie Unia del fu Gisulfo e Gistaberto del fu Alamanno, nipote di Unia, vendono beni in Torino, Doasio, Collegno ed Altessano a prete Adamo del fu Costantino.
AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, Mazzo 32, n. 1.
AST, Corte, Materie Giuridiche, Editti originali, mazzo 10, n. 21, 1660 agosto 4.
AST, Sezioni Riunite, Indice dei Feudi, AB in AZ, vol. 284, Altessano Superiore.
ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 1, fasc. 1, fol. 28, 1666, marzo 11; cart. 47, fasc. 2, 1943, dicembre 23
 
Diocesi.
Archivio Arcivescovile di Torino, cat. 54, mazzo 1, n. 27, 1386.
 
Pieve.
Archivio Arcivescovile di Torino, Decime e catterdratico, Sezione 6, protocollo 173, foll. 17-37, 1455.
 
Altre presenze ecclesiastiche.
Archivio Storico Arcivescovile di Torino, Visite pastorali, 7.1.5, 1584.
AST, Camerale, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, vol. 5051, rg. 1638 in 1646, f. 219, 1646, maggio 3; Ivi, ff. 221v-222r, 1646, agosto 23.
AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzo 34, n. 2, capp. 70-77.
AST, Corte, Materie ecclesiastiche, cat. 27, Cappellano della real corte, e delle regie armate, mazzo 1, numero 4, 1743-1745.
ASCVR Categoria I, Classe 8, serie particolari, , Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 1, fasc. 2, 1712, marzo 13; cart. 2, fasc. 3, 1728, maggio 2.
ASCVR Categoria I, Classe 8, serie particolari, cart. 2, fascicolo 2, 1753, settembre 6.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Beneficio, Acquisti e vendite, Faldone 102, Fascicolo 261, 1715. Ivi, Tipi e disegni, Chiesa e beni immobili, XVIII secolo. Ivi, Cascina "La prevostura" e bealera della Venaria, XIX-XX secolo.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Anagrafe parrocchiale, Registri di battesimo, matrimonio e morte della regia parrocchia di corte, 1730-1798.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Archivio, relazioni e memorie, Faldone 98, Fascicolo 324, 1771 agosto 29.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Rapporti con autorità ecclesiastiche, Regia cappella di corte, Faldone 96, Fascicoli 287-288, XVIII secolo.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Rapporti con autorità civili e militari, Autorità militari nel quartiere del già regio palazzo, Faldone 97, Fascicolo 299, 1843, giugno 19; Fascicolo 300, 1887, novembre 22.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Fondo Congregazione di carità di Venaria Reale, 1724, giugno 14, 1770, settembre 7.
 
Assetto insediativo.
AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzi 32-35, 1663-1671.
AST, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete,Torino, 15.A.VI.rosso, 1764. Ivi, Carte topografiche serie III, Venaria Reale, mazzo 8, XVIII secolo.
AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, art. 737, § 1, n. 187, foll. 59v-74v, 1571.
AST, Sezioni Riunite Seconda Archiviazione, capo 18, § 1, mz. 1, fol. 43, 1663, aprile 3.
AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini,  Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Venaria Reale, mazzo 207, 1863.
ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 52, 1908.
 
Comunità, origine, funzionamento.
AST, Sezioni Riunite, Camerale, art. 689, Patenti controllo finanze, rg. 1590 in 1591, fol. 305, 1591, ottobre 7.
AST, Sezioni Riunite, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, voll. 5047-5051, 1611-1646.
AST, Sezioni Riunite, Finanze, Prima Archiviazione, Esenzioni e immunità, mazzo 2, n. 15, 1737. Ivi, Seconda Archiviazione, capo 79, mazzo 12bis, 1753.
AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, A, Altessano Superiore, mazzo 20, n. 7, 1616, marzo 2. Ivi, n. 8, 1632, ottobre 24.
ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Conti consuntivi ed esattoriali, cart. 1, fasc. 1, 1589, febbraio 8.
ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cart. 1, fasc. 2, 1652.
APNSM, Fondo Parrocchia della Natività di Maria Vergine di Venaria Reale, Anagrafe parrocchiale, Stati delle anime, fald. 38, fasc. 166, 1758.
 
Statuti
E. Mosca, a cura di, Gli statuti di Altessano Superiore, Tipografia dei Padri Giuseppini, Bra, 1955.
 
Ordinati.
ASCVR sez. II, cat. I, Classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cartt. 1-50, 1649-1958.
 
Catasti.
ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cart. 1, 1649-1652. Ivi, cart. 2, 1696. Ivi, cart. 3, 1727. Ivi, cart. 4, 1727-1772. Ivi, cart. 6, XIX secolo. Ivi, cart. 8, 1852-1868. Ivi, cart. 9, 1855. Ivi, cart. 11, 1862-1863. Ivi, cart. 12, 1872; 1901-1912
AST, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto francese, Allegato A, Mappe del catasto francese, Circondario di Torino, Mandamento di Venaria, Venaria, mazzo 15, 1802-1814. Ivi, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Venaria Reale, mazzi 206-207.
 
Feudo
AST, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, Indice dei feudi, AB in AZ, Altessano Superiore, vol. 284.
AST, Sezioni Riunite, Archivio d’Harcourt.
AST, Sezioni Riunite, Seconda archiviazione, capo 18, § 1, mazzo 1, foll. 329v-364r, 1703. Ivi, mazzo 6, fol. 33, 1725, settembre 17.
Manno 1908, IV, XIII, XXIV
 
Mutamenti territoriali.
ASCVR sez. II, cat. I, classe 8, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 5, fasc. 3, 1806, maggio 12. Ivi, cart. 16, fasc. 2, 1849, giugno 15.
AST, Corte, Paesi per A e B, Altessano Superiore, mazzo 20, nn. 13-15, 1847.
 
Comunanze.
AST, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, mazzo 13bis, n. 62, 1683 ca.
AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Stura, mazzo 6, 1781.
AST, Sezioni Riunite Archivio d’Harcourt, busta 23, n. 3, 1617-1620; Ivi, busta 119, n. 45, 1625, dicembre 7.
AST, Sezioni Riunite, Ufficio d’insinuazione di Torino, Altessano, vol. 5047, rg. 1611 in 1620, foll. 599r-600r, 1618, luglio 25.
ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 3, fasc. 3, foll. 165r-168v, 1782, dicembre 22
ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, Libri del catAST, cart. 3, 1727, Ivi, cart. 12, fasc. 2, 1872.
 
Liti territoriali.
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Descrizione Comune
Venaria Reale
I cantieri per la realizzazione di una nuova residenza in grado di celebrare l’immagine dinastica sono documentati dal 1659, ma i lavori per un non meglio specificato palazzo iniziarono almeno dal 1657, come appare da un documento che ingiungeva ad alcuni particolari il pagamento della bealera di Dora: «Ci commanda far pagar li debitori del consortille della bealera qual si piglia dal fiume Dora acciò l’acqua continuamente discorra per bonificatione de beni e per adacquar le piante de giardini e bosco che la medema R. A. fa piantar al palazzo, qual fa fabricar in questo logo» (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, cart. 349, fasc. 6, 1657).
La realizzazione del complesso architettonico fu accompagnata dagli atti di acquisto, protratti per circa quindici anni, di terreni, edifici (Vinardi 1990; Cornaglia 2007) e delle giurisdizioni (De Franco 2011a). L’apertura dei cantieri indusse la corona ad acquisire anche consistenti quote di ore d’acqua, al fine di garantire il funzionamento di fontane e giardini. Nel 1660 fu aumentata la capacità idrica della bealera di Pianezza, derivando presso Druent un partitore che raccoglieva le acque del Naviglio dello Stura (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda archiviazione, capo 18, § 1, mazzo 1, foll. 15, 1660). In seguito Giovanna Battista di Savoia Nemours protesse con un editto le acque della bealera, ordinando qualsiasi prelievo abusivo (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, Venaria Reale, mazzo 9, n. 2, 1676, maggio 14).
La Venaria Reale di Carlo Emanuele II venne costruita sulla complementarietà di “bello” ed “utile”; nel 1670 venne fatto costruire un filatoio da seta alla bolognese, alimentato da energia idraulica, concesso per cinque anni all’impresario Gianfrancesco Galleani, che aveva l’onere di avviamento dell’attività (Chierici 1992; Chicco 1995, pp. 21-38). Ma altre fabbriche da seta ed altri imprenditori subentrarono negli anni seguenti, allo scopo di introdurre nuove lavorazioni. Attraverso l’acqua della bealera, di cui la corona possedeva consistenti ore d’uso, si potevano alimentare diversi filatoi, in particolare quello del Galleani,  dal 1670, quello dei banchieri Berlia e Petel, nel 1684 (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, fasc. 349, fasc. 9) e quello dei mercanti Gioanetti e Bistorti, dal 1699 (ASCVR sez. I, cat. X, classe 4, Bealera della Dora, atti e liti, fasc. 349, fasc. 10).
Tra le iniziative economiche, va inoltre considerato lo sforzo per avviare il commercio locale, introucendo fiere e mercati. Al fine di rendere conveniente l’afflusso di mercanti, si proponeva di abolire gli affitti alle botteghe di proprietà ducale, per un certo periodo da concordare, esentando anche dal pagamento della foglietta (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzo 35, n. 4, 1669). Nel 1671 si stabilì l’istituzione del mercato, per «il beneficcio degli habitanti», ogni mercoledì nella piazza pubblica (AST, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, mazzo 11, n. 8, 1671, giugno 4).
La ricostruzione e la riorganizzazione di un territorio attraverso progetti esterni alle dinamiche locali, ebbe tra le conseguenze l’emersione di episodi di emergenza sociale, affrontati, da parte ducale, ponendo in essere un maggior controllo militare: «Sono si frequenti li disordini, e furti che si commettono nelle nostre corti, e così poco il rispetto che si porta con tal maniera di rubbare ne’ nostri palazzi che ci troviamo obligati di porvi il conveniente rimedio, acciocché siano castigati li delinquenti, e compresa la temerità di tali arroganti» (AST, Corte, Palazzi reali e altre fabbriche regie, Venaria Reale, mazzo 1, n. 1, 1669, giugno 13). Negli anni successivi si denunciavano ancora «gl’eccessi, che di notte tempo seguono nel luogo nostro della Venaria, causati da alcuni particolari, i quali nutrendosi nell’ozio si fanno lecito nell’uscire dall’hosterie, di commettere diversi disordini, sparando armi da fuoco, attaccando querelle con chi incontrano, dalle quali ne seguono homicidii, e tirando sassate per quelle contrade, a segno, che si rendono impraticabili eziando fra vicini» (AST, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, mz. 13, n. 8, 1681, agosto 1).
Da parte sabauda si proibì ad osti, tavernieri e residenti di offrire ospitalità o «dar da mangiare ad alcun particolare habitante in quel luogo, di notte tempo, ed immediatamente doppo suonata l’Ave Maria della sera sino a quello del matino seguente»; ma gli atti vandalici non erano destinati a diminuire, se nel 1682 si denunciava, con un altro editto, il furto di «lotoni, e minerali, che servivano alle fontane della nostra Venaria, com’anche dattasi la pasta alli pesci esistenti in dette fontane» (AST, Corte, Palazzi reali e altre fabbriche regie, Venaria Reale, mz. 1, n. 3, 1682, febbraio 19). La risposta fu di tipo repressivo: una compagnia del reggimento guardie fu distaccata nella Venaria Reale, rinforzando un sistema di controllo del territorio già percepibile dalla presenza dei guardiacaccia (AST, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, mazzo 13bis, n. 44, 1683, febbraio 26; Passerin d’Entrèves 2010). L’iniziativa poteva forse risultare odiosa per la popolazione, vista l’imposizione data ai soldati di non provocare risse e fatti d’arme con i residenti (AST, Sezioni Riunite, Camerale, art. 689, Patenti controllo finanze, rg. 1678 in 1687, fol. 212, 1683, marzo 2).
Fin dai primi momenti dell’avviamento dei cantieri la volontà avviare iniziative di matrice mercantilistica venne integrata dalla costruzione di un vasto patrimonio ducale di beni produttivi, formato da cascine, case, terreni, diritti d’uso della bealera, forno e mulino, con l’obiettivo di coprire, almeno in parte, i costi che una macchina così complessa imponeva alle casse della corona. Quietanze d’affitto di terre e cascine documentano, almeno dal 1674, il tentativo di sostenere parte delle spese di manutenzione di palazzo e giardini (AST, Sezioni Riunite, Camerale, art. 810, mazzo 5, n. 10).
Al 1687, come rilevato da Leila Picco, risale un regolamento sul trattamento economico di sette addetti per l’allevamento della razza dei cavalli (Picco 1983; Cappelletto 1991). Ma il pascolo delle mandrie equine fu causa di danni ai prati, i cui fieni erano mangiati dagli animali; a seguito delle lamentele, la direzione amministrativa dei beni della Venaria si impegnò al risarcimento dei danni (AST, Sezioni Riunite, Camerale, art. 689, Patenti controllo finanze, rg. 1687, fol. 134, 1687, agosto 12; Ivi, rg. 1688 in 1689, fol. 122, 1689, agosto 29).
Una delle più evidenti conseguenze della trasformazione del villaggio di Altessano Superiore in un complesso sistema di territorio, nel quale coesistevano loisir di corte ed iniziative di stampo proto-industriale e mercantilistico, si registra nella crescita demografica e nella redistribuzione della proprietà fondiaria. Vista l’esiguità dei beni feudali ed ecclesiastici in questo territorio, lo studio della proprietà al catasto consente di comprendere con maggior sicurezza l’influenza dei flussi migratori sulla popolazione residente (De Franco 2012b). Si è pertanto notato che nuovi possidenti si unirono alle famiglie originarie, che a fine Seicento mantenevano solo il 55,31% della ricchezza complessiva in estimo. Al vertice dei proprietari erano subentrate élites che avevano costruito la propria fortuna attraverso il servizio alla corona: in particolare il conte Gerolamo Galleani, imprenditore della seta e figlio di quel Gianfrancesco che aveva introdotto il mulino da seta alla bolognese a Torino e Venaria Reale, ed il capitano, nonché aiutante di camera, Fabrizio Maulandi. Le incombenze della peculiare carica di capitano della Venaria vennero definite dal Castellamonte nel suo libro: «sovraintende alle cose famigliari et economiche del palazzo» (A di Castellamonte 1674, p. 16). Il ruolo del Maulandi, nella seconda metà del Seicento, fu centrale: non soltanto era impegnato nell’ordinaria amministrazione dei beni ducali, sovrintendendo a manutenzione e lavori, ma, da un esame delle fonti locali, comunali e parrocchiali, agiva in qualità di un dominus riconosciuto dal territorio (De Franco 2011a).
La misura generale del 1703 consente di integrare le informazioni fornite dagli estimi (AST, Sezioni Riunite, Seconda archiviazione, capo 18, § 1, mz. 1, foll. 329v-364r). Il territorio comunale misurava 3925,75 giornate; i beni ducali, non sottoposti alle imposte locali, costituivano il 32,81% della superficie complessiva, ed erano costituiti, in buona parte, da boschi. All’inizio del Settecento la proprietà feudale si restrinse al 6,6% del territorio misurato, mentre ancora minore era la proprietà ecclesiastica (1,57%). Venaria Reale ebbe quindi l’imprinting di uno spazio franco da immunità feudali ed ecclesiastiche, nel quale agiva una corona nelle vesti di un signore territoriale in possesso delle giurisdizioni e della quota più rilevante di beni (anche questi immuni dalle taglie locali).
Nei primi anni del Settecento si riaprirono i cantieri di palazzo e giardini con nuovi progetti, miranti a ricostruire la residenza in forme più auliche, seguendo con maggior fedeltà i canoni francesi (Vinardi 1990; Cornaglia 2010). Il cantiere, protrattosi per tre quarti di secolo con diversi architetti, tra cui Filippo Juvarra, non portò al compimento dei progetti previsti a inizio secolo, ma l’acquisizione di terre e cascine accrebbe notevolmente la proprietà fondiaria: secondo la misura generale del 1703 i Savoia erano proprietari di circa 489 ettari che diventarono 969 ettari nel 1770, stendendosi nei confinanti distretti comunitari di Druento, Pianezza e Collegno, come mostrato dalla Carta toppografica in misura de’ beni della delizia alla Venaria Reale propri di S.S.R.M. rilevanti in misura come infra (AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Venaria, 22.A.VII rosso, 1770). Buona parte di questo patrimonio era costituito dalle terre di sette cascine (396,43 ettari), dai prati della scuderia della Mandria per l’allevamento dei cavalli (150,6 ettari), da boschi (257,65 ettari), infine da giardini, prati, potaggere e pipiniera pertinenti al palazzo (123,5 ettari).
L’espansione di questo patrimonio fu legata alla nascita dell’Azienda economica, al cui vertice risiedeva un direttore; come si è sottolineato, l’Azienda si proponeva di «organizzare e garantire la conduzione agraria delle terre, i cui redditi erano impiegati in parte, per le esigenze della caccia ed in modo preponderante per l’allevamento dei cavalli» (Picco 1983, pp. 25-26). L’istituzione era dunque finalizzata alla gestione dei beni produttivi di proprietà regia: affitto di un mulino, panetteria e forno nel borgo, conduzione ad economia di prati e boschi, locazione delle cascine, nonché tenute e fondi agricoli nella zona del Vercellese. L’ente aveva il controllo delle attività economiche del territorio; era vietata la macina e la cottura del pane in mulini e forni diversi da quelli pubblici, o da quelli dati dall’Azienda in locazione; era soltanto concesso, a maestranze impegnate in cantieri ed opere di manutenzione, introdurre «la quantità di pane bruno forestiero necessaria meramente per il loro uso proprio» (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, Venaria Reale, mazzo 35, 1771, maggio 16).
Le cascine, inizialmente concesse a mezzadria, dal 1767 furono gestite con il sistema dell’affittanza, che garantiva alle casse dello stato rendite certe. Bilanci e redditi dell’Azienda sono documentati in AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, § 2. Inoltre due carte recanti il disegno della regione compresa tra il lato sud dei giardini e le cascine Savonera, Grossa, Bruna, con misure dei campi e prati assegnati ai massari, sintetizzano graficamente le modalità di gestione dei beni produttivi dell’Azienda a metà Settecento (AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche, serie III, Venaria Reale, mazzo 1, metà XVIII secolo;  ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 16, 1752).
Produzione agricola e allevamento dipendevano da un unico ciclo naturale: l’Azienda forniva il fieno necessario al nutrimento dei cavalli, il cui concime serviva da ingrasso ai prati. A metà Settecento, su circa 247 ettari di prati, 152-190 di questi potevano essere ingrassati con il letame proveniente da varie scuderie: quelle del palazzo, dei quartieri delle guardie del corpo, della Mandria
Da un esame di uno stato delle anime del 1758, si può intuire l’intreccio tra struttura delle famiglie e professione esercitata (APNSM, Anagrafe parrocchiale, Stati delle anime, fald. 38, fasc. 166, 1758): le 56 famiglie impiegate nella Mandria, dove si allevavano circa 120 cavalli (Grossi 1790), erano prevalentemente nucleari, ossia formate dalla coppia coniugale e dai figli, diversamente da quanto si rileva per le cascine di proprietà regia Savonera e Grossa, dove risiedevano due sole famiglie multiple, con un elevato numero di componenti; la conduzione a mezzadria imponeva un equilibrato rapporto tra numero di braccia e terre da coltivare.
Nel corso del Settecento continuava, inoltre, la produzione dei filatoi e l’arrivo di nuovi imprenditori; nella relazione dell’intendente della provincia di Torino (1753) sono enumerate cinque filature, di cui tre mosse da forza idraulica (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, capo 79, mazzo 12bis, 1753). Vi era inoltre una pesta del tabacco, attivata da forza motrice idraulica della bealera, di cui si trova citazione nella Carta topografica della caccia, nel settore nord del borgo, a ridosso del Ceronda. L’archivio comunale conserva il disegno, con legenda, del progetto per la realizzazione di un nuovo alveo della bealera ad uso del filatoio Saccarello (ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 15, 43, 1780). Quasi trent’anni dopo, un’inchiesta della comunità sullo stato dei boschi e sugli usi della legna nelle attività produttive, rilevò la presenza di quattro filature, tra le quali una sola attiva (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 3, fasc. 3, 1782).
Durante i regni di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III, Venaria Reale continuò ad essere il principale luogo di residenza extra urbana della corte, non soltanto avendo il ruolo di maison de plaisance, ma essendo anche sede per esercitare funzioni di governo (Merlotti 2012), come rilevato da diverse testimonianze documentarie, tra cui quella del nunzio apostolico a Torino, che rammentava l’abitudine di Carlo Emanuele III di trasferirsi nella residenza di caccia accogliendo «di tanto in tanto tutti i ministri esteri, che qui risiedono [e] si portano, in essa delizia, per fare la loro corte alla maestà sua» (Archivio Segreto Vaticano, m. 192, 1762, giugno 2). Dal regno di Vittorio Amedeo III fu preferita la residenza di Moncalieri, dove la corte vi risiedeva per sette mesi l’anno, mentre a Venaria si recava solo per un mese, a partire dalla metà di maggio.
Per quanto riguarda il governo del territorio, la giurisdizione apparteneva al re, ed era amministrata da un giudice (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, capo 79, mazzo 12bis, 1753). Il Gran cacciatore, oltre a sovrintendere all’organizzazione della pratica venatoria, rivestiva la carica politica di governatore (Merlotti 2010), mentre al capitano della Venaria toccava il controllo e l’esecuzione dei suoi ordini, rimanendo il tramite tra questi e la comunità, avendo anche l’onere, di concerto con il giudice locale, di rendere esecutori i manifesti di pubblica utilità emanati dal governatore.
Per quanto concerne le relazioni tra comunità e corona, queste si alternavano da momenti favorevoli di partecipazione, ad altri di contrasto. Nel 1741, quando la regina Elisabetta di Lorena diede alla luce, nel palazzo di Venaria Reale, il secondogenito Benedetto Maurizio, il Consiglio comunale decise di solennizzare l’evento con una messa nella parrocchiale, fuochi artificiali e illuminazione del borgo (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 2, fasc. 1, 1741, giugno 27), a cui seguì, pochi giorni dopo, la partecipazione al lutto della dinastia, colpita dalla morte della stessa regina per i postumi del parto (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 2, fasc. 1, 1741, luglio 29). Analogamente, sul finir del 1749, dopo l’annuncio delle nozze dell’erede al trono, futuro Vittorio Amedeo III, con Maria Antonia Ferdinanda di Borbone, il Consiglio deliberò di celebrare l’evento, illuminando la contrada maestra con 600 lumi, spari di mortaretto, fuochi di gioia (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 2, fasc. 2, 1749, dicembre 19). Dopo il matrimonio, per la venuta della coppia reale nella residenza di campagna, fu decisa «l’imbiancatura» delle facciate dei palazzi rivolti verso la contrada maestra.
La fuga di Carlo Emanuele IV nel dicembre del 1798 segna per la Venaria Reale un momento di rottura (Cornaglia 1994). Negli anni dell’amministrazione francese la residenza sabauda fu oggetto di spoliazioni e di sistematici spostamenti di opere a favore dei palazzi torinesi eletti dimore imperiali, come il Palazzo Reale di Torino. Nel 1804, mentre la legion d’onore era aquartierata a Venaria, si provvedette alla misura delle ex proprietà reali (AST, Sezioni Riunite, Finanze, Seconda Archiviazione, capo 18, § 1, mazzo 6, n. 45, 1804). Oltre a verificare lo stato di abbandono in cui si trovava il palazzo, vennero effettuate misure su boschi e coltivi, per i quali si cercava una soluzione finalizzata alla massima redditività: a tal fine si proponeva la costituzione di sei cascine con 120 giornate l’una di prati, coltivi, e sufficienti quantità di boschi.
Con la Restaurazione cambiò in modo definitivo la destinazione d’uso di edifici e beni della ex residenza sabauda. L’ampliamento dei confini sabaudi, con l’annessione dei territori nella Repubblica di Genova, spostarono gli interessi sulla città ligure (Cornaglia 2012). Dopo l’aquartieramento della legion d’onore, a Venaria Reale transitarono reggimenti di cavalleria ed artiglieria. Il Consiglio comunale prese atto, nel 1820, di non aver mai affrontato il problema della ripartizione degli alloggi per le truppe di passaggio, che avevano dato luogo a reclamazioni con la popolazione residente (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 7, fasc. 1, 1820). Ma il disinteresse della corona per la vecchia residenza venatoria si rese presto evidente agli occhi delle autorità locali, che resero esplicito il desiderio di un ritorno, inviando nel 1821 una lettera al re Carlo Felice per denunciare «anatema contro gli spogliatori del palazzo reale», individuati anche all’interno della stessa comunità (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 7, fasc. 1, 1821). Nella lettera si sottolineava la fedeltà alla dinastia, corroborata nel secolo precedente da «gli effetti della benefica, ed amorosa munificenza de’ suoi sovrani», che avevano resto «in allora ricco questo comune, [mentre] ora divenne povero».
Nel frattempo si pose il problema dei beni reali. Fino all’invasione francese edifici e terreni erano proprietà della corona, e per loro natura non catastati e sottoposti ad alcuna imposizione. Durante la Restaurazione parte di questo patrimonio risultava affittato; il  Consiglio, nel 1829, chiese all’ufficio della regia intendenza generale di Torino delucidazioni sulla natura di alcuni beni, se dovessero essere compresi nella massa d’estimo complessiva o esentati, in quanto ancora parte «di questo real castello» (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 10, fasc. 1, 1829).
Negli anni di regno di Vittorio Emanuele I e Carlo Felice il palazzo divenne sede di prestigiose scuole del regio esercito. Una scuola di veterinaria venne rifondata nel 1818, dopo essere stata istituita da Carlo Emanuele III nel 1769, sempre a Venaria Reale. Il direttore venne individuato nella persona di Carlo Lessona, padre di Michele, che rivestì anche la carica di professore primario (Scaringella 2011, p. 13). Una regia scuola di equitazione venne invece fondata nel 1823 (Gennero 2004). Dal 1831 presero poi corpo a Venaria Reale una brigata di batterie a cavallo, dette “volòire”, ma la destinazione principale del “regio castello” divenne, a metà secolo, quella di sede per reggimenti di artiglieria (Bentivegna, Pace, Spera,  1998). È forse risalente agli anni trenta-cinquanta dell’Ottocento un Piano dimostrativo del basso parco di questo regio castello, nel quale si presenta la sistemazione della zona nord della ex residenza sabauda, il cui giardino venne ripensato con una postazione per il tiro a bersaglio (ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 15, XIX secolo). Nell’archivio comunale si conserva inoltre una carta che mostra le proprietà regie nell’area dei giardini del palazzo e dell’edificio la Mandria (ASCVR sez. II, cat. V, serie particolari, cartella 11, 1821).
L’immagine di una città in cui ancora aleggiava il fascino di una vita di corte, appartenente ad un lontano passato, e diventata nell’Ottocento una «strana mistura di borgo campestre e di pretesa cittadina», riecheggia nella Garibaldina di Gozzano, e nelle parole di Michele Lessona, che sottolineava, ne «Il Mattino» del 29 dicembre 1883, quanto «la differenza fu immensa quando le cacce scomparvero e gli edifici sterminati, costrutti dapprima per diletto dei principi, furono conversi in caserme e il paese diventò al tutto militare. Tale era nella mia fanciullezza».
Ad eccezione di alcune monografie di storiografia locale, la storia ottocentesca di Venaria Reale è ancora da scrivere, soprattutto sotto un profilo delle trasformazioni sociali ed economiche. Se osserviamo lo stato dei cinquanta maggiori registranti negli anni trenta dell’Ottocento, riportati negli ordinati comunali, si può notare il cambiamento: nel 1831 vi era tra questi il capitano di cavalleria Giuseppe Duclos, il capitano Pietro Trucchi (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 10, fascicolo 1, 1831); nel 1839 si aggiungevano il cavaliere e colonnello Emilio Bertone Sambuy, Michele Lessona, professore di veterinaria, ed il maggiore di cavalleria Domenico Agnelli (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 13, 1839, diembre 26).
I rapporti tra comunità e corona nel corso dell’Ottocento furono declinati in chiave militare. Sono attestati momenti di partecipazione al lutto per la morte di Carlo Felice, quando venne celebrata una messa nella parrocchiale, con allestimento di un apparato solenne, di cui restano i pagamenti a tappezzieri, pittori, musici, in parte provenienti dal reggimento cavalleggeri di Piemonte, di stanza nel luogo (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 10, fascicolo 1). Alla messa, celebrata il 17 giugno 1831, parteciparono, oltre ai rappresentanti dell’amministrazione comunale, il corpo degli ufficiali del reggimento cavalleggeri, dell’artiglieria leggera, delle scuole militari di equitazione, ufficiali e professori della scuola di veterinaria. Pochi mesi dopo il Consiglio decise di realizzare un arco trionfale da porsi al principio del centro abitato, realizzato in «semplice verdura, fregiato di qualche pezzo di tapezzeria», recante la scritta «Al re Carlo Alberto sommo, pio, clemente, benefico, la Comune di Veneria Reale esultante» (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 10, fasc. 1). L’occasione venne colta dalla visita alle guarnigioni militari per assistere alle evoluzioni nel «campo di Marte formatosi in questo regio parco» del reggimento cavalleggeri e delle due compagnie di artiglieria leggera ippotrainata, a cui si erano unite le brigate Savoia e Casale di stanza a Torino. All’evento seguì l’acquisto di un ritratto del re, da riporsi nella sala consigliare (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 10, fasc. 1, 1832, ottobre 15).
Un piano regolatore posteriore agli anni trenta del XX secolo evidenzia la presenza di proprietà del demanio militare nel territorio. Oltre alla ex residenza sabauda, vi erano alcune caserme di recente costruzione nell’area adiacente, un quartiere militare ottocentesco nella zona sud del centro abitato, e l’ex palazzo dei principi di Carignano nella piazza castellamontiana del centro storico, oggi denominata piazza dell’Annunziata (ASCVR sez. II, cat. X, serie particolari, Piante e disegni, n. 53, XX secolo).
Venaria Reale rivisse una nuova stagione venatoria al tempo di Vittorio Emanuele II, che decise di stabilire, dal 1859, una propria dimora con Rosa Vercellana nel settecentesco edificio juvarriano della Mandria, per il quale venne allestito un appartamento; la frequentazione del luogo spinse il re a costruire una riserva di caccia recintata, munita di reposoirs in gusto neo-gotico (Cornaglia 1998; Ballaira, Griseri 1998). Ma la costituzione di una nuova riserva venatoria, per la quale la comunità riconcesse, con atto consigliare, i diritti esclusivi di caccia al re (ASCVR sez. II, cat. I, serie particolari, Ordinati originali del consiglio comunale, cart. 17, fasc. 4, 1852, gennaio 28), non ebbe importanti conseguenze nella vita del tessuto socio-economico locale.
Alla morte del re il disinteresse per il successore verso l’intero complesso territoriale diede luogo ad un processo di privatizzazione della tenuta, acquistata dal 1882 da Luigi Medici, marchese del Vascello (Lupo, Taglieri, Apostolo, Vaccarino, Debernardi 1996); la proprietà, sotto impulso delle idee promosse dal fascismo, venne riconvertita nel 1923 in azienda agricola, comportando la distruzione di consistenti parti del patrimonio boschivo; nel 1976 l’acquisto di 1435 ettari di territorio da parte della Regione Piemonte consentì la creazione di una riserva protetta: nel 1978, con L. R. 21/08/1978, venne istituito l’Ente Parco, successivamente ingrandito con l’acquisizione, nel 1995, della tenuta della Villa dei laghi di proprietà della famiglia Bonomi Bolchini. Questo atto fu determinante per la salvaguardia del patrimonio naturale e storico di Venaria Reale.