Farigliano

AutoriMorandini, Cesare
Anno Compilazione1996
Provincia
Cuneo
Area storica
Monregalese.
Abitanti
1735 (ISTAT 1991); 1800 (SITA 1996).
Estensione
16,43 kmq (ISTAT 1991); 17,32 kmq (SITA 1996).
Confini
A nord Lequio Tanaro e Monchiero, a est Dogliani e Belvedere Langhe, a sud Clavesana e Carrù, a ovest Piozzo.
Frazioni
Centri abitati: Farigliano; nuclei: Calcinera, Masanti, Moncucco, Naviante, Quartiere Soprano Mellea, Quartiere Sottano Mellea, Santuario Mellea (nucleo speciale: Santuario), Scarrone, Spinardi, Viaiano Soprano, Viaiano Sottano (ISTAT 1991). Vedi mappa.
Toponimo storico
Prima attestazione del nome in una compravendita del 973 (Viotto 1960, p. 5). In diplomi del sec. XI e XII: «Farellianum», «Farillanum», «Farellanum». Nel 1208: «Pharillianum»; nel 1486: «Fariglianum» (Viotto 1960).
Diocesi
Nella diocesi di Alba nel medioevo (Conterno 1986, p. 99); non fu tra le chiese del marchesato passate alla diocesi di Saluzzo nel 1511, e andò direttamente a quella di Mondovì nel 1817.
Pieve
Nel Registrum del vescovo Isnardi della diocesi di Alba del 1325 la chiesa di San Giovanni appartiene alla circoscrizione plebana di Dogliani (Conterno 1986, p. 99); è citata per la prima volta nel 1306 (Conterno 1986, p. 111). A Farigliano v’era anche una cappella marchionale dei Saluzzo (Conterno 1986).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Una chiesa esente da plebatus nel 1225 («ecclesia sancti pastoris») risul¬tava fra i beni della chiesa di Santa Maria di Bethleem in Liguria (Conterno 1986, p. 111).
Assetto Insediativo
Luoghi Scomparsi
Non rilevati.
Comunità, origine, funzionamento
L’attestazione dell’insediamento risale al X secolo; i primi atti comunitari di cui si ha notizia sono la compilazione degli ordinati del 1428.
Statuti
Copia autentica manoscritta del 1694 nella Biblioteca Reale di Torino, con statuti del 1533 e del 1654 per l’Abbà della gioventù (BRT, Storia patria 944, Statuta Farigliani). Secondo una rela­zione della Sovrintendenza ai beni ar­chivistici del 1958 gli statuti del 1512 segnalati da Fontana (Fontana 1907, I, p. 456), già conservati in ar­chivio comunale di Farigliano, sono andati persi. In realtà sono attualmente nelle mani della Sovrintendenza medesima, da affidarsi all’archivio comunale.
Catasti
Nell’archivio comunale di Farigliano sono conservati: un registro catastale del 1551; una registro del catasto del sec. XVI «principiato fine sec. XIV»; uno «principiato» nel 1619 una rubrica del catasto del 1693; un libro del registro dei trasporti iniziato nel sec. XVII; un registro dei trasporti dal 1752 in poi; un altro dal 1769; un registro dei possessori dell’Ottocento; registri catastali del 1832, del 1842, del 1850; un registro e giornale delle mutazioni di proprietà e un libro dei beni censibili del 1836; la pubblicazione del catasto del 1903. In Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, sono conservati una mappa catastale (in cattive condizioni) del 1766 ed il catasto francese.
Ordinati
In archivio comunale ci sono 3 mazzi con ordinati del 1428, 2 mazzi dal 1492 al 1501, poi serie complete dal 1513 al 1828; deliberazioni e atti del consiglio comunale relative all’Ottocento.
Dipendenze nel Medioevo
Al tempo della prima infeudazione faceva parte del comitatus di Alba, inserito nella circoscrizione mar¬chionale di Torino (Conterno 1986, p. 147). In seguito tra i possedimenti di Bonifacio del Vasto, aleramico, alla morte della zia Adelaide, ultima discen¬dente di Arduino. Alla morte di Bonifacio Farigliano rientra nella giurisdizione del marchesato di Clavesana, affidato al figlio terzogenito di Bonifacio, Ugone (Morozzo della Rocca 1894, I, p. 264). Alla morte di Ugone, però, che muore senza figli, Farigliano pas¬sa al marchesato di Saluzzo, a capo di cui v’era il fratello maggiore di Ugone, Manfredo I. (Viotto 1960, pp. 32-33). Farigliano viene donato nel 1148 da Manfredi II di Saluzzo alla città di Alba, del cui distretto entra a far parte, per venirne poi reinvestito (Il «Rigestum comunis Albae», doc. 14, p. 45). La fedeltà ad Alba è attestata ininterrottamente fino al 1327. Dal 1329 è attestato il giuramento di fedeltà ai Sa¬voia. Nel 1397 Farigliano prestava omaggio al marchese di Monferrato (Morozzo della Rocca 1894, III, p. 132). Nel 1406 Giangaleazzo marchese di Saluzzo cede e riceve in feudo Farigliano da Lodovico di Savoia. Con la pace di Cambrai (1535) Farigliano è definitivamente incorporato nel Ducato di Sa¬voia, donato ad esso da Carlo V, cui era stato ceduto dalla Francia (Pio 1920, pp. 11-12).
Feudo
Farigliano viene concesso in feudo dall’imperatore Ottone III al marchese Olderico Manfredi di Susa da atto del 31 luglio 1001 (Muletti 1829, I, p. 132). Tra i possedimenti di Bonifacio del Vasto, è infeudato ai marchesi di Clavesana; viene donato nel 1148 da Manfredi II di Saluzzo alla città di Alba, per venirne poi re¬investito (Il «Rigestum comunis Albae», doc. 14, p. 45). Una parte della giurisdizione che possedevano di Farigliano viene ceduta dai signori di Manzano al marchese Manfredo di Saluzzo nel 1166; nel 1215 il feudo appartiene ai Saluzzo. Alba nel 1223 (Il «Rigestum comunis Albae», doc. 435, p. 249) intima la restituzione alla contessa di Saluzzo probabilmente per il mancato versamento del fodro, ma nel 1254 il feudo è ancora dei Saluzzo. Nel 1340, alla morte di Manfredo IV di Saluzzo il feudo va al figlio Manfredo, capostipite dei Cardè, agli ordini del duca di Milano; nel 1346, però, un arbitrato di Giovanni e Luchino Visconti tra i vari rami dei Saluzzo assegna Fa-rigliano a Tommaso, togliendolo a Manfredo e Teodoro. Nel 1397 Farigliano, Murazzano e Belvedere ed altre località delle Langhe prestavano omaggio al marche¬se di Monferrato (Morozzo della Rocca 1894, III, p. 132). Nel 1406 Giangaleazzo marchese di Saluzzo cede e riceve in feudo Farigliano da Lodovico di Savoia; nel 1534 e nel 1559 (Manno 1898, V, p. 251) appartiene ad Alfonso, figlio di Francesco Spinola Saluzzo-Cardè. Ormai solo più con titoli puramente onorifici e venali, nel 1605 Farigliano viene ancora infeudato ai membri della famiglia Spinola; nel 1616 è donato ad Aldobrandino Giudo conte di S. Giorgio marchese di Biandrate; nel 1640 i Savoia donano il feudo al marchese Vivaldi e nello stesso anno a Francesco Piselli di Be¬ne Vagienna; dieci anni dopo Carlo Emanuele II nomina Alessandro Monti da Verona marchese di Farigliano. Nel 1675 termina una lite tra i Saluzzo Spinola e i Monti, nelle persone di Carlo Emanuele Enrico Saluzzo Spinola e del marchese Francesco Maffei nipote del Monti: Farigliano torna ai Saluzzo-Cardè fino al 1746, anno in cui muore l’ultimo erede della casata, per cui il feudo viene ridotto a favore del patrimonio ducale. Nel 1756 è acquistato da don Carlo Agostino Oreglia marchese di Novello; passerà poi ai Luserna di Rorà, poi ai Radicati di Brozzolo (Manno 1898, V, p. 251).
Mutamenti di distrettuazione
Nella provincia settecentesca di Mondovì, da questa a quella di Cuneo (1859).
Mutamenti Territoriali
La frazione Viagliano fu assegnata al finaggio di Farigliano nel 1499, dopo lite con Dogliani. nella provincia settecentesca di Mondovì, da questa a quella di Cuneo (1859).
Comunanze
Ancora a inizio Settecento, buona estensione di terreni ad uso comunitario di antica origine; beni enfiteutici in regione Foyna; beni comuni non antichi in affitto.
Liti Territoriali
Si registrano tre liti successive riguardanti appezzamenti in regione Viagliano: dal 1333 la frazione è contesa con Dogliani [Viotto 1960, p. 97; vd. anche scheda Dogliani]. Nel 1611 v’è lite per un gorreto con Piozzo e nel 1757 con Lequio Tanaro. Per la regione Prata di Naviante, lite con il marchese di Clavesana nel 1674 e con la comunità di Clavesana nel 1695. Per diritti sulla bealera di Pià, liti con Piozzo nel 1605 e nel 1721.
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Clavesana), Atti della Comunità e uomini di Clavesana contro il sig. Bongiovanni Saluz­zo signore di detto luogo; idem contro il sig. Ciro di Saluzzo signore di detto luogo (14 agosto 1596).
A.C.F. (Archivio Storico del Comune di Farigliano).
A.C.F., fald. 39, fasc. 1, carte sparse: Scritture e dichiarazioni appartenenti all’infeudazione dei beni (1600-1799);
A.C.F., fald. 162, fasc. 5: Lite tra la comunità e Enrico di Saluzzo;
A.C.F., fald. 163, fasc. 8, f. 1r: Atti di visita fatta tra li particolari di Farigliano e li particolari di Piozzo (8 maggio 1605); f. 3: Atti civili contro Piozzo per la bealera di Pià (1605); fasc. 10, n. 16, f. 10v: Atti della comunità et homini di Farigliano contro comunità et homini di Piozzo;
A.C.F., fald. 165, fasc. 19: Atti civili contro Caramello per rivendicazione redditi (1673); fasc.    20 bis: Atti civili contro il marchese di Clavesana per la chiusura della bealera di    Aviant e per i gor­reti di Finazzo e A.C.F.,(1674).
A.C.F., fald. 167, fasc. 30: Farigliano con­tro Occello (1721-1723).
A.C.F., fald. 168, fasc. 51: Atti civili contro particolari di Bene (1691).
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Carte topografiche e disegni , Carte topografiche per A e per B , Tanaro , Mazzo 1, "CORSO / DEL / TANARO / Da FARIGLIANO sino / al suo confluente della / STURA nel sud[det]to verso / CHERASCO". Corso del Tanaro da Garessio sino a Govone, diviso in 4 parti; la 1a da Garessio sino a Ceva; la 2a da Ceva sino a Farigliano; la 3a da Farigliano sino a Verduno al là di Cherasco; la 4a da Verduno sino a Govone. Levato per Ordine dell'Ill.mo Sig. Conte di Robilante, sulla Scala di 1/9360, con indici (con una copia della parte 3a e due della parte 4a). (Note:Sotto il disegno che contorna il titolo si legge: "Originale dal Sig.r Boeris". Sul verso reca una segnatura archivistica in francese nella quale la presente carta è indicata come la quarta parte di una Carta del Tanaro divisa in 6 parti; l'inventario indica questa carta come la terza parte della Carta del Corso del Tanaro da Garessio a Govone in 4 parti. Carta con timbro del Dépôt Général de la Guerre.), s.d. Vedi mappa.
A.S.T., Camera dei Conti, art. 616 e 619 (sentenze camerali, declaratorie);
Camera dei Conti, I archiviazione, Provincia di Mondovì, m. 3: Informativa intorno alla non fatta approvazione di due consiglieri nominati dalla co­munità di Farigliano      (1759-1763);
A.S.T., Camera dei Conti, II archiviazione, capo 21, m. 78, Farigliano: Mondovì, consegna beni immuni e comuni; m. 90, f. 25v: Mondovì comune et immune (s.d.);
A.S.T., Corte, Paesi per A e B, F, m. 1;
A.S.T., Corte, Provincia di Mondovì, mazzo 13, Farigliano.
Bibliografia
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sar­degna, VI, Torino 1840.
Conterno G., Dogliani. Una terra e la sua storia, Dogliani 1986.
Fontana L., Bibliografia degli Statuti dei comuni dell’Italia Superiore, Torino 1907.
Manno A., Promis V., Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino 1898.
Il «Rigestum comunis Albae», a cura di E. Milano, Pinerolo 1903 (BSSS 20).
Morozzo della Rocca E., Le storie dell’antica città del monteregale ora Mondovì in Piemonte, Mondovì 1894.
Muletti D., Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, Saluzzo 1829.
Pio G.B., Cronistoria dei Comuni dell’antico mandamento di Bossolasco con cenni sulle Langhe, Alba 1920.
Vadda G., Monografia di Carrù con cenni storici sui comuni del mandamento, Dogliani 1902.
Viotto R., Farigliano e la Langa del Tanaro, Torino 1960.
Descrizione Comune
Farigliano
   Le caratteristiche più evidenti della storia del territorio facente capo alla comunità di Farigliano sono il gran numero di vertenze in cui essa è impegnata fin dal Trecento, e l’estrema varietà delle tipologie delle liti.
A volte queste interessano i confini tra comunità vicine, a volte i diritti di sfruttamento dell’acqua – sono le più cruente, come vedremo – a volte usurpazioni di beni comuni da parte di privati, a volte dei signori del luogo. Nella conduzione delle liti, gli organismi comunitativi appaiono genericamente risoluti ed efficaci, fatto non troppo comune per i centri dell’area.
Per quanto riguarda la difesa dalle usurpazioni dei beni comuni, questa appare puntuale e tempestiva, a dif­ferenza ad esempio di quanto avviene per la confinante Clavesana, in cui per motivi politici particolari le usurpazioni sono di difficile rivendicazione e portano nel corso del Seicento alla quasi totale dissoluzione dei beni comuni antichi di quella comunità.
Anche il mantenimento dei diritti comunitari nei confronti del signore appare a Farigliano deciso e vigile; giova a questo proposito richiamare un parallelo tra due liti tra comunità e signore intentate per motivi simili, entrambe nel Cinquecento, rispettivamente da Clavesana e da Farigliano. La prima, riguardante il rifiuto da parte del signore di Clavesana di pagare i carichi catastali per la masseria del Toma, di cui oltretutto una parte risul­tava bene comunitario usurpato, si risolve con una vit­toria del marchese, grazie all’abilità dei suoi procuratori e alla povertà della documentazione disponibile per parte della comunità (AC Clavesana, Atti della Comunità e uomini di Clavesana contro il sig. Bongiovanni Saluz­zo signore di detto luogo; idem contro il sig. Ciro di Saluzzo signore di detto luogo [14 agosto 1596 AC Clavesana, Atti della Comunità e uomini di Clavesana contro il sig. Bongiovanni Saluz­zo signore di detto luogo; idem contro il sig. Ciro di Saluzzo signore di detto luogo (14 agosto 1596]). La se­conda, intentata da Farigliano contro il suo si­gnore Enrico marchese di Saluzzo per motivi simili (il marchese non paga alla comunità la tassa militare cui sarebbero sottoposti alcuni suoi beni) si risolve inve­ce con una vittoria da parte della comunità (AC Farigliano, fald. 162, fasc. 5: Lite tra la comunità e Enrico di Saluzzo). Una differenza così marcata nell’efficacia con cui vengono difesi i diritti comunitari nei confronti del signore è imputabile alla diversità del rapporto feudale nelle due comunità: nel Cinquecento Cla­vesana è sede di una dinastia marchionale residente – i Saluzzo-Dogliani – nell’ambito del marchesato di Saluzzo, ed ha un assetto territoriale contraddistinto da una forte presenza di beni feudali intestati ai mar­chesi o ai rami collegati della nobiltà; Farigliano fa invece direttamente parte del marchesato di Saluzzo, ed è dal nucleo territoriale del marchesato distante e separa­to, così come è separato anche da una troppo invadente ingerenza dei signori nella vita della comunità.
Le liti tra Farigliano e le comunità confinanti che riguardano invece vertenze sui confini sono accomunate da alcuni elementi. Gli oggetti della lite sono sempre terreni posti nelle regioni di fondovalle lungo il Tanaro, per lo più comunitativi, e i fatti che generano il contendere sono esondazioni e piene del fiume, che spesso muta alveo sconvolgendo l’assetto dei confini. Le aree contenenti appezzamenti oggetto di lite sono sempre le stesse: Viaiano, Prata-Naviante. È poi individuabile una costante linea politica di Farigliano dai contorni abbastanza precisi. Farigliano, a differenza delle comunità con cui si trova ad intentare lite, tende a consi­derare come confine non tanto il corso presente del Tanaro, che come si è detto, è mutevole e capric­cioso, quanto i confini tradizionalmente marcati dai termini e dagli atti antichi, per la maggio­re capacità rispetto a queste comunità confinanti nel sorreggere i contenziosi con l’esibizione di tali atti e documenti. Questa linea di conduzione delle liti può ad esempio portare la comunità a difendere un confine che corre lungo un alveo del Tanaro non più attivo. Occorre dire che tale posizione apparentemente “debole” vede quasi sempre Fa­rigliano prevalere, e la posizione più evidentemente “forte”, quella dei confini lungo il corso at­tivo del fiume, ossia dello status quo, finire sconfitta.
Una conduzione da parte di Farigliano simile a quella riscontrabile nelle liti per i confini è evidenziata anche nelle liti per motivi di diritti d’acqua: la comunità sa difendersi sulla base di atti d’acquisto antichi e docu­menti chiari, mentre la controparte (Piozzo) manifesta, più che la rivendicazione di diritti non rispettati – che per lo più non sono dimostrabili – la volontà di perseguire i propri interessi cercando di eludere i diritti di Fa­rigliano: posizione che, va detto, non risulta sempre perdente. Va detto che, come ad esempio avviene per Carrù, per Farigliano il fatto di essere a monte di Piozzo la pone in una situazione di vantaggio nelle liti d’acqua, anche soltanto – come è nel caso della lite per la bealera di Pià con Piozzo – per la possibilità di accendere provocazioni.
Il fatto di avere mantenuto almeno fino al Settecento un consistente patrimonio di beni di uso civico, difendendolo dalle usurpazioni, rende particolarmente appetitosa la gestione degli organismi comunitativi da parte dei no­tabili del luogo e dei loro rispettivi clan famigliari. Tutto il secolo è attraversato da un sorprendente intrico di lotte per il predominio sul comune, e spesso tali lotte, a loro volta, si concludono con usurpazioni de facto o appropriazioni da parte di amministratori di beni pubblici, innescando così nuove liti.
Passeremo ora in rassegna le varie tipologie dei beni comunitativi gestite dalla comunità, cercando di se­guirne le vicende; ci occuperemo poi più in dettaglio delle varie liti tra Farigliano e le comunità confinanti.
Dai registri della Perequazione settecentesca i beni della comunità di Farigliano costituiscono una realtà ampia e variegata, secondo la modalità dell’uso e del possesso.
Vi sono innanzittutto i beni antichi della comunità veri e propri, che la comunità destina o all’usufrutto gra­tui­to a vantaggio della comunità per il pascolo, o a quello privato in base a annua riscossione di somme di de­naro (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 21, m. 78, Farigliano: Mondovì, consegna beni immuni e comuni [1721]). La quantità di tali possedimenti era di 102:98 giornate piemontesi nei rilievi per la Misura gene­rale del 1709, e nel 1721 ammontano a 100:75, divise in 13 partite, per una rendita alla comunità di £. 141 (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 21, m. 90, f. 25v: Mondovì comune et immune [s.d.]).
Vi sono poi 18:35 giornate piemontesi di beni denominati «immuni per convenzione con la comunità». Si trat­ta di beni accata­stati, ma non sottoposti a carichi di registro; un tempo erano beni della comunità concessi in affitto secondo una contribuzione annuale in grano, poi tale affitto era stato alienato a privati, generando un sistema enfiteutico. Per spiegare l’origine di questo gruppo di beni per cui la comunità non percepisce alcun reddito, i rilevatori della Perequazione fanno l’ipotesi che si tratti di terreni appartenuti a privati e poi abbandonati, che la comunità aveva rilevato e messo all’incanto alla stregua di una parte dei beni antichi; in seguito il reddito in grano sarebbe stato acqui­stato da privati come un censo qualunque. Effettivamente su tale ultimo passaggio v’è più di una attestazione documentaria. Domenica del fu Franco Durando aveva gi­rato le 11 emine e 4 coppi di grano spettanti alla comunità come affitto per le 6 giornate di alterno e bosco nella regione al medico Michele Piasenza, che aveva comprato tale rendita con strumento del 25 agosto 1705 da Carlo Giuseppe Greborio di Dogliani che a sua volta l’aveva comprata dalla comunità con strumento del 12 aprile 1696. Prima ancora, nel 1673, la comunità aveva rivendicato i diritti sui redditi di alcuni beni in regione Foyna, ceduti nel 1649 (35 emine di grano annue) a Carlo Francesco Caramelli dei Cordero di Pamparato per la somma di lire 1600, che questi aveva venduto, ma senza solennità di atti pubblici, ossia senza presentare la domanda di voltura alla comunità, all’avv. Antonio Cordero di Mondovì (AC Farigliano, fald. 165, fasc. 19: Atti civili contro Caramello per rivendicazione redditi [1673]).
I beni enfiteutici di Farigliano paiono essere tutti situati in regione Foyna; i funzionari della Perequazione sono risaliti all’estensione totale delle pezze a partire dalla somma in grano dovuta dai particolari, e sa­pendo che in regione Foyna il prezzo della contribuzione è di 15 coppe a giornata.
Vi sono infine beni immuni, accatastati, in parte tenuti da privati con annuo censo in denaro da versarsi di­rettamente alla comunità, per complessive 81:12 giornate piemontesi. Non si tratta di beni antichi, ma di ter­reni rilevati dalla comunità in seguito ad abbandono. Una parte è situata in regione Foyna, e per questi beni il censo è in grano; una parte nel fossato di Garino, al confine con Clavesana; oltretutto questi, per via di una frana di grosse dimensioni, al momento dei rilevamenti per la Perequazione stanno nuovamente per essere abbandonati dai proprietari. Altre regioni interessate sono Piambosco, Moncucco, Ucello, Rivane, Costacurta, Costa Subara.
Sono numerose le liti intentate nel Seicento e nel Settecento contro particolari dalla comunità di Farigliano per la difesa degli usi civici; la prima risale al 1691, e si riferisce ad una usurpazione di molti anni prima di un sito nella regione di Viagliano. Tale regione – come vedremo in seguito – è oggetto nel corso dei secoli di tre contese successive con tre diverse comunità confinanti, in cui Farigliano riesce sempre ad avere la me­glio. Il bene comune dalla difesa così laboriosa viene gestito con cura dalla comunità: nel 1691, anno dell’inizio della lite, l’appezzamento è per tre quarti regolarmente affittato a particolari, e per un quarto usurpato dai fratelli Costamagna, che hanno ereditato la situazione dal padre. La comunità ricava dall’affitto 45 scudi all’anno; i particolari del luogo possono far legna con il consenso dei fittavoli. È una lite dallo svolgi­mento lunghissimo ed intricato – visto che l’appezzamento in questione è di grande estensione (30 giornate) e di buon valore agricolo – e dall’esito non chiaro (AC Farigliano, fald. 168, fasc. 51: Atti civili contro particolari di Bene [1691]).
Una seconda lite viene intentata nel 1721 contro il conte Occello, proprietario di un prato in regione Via­gliano che taglia in due il tenimento di uso comunitario detto del Toretto. Il gorreto e prato del Toretto è affit­tato dalla comunità a particolari, che hanno il diritto di scalzare alberi e fare fascine. Il 15 maggio 1721, giorno del taglio degli alberi, scoppia una lite tra gli uomini del conte e gli affittuari della comunità a proposito del con­fine tra i due tenimenti, sancito da un piantamento di termini del 1714; il conte fa tagliare tre alberi dal prato comune, e li fa portare al di fuori della giurisdizione fariglianese, sul suolo di Monchiero. La lite si sviluppa in particolare proprio sulla definizione dei confini dei beni comunitari del Toretto (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30: Farigliano con­tro Occello [1721-1723]).
Una terza lite settecentesca riguarda l’usurpazione di parte del pascolo comunitativo del Rovetto e di un or­to in regione Crivella, quest’ultima avvenuta mediante la costruzione di un muro di cinta ad un sito comunitario (AST, Camera dei Conti, I archiviazione, Provincia di Mondovì, m. 3: Informativa intorno alla non fatta approvazione di due consiglieri nominati dalla co­munità di Farigliano [1759-1763]). Al di là dello specifico della lite per l’usurpazione di beni comuni, va rimarcato come la lite si inserisca in una ben più ampia ver­tenza in corso per il predominio politico sulla comunità da parte di avverse fazioni famigliari, e per il conseguente sfruttamento privato dei beni comunitativi attraverso le cariche amministrative comunali. All’interno delle stessa vertenza di tipo politico si inseriscono fino alla fine del Settecento continue liti per piccole usur­pazioni di beni comunali, come occupazione di strade, imposizione di servitù di passaggio, costruzione di recinzioni su terreni comunitari (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30: Atti civili comunità di Farigliano contro s. medico Lorenzo Antonio Piasenza [1749]), o addirittura per l’appropriazione di denaro della comunità proveniente dalle taglie o dai risarcimenti dello stato per i danni provocati dalla tempesta (nel 1747).
La litigiosità degli organismi comunali e la lotta tra avverse fazioni per l’impunità nell’usurpazione dei beni comunali è certamente testimonianza dell’interesse economico che tali beni ancora costituivano nel Sette­cento.
A partire dalla metà del Seicento inizia un processo, culminante verso gli anni Novanta di quel secolo, di infeudazione di appezzamenti a notabili di Farigliano. Nel solo biennio 1691-1692 si contano ben 13 infeudazioni (AC Farigliano, fald. 39, fasc. 1, carte sparse: Scritture e dichiarazioni appartenenti all’infeudazione dei beni [1600-1799]). La conseguenza immediata della cancellazione dei beni infeudati dai catasti è il minor gettito fiscale per la comunità – che nel 1692 risulta ridotto del 15% – che è quindi costretta per l’anno 1692 a chiedere il «diffalco» del pagamento delle tasse spettanti all’amministrazione centrale, che viene concesso anche per gli anni seguenti fino al 1694.
Le regioni di Viaiano, Viaiano Sottano e Sarmazza costituiscono oggi una propaggine del territorio di Fari­gliano incuneata tra Piozzo, Lequio Tanaro e Dogliani. Tale propaggine si trova nel fondovalle del Tanaro, e per questo motivo si è rivelata nel tempo un focolaio di tensioni tra i paesi contermini, vista la frequenza di esondazioni, corrosioni e mutamenti d’alveo del fiume.
Fin dal 1333 è attestata una lite tra Farigliano e Dogliani per il possesso della frazione di Viaiano, lungo il confine con Dogliani a nord di Farigliano. In quell’anno il commissario delegato dal marchese di Federico di Saluzzo, Tommaso Richicio, dichiarò che la regione contesa dovesse spettare al territorio di Dogliani (Viotto 1960, pp. 97 sgg.). Dal 1352 al 1428 tale regione venne assegnata sempre al territorio di Dogliani; dal 1473 al 1499 gli ordinati comunali lasciano trasparire tesi rapporti tra le due comunità, con reciproche accuse di usurpazione, di ruberie di bestiame e di prodotti del suolo. La lite cessò momentaneamente nel 1499 col piantamento di termini, e l’assegnazione della regione a Farigliano.
Poco più di un secolo dopo l’assegnazione della regione a Farigliano, che nel frattempo aveva sfruttato un gorreto in Viagliano come bene comunitario, il 1 aprile 1610 il Tanaro, sul cui letto era il confine, nel corso di una esondazione mutò alveo spostandosi all’interno del territorio di Farigliano, tagliando perciò in due la regione in passato contesa per lungo tempo con Dogliani: il gorreto della Sarmazza risultò quindi separato dal fiume dalla frazione di Viagliano (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, n. 15: Atti civili contro Piozzo per il gorreto di Viagliano [1611]). I Piozzesi, dalla sponda opposta del Tanaro rispetto a Farigliano, avendo dopo il mutamento d’alveo “guadagnato” tra i propri confini il gorreto della Sarmazza, lo rivendicarono subito per sé, e presero a fare legna. La lite ebbe inizio nel 1611, e terminò con una sentenza arbitramentale del 30 luglio 1612 che assegnava il gorreto a Farigliano, spostando quindi il confine dal letto in quel momento attivo del Tanaro all’antico alveo alla sua sinistra, ovvero disegnando la situazione che dura tuttora. Al piantamento dei termini, che avvenne nell’agosto del 1612, non si presentarono i rappresentanti di Piozzo (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 10, n. 16, f. 10v: Atti della comunità et homini di Farigliano contro comunità et homini di Piozzo).
La terza lite che vede come oggetto del contendere il gorreto di Viagliano ha nuovamente origine da una esondazione del Tanaro, e nasce tra Farigliano e l’unica comunità tra i contermini di Viagliano che ancora non si era fatta avanti a rivendicarlo, ossia Lequio. Il Tanaro ha nuovamente cambiato alveo, anche se non in una direzione precisa e netta come a inizio Seicento, ed inoltre il nuovo corso non interessa più il confine con Piozzo e il gorreto della Sarmazza, ma la contigua area a nord, ove ci sono alcuni gorreti di uso civico di Farigliano. Dalla ricognizione dei confini svolta il 3 settembre 1757 su istruzione della Provincia di Mondovì, si nota come il Tanaro abbia in più punti prodotto diramazioni, rendendo problematica la significazione dei confini ed il piantamento di nuovi termini (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 8r: I.M.I. Farigliano, e Lequio, 1757, 3 settembre, per la ricognizione dei ri­spettivi confini).
Il disaccordo sul possesso del gorreto di Viaiano deriva certo dalla situazione di confusione generata con le ultime piene del Tanaro, ma prima ancora da una diversa interpretazione dei confini tra le due comunità, in­terpretazione che si rende necessaria proprio perché il Tanaro ha in più punti sommerso o trascinato via i termini. Farigliano sostiene che dopo l’ultima esondazione il fiume ha preso a scorrere sopra la linea dei termini, che non v’è stato mutamento dell’assetto territoriale, e che dunque il gorreto, già accatastato a Fa­rigliano al numero mappale 3174, resta di sua proprietà. Lequio invece, essendo in ogni caso non visibili o scomparsi i termini, intende riconoscere come confine il vecchio alveo del fiume, anche perché in base a questa posizione il gorreto di Viagliano spetterebbe al suo territorio (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 19r: I.M.I. Farigliano, e Lequio, 1757, 3 settembre, per la ricognizione dei ri­spettivi confini).
Ci si accorda per una esibizione della documentazione da parte dei due contendenti, ma non sono state re­perite sentenze o tracce di una assegnazione all’uno o all’altro: con tutta probabilità, vista la situazione at­tuale dell’area, il gorreto dovette restare a Farigliano.
Alla fine del Seicento due liti successive ebbero come oggetto gli stessi appezzamenti di terreno nella regione Naviante, zona di fondovalle, oggi racchiusa in un ansa del Tanaro nel territorio di Farigliano, al confine con Clavesana. Alla fine del Seicento fu interessata da frequenti sconvolgimenti da parte del fiume, che prima ne ri­dusse l’estensione, poi la trasformò in un isola e successivamente in penisola.
Fino al 1674 la regione Naviante era stata di proprietà di Farigliano, in parte accatastata, in parte sede di terreni comuni – i gorreti della Prata e di Finazza –; in quell’anno il Tanaro cambiò corso e tagliò via dalla re­gione, portandolo sulla sponda opposta, il gorreto della Prata. Clavesana non ne rivendicò il possesso, an­che se sarebbe stato sufficiente impuntarsi in sede di lite sulla volontà di considerare il letto del Tanaro co­me confine tra le due comunità, una sorta quindi di confine “mobile” in balia delle esondazioni. Farigliano dunque continuò nell’esercizio dei suoi usi civici – raccolta legna e frutti – ben pronto a difendere invece il confine tracciato dai termini indipendentemente dai capricci del fiume: se il Tanaro aveva cambiato corso, il confine restava nel vecchio alveo ormai asciutto. Il marchese di Clavesana, che dunque appare ben più so­lerte degli organismi comunitari nel cercare di convertire gli sconvolgimenti fluviali a suo vantaggio, e che si era ritrovato nel 1674 ad essere contermine con un bene d’uso civico di Farigliano, iniziò presto ad ostacolare il suo godimento. Farigliano intentò lite contro di lui allorquando questi si rifiutò di acconsentire alla ricostruzione di una chiusa sul fiume che toccava entrambe le sponde. I Fariglianesi avevano il diritto di poggiarsi alla sponda di Clavesana da antichi patti cinquecenteschi; a maggior ragione ne avevano diritto ora – a loro dire – che il Tanaro non divideva più le due comunità ma la frazione fariglianese di Naviante e il gorreto della Prata, di uso civico fariglianese. Il marchese però intendeva considerare il gorreto oramai co­me sua proprietà. Nel 1685 il Tanaro cambiò ancora il suo alveo, e cinse Naviante con un braccio secondario, trasformando la frazione di Farigliano in un’isola, ma probabilmente riavvicinando questa al gorreto della Prata. La lite proseguì ugualmente per le questioni della chiusa, in apparenza senza che il marchese rivendicasse più il gorreto della Prata, e nel 1697, al termine della documentazione, risulta anco­ra aperta (AC Farigliano, fald. 165, fasc. 20 bis: Atti civili contro il marchese di Clavesana per la chiusura della bealera di Aviant e per i gor­reti di Finazzo e Prà [1674]).
Proprio in virtù del mutamento d’alveo del 1685, però, fu la comunità di Clavesana a sostituirsi al marchese nel rivendicare suoi diritti di uso civico sul gorreto. A quell’apoca Farigliano lo affittava con pubblico incanto come bene comune in usofrutto a particolari (AC Clavesana: Atti civili d’accusa della magg. Comunità di Clavesana di Gio­vanni Andrea Ferrero del sudd. luogo contro M. Andrea Bernardino Piasenza et Bartolomeo Millano, del luogo di Farigliano, coaffittavoli del gorreto del med. luogo accusanti dall’altra). La nuova lite iniziò il 7 agosto 1695, quando Andrea Bernardino Piasenza e Bernardino Piasenza fu Secondino, particolari di Farigliano già da anni coaffittavoli del gorreto appartenente ai beni comunitari della comunità di Fari­gliano, denunciarono che un particolare di Clavesana, Andrea Ferrero, nel luglio precedente, aveva tagliato e portato via una grande quantità di legna dal gorreto, in fascine; per giustificare la denuncia rimandavano ai bandi campestri della comunità di Farigliano che regolamentavano lo statuto legale dei beni comunali all’incanto (AC Clavesana: Atti civili d’accusa della magg. Comunità di Clavesana di Gio­vanni Andrea Ferrero del sudd. luogo contro M. Andrea Bernardino Piasenza et Bartolomeo Millano, del luogo di Farigliano, coaffittavoli del gorreto del med. luogo accusanti dall’altra).
La comunità di Clavesana, con ordinato del 18 agosto 1695, decise di assumere la difesa del Ferrero, in quanto venne contestata la proprietà del gorreto a Farigliano, e rivendicato come proprio da antico e consuetudina­rio diritto. Riconobbe che però la situazione orografica era cambiata, in quanto alcuni anni prima – probabilmente la stessa alluvione del 1685 che trasformò provvisoriamente Naviante in un’isola – il gorreto facente parte dei beni comunitari di Clavesana e dunque destinato alla legna comune era stato eroso dal Tanaro durante una esondazione, ed era stato trasformato anch’esso in un’isola del fiume; da quel momento la comunità di Farigliano aveva preso a considerarlo bene suo, ossia come una naturale estensione della sua frazione di Naviante, posta sulla sponda opposta del Tanaro, e come tale lo aveva af­fittato a particolari; secondo Clavesana rimaneva però – e come tale era registrato, secondo le parole dei procuratori della comunità – come bene corroso infruttifero della comunità di Clavesana. La versione di Cla­vesana appare, alla luce della precedente lite con il marchese, incongruente e pretestuosa: Farigliano aveva probabilmente sfruttato il gorreto da sempre, anche quando, nel 1674, questo era stato tagliato via dal nuovo corso del Tanaro dalla frazione di Naviante. La lite rimane a lungo indecisa, anche se in principio sembra risolversi a favore dei particolari di Farigliano, che chiedono a più riprese il rispetto di una sentenza che obbliga Clavesana al pagamento dei danni per il taglio della legna richiesti dai contadini di Farigliano e delle spese legali. Probabilmente, come appare verosimile vista la scarsità e l’incertezza dei documenti ca­tastali precedenti di Clavesana, tale comunità non aveva potuto presentare testimonianze o documentazio­ne convincenti. La vertenza si concluse però solamente nel 1712, ossia diciassette anni dopo, con una so­stanziale parità tra le parti: la regione venne assegnata a Clavesana, ma soltanto dietro il pagamento di una forte somma di denaro a titolo di risarcimento per Farigliano. Probabilmente, a sbloccare la situazione della lite era intervenuta una nuova esondazione del Tanaro, che aveva ancora più marcatamente diviso il gorre­to dalla frazione Naviante di Farigliano, generando forse la definitiva situazione che dura tuttora.
Nello svolgimento delle due liti, Farigliano appare in una posizione di maggiore forza: non tanto maggiore forza contrattuale di tipo politico nei confronti del marchese di Clavesana o della comunità di quel luogo, ma una forza interna derivante dalla maggiore importanza che pare riservare al mantenimento, all’interno della comunità stessa, dei diritti legati ai beni comuni rispetto a Clavesana. Infatti, se da un lato per Farigliano il gorreto, all’indomani del primo mutamento d’alveo del fiume, aveva fin da subito costituito un oggetto gestito in chiarezza di atti pubblici, messo all’incanto a particolari che conoscevano i diritti, sanciti dai bandi cam­pestri, legati ad esso in quanto bene comunitario, da parte di Clavesana lo stesso gorreto – ugualmente ri­vendicato come bene comunitario – non pare essere stato fatto oggetto di simile attenzione. La lite infatti da parte di Clavesana non scatta al momento in cui, dopo gli stravolgimenti geografici dovuti alla piena del Ta­naro, Farigliano affittava all’incanto l’appezzamento a suoi particolari come suo bene comunitario, dando l’occasione ad essa di accampare diritti su un territorio che forse, visto il nuovo assetto del letto del fiume, poteva spettargli in base alla concezione del confine lungo il corso del Tanaro. Addirittura, invece, Clavesana è trascinata nella lite dalla difesa di un suo particolare contro cui era scattata una denuncia da parte degli affittuari di Farigliano. Al momento della lite, il gorreto divenuto un’isola dopo l’erosione, di un qualche interesse agricolo, visto che Farigliano lo aveva registrato a catasto, messo all’incanto e affittato a particolari ben intenzionati a sfruttarlo, era stato da Clavesana semplicemente registrato come bene co­mu­ne infruttifero corroso, e la comunità non aveva mostrato nessuna intenzione immediata di rivendicarlo con­cretamente.
All’inizio del Seicento Farigliano prendeva acqua per l’irrigazione dei suoi campi da una bealera scorrente da Carrù, attraverso tre derivazioni successive: la seconda e la terza di queste derivazioni erano situate nella zona di confine tra le tre comunità di Carrù, Farigliano e Piozzo, ossia nella attuale regione carrucese delle Moglie. Si esclude che la bealera principale – denominata in alcuni punti degli atti di lite Rialeto – sia il rio Rilavetto, il cui corso attuale è incongruente con i luoghi richiamati negli atti della lite. Attraverso la terza derivazione – denominata bealera di Pià – i Fariglianesi irrigavano i loro campi situati verosimilmente nella regione del Quartiere soprano e sottano (negli atti, Pian Mezzano e Caudana). Tale derivazione interrompeva del tutto la bealera di origine, lasciandola senz’acqua, e impedendo un suo proseguimento verso Piozzo; la chiusa in questione era situata ancora nel territorio di Carrù, in regione Moglie, ossia ap­punto nell’unica zona di confine tra Farigliano e Carrù anche secondo la situazione attuale.
Il 4 maggio 1605 una ventina di uomini armati di Piozzo (altrove cento: AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 1r: Atti di visita fatta tra li particolari di Farigliano e li particolari di Piozzo [8 maggio 1605]) si recarono alla chiusa della terza bealera di Pià, minacciarono i campari Piasenza e Milano, e ruppero la chiusa, di modo che l’acqua, non più deviata dalla bealera fariglianese, cominciò a scorrere verso i terreni di Piozzo (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 3: Atti civili contro Piozzo per la bealera di Pià [1605]). Farigliano intentò causa con Piozzo per la rottura della chiusa: le ragioni del suo diritto di sfruttamento della bealera di Carrù stava­no in uno strumento di acquisto del 3 febbraio 1486 delle acque della terza bealera dalla comunità di Carrù (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 29) e in una lettera di salvaguardia ducale del 28 febbraio dello stesso anno (AC Farigliano, fald 163, fasc. 8: Lettere di sal­vaguardia [28 febbraio 1605]). Le ragioni di Piozzo invece sembravano avere soprattutto una connotazione di rivendicazione territoriale riguardante i confini nella regione Moglie, che come si è detto conteneva il punto di incontro dei territori di Carrù, Piozzo e Farigliano: fu contestato il fatto che la chiusa fosse situata nel territorio di Carrù, e che dunque rientrasse tra i diritti sanciti dall’atto di acquisto prodotto, e non piuttosto già in quello di Piozzo.
Il 21 giugno 1605 una delegazione di Farigliano andò a ricostruire la chiusa da cui partiva la bealera di Pià con fascine di rovere, sassi e terra, ma tal Luigi Perno di Piozzo si frappose, ostacolando le operazioni, levando i rami posti; scoppiò un alterco sui diritti delle due comunità sull’acqua di Carrù, e quando la delegazione fa­riglianese esibì i «rotoli» in cui erano sanciti i diritti di Farigliano sulla bealera di Carrù, il Perno fuggì, per tornare di lì a poco «con una sappa in spalla e coltellacci alla cintura», coprendo i Fariglianesi di ingiurie, chiamandoli «zingari e ladri», accusandoli di ruberie compiute nelle case dei Piozzesi (AC Farigliano, fald 163, fasc. 8, f. 32v: Atti civili contro Piozzo [1605]). Il 28 luglio 1605 quelli di Farigliano chiesero e ottennero una nuova lettera di salvaguardia da parte del duca per la tutela della bealera, in virtù dell’acquisto dei diritti sugli scolaticci dalla comunità di Carrù, stipulato nel 1486, e ratificato il 7 gennaio 1494.
Il momento culminante della vertenza tra le due comunità si ebbe però nel luglio con alcuni fatti di sangue, e portò da un lato alla trasformazione della causa in corso da civile a criminale, e dall’altro, paradossalmen­te, ad una sua rapida composizione tra le parti. Quel giorno, un massaro che stava in un suo canapeto in regione Canavero sentì gridare «alli ladri, alli ladri» (AC Farigliano, fald 163, fasc. 8, f. 3v: Atti criminali del sig. procuratore fiscale della co­munità di Farigliano per l’omicidio seguito in rissa tra li particolari di Piozzo e quelli di questo luogo di Fari­gliano per la bealera di Pià nella persona di Bernardino Boglio [8 agosto 1605]), e salì in direzione delle grida; raggiunto un luogo elevato vide molti uomini armati in parte di archibugi e in parte di «sparatori» e «arme d’asta» e li riconobbe come Piozzesi. Li fronteggiava una decina di uomini di Farigliano, anch’essi armati. Alcune personalità eminenti di Farigliano, tra cui il prete Antonio Durando si misero in mezzo ai due schieramenti, cercando di evitare lo scontro. I Piozzesi spararono due archibugiate, che colpirono, ferendoli alla testa e ad un braccio, due uomini della delegazione, tra cui il prete. Cominciò una confusa sassaiola che fece un ferito tra i Fariglianesi. Costoro, in minor numero, si ritirarono.
A questo punto gli atti prodotti dal procuratore di Farigliano sulla base di testimonianze quasi tutte apparte­nenti alla parte fariglianese, non precisano, come per le altre vicende, i particolari e le circostanze: si dice soltanto che in quella stessa giornata, dopo avere udito il suono della campana della chiesa di Farigliano suonare a martello per la sassaiola nella regione della chiusa della bealera di Pià, Bernardino Boglio di Piozzo cadeva colpito al capo da una pallottola d’archibugio, e moriva dopo alcuni giorni.
Il 2 agosto 1605 Antonio marchese di Ceva, della Camera dei Conti, e «delegato di S.A. in questa parte dei suoi domini» ingiunse a quelli di Farigliano e Piozzo, senza scendere nel merito delle ragioni della lite, di non andare armati nei luoghi contesi, fuorché i campari autorizzati; il giorno 9 vennero citati in giudizio 4 uomini di Pioz­zo e 5 di Farigliano, con obbligo di comparizione presso il tribunale di Farigliano (AC Farigliano, fald 163, fasc. 8: Testimoniali di richiesta di comparizione di informatori [28 maggio 1605]).
Si svolse un rapido processo, con condanne per uomini di Piozzo e Farigliano, i cui atti non sono stati con­servati. Nel settembre diversi particolari di Farigliano supplicarono Sua Maestà che volesse cancellare le lo­ro condanne, e pene, dietro il pagamento di una multa di 200 ducatoni (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8: Copia d’atti delli partico­lari di Farigliano supplicanti il fisco ducale [17 settembre 1606]). Il re doveva concedere l’amni­stia un anno dopo. Un vero e proprio “strumento di pace” venne invece firmato dalle delegazioni di Piozzo e di Farigliano nel santuario della Mellea: la versione dei fatti data in quell’occasione distribuisce equamente le colpe di quanto accaduto alle due comunità contendenti: tutte e due le fazioni hanno sparato, il Boglio è morto «casualmente». Un certo Occelli, a nome di chi di Farigliano ha sparato, che non viene mai nominato, chiede perdono umilmente alla figlia del Boglio Margherita (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 4, f. 6v: Instrumento di pace tra la comunità di Piozzo e la comunità di Farigliano) che riceve a titolo di risarcimento da parte dei Fariglianesi 50 scudi; le due delegazioni promettono infine – sancendo la promessa con abbrac­cio rituale – di vivere d’ora in poi rapporti pacifici tra vicini. Eppure non v’è parola sul modo in cui è stata composta la lite sulla terza bealera di Pià. Con tutta probabilità, viste le due salvaguardie ducali ottenute sui diritti d’acqua di Farigliano, e l’assenza di una articolata lite circa i confini tra Carrù e Piozzo messi in di­scussione dai Piozzesi, le ragioni di questi ultimi dovevano essere deboli, forse basate solo su di una con­suetudine allo sfruttamento di parte dell’acqua di Farigliano non rafforzata da atti ufficiali di acquisto: si scontravano per contro con solidi atti di acquisto tra Farigliano e Carrù, basati sul reciproco – e verosimilmente, pacifico – riconoscimento dell’assetto confinario della regione delle Moglie; le ragioni del contenzioso, da parte piozzese, non trovavano altra giustificazione apparente che nella volontà di continuare a godere, pur non avendone diritto, dell’acqua di Farigliano.
La seconda lite tra Piozzo e Farigliano a proposito di ragioni d’acqua si situa nel Settecento, e pur tra molte difficoltà riguardanti il mutamento dei nomi di regioni e bealere, è possibile comprendere come l’oggetto del contenzioso non sia sostanzialmente mutato rispetto alla lite del 1605, ossia sempre la bealera di Pià, o Rialeto, terza derivazione di acque carrucesi che Farigliano rivendica come proprie in virtù di un lontano at­to d’acquisto.
Nei centoventi anni che separano le due liti sono però mutate alcune circostanze. Innanzitutto alla luce della seconda lite è possibile comprendere il modo con cui era stata risolta la prima: la terza bealera della Pià, che i Fariglianesi nel 1605 sfruttavano per intero in virtù dei loro accordi con Carrù era stata divisa, forse nel contesto della “pace” della Mellea stipulata tra le due comunità a composizione della violenta lite di inizio Seicento, da un «Repartidore» che divideva esattamente a metà l’acqua, trasformandola in comunitaria tra Farigliano e Piozzo. In corrispondenza del Repartidore, già nel finaggio di Farigliano, Farigliano deriva­va la sua acqua verso i propri campi, Piozzo in una sua bealera detta del Fornace.
Nei primi mesi del 1721 i massari di Farigliano attuarono un sistema ingegnoso, e per i Piozzesi, fraudo­lento, per infrangere a proprio vantaggio la norma della divisione a metà delle acque. Gettando sassi e le­gna nel fondo della bealera di Pià, a monte del Repartitore ma ancora nelle fini di Farigliano fecero esonda­re l’acqua che così colava nei loro terreni posti più a valle di quelli di Piozzo; la quantità che finiva dunque al Repartitore risultava molto ridotta, a scapito degli interessi di Piozzo. Piozzo ricorse al Senato di Torino il 24 aprile 1721, protestando l’illegittimità della deviazione dell’acqua comune della bealera di Pià (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 1: At­ti civili Farigliano contro Piozzo [1721-1723]). Evidentemente Farigliano ri­teneva ingiusti, in virtù dei suoi antichi diritti di sfruttamento esclusivo dell’acqua di Carrù, gli accordi della “pace” della Mellea di inizio Seicento, che la costringevano a fare a metà con Piozzo. La comunità non mandò quindi nessun suo rappresentante a comparire. Nonostante una prima ingiunzione del Senato a Fa­rigliano, i contadini di quella comunità continuarono a derivare illegittimamente l’acqua (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 41r).
La vertenza si era ormai incanalata nuovamente sugli stessi binari delle rivendicazioni del 1605: rigettati gli accordi della “pace” della Mellea, tra Farigliano e Piozzo si era nuovamente daccapo. Piozzo, in risposta al­le azioni di Farigliano, tornò a rimettere in discussione i confini tra Carrù, Piozzo e Farigliano nella regione delle Moglie, su cui si basavano gli atti quattrocenteschi fariglianesi di proprietà dell’ acqua di Carrù: così come l’assetto territoriale della regione carrucese in cui si dipartiva la derivazione di Farigliano era stato la fondamentale ragione del contendere nel 1605, così lo era nel 1721.
Nel corso della lite vennero richiesti testimoniali di esperti che verificassero quell’assetto una volta per tutte; con tutta probabilità tali testimoniali confermarono i confini di sempre.
Farigliano dunque aveva la ragione dalla propria parte, e per meglio affermarla, il 1 aprile del 1723 fece opere di manutenzione ad una sua chiusa a monte del Ripartitore, come – a dire dei testimoni – aveva sem­pre fatto da tempo immemorabile; pochi giorni dopo partì una denuncia di Piozzo per attentati alla bealera del Rialeto (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 50r); nel corso di una piena del Tanaro inoltre, con la scusa di migliorare il deflusso delle acque, Piozzo mandò suoi uomini «con pali di ferro» a togliere le pietre messe dai Fariglianesi nella bealera.
La lite pare arrestarsi qui, senza ulteriori risposte dei Fariglianesi, forse stanchi della contesa: tolte le pietre dalla bealera di Pià-Rialeto cessò il motivo del contendere da parte dei Piozzesi, che se non avevano otte­nuto la revisione dei confini nella regione delle Moglie – che ancora oggi è carrucese – ebbero di nuovo la loro metà d’acqua in base agli accordi della “pace” della Mellea.