Romagnano Sesia

AutoriColombo, Emanuele
Anno Compilazione2009
Provincia
Novara
Area storica
Novarese; Valsesia.
Abitanti
4216, di cui 2187 femmine e 2029 maschi [ISTAT 2001].
Estensione
18,03 Kmq. [ISTAT 2001].
Confini
Cavallirio, Fontaneto d’Agogna, Gattinara (Vc), Ghemme, Prato Sesia, Serravalle Sesia (Vc).
Frazioni
Mauletta. Vedi mappa.
Toponimo storico
Sull’origine del toponimo vi sono varie ipotesi. Secondo una prima ipotesi, sostenuta da Carlo Dionisotti (almeno in un primo momento) [Dionisotti 1871] e da Dario Fogliato, deriverebbe dalla presenza di un mansio,  in cui un ponte romano avrebbe attraversato la Sesia nel luogo dove poi sarebbe sorto Romagnano (Romana mansio). Secondo Carlo Mor, “Romanianum” sarebbe invece l’alterazione della voce longobarda “Arimannianum”, che vedeva Romagnano sede di arimannia. In seguito a recenti scavi archeologici, parrebbe che il toponimo possa invece più probabilmente derivare da “vicus” o “fundus romanianus”, poiché il luogo sarebbe stato sede di un grande fondo di proprietà di un cittadino romano [Romanianum 1998, pp. 8-9].
     Il 20/9/1862 una delibera del consiglio comunale aggiunge l’epiteto “Sesia” all’antico nome “Romagnano”, da cui la denominazione di “Romagnano Sesia” attualmente in uso.
Diocesi
Fa storicamente parte della diocesi di Novara.
Pieve
Fino al Cinquecento Romagnano era aggregato alla pieve di Grignasco. Con la riforma bascapeiana dei vicariati, figura a capo di un suo vicariato, che comprende Ara, Boca, Ghemme, Maggiora, Prato Sesia, Sizzano, Cavallirio e Grignasco [Bascapè 1612; vd. anche scheda Grignasco].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Romagnano è sede di una importante abbazia benedettina, di S. Silvano o S. Silano, la cui fondazione è anteriore a quella della comunità, rimontando al IX secolo. Uno dei primi documenti relativi all’abbazia riguarda una ricca donazione da parte di Odolrico e della consorte Giulia, avvenuta nel 1040. Nella seconda metà del Quattrocento S. Silvano diventa commenda abbaziale. In periodo napoleonico l’abbazia venne soppressa con la legge del 1° ventoso anno IX (20/2/1801). Al posto dell’abbazia rimase dunque solo la chiesa parrocchiale ad essa annessa, che venne ricostruita nel 1846-55 e riaperta al culto nel 1856.
     Nel 1585, a quanto pare su richiesta della comunità, venne poi fondato un altro monastero intitolato a S. Francesco, di cappuccini, nell’area dell’attuale chioso Bini [Fondatione del Convento di Romagnano de padri Cappuccini, in Romanianum  1998, p. 75]. Nel 1641, stante l’eccessiva umidità della zona, il monastero fu ricostruito sul monte Cucco e intitolato a S. Michele Arcangelo (il che potrebbe far supporre la risalente esistenza di un culto michaelico da collegarsi all’arimannia longobardica). Il convento venne poi soppresso nel 1801 con la legge del 1° ventoso anno IX (20/2/1801). Rimase tuttavia in funzione la chiesa dei SS. Anna e Rocco, prima annessa al monastero.
     L’assistenza religiosa, all’interno della comunità, fu svolta per tutto il Medioevo dai benedettini. Quando l’abbazia diventò commenda, la comunità eresse due navate laterali all’interno della chiesa abbaziale e stipendiò un proprio cappellano. Ne seguì una controversia tra abbazia e comunità per la giurisdizione della chiesa, fin quando nel 1569 il vescovo Serbelloni decretò che essa diventasse parrocchia sotto il titolo della SS.ma Annunziata, trasferendovi tutti i benefici esistenti nelle chiese minori e concedendone il giuspatronato ai capi di casa della comunità. L’uso promiscuo della chiesa, officiata dall’abbazia e contemporaneamente dal parroco eletto da Romagnano, tuttavia continuò. Nella parrocchiale erano erette, ai loro rispettivi altari e con propri oratori, le confraternite del SS.mo Sacramento, di S. Giuseppe e di S. Marta [A.S.D.N., Vp, 372, vescovo Morozzo, 1819].
     Sussidiaria della parrocchiale era la chiesa della Madonna del Popolo, sita nel centro del paese e adiacente alla piazza del mercato. La chiesa era sorta, probabilmente nella prima metà del Quattrocento, in seno allo spedale di S. Maria, istituzione caritativa gestita dalla comunità e dotata con beni di quest’ultima. La dedicazione al “popolo” era divenuta in uso nel Cinquecento, e marcava una netta separazione di questa chiesa rispetto all’abbazia. Nel 1569, quando il vescovo Serbelloni incorporò tutti i benefici esistenti nella parrocchiale, anche S. Maria si trovò spogliata dei suoi averi (fruttanti circa 150 lire annue), ma vi restò l’obbligo di due messe settimanali da parte del parroco.
     Presso la parrocchiale era originariamente eretta la confraternita del SS. Rosario, sorta nel 1580, che al tempo della visita dello Speciano (1590) comprendeva già fere tota universitas. La confraternita venne sciolta attorno al 1630, e ricostituita nel 1669 presso S. Maria del Popolo (che venne di conseguenza chiamata anche chiesa del SSmo Rosario), aggregandola alla sede centrale della Beata Vergine del Rosario di Roma. La confraternita divenne così la vera amministratrice di S. Maria. Tra 1697 e 1707 la chiesa fu ampiamente rifatta, dopo che una riunione dei capi di casa della comunità aveva preferito questa soluzione piuttosto che costruire una nuova parrocchiale esterna all’abbazia. Le spese furono sopportate in massima parte dalla confraternita, ma vi partecipò anche la comunità. Nel 1740 vi sorse la Congregazione della gioventù. Buona parte delle vicende legate alla chiesa sono da riportare alla famiglia Tornielli, proprietari dei terreni circostanti alla chiesa e talora anche priori della confraternita [Dell'Olmo, Monferrini 2009 ].
     Oltre alla parrocchiale e alla sua sussidiaria si contavano poi altri edifici religiosi: l’oratorio di S. Martino, eretto nell’antico territorio di Breclema, e distante circa un miglio dal borgo, le cui prime attestazioni risalgono al Duecento, ma che recenti esperienze di scavo hanno mostrato rimontare ad un periodo precedente l’XI secolo; l’oratorio di S. Pietro, posto a sud del territorio comunale, sorto nella seconda metà dell’XI secolo, era stato abbandonato alla fine del Settecento; le cappelle di S. Bernardo e di S. Grato, che ai tempi della visita del Morozzo parevano anch’esse ormai non più officiate. Si contavano poi, sempre al tempo della visita del Morozzo, alcuni oratori privati: l’oratorio della famiglia Florio, sito nella piazza centrale del paese; quello di S. Domenico, di proprietà dei compatroni della Roggia Mora; l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie; l’oratorio detto “alle cassine”, della famiglia Tornielli, dedicato alla Vergine Maria Immacolata; uno di proprietà della famiglia Serbelloni, dedicato a S. Carlo; l’oratorio della Beatissima della Rosa, sorto nel 1681 su iniziativa del capitano Giacomo Filippo Corti di Arona e non più esistente nel 1871; l’oratorio di S. Giacomo, di giuspatronato di Giorgio Donetti, le cui prime attestazioni risalgono all’inizio del XVI secolo [A.S.D.N., Vp, 372, vescovo Morozzo, 1819].
     Sin dal XV secolo, inoltre, come si è accennato, esisteva in Romagnano un ospedale di S. Maria, i cui amministratori erano eletti dalla comunità [cfr. atto del 4/9/1519 cit. in Dionisotti 1871, p. 207].
     Come nella maggior parte delle comunità piemontesi esisteva poi la confraria del S. Spirito, istituzione caritativa per la distribuzione rituale poi trasformata in Congregazione di carità nel 1769 [Torre 1995], la cui gestione era passata al comune che ne eleggeva il presidente e i quattro amministratori.
Assetto Insediativo
L’insediamento di Romagnano appare a forma di imbuto, allungato lungo il Sesia. Per tutta l’età medioevale e il Cinquecento, il Sesia lambiva l’abitato; soltanto nel Seicento furono approntati lavori per separare il borgo dal fiume, ottenendo una distanza di 400 metri circa. Il Dionisotti notava nel 1871 che il numero delle case nell’abitato centrale di Romagnano assommava a 342, contro le 35 sparse nel territorio [Dionisotti 1871, p. 191]. Lo sviluppo storico dell’insediamento è nato, comunque, attraverso l’inclusione di una serie di frazioni, un tempo “vicus” medioevali. Secondo il Dionisotti la riduzione del numero di casali e la costituzione di un abitato centrale avviene nella seconda metà del XV secolo [Dionisotti 1871, p. 308].
Luoghi Scomparsi
Castrum di Santa Fede: vedi notizia.
Comunità, origine, funzionamento
La corte di Romagnano nasce probabilmente tra secolo IX e X, citata per la prima volta in un diploma di Carlo il Grosso dell’882 [Brugo 1997, p. 9]. Del 1014 è l’attestazione di una “terram de curtis regni nostri Romaniani pertinentem secus ripam lacus Sancti Iulii positam” [Andenna 1977, p. 509]. Un comune di Romagnano nacque attorno al castello dei marchesi alla fine del XII secolo, nel corso della lunga lotta che oppose la città di Novara e quella di Vercelli. Nel 1198 si realizzò un accordo tra gli “homines de burgo Romaniani et de villa Supramonte et de Prada” da una parte e Novara dall’altra, con cui Romagnano riconosceva l’autorità di Novara, pur nell’ottica di un assoggettamento formale ai marchesi. L’accordo prevedeva che gli uomini di Romagnano potessero recarsi al mercato di Novara alle stesse condizioni degli abitanti di Borgo S. Leonardo (Borgomanero) e potessero vendere vino a tutti i comuni non in guerra con Novara [Dionisotti 1871].
     Il primo consiglio comunale nasce con gli ordini di Filippo II del 10/6/1600; di poco successivi sono i primi ordinati disponibili in archivio storico-civico, che datano 1608. Il consiglio era formato da dodici membri, di cui facevano parte anche i due consoli, che avevano durata bimestrale, in modo tale da impegnare nella carica tutti i consiglieri di un anno. L’elezione dei consiglieri avveniva all’inizio dell’anno da parte dei capi di casa originari e proprietari di almeno una pezza di terra; sostanzialmente, si trattava di una ratifica dei dodici nomi letti dal podestà. In caso di legittima opposizione riconosciuta dal podestà, entrava in funzione un meccanismo più complesso, che prevedeva una scelta iniziale di trenta o quaranta candidati idonei, con più di 25 anni e padri di famiglia, i quali venivano divisi in tre gruppi secondo l’estimo, da cui venivano poi estratti quattro consiglieri per ciascuna fascia d’estimo. Quando il consiglio dibatteva sulla taglia (e cioè sulla ripartizione delle tasse internamente alla comunità; operazione che avveniva una o più volte l’anno) venivano convocati anche i maggiori possidenti [Dionisotti 1871; Ordinati della comunità].
      Il 2 gennaio 1641 i dodici consoli vengono sostituiti da quattro sindaci nel governo della comunità. Dopo pochi anni viene però ripristinato il numero di dodici consiglieri.
Statuti
Ordini per il buon governo della comunità furono emanati da Filippo II il 10/6/1600, formulati in sedici capitoli, di cui i primi quattro trattano della composizione e della modalità di elezione del consiglio comunale [Dionisotti 1871, pp. 353-354, Communitas Romagnani M.V. fidelis servitor habet quondam Ordines pro bono redimine suo, partim in scriptis redactos, et partim solum ex antiqua consuetudine observatos].
Catasti
Ricca è la documentazione catastale riguardante Romagnano conservata in archivio storico-civico. Sono disponibili il libro dell’estimo di Carlo V del 1558 (cart. 157) e un estimo del 1595 (cart. 157). Per il Seicento sono presenti due libri d’estimo: quello del 1637 e del 1659 (cart. 159). A partire dal 1676, inoltre, la comunità tiene libri d’estimo con aggiornamenti continui dei cambiamenti di proprietà (“trasporti”): nelle cartelle 161-165 sono presenti cinque volumi che coprono il periodo 1676-1775 e tre libri di un “Catasto vechio del 1676 ridotto da un solo volume a tre tomi”. I libri di trasporti ricominciano poi dal 1774 (cart. 167). La comunità tiene dunque un proprio sistema storico di registrazione della proprietà a partire dall’ultimo quarto del Seicento, fatto alquanto raro per le comunità lombardo-spagnole, da connettersi probabilmente alle frequenti liti occorse per i terreni. Come si ribadisce nel 1723:
ogni pezzo di terra ha il suo estimo differente. Anzi deve VS sapere che ogni tre anni la Comunità fa fare la misura e si rinnova l’estimo de terreni, restando estimato ogni pezzo nella qualità in cui si trova [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1, interrogatio del 28/2/1723 di Carlo Lorenzo Ruga, cancelliere della comunità].
 
In archivio storico sono presenti anche il catasto del 1722 di Carlo VI stilato sotto gli austriaci (cart. 166) e il sommarione sabaudo del 1769. È da segnalare inoltre che esiste anche una ricca documentazione collegata di carattere catastale per la definizione dei territori contesi: in particolare, i volumi “Confini tra la comune di Romagnano e Vintebbio” del 1706 [cart. 166], “Documenti riguardanti le delimitazioni territoriali tra i comuni di Romagnano, Prato, Cavallirio”, 1593-1777 [cart. 172], “Stato dei particolari aventi beni sulla sponda destra del Sesia” del 1807 [cart. 172], “Processo verbale relativo alla mappa della comunità di Gattinara in cui sono intervenuti li signori deputati di Romagnano” del 1840 [cart. 173].
Ordinati
Nell’archivio comunale sono presenti le provvisioni della comunità a partire dal 1608, ma non in forma continua. Esistono, in A.S.R., categoria I, classe VI, cartt. 14-31 i libri che coprono i periodi 1608-1614; 1671-1676; 1704-1706; 1712-1714; 1723-1727; 1736-1741; e poi dal 1786 in forma continua.
Dipendenze nel Medioevo
Nel  secolo XI Romagnano faceva parte della Marca ansearica di Ivrea. Dal 1015, con la caduta di Arduino II, marchese d’Ivrea, la marca eporediese fu riunita a quella di Torino, sotto Olderico Manfredi II [Romanianum 1998, p. 35].
     Nel 1111 si ha la prima attestazione di un marchese “de Romagnano”, epiteto riferito a Manfredo in un atto dell’imperatore Enrico V. Solo nel 1163, però, un diploma di Federico I riconosce i marchesi Oliviero, Guido e Ardizzone signori di Romagnano, dominato territoriale comprendente Grignasco, Cavallirio, Prato Sesia, Ara, Naula e Rovasenda. Negli anni successivi i poteri dei marchesi, originariamente molto vasti, furono però erosi. Nel 1198 si ha l’accordo con Novara, riconosciuta come dominus di Romagnano e del marchesato. Il marchese Guido di Romagnano giurerà poco dopo (1202) il cittadinatico, al fine di ottenere protezione da Novara nei confronti dei conti da Biandrate e di Vercelli. I Da Romagnano rimasero dunque marchesi del marchionato, pur con numerosi periodi di vacanza. Nel 1441 Filippo Maria Visconti reinfeudava Romagnano con mero e misto imperio ad Antonio conte di Pollenzo, discendente della stirpe arduinica. L’atto di investitura informa che il territorio passava alla dignità marchionale dalla precedente, di carattere semplicemente signorile [Romanianum 1998, p. 38].
Feudo
In età moderna, la dizione di “Marchesato di Romagnano” sta a indicare un feudo composto da cinque comunità: Romagnano, Ara, Cavallirio, Grignasco e Prato Sesia, che riproduce grosso modo l’estensione dell’antico dominatus marchionale.
     Fino al 1550, il marchesato restò in mano all’antica stirpe arduinica che l’aveva posseduto sotto varie forme fin dalle origini. A questa data il feudo era suddiviso in trentadue parti. Lo sfaldamento dei Da Romagnano iniziò proprio in tale data, quando uno dei marchesi, Giovanni Antonio, cedette sette quote a Francesco Dal Pozzo. Negli anni successivi, i Dal Pozzo acquistarono metà delle quote del feudo con successivi acquisti. Nel 1561, però, il feudo veniva acquistato da Emanuele Filiberto di Savoia, che lo donava il 22 luglio dello stesso anno a Federico Borromeo, conte di Arona, con diritto di successione sia maschile sia femminile. La vendita al Borromeo era avvenuta però senza il beneplacito milanese, sorsero così delle contestazioni tra il nuovo feudatario e il Magistrato Straordinario di Milano, che nel 1562 ordinò l’apprensione del marchesato. Di fronte a tali difficoltà il cardinal Carlo Borromeo, trovatosi a essere l’erede del marchesato, lo cedeva il 9 marzo 1566 a suo cugino Federico Ferrero, già feudatario di Casalvolone, Villata e Ponzana. Nel 1573, dopo ulteriori contestazioni da parte di Milano, il Ferrero riusciva finalmente a prestare giuramento come feudatario, ma con diritto di successione solo maschile. Morto senza figli maschi, e pur avendo in precedenza fatto donazione del feudo a Ferrero Fieschi marchese di Masserano, il marchesato veniva incamerato dalla regia camera milanese nel 1582. Nel 1583, tuttavia, esso venne reinfeudato a Guido Ferrero, cardinale di Vercelli e cugino del precedente feudatario. Anch’egli morì prematuramente ed il feudo fu di nuovo reincamerato da Milano nel 1585. Posto all’asta, il marchesato di Romagnano fu acquistato il 27 maggio 1588 dal conte Giovanni Battista Serbelloni per 107.800 lire. Nel 1649 Filippo II agganciò al feudo il titolo di marchese, di cui dunque si poterono fregiare i Serbelloni, con diritto trasmissibile ai maschi legittimi per ordine di primogenitura. I Serbelloni rimasero feudatari del marchesato fino all’estinzione dei privilegi feudali del 1797 [Dionisotti 1871, pp. 332-349 e Dessilani 2003, p. 398].
Mutamenti di distrettuazione
A partire dal 1535 il Novarese entra a far dello Stato di Milano e dunque dell’impero spagnolo. Verso il 1560 nasce il Contado di Novara, istituzione intermedia tra la Regia camera e le comunità con scopi prevalentemente fiscali, nata dalla contrapposizione tra le campagne e le città per la definizione dell’estimo. Romagnano è una delle 29 terre vocali del contado, aventi cioè diritto di parola alle congregazioni generali del contado, ed è inserita nella squadra del Sesia (in totale il contado novarese era suddiviso in sei squadre, ciascuna delle quali esprimeva un sindaco) [Gnemmi 1981].
     Per un breve periodo, dal 1713 (trattato di Utrecht) al 1738 (pace di Vienna) il Novarese passa sotto la dominazione austriaca.
      Nel 1738 il Novarese passa ai Savoia, venendo così unito al Piemonte, fino al 1798. Romagnano fa parte dell’Intendenza generale per l’Alto e Basso Novarese ed è a capo di una sua squadra.
     In età napoleonica i comuni di Ara, Cavallirio, Ghemme, Grignasco e Prato Sesia vengono aggregati in un’unica municipalità nel 14/12/1798, che ebbe vita brevissima stante l’occupazione austro-russa del 1799. Il 7 settembre 1800, tornati al governo i napoleonici, viene costituito il Dipartimento dell’Agogna (che oltre al Novarese comprende la Lomellina, la Valsesia e il Vigevanasco), organizzato prima in 17 distretti e poi in cinque. Nel 1801, Romagnano è aggregato al distretto di Varallo (uno dei cinque del dipartimento) e figura a capo di un cantone comprendente i comuni di Ara, Cavallirio, Fara, Ghemme, Grignasco, Prato e Sizzano.
     Nel 1814, col passaggio ai Savoia, Romagnano viene distaccato dalla Valsesia ed è nuovamente inserito nella provincia di Novara, dove è capoluogo di mandamento (comprendente Ara, Boca, Cavallirio, Grignasco, Maggiora, Prato). Nel 1815, nel mandamento di Romagnano viene compreso Ghemme mentre Boca e Maggiora passano in quello di Borgomanero.
      Dopo l’unità Romagnano è ancora capo di mandamento, in forza della legge Rattazzi del 23/10/1859. Il mandamento è composto dai comuni di Ara, Cavallirio, Grignasco e Prato Sesia, riproducendo de facto il territorio del marchesato d’età moderna.
Mutamenti Territoriali
Nel 1198, come sappiamo dall’accordo stilato con Novara, il comune di Romagnano comprendeva anche le ville di Prato e di Sopramonte. Nel 1202, in seguito alla pace tra i conti di Biandrate e Novara, tutto il territorio di Breclema (a quanto pare composto da circa 60 famiglie coloniche) confluì entro quello di Romagnano. Già a metà Trecento si erano ormai di fatto perse le distinzioni tra le due aree [Virgili e Fumagalli 1974].
     Dai processetti preparatori del 1723, stilati per il catasto di Carlo VI, risulta che “anticamente il comune di Prato era unito col nostro di Romagnano, ma sono più di due cento anni che Romagnano fa comune da sé, né mai è seguita alcuna separazione di quota dal medesimo” [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1, interrogatio del 28 febbraio 1723 di Carlo Lorenzo Ruga, cancelliere della comunità]. In effetti, Prato sembra essersi separato da Romagnano nella prima metà del Cinquecento, come ci informano alcune liti confinarie per la costruzione di un mulino intercorse tra le due comunità (che datano 1559 e 1577). Nel 1492, comunque, Prato figurava ancora unita a Romagnano, ma aveva propri consoli per l’amministrazione del suo territorio [Dionisotti 1871, p. 352].
     Anche il vicino comune di Cavallirio (la cui prima menzione risale al 1028) risultava aggregato a Romagnano in età medioevale, venendone separato probabilmente all’inizio del secolo XV, dopo la sua infeudazione ai Barbavara [Dionisotti 1871].
     Nel corso dell’età moderna si sono verificati poi continui mutamenti micro-territoriali in relazione alle molteplici liti confinarie che hanno coinvolto la comunità, in specie con Gattinara [Vd  Liti territoriali].
Comunanze
La comunità ha storicamente posseduto, da sempre, ricchi beni comunali. Nel 1602 i terreni posseduti dalla comunità sono pari a 12466 pertiche contro 1906 di cittadini, 1047 di ecclesiastici e 5629 di rurali [Colombo 2008, p. 132], rappresentando così addirittura il 59 per cento dell’intero territorio comunale. La maggior parte dei terreni era composta da boschi da taglio, pascoli e “zerbi”, in parte affittati e in parte goduti direttamente dalla comunità e destinati ad uso civico. La comunità possedeva, inoltre, beni che si trovavano fisicamente all’interno di altre comunità e addirittura di altri Stati. Tra questi, la maggiore proprietà era una costa del Sesia all’interno della comunità di Vintebbio (Stato sabaudo) usata come pascolo, rilasciata a Romagnano da Gattinara all’inizio del Quattrocento in seguito a lite confinaria, e che nel 1723 risultava affittata per 350 lire annue allo stesso comune di Vintebbio. Proprio alla presenza di beni comunali tanto cospicui e ubicati su confini tra più comunità, è da collegarsi l’abbondantissima casistica in materia di liti confinarie [Vd. Liti territoriali].
     La comunità non possedeva tuttavia soltanto terreni. Ancora nel 1723 essa era proprietaria di tre mulini da macina (due di tre ruote e due di due), quattro forni, il dazio della brenta, la ragione del peso e del terratico (cioè il diritto d’affitto della piazza per il mercato), nonché della barca che attraversava il Sesia [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1, interrogatio del 28/2/1723 di Carlo Lorenzo Ruga, cancelliere della comunità. In archivio storico-civico, prima sezione, cartt. 50-63, esiste una ricca documentazione riguardante affitti, vendite e permute di beni comunali, perlopiù sette ed ottocentesca].
Liti Territoriali
Antiche e risalenti sono le liti confinarie con i paesi circostanti, moltiplicate dalla natura della proprietà e dalla presenza di un fiume, il Sesia, soggetto a continui mutamenti di corso. Per quanto riguarda il regime proprietario occorre osservare che esso era di difficilissima gestione, vista l’esistenza di beni comunali compartecipati da più comunità, e che si trovavano talora anche fisicamente all’interno di altre comunità. Il caso più clamoroso è quello del bosco posseduto fin dal 1400 da Romagnano a Vintebbio, ed affittato a quest’ultimo. Ma non si trattava di un fatto isolato; la stessa pratica di tenere una barca sul Sesia si rendeva necessaria:
con obbligo di passar tutti di questo luogo havendo diversi beni, cioè vigne, campi, prati e boschi di là dal fiume Sesia senza pagamento alcuno [A.S.M., Acque p.a., cart. 1.185, 1666].
 
Anche i privati possedevano infatti coste di bosco sull’altro lato del fiume, entro il territorio di Gattinara.
     La controversistica è poi moltiplicata dal fatto che la quasi totalità delle liti avviene con comunità facenti parte, in età moderna, di un altro Stato, quello sabaudo: al filone della lotta tra le comunità si aggiunge così il rapporto diplomatico tra gli Stati. La produzione documentaria ne è conseguentemente moltiplicata; in particolare, risultano molto presenti i testimoniali di visita, con escussione di testimoni da parte dei funzionari statali. Questa pluralità di soggetti coinvolti ad ogni livello, fa sì che la documentazione sia ubicata in archivi differenti: esistono ricche serie in Archivio di Stato di Milano nel fondo Confini p.a., a Torino e in Archivio storico-civico a Romagnano. Con ciò, la ricostruzione delle liti territoriali concernente Romagnano si presenta come particolarmente complessa e stratificata.
     Si tratta quasi sempre di liti molto risalenti, che i pur numerosi strumenti di convenzione stilati tra le parti non riescono mai a chiudere del tutto, e che di frequente non riguardano solo un punto ma si riferiscono a vari oggetti. Si assiste così anche alla produzione di più liti parallele tra le comunità, in maniera tale che la definizione dell’intero complesso controversistico risulta molto improba.
     La comunità con cui Romagnano è storicamente in uno stato di lite quasi costante dal Quattrocento fino all’Ottocento è Gattinara, posta al di là del Sesia nello Stato sabaudo. Le varie convenzioni che, nel corso del tempo, vengono stipulate vedono sempre gli Stati come i principali promotori delle pacificazioni, mentre le comunità sono implicate in una conflittualità difficilmente risolvibile e capace di prendere in continuazione nuove forme.
     Come riassumeva una relazione sul Sesia del 1667 vi erano almeno quattro punti controversi:
il primo de’ confini, il secondo della restituzione del fiume in alcuni degl’antecedenti suoi alvei, il terzo del possesso degli isoloni, e l’ultimo de’ ripari” [Relazione della Sesia, giugno 1667, A.S.R., cart. 34, ff. 154 e segg.],
senza contare poi il tema delle chiuse costruite dalle comunità per derivare rogge. Nel 1723, le differenze con Gattinara erano tre, distinte tra loro, relativa ciascuna a luoghi contesi sul Sesia [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1, interrogatio del 28/2/1723 di Carlo Lorenzo Ruga, cancelliere della comunità].
     Fin dal 5 marzo 1492 vi è notizia di una sentenza arbitramentale dei delegati di Savoia e Milano sulle ragioni d’acqua del Sesia pretese dalle comunità di Gattinara, Romagnano, Prato e Sopramonte. Romagnano godeva da tempo immemore di una derivazione per i suoi mulini. Gattinara intendeva però sfruttare un’analoga derivazione a monte, che era stata accusata di introdurre “turbamenti” nel corso del fiume [Dionisotti, p. 179]. La questione si protrasse a lungo, dalle lamentele dei gattinaresi del 25/9/1603 su una “secca” costruita ad arte da Romagnano [A.S.R., cart. 34, Atti civili fatti avanti li molto illustri signori senatori Francesco Cravetta et Papirio Cataneo per le differenze sopra il fiume Sesia], ai testimoniali di visite del podestà di Gattinara:
fatte giudicialmente sopra il fiume Sesia per le novità che fanno li di Romagnano in pregiudizio della giurisditione di Sua Mestà reale, e del comune di Gattinara per il novo ramo fatto dal fiume Sesia verso li prati delle Palladine de particolari registranti di Gattinara” [ivi, ff. 130 e segg., 28/4/1666],
fino alla convenzione del 31/12/1680 che vedeva impegnati Stato di Milano e di Savoia la quale stabiliva che Gattinara potesse aprire una roggetta a valle della derivazione di Romagnano [Convenzione passata tra i deputati dei rispettivi Governi per la terminazione delle pendenze territoriali vertenti tra le comunità di Gattinara e Romagnano e tra Carpignano e Ghislarengo, ibidem].
 
     Le liti e le relative visite, cui seguivano per solito delle convenzioni, continuaronno anche sotto gli austriaci: del 1723 è la Relazione fatta dai rispettivi ingegneri deputati della misura de siti controversi fra le comunità di Gattinara, e Vintebbio vercellese con Romagnano Sesia [ibidem, 11/3/1723]. Anche quando entrambe le comunità si trovarono parte dello stesso Stato, quello sabaudo, la controversia continuò a rimanere latente, in particolare per i due isoloni, Superiore e Inferiore, che Romagnano sosteneva essere suoi per antico possesso [ibidem, 4/12/1791]. Del 1787 è inoltre una supplica di Gattinara contro Romagnano a proposito dell’estrazione abusiva di acqua dal Sesia [A.S.R., cart. 32, fasc. 10]. Nel corso della restaurazione, la contestazione toccò poi anche il servizio di barca sul Sesia, di antichissima tradizione [A.S.R., cart. 36, fasc. 32, Relazione dell’arch. Majone sulla vertenza tra Gattinara e Romagnano relativa al servizio del porto sul fiume Sesia, 1823]. Seguivano da lì a poco delle pronuncie favorevoli a Gattinara [A.S.R., cart. 38, fasc. 36, Ragione del signor Gionteri circa la giurisdizione del fiume Sesia, 1826]. Una transazione sugli argini del Sesia arrivava negli anni 1843-44, con relativa definizione dei confini [A.S.R., cart. 38, fasc. 49, Transazione tra la comunità di Gattinara e quella di Romagnano]. Altri atti civili vedevano tuttavia la luce all’inizio degli anni Cinquanta; nel 1853 seguiva la sentenza per quanto concerneva i ripari del Sesia [A.S.R., cart. 46, 127, Sentenza nella causa Romagnano e Ghemme contro Gattinara per la costruzione di opere di riparo sul Sesia a danno delle predette], nel 1855 vi era però la denuncia di nuovi atti “offensivi” da parte di Gattinara, alleata con i proprietari della roggia Busca [A.S.R., cart. 44, fasc. 101, Operazioni clandestine delli Gattinaresi ed agenti della Busca dannose alli territori di Romagnano, Ghemme, e Carpignano].
     Un’altra comunità con cui Romagnano aveva continue differenze era Vintebbio, sebbene la transazione quattrocentesca che assegnava il bosco sito nella comunità sabauda a Romagnano avesse dimostrato di reggere nel tempo, pur con la necessità di alcune rettifiche, tra cui si può citare in particolare la convenzione stipulata tra i governatori di Novara e Vercelli il 15/7/1686 [A.S.R., cart. 34].
     Un’altra lite, ma di minore entità, era con Prato Sesia, che al contrario di Vintebbio e Gattinara aveva sempre fatto parte della stessa entità statuale. La controversia era stata originata da un paio di mulini costruiti su terreni e con ragioni d’acqua dubbie. Una prima sentenza del 1577 assegnava a Prato il mulino nuovo da esso costruito [Dionisotti, p. 352]. La controversia riaffiorava nel 1593, relativa però stavolta alla divisione di alcuni beni sul Sesia tra cui un’isoletta [A.S.R., cart. 34, Sententia lata inter comunitatem Romagnani et Prati, 1593].
     Nel 1723 si ha inoltre notizia di una differenza con la comunità di Cavallirio “per causa di sessanta moggia di brughiera abboscata, nella quale [secondo Cavallirio] abbiamo la ragione di andarci a pascolare”. Il pascolo era stato oggetto di uno scambio tra le due comunità, con una transazione del 13/7/1536, secondo la quale Cavallirio mandava:
i nostri grani a macinare al molino di detta comunità di Romagnano, e che fossimo obbligati dare al fittabile di detto molino cinque coppi per ogni sacco di grano, et all’incontro la comunità di Romagnano diede la ragione e facoltà alla nostra comunità di poter mandare a pascolare i nostri bestiami nelli detti sessanta moggia,
oltre a rimanere obbligata a versare 800 lire in due anni oppure 40 in perpetuo per l’utilizzo del terreno. Cavallirio non aveva fatto né l’una né l’altra cosa, ma poiché il fittabile del molino:
ha esatto tre coppi di più del convenuto per ogni sacco di grano […] ed avendo noi sempre dati otto coppi per ogni sacco di grano al detto fittabile, e non cinque, come si era convenuto, pretendiamo che con li tre coppi di più, che tuttavia gli si danno, d’aver pagato e di pagare anche di più delle lire quaranta all’anno e perciò di godere noi il predetto pascolo” [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 4 fasc. Inter communitatem Cavallirij et Communitatem Romagnani, comitatus Novariae, 1500-1723].
Romagnano ha buon gioco nel sostenere che le pezze di terra oggetto della controversia non sono state descritte in alcun catasto di Cavallirio, il quale provvede a farle misurare dichiarando che “hanno sempre pagato, et pagano nuovamente li carichi in detto comune” [ibidem, Gio. Batta Angelotto, console e cancelliere, a nome di Cavallirio].
     Tempo prima, era sorta una differenza anche con Ghemme, che aveva intentato causa contro Romagnano:
pretendendo che l’ammontare de carichi di pertiche venti circa arabile poste nel territorio di detta terra di Gheme et possedute da diversi particolari di Romagnano, come censite con tutte e due le dette Comunità, si dovesse quelle pagare alla detta Comunità di Gheme, qual controversia poi restò remorata di comune consenso con espressa conditione, che dovesse havere la prelazione quella Comunità che avrebbe esibito catastri più antichi, ove fossero state censite dette pertiche venti [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 4 fasc. Inter communitatem Romagnani et communitatem Prati comitatus Novariae, risposta al quesito del conte Collaredo, Governatore dello Stato di Milano, dell’8/3/1720].
 
Un altro conflitto particolarmente risalente è con il condominio dei proprietari della Roggia Mora, concernente i diritti sulle acque della roggia. La causa comprende documenti dal 1577 al 1833 [A.S.R., cart. 43, fasc. 97], tra cui molte transazioni, con una notevole densità documentaria. La questione principale riguardava la derivazione della roggia, che era nel territorio di Romagnano, e che venne distrutta nel 1669 dal fiume. Seguivano le convenzioni del 1672 e del 1687. Il condominio aprì in seguito un nuovo imbocco, detto Guidobono dal nome dell’ingegnere che l’aveva progettato. Una nuova convenzione stilata il 23/3/1707 stabiliva la cessione al condominio del cavo di Romagnano, utilizzato fino a quel momento per far funzionare i mulini della comunità. Nel 1814 i diritti sulla roggia furono demanializzati e venduti, nel 1840 finirono alla ditta Bollati che li utilizzò per costruirvi un grosso opificio. La controversia non era tuttavia terminata, poiché essa continuava invece proprio con la ditta Bollati e con gli altri compadroni [A.S.R., cart. 43, Lite contro la ditta Bollati, 1853-54; Memorie relative alla lite contro la ditta Bollati, 1855; cart. 44, fasc. 108, Sentenza nella causa tra il comune ed i compadroni della roggia Mora, con parere di seguito dell’avvocato Mancin sulle vertenze]. Alle liti contro i condomini (oltre alla lunga e difficile controversia con la roggia Mora erano sorte differenze con la roggia Molinara, la Busca e la Rizzo-Biraga, soprattutto nell’Ottocento), si era aggiunta anche quella contro il demanio, per la roggia Gattinara [A.S.R., cart. 41, fasc. 81, Volume dei documenti presentati dal demanio qual proprietario della roggia di Gattinara nella causa contro la comunità].
Fonti
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fondo Visite Pastorali (Vp), cartelle 17 (1590, vescovo Speciano); 26 (1594, vescovo Bascapè); 53 (1599, vescovo Bascapè); 85 (1617, vescovo Taverna); 115 (1628, vescovo Volpi); 150 (1649, vescovo Tornielli); 179 (1663, vescovo Odescalchi); 186 (1675, vescovo Maraviglia); 219 (1697, vescovo Visconti); 260 (1733, vescovo Borromeo); 269 (1749, vescovo Roero Sanseverino); 338 (1763, vescovo Balbis Bertone); 372 (1819, vescovo Morozzo).
A.S.N. (Archivio di Stato di Novara)
Contado di Novara, 251; Contado di Novara, cart. 255, inchiesta del 1665 sulle entrate delle comunità; Summario breve della qualitа e quantitа delli grani li quali si sono visitati per ordine di sua ecc.nza in ciascuna terra e cassina della provintia novarese nelle case di ciascun habitatore et del numero delle bocche personali in Contado di Novara, 282.
A.S.M. (Archivio di Stato di Milano)
Acque p.a., cart. 1.185, 1666; Confini p.a., cartt. 163-166; Confini parti cedute, cart. 4, fasc. Inter communitatem Cavallirij et Communitatem Romagnani, comitatus Novariae; Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1 (processetti preparatori del 1723 per il catasto di Carlo VI).
A.S.R. (Archivio Storico-Civico di Romagnano)
Ordinati [v. voce Ordinati]; cat. I, classe VI, cause-liti-conflitti, cartt. 32-46; cart. 52 fasc. 38, vendita boschi comunali; cart. 54 fasc. 54, atti relativi all’usurpazione di beni comunali, 1801-1810; cart. 55 fasc. 90, “Quinternetto affitto boschi”, 1830; più in generale sui beni comunali vedasi le cartt. 50-63. 
 
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino)
Corte, Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, Mazzo 14, Romagnano (in part. 1685, memoriale sul mercato); Paesi Nuovo Acquisto, 1° Mazzo di addizione, Memoria sul Marchesato di Romagnano del 1712.
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Descrizione Comune

Romagnano Sesia

La storia di Romagnano è segnata profondamente dalla presenza del confine, e ciò da più punti di vista: politico, economico, sociale, territoriale.
    Fin dal
secolo XII, la comunità è a capo di una formazione territoriale, il marchesato, sorta probabilmente come “marca” di confine, poi trasformato in semplice feudo tra secolo XV e XVI e rimasto sotto questa forma per tutta l’età moderna. Nel 1712, una memoria sul marchesato lo descrive così:
    
Il Marchesato di Romagnano si stende dalli confini della Valsesia costeggiando la sinistra di questo fiume per lo spatio di circa sette miglia in longo et in larghezza più o meno, secondo si vede nello stato di ciascun territorio, che però non eccede mai miglia tre circa, comprende sotto di se oltre il borgo di Romagnano quattro terre, ciascheduna delle quali fa communità separata, e parochia distinta” [A.S.T., Paesi Nuovo Acquisto, 1° Mazzo di addizione, Memoria sul Marchesato di Romagnano del 1712].
Romagnano, invece:
ha territorio che sarà longo circa tre miglia, et altretanto largo, confina a levante con la Croce de mazzoli, territorio di Fontanetto a mezzo di col commune di Gheme, a sera col fiume Sesia, comune di Gattinara, e di Vintebbio, et a tramontana col comune di Prato” [ibidem].
Sempre a questa data contava circa 450 fuochi (pari a 2600 anime), oltre a 200 muli, 120 vacche e 50 buoi. La produzione cerealicola vedeva, nel 1678, il dominio del mais, con 2389 sacchi su 3196 complessivi, appena 240 di frumento e 279 di segale [Summario breve della qualità e quantità delli grani li quali si sono visitati per ordine di sua ecc.nza in ciascuna terra e cassina della provintia novarese nelle case di ciascun habitatore et del numero delle bocche personali, A.S.N., Contado di Novara, 282].
     Economicamente, la comunità è un importante crocevia: posta all’inizio della Valsesia, è il naturale luogo di mediazione e di scambio tra la valle e la pianura. Il mercato settimanale della comunità, che si tiene il sabato, in particolare, è uno dei più importanti punti di rifornimento della Valsesia, in cui i valligiani si recano per le “granaglie” e per vendere i tipici prodotti di valle, dato che:
detto mercato riesce di comodità a popoli et concorenti di vendere et comprare delle robbe comestibili, et provedersi di vetovaglie necessarie, mentre nelli altri giorni non se ne vendono né si puol provedere, et così astretti andare sino alla città di Novara”. Il mercato, secondo la stessa memoria del 1685, vedeva infatti il concorso “non solo di particolari delle terre circonvicine, ma anche quelli di terre lontane come di Borgomanero, Borgosesia, e fino a Varallo et di tutte le terre della Valsesia da Varallo in giù” [A.S.T., Paesi di Nuovo Acquisto, Novarese, Mazzo 14, Memoriale di Romagnano del 1685].
     Il Sesia, attorno a cui Romagnano è costruito, rappresenta un importantissimo fattore di modificazione ambientale e territoriale. Ancora nel 1723, e nonostante la periodica costruzione di ripari, i terreni della comunità “restano sogetti all’inondazione della Sesia, e per nostra disgrazie vi è sogetta più della sesta parte del nostro territorio” [A.S.M., Confini parti cedute, cart. 40 fasc. 1, interrogatio del 28/2/1723 di Carlo Lorenzo Ruga, cancelliere della comunità].
     Ma il Sesia rappresenta soprattutto, per tutta l’età moderna, la frontiera tra due Stati: quello sabaudo e la Lombardia spagnola. La definizione del territorio, di per sé complicatissima, finisce dunque per involgere sia le comunità sia gli Stati, quasi sempre con finalità differenti: all’accesa conflittualità che permea i rapporti tra comunità fanno da contraltare i tentativi a livello diplomatico per sanare le controversie. D’altronde, si tratta di situazioni difficilmente risolvibili, stante la molteplicità dei punti in discussione, tra cui rientrano i diritti sulle acque, la nascita di nuovi territori (isoloni) all’interno del fiume, la costruzione di chiuse e ripari che influenzano il corso del fiume, le derivazioni naturali e non provocate del corso d’acqua. Ne nascono conflitti in cui il tema chiave di discussione diventa la giurisdizione in tutte le sue forme (statale, delle comunità, relativa alle proprietà di privati e a quelle comunali, etc.) e in cui si producono pressoché tutte le strategie di dimostrazione del possesso. La stessa esistenza di una documentazione catastale risalente ed eccezionalmente completa, con la maniacale redazione dei trasporti d’estimo ed il rifacimento del catasto ogni tre anni, stanno a testimoniare della necessità di una continua dimostrazione dei titoli di proprietà. Nelle molteplici liti confinarie che vedono coinvolta la comunità, infatti, la descrizione dei territori incriminati nei tipi catastali rappresenta una delle principali dimostrazioni del possesso. Ma il ricorso agli atti possessori è molto vasta. Fra questi rientra anche il ritrovamento di cadaveri, come quando nel 1663 degli abitanti di Romagnano rinvengono il cadavere di un piemontese di Gattinara annegato in un alveo del Sesia, in un punto di non chiara appartenenza. Romagnano sostiene che il luogo in cui è annegato il ragazzo piemontese è sua giurisdizione quando c’è acqua mentre il territorio diventa di Gattinara soltanto “a sasso asciutto”. Come si vede bene questa argomentazione solleva il problema di due differenti pretese su uno stesso luogo, a seconda che sia interamente ricoperto d'acqua oppure in secca. A questo punto, a fronte dell’impossibilità di risolvere in conflitto in sede locale, la questione finiva per interessare anche gli Stati [A.S.M., Confini p.a., cart. 213].
     Le controversie davano vita a forme di scontro, altresì, che si possono considerare tipiche. Tra queste la principale è probabilmente l’utilizzo della “rappresaglia”, con azioni aggressive molto forti compiute dalla comunità in risposta agli atti possessori dell’altra, come l’assalto in massa “schioppi alla mano” (come dichiarava uno di Romagnano, in relazione a uno di questi assalti, “molti e molti anni sono stato io quello che ho diffeso la detta giurisdittione col schioppo alla mano”, ibidem) o con altre armi (cfr. il 27/8/1603, ad esempio, quando:
circa l’ora del disnare una grandissima moltitudine di persone al numero quasi de cinquecento dilli abitanti di la da Sesia cioè Gattinara et altri luoghi, armati d’archibugi, moschetti et altre arme, è venuta alla ripa di Sesia, per contro la chiusa della roggia Mora con molti carri carichi di sassi scaricandoli alla ripa […] et in mira con dette armi sparandoli, contro la terra di Romagnano, qual anche essa al sono di campana a martillo si è raunata”[ibidem]
o la “captura” di sudditi dell’altra comunità, che venivano incarcerati e trattenuti sotto accusa di aver violato i confini. Ai luoghi di giurisdizione incerta, qui come altrove, erano poi associati fenomeni di banditismo: negli isolotti sul Sesia aveva per esempio trovato ricetto nel Seicento l’ “huomo grosso”, un bandito dello Stato di Milano.
      La lotta per i diritti sulle acque, che vedeva impegnati anche parecchi consorzi di proprietari, fatalmente aumentava lo stato di conflittualità.
     Collegata alla questione dei confini è quella dei beni comunali. Questi si trovavano infatti perlopiù nelle zone di “finaggio”, vale a dire ai confini con le altre comunità. Non si trattava, tuttavia, di confini lineari ma spaziali, e cioè di aree comuni condivise da più comunità (tanto che nei processetti preparatori del 1723 si domanda regolarmene se esistano usi civici incrociati, se cioè le comunità sul Sesia potessero “pascolare sull’altrui comunale”). Il caso di Romagnano si presenta tuttavia come eccezionale, in quanto i terreni di proprietà della comunità raggiungono proporzioni del tutto inusitate: nel 1602 essi sono pari al 59% dell’intero perticato. A fronte di questa situazione proprietaria, aumentano non solo i conflitti con altre comunità ma anche quelli con i privati, relativamente a usurpazioni di beni e a contestazioni di vario tipo, come provano le plurime cause presenti in archivio storico-civico nella sezione dedicata ai beni comunali e negli stessi ordinati (ad esempio contro i particolari che “roncano”). La gestione dei beni è eterogenea: è in uso la locazione a tempo di piccoli lotti ma si trovano all’interno della documentazione anche affitti di pezze più ampie, accanto a “coste” che sono lasciate libere per gli usi civici degli abitanti.
     In ogni caso, le ampie proprietà comunali furono molto utili nel Seicento per contenere il pesante indebitamento che aveva colpito gli enti locali lombardi e novaresi in particolare (Romagnano aveva £131777 di debiti sotto varie forme nel 1662, un terzo di Oleggio, Colombo 2008, p. 208), grazie alle rendite che esse procuravano. In effetti, nel 1665, gli affitti dei tre mulini, dei quattro forni, dei “banchi” per il mercato e delle pezze di terra garantivano un’entrata annua di circa £2500 , oltre tutto in un momento di discesa dei prezzi [A.S.N., Contado di Novara, 255, inchiesta del 1665 sulle entrate delle comunità].
     La comunità ha una notevole importanza anche nella costruzione del tessuto religioso cittadino. In particolare, essa appare in competizione con l’antica fondazione dell’abbazia di S. Silano, presente fin dall’anno mille, e che per tutto il Medioevo aveva provveduto all’assistenza religiosa di Romagnano. Lo svincolo dall’abbazia aveva assunto toni peculiari; dapprima, la comunità si era insediata all’interno della chiesa abbaziale, con il risultato di fomentare una conflittualità accesa e paralizzante con S. Silano. In un secondo momento, aveva provveduto alla creazione di una propria chiesa, sussidiaria della parrocchiale, intitolata alla Madonna del Popolo.