Biella

AutoriNegro, Flavia
Anno Compilazione2008
Provincia
Biella
Area storica
Biellese
Abitanti
45.740 (di cui Biella: ab. 44.865; Favaro: ab. 535; Colma: ab. 35; case sparse: ab. 305; fonte: ISTAT, 14° Censimento della popolazione 2001).
Estensione
Ha. 4668 (dati ISTAT 2001); ha. 4657 (dati SITA).
Confini
Da Nord in senso orario: Andorno Micca (isola amministrativa), San Paolo Cervo, Sagliano Micca, Pralungo, Tollegno, Andorno Micca, Pettinengo, Zumaglia, Ronco Biellese, Vigliano Biellese, Candelo, Gaglianico, Ponderano, Occhieppo Inferiore, Occhieppo Superiore, Pollone, Sordevolo, Pollone (isola amministrativa),  Fontainemore (VdA).
Frazioni
(fonte: ISTAT, 14° Censimento della popolazione 2001)
Centri abitati: Biella (centro capoluogo), Favaro, Colma.
Nuclei abitati: -
Case Sparse: ab. 305
Area speciale (lago, alt. 1900): Mucrone.
I dati forniti dall'Istat, aderendo a particolari criteri di rilevazione (cfr. voce Assetto insediativo, par. C), non riflettono l'articolazione insediativa del territorio comunale intesa come l'insieme dei nuclei abitati dotati di una propria identità. Sono ancora oggi attestate, e segnalate da appositi cartelli stradali anche se ormai senza più alcuna valenza amministrativa, le frazioni di Barazzetto, Vandorno, Cossila S. Grato, Cossila S. Giovanni, Favaro, Chiavazza, Pavignano.
Toponimo storico
Toponimo storico  
Si delineano, per ognuno dei nuclei insediativi compresi, oggi o in passato, nel territorio del comune di Biella la prima attestazione e le principali tappe della sua storia: 1. Biella (a. Piazzo, b. Piano), 2. Vernato (parte del comune di Biella dal 1421), 3. Ghiara (parte del comune di Biella dal 1421), 4. Cossila e Valle Oropa, 5. Cavallo, 6. Favaro, 7. Chiavazza (parte del comune di Biella dal 1940), 8. Pavignano, 9. Pralungo (parte del comune di Biella fino al 1622), 10. Barazzetto, 11. Vandorno.
 
1. Biella: Bugella. La prima attestazione scritta della località, nella forma Bugella, risale all'826 ("in villa que dicitur Bugella", diploma di Ludovico il Pio e Lotario in BSSS 136, doc. 1); fra IX e XII secolo si alternano nei documenti le forme "Bugella" e "Buiella"; dal XIII secolo si afferma definitivamente la forma "Bugella" (Gabotto 1896, p. 281, n. 4). Varie e fantasiose le ipotesi formulate sull'origine etimologica del nome: "Bruticella", in seguito al presunto passaggio nel luogo di Decimo Bruto; "Biulla", cioè "betulla", per la diffusa presenza nel biellese di questa specie arborea; simile l'ipotesi che ha fatto derivare il nome Biella dalla radice indoeuropea "bhag, bag", per faggio; "Biel", dal nome del dio celtico della vegetazione; un'ultima ipotesi fa capo alla tradizionale contrapposizione fra Biella e Vercelli: il termine Biella deriverebbe da "Bu-cella", cioè "città di sopra", in contrapposizione a Ver-cellae, "città di sotto" (ivi, p. 281; Torrione 1963). In seguito all'incastellamento del luogo da parte del vescovo Uguccione (metà del XII secolo) l'abitato di Biella si sdoppia in due nuclei insediativi che mantengono per molti secoli una propria identità:
a. Piazzo: Plaç (oggi quartiere e borgo storico di Biella). E' attestato per la prima volta in un documento del 12 aprile 1160: il vescovo di Vercelli Uguccione investe gli uomini di Biella di alcuni banni di sua pertinenza e "de monte uno qui nominatur Plaç", con l'obbligo per chi vi andrà ad abitare di fortificarlo e di prestare fedeltà "unusquisque per se [...] quemadmodum vassallus et fidelis domino suo" (BSSS 103, doc. 12; per l'analisi dell'atto cfr. Negro, tesi di dottorato, 2008). Il Piazzo, qualificato nelle fonti come burgus e castrum, diventa in forza dei privilegi concessi dai vescovi vercellesi il centro politico e amministrativo del comune, e tale rimarrà fino all'Ottocento nonostante le ricorrenti controversie sorte con il Piano (vedi Parte Narrativa).
b. Piano: Plano (indica ancora oggi la parte bassa di Biella). Il toponimo nasce qualche decennio dopo la fondazione del nucleo abitato del Piazzo, per indicare in contrapposizione a quest'ultimo la parte bassa di Biella, zona dell'insediamento originario (la prima attestazione è del 1194: "in Plano", in BSSS 103, doc. 29). Nel 1227 il vescovo di Vercelli Ugo di Sessa conferma al capitolo di S. Stefano la giurisdizione sulle chiese "que site sunt in burgo bugelle tam in plano quam in loco qui dicitur plazium" (BSSS 136, doc. 4). I termini castellum e castrum continuano ad essere utilizzati per indicare l'insediamento anche dopo la nascita del Piazzo. Nonostante il centro decisionale, politico ed economico di Biella fosse al Piazzo, e qui fossero concentrate tutte le attività commerciali, un certo equilibrio fra le due parti di Biella era garantito sia dai criteri di elezione delle magistrature, le quali erano ripartite in modo numericamente equivalente fra abitanti del Piazzo e del Piano, sia dall'alternanza, significativa sul piano simbolico, fra Piazzo e Piano per quanto riguarda le sedi in cui avvenivano concretamente l'elezione degli ufficiali e le riunioni della credenza.
 
2. Vernato: Vernatum (comune autonomo fino al 1421, oggi quartiere di Biella). Attestato per la prima volta in un atto di vendita dell'8 ottobre 996: Costantino di legge alamanna cede ad Andrea un gerbido situato "in loco et fundo Vernado vel in eius territorio" (HPM, Chartarum, II, doc. 39, col. 58). Nell'XI secolo la località figura, con Chiavazza, fra le pertinenze di Biella (a. 1030, "Bugellam insuper cum omni sua integritate, id est Vernade, Clavaza", in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. IV, doc. 147), e vi è segnalata la presenza di un "castrum vetus" (a. 1031, in HPM, Chartarum, I, doc. 282, col. 491). Nel 1230 una causa relativa alle decime fra il capitolo di S. Stefano, situato a Biella, e il monastero di S. Agata, situato al Vernato, procede a definire i confini fra curtis et decimarie Bugella e curtis et decimarie Vernati (BSSS 34.2, doc. 18). La comunità del Vernato si regge autonomamente in forma di comune almeno dal 1255 (BSSS 136, doc. 9), ma la contiguità territoriale con il comune di Biella pone forti limiti alla sua autonomia (Magliola, tesi di laurea, aa. 1984-1985 p. 25; vedi voce Assetto insediativo). Nelle fonti del XIV secolo il comune risulta composto dalla comunità di Vernato e da quella di Ghiara (vedi voce corrispondente): nel 1328 il vescovo Lombardo conferma gli statuti "comuni et hominibus Vernati et Glare" (tre consoli, due del Vernato e uno di Ghiara, credenza formata da 20 individui, campari, forestarii, determinatores, Crovella 1977). Emerge in modo sporadico un intreccio di giurisdizioni fra il comune di Vernato e quello confinante di Pollone in merito alla regione Cangio (toponimo che individua ancor oggi un cantone del centro abitato di Pollone): una controversia oppone nel 1212 il rettore della chiesa di S. Agata del Vernato e quello della chiesa di S. Eusebio di Pollone in merito al diritto di decima e alla giurisdizione parrocchiale nel cantone di Cangio; un articolo degli statuti di Vernato prevede "quod nulla persona que non sit de districtu Vernati et Glare presumat pascare in pascherio Vernati et Glare […] exceptis illis de Cangio de Polono et aliis qui stant super curia Vernati" (Crovella 1977, art. 15). Nelle fonti medievali il territorio del comune di Vernato e Ghiara risulta articolato in varie 'regioni', fra le quali le principali sembrano essere S. Biagio, S. Agata e Campagnate. Nel XIII e XIV secolo le zone di Vandorno (Baraza fino all'epoca moderna: cfr. Torrione 1963) e Barazzetto, dove successivamente si svilupperanno dei nuclei abitati (vedi voci corrispondenti), rientrano nel territorio del comune di Vernato. Nei libri dei redditi dei vescovi vercellesi (XIV secolo) compaiono in riferimento a Vernato non meglio precisati "mansi di fuori": "comune Vernati cum masis de foris" (AAV, Diversorum, bb. 1 e 2). Nel dicembre del 1379, seguendo l'esempio di Biella, Vernato fa atto di sottomissione ai Savoia. Nel 1421, in seguito al progressivo spopolamento del luogo - molti abitanti si erano trasferiti sul territorio del comune di Biella - e alla difficoltà di sopportare i carichi fiscali imposti dai conti di Savoia, il comune chiede e ottiene di essere unito con quello di Biella (vedi sv Mutamenti territoriali).
 
3. Ghiara: Glaria (con Vernato costituisce un comune autonomo fino al 1421, oggi il toponimo è rimasto ad indicare una delle coste che uniscono Piano e Piazzo: "costa delle Ghiare"). Il toponimo compare nelle fonti all'inizio del XIII secolo (a. 1221, Mosca, tesi di laurea, aa. 1972-73, doc. 3: Aymo de Glaria); nel XIV secolo la comunità di Ghiara, associata a quella di Vernato, si regge a comune (nel 1328 il vescovo Lombardo conferma gli statuti "comuni et hominibus Vernati et Glare": Crovella 1977). L'identità insediativa di Ghiara rispetto al Vernato non è sempre rispecchiata dalle fonti. Mentre negli articoli degli statuti di Vernato la dicitura normale per citare il comune comprende sempre entrambi i toponimi ("comune Vernati et Glare"), gli statuti di Biella, che non di rado citano il comune di Vernato, omettono il nome di Ghiara, e usano questo toponimo solo in associazione alle coste del Piazzo: in un articolo del codice dell'inizio del XIV s. (Statuti ed. Sella, art. 23; Statuti ed. Cancian art. 23; l'articolo manca nel codice più antico) si stabilisce che i consoli debbano mantenere in buono stato le vie di accesso al Piazzo ("omnes costas Placii") e fra queste la costa Glarie (citata anche negli art. 323, 324, in quest'ultimo come "via Glare"); l'omissione si riscontra anche nel regolamento che sovrintende la redazione degli estimi del comune di Biella: al primo punto si prevede, per ogni individuo, la consegna di "quaslibet possessiones suas quas habet in territorio Bugelle sive Vernati". Per altro verso nelle singole consegne degli stessi estimi è molto frequente la citazione di proprietà poste in Glaria, e un estratto di consegnamento trecentesco si intitola "consignamentum factum per Andreonum Masseranum et Guillelmum eius filium tam de terris quas habent super finibus Bugelle, quam super finibus Glarie et Vernati" (BSSS 104, doc. 376). Nel 1421 diventa, con Vernato, parte del comune di Biella (cfr. v. Mutamenti territoriali).
 
4. Cossila: Cisidola, Coscile, Cuosila, Quoxila (Cossila S. Giovanni e Cossila S. Grato, attualmente frazioni del comune di Biella dislocate lungo la valle Oropa, costituirono un comune a se stante dal 1694 al 1940). Le prime attestazioni sono forse nei diplomi imperiali concessi alla chiesa vercellese tra X e XI secolo: nel diploma di Ottone III nel 988 si parla di un "montem Cisidola" (MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, doc. 50), e lo stesso toponimo è definito "curticellam in montem" nei diplomi di Corrado II del 1030 (MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. IV, doc. 147), e di Enrico III del 1054 (MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. V, doc. 328). Sull'identificazione, non certa, del toponimo citato nei diplomi imperiali con Cossila vd. Panero 2004, p. 50, secondo cui il toponimo si riferisce a Coggiola, e Giuseppe Ferraris (ARMO, II, p. 38). La località è citata, di volta in volta nella forma Quoxila, Coscile o Cuosila, in entrambe le redazioni degli statuti cittadini (del 1245, Statuti ed. Gabotto, art. 279, e del XIV secolo, Statuti ed. Cancian, art. 117 e 349). Nella zona si trovano pascoli e boschi comuni (cfr. toponimi Valauta, Cavalli alla voce Comunanze), e da qui parte l'acquedotto fatto costruire dopo il 1160 dal vescovo Uguccione per rifornire il nuovo insediamento del Piazzo. I consegnamenti del XIV e XV secolo relativi ai quartieri S. Giacomo e Bellone (due dei quattro quartieri in cui si articola il Piazzo) attestano fra i beni degli abitanti "cascine" situate a Cossila. Tra il 1444 e il 1488, in seguito all'aumento della popolazione, viene costruita la cappella di S. Grato. Nel 1649 subisce un pesante saccheggio da parte delle truppe spagnole. Diventa comune autonomo nel 1694 e nello stesso anno è infeudata a Giacinto Nomis (18 aprile); nel 1736 ne viene infeudato il figlio Maurizio e nel 1752 il nipote Luigi Filippo. Riaggregata a Biella in epoca napoleonica, torna ad essere comune nel 1814 (Torrione 1963). Nel 1940, nell'ambito del progetto "Grande Biella" promosso dal commissario prefettizio Ferrerati, il comune è soppresso (cfr. voce Mutamenti territoriali) e accorpato a Biella. La valle del torrente Oropa, in cui sono collocate le frazioni di Cossila e Favaro compare per la prima volta nel 1207 (valle Orepe) per localizzare le due cappelle di S. Maria e di S. Bartolomeo d'Oropa (ARMO, I, doc. 2). In questa vallata si condensa la maggior parte dei pascoli e dei boschi ad uso collettivo del comune di Biella. Dal punto di vista ecclesiastico l'intera valle rientra, fino alla nascita della parrocchia di S. Grato (1574 ca), nella giurisdizione della parrocchia di S. Stefano (vedi ancora doc. del 1507: "intra limites parrochialis ecclesie Sancti Stephani", in ARMO, II, doc. 34). Dal punto di vista amministrativo il territorio della valle era sentito, almeno dal punto di vista fiscale, come una propaggine dei quartieri del Piazzo (cfr. voce Assetto insediativo).
 
5. Cavallo: Cavallum (attualmente cantone di Cossila S. Giovanni, a sua volta fraz. del comune di Biella situata lungo la valle d'Oropa). Le prime attestazioni concernono la presenza in loco di boschi ad uso collettivo di proprietà comunale e vescovile (vedi voce Comunanze): un articolo degli statuti, probabilmente dell'inizio del Trecento, stabilisce che "sortes veteres et nove, tam citra Orepam quam ultra" siano in banno di 20 soldi pavesi di giorno e di 40 di notte, e che la disposizione non si applica "sortibus Cavalli, videlicet Cutellarum et Bertoldanorum" (Statuti ed. Gabotto, art. 321; Statuti ed. Cancian, art. 161). L'attribuzione permanente a certe famiglie (nel caso specifico i Cutella, i Bertoldano e i Marchisio [BSSS 103, doc. 98]) di frazioni dei terreni comuni di Cavallo è forse la premessa per lo sviluppo di un insediamento stabile: negli estimi del primo Quattrocento le consegne di alcuni quartieri del Piazzo contemplano alla prima voce, quella che solitamente riguarda la casa d'abitazione, cascine poste "in Cavallo" (cfr. voce Assetto insediativo-Frazioni).
 
6. Favaro: Favarium (attuale frazione a nord di Biella, lungo la valle Oropa). La prima attestazione è negli statuti del comune di Biella: un articolo stabilisce che uno dei due forestarii del comune ispezioni il territorio comunale fino al Favaro ("Item statutum est quod unus forestariorum cotidie ire reguardare teneatur boscum versus Tolegnum usque ad sellam Runcini; et alius ire versus Poleonum usque ad Favarium": Statuti ed. Sella e Statuti ed. Cancian, art. 173; l'art. manca nel codice più antico). Zona di alpeggi, nel XV secolo abitati da pastori provenienti da Ramello in Valsesia (Lebole, PB, IV, p. 77, ma soprattutto Ferraris in ARMO, I, pp. 38-39). In una visita pastorale del 1773 l'abitato di Favaro è definito "regione" di Cossila (Lebole, C, I, p. 227).
 
7. Chiavazza: Clavatia, Clavagia, Clevaza (oggi frazione del comune di Biella, fu comune a se stante fino al 1940). Prima attestazione nel diploma di Ottone III del 999 ("Clavaziam", in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. II, doc. 323); in un documento di poco successivo viene definita "curtis" (a. 1001, in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. II, doc. 388). Nel diploma del 1030 viene indicata, con Vernato, fra le pertinenze di Biella ("Bugellam insuper cum omni sua integritate, id est Vernade, Clavaza", in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. IV, doc. 147). Il centro abitato era articolato in due nuclei intorno alle due chiese di S. Maria (l'attuale parrocchia) e S. Quirico (presso il torrente Chiebbia); nel 1300 S. Quirico risulta essere una chiesa 'sine cura et campestris' situata nel territorio della parrocchia di S. Maria, una decadenza forse dovuta alla concentrazione dell'abitato nella zona collinare intorno a S. Maria. La prima attestazione della forma di governo comunale data al 1222 (Mosca, tesi di laurea, 1978-79, doc. 9; prima attestazione dei consoli nel 1243: Biscioni, 1/1, doc. 54). Il 12 dicembre 1379 il comune di Chiavazza fa dedizione ai Savoia e viene inserito nella chiavaria di Andorno (vedi voce Mutamenti di distrettuazione). Il 14 giugno 1619 il comune viene infeudato dal duca Carlo Emanuele I a Giovanni de Villars; il 5 ottobre 1631 a Francesco de Mesmes di Marole; nel 1692 a Giuseppe Ferraris di Biella, nel 1724 a Ricardi di Occhieppo Inferiore; nel 1731 quest'ultimo lo vende a Carlo Ignazio Negro di Pralungo; nel 1756 ne fu investito Giacomo Bonino (consignore di Vigliano e Valdengo) [Torrione 1963]. Nel 1940, nell'ambito del progetto "Grande Biella" promosso dal commissario prefettizio Ferrerati, il comune è soppresso: il suo territorio è accorpato in parte al comune di Biella e in parte al comune di Vigliano Biellese (cfr. voce Mutamenti territoriali).
 
8. Pavignano: Pavignanum (oggi frazione a nord-est di Biella). La prima attestazione è in un atto di vendita del 4 febbraio 1200, dove viene nominato un "Matheus de Pavignano" (Golzio, tesi di laurea, 1972/73, doc. 6). Negli statuti di Biella un articolo prevede la nomina di un campario nel luogo (il toponimo è nella forma Pavigneranum in Statuti ed. Cancian, art. 55, ma cfr. la trascrizione dello stesso articolo in Statuti ed. Sella; l'articolo manca nel codice più antico). Dopo la peste del 1599 sorge un oratorio dedicato a S. Rocco, che nel 1618 viene elevato a parrocchia con il titolo di S. Carlo. Nel 1743 fu infeudato a Giuseppe Antonio Bardessono che acquisì così il titolo di conte. Costituì sempre un sobborgo di Biella nonostante un tentativo di erigersi a comune nel 1747, fallito a causa del numero troppo esiguo (40 famiglie) di abitanti (cfr. voce Mutamenti territoriali).
 
9. Pralungo: Pratolongo (oggi comune a est di Biella: vedi scheda Pralungo). La prima attestazione risale al 1209 (Nicolaus de Pratolongo: BSSS 103, doc. 46). In epoca medievale Pralungo faceva parte del comune di Biella, e vi erano localizzati prati e boschi comuni: questi sono oggetto fra il 1215 e il 1219 di una causa con gli homines di Tollegno, durante la quale vengono chiamati a testimoniare diversi individui "de Pratolongo", alcuni dei quali in qualità di forestarii del comune di Biella (BSSS 103, docc. 55-57; BSSS 105, doc. 23); un articolo negli statuti del comune di Biella prescrive che non si possano concedere ad alcun individuo "terre vel possesssiones que sunt comunis et hominum Bugelle a Pratolongo superius" per dissodarlo o per coltivarlo (Statuti ed. Gabotto, art. 342bis; Statuti ed. Sella, art. 362; Statuti ed. Cancian, art. 363). Dal punto di vista ecclesiastico Pralungo ricadeva nel medioevo sotto la rettoria di Tollegno; se ne staccherà acquisendo il titolo di parrocchia nel 1564 (vedi voce Altre presenze ecclesiastiche). Poco dopo (1622) ottiene l'autonomia da Biella diventando un comune a sé stante (vedi voce Mutamenti territoriali).
 
10. Barazzetto (attualmente frazione posta a nord-ovest del centro di Biella): difficile l'individuazione della prima attestazione, per l'elevato numero dei toponimi costituiti da una variante del termine baraza. Nel 1295 è attestata per la prima volta l'esistenza della cappella di S. Teodoro e Teodulo (Lebole, OR, I). Nel Medioevo il Barazzetto, con il vicino Vandorno, rientra nel comune di Vernato, ed è zona di pascoli e boschi comuni. La formazione di un nucleo abitato stabile è probabilmente da ricondurre ai primi anni del XVI secolo, quando si hanno attestazioni di bonifiche ad opera di un gruppo ristretto di famiglie biellesi (Cugnolio, Vietto, Coda, Castellengo, Barbero, Acquadro) [Torrione 1963]. Nel 1625, quando avviene la separazione fra Piazzo e Piano (vedi voce Mutamenti territoriali), il Barazzetto è aggregato con il Vandorno al Piazzo di Biella, mentre ecclesiasticamente il suo territorio risulta diviso fra la parrocchia del Vandorno e quella di Vernato (Pasquin 2006). Nel 1664 viene consacrato l'oratorio di S. Bernardo, cui nel 1844, al termine di una lunga lite, sarà concesso il titolo di parrocchia (vedi voce Altre presenze ecclesiastiche). Tentativi di erigersi a comune autonomo, con Vandorno, sono attestati, senza essere andati a buon fine, nel 1710, nel 1724 e nel 1784 (Torrione 1963).
 
11. Vandorno: Vandurbi, Baraza (oggi frazione posta a nord-ovest del centro di Biella): le prime attestazioni del toponimo sono forse nei libri dei conti dei vescovi vercellesi della metà del XIV secolo (AAV, Diversorum, m. 2, doc. 19 e m. 1, doc. 11), dove le "terre Vandurbi" risultano censite sotto i redditi provenienti dal comune di Vernato. Lo stesso nome appare anche nei coevi estimi biellesi (vedi  BSSS 104, doc. 376). Le prime abitazioni stabili seguono i dissodamenti operati alla fine del XIII secolo da parte di alcune famiglie biellesi (Caneparo, Perona, Mosca, Perotta Cucco, Grometto, Leue, De Roreto, Zanetta, Cerruto Vindolo, Ramella) [Torrione 1963]. Tentativi di erigersi, con il contiguo Barazzetto, a comune autonomo sono attestati senza risultato nel 1710, nel 1724 e nel 1784. Dal punto di vista ecclesiastico il Vandorno rientrava nella parrocchia di S. Giacomo del Piazzo. La locale chiesa di S. Antonio acquisisce il titolo di parrocchia, staccandosi dal Piazzo, nel 1596 (cfr. voce Altre presenze ecclesiastiche).
Diocesi
Diocesi 
Biella dal 1772, anteriormente Vercelli.
La questione della promozione di Biella a sede vescovile inizia a porsi all'indomani della nomina della città a provincia da parte di Carlo Emanuele I nel 1626 (AST, Materie ecclesiastiche, Materia beneficiaria cat. 2, b. 2), ma l'obiettivo, fortemente osteggiato dalla diocesi vercellese, verrà raggiunto solo il 1 giugno 1772. La diocesi è soppressa dal governo francese il 1 giugno 1803 (lettera di mons. Crisostomo Villaret "delegato imperiale per la nuova circoscrizione delle diocesi subalpine": Lebole, PB, II), e torna per poco a far parte della diocesi vercellese; è ricostituita il 17 giugno 1817. La nuova diocesi di Biella, suffraganea di Torino, comprende circa 90 parrocchie suddivise fra 79 comuni (90.000 ab., di cui 7000 a Biella); le parrocchie confinanti con la diocesi di Vercelli sono Cavaglià, Carisio, Gifflenga; all'atto della sua creazione la diocesi di Biella risulta divisa in 14 vicariati: Cavaglià, Andorno, Campiglia Cervo, Candelo, Chiavazza, Coggiola, Cossato, Graglia, Mongrando, Mosso S. Maria, Salussola, Sandigliano, Occhieppo, Vigliano (non sono contemplate le parrocchie della città di Biella e delle sue frazioni). Già nel 1440 la cosiddetta squadra Bugelle, circoscrizione ecclesiastica interna alla diocesi vercellese di cui Biella è il centro, si avvicina per estensione alle dimensioni territoriali dell'attuale diocesi di Biella: ne facevano parte oltre alla pieve biellese di S. Stefano, la cui giurisdizione si estendeva già all'inizio del XIII secolo su gran parte del Biellese nord-occidentale (cfr. alla voce Pieve), i territori meridionali facenti capo alla pieve di Salussola.
Attualmente la diocesi di Biella, suffraganea dell'arcidiocesi di Vercelli, conta al suo interno 114 parrocchie. Il territorio, pari a 804 km2, coincide grosso modo con quello della provincia (900 km2): se ne discosta per una serie di comuni dislocati sulla fascia orientale del territorio provinciale (da nord a sud: Caprile, Ailoche, Sostegno, Curino, Villa del Bosco, Masserano, Brusnengo e Castelletto Cervo), che ricadono sotto la diocesi di Vercelli, e per il comune di Carisio, che ricade nella diocesi di Biella pur appartenendo alla provincia di Vercelli (Lebole, PB, II; Archivio dell'Istituto Centrale per il sostentamento del clero).
Pieve
Pieve
Biella è attestata come sede di pieve sin dal X secolo (Borello-Rosazza 1935; Ferraris 1938; Lebole, PB, I); titolare è la chiesa collegiata di S. Stefano, attestata per la prima volta nel 1027 ("ecclesie plebis sancti Stefani infra castro quod dicitur Bugelle", in MHP, Chartarum, to. I, doc. 270).
Si trattano qui di seguito: a. Organizzazione, b. Distretto plebano, c. Possessi.
 
a. Organizzazione. La pieve di S. Stefano risulta gestita sin dal 1027 da un collegio di canonici, fra i quali appaiono successivamente presbiteri, diaconi, ministri, e un maior ecclesie, carica che tuttavia sembra avere carattere solo onorifico. La prima fase di vita della collegiata sembra essere caratterizzata dall'assenza di una precisa gerarchia, tanto che la chiesa di S. Stefano "sine capite et quasi trunca iacebat": per porre rimedio a questo stato di cose il vescovo di Vercelli Alberto stabilisce nel 1194 che i canonici siano retti da un prepositus. L'intervento del vescovo regolamenta anche le prebende, prima attribuite dai presuli in modo arbitrario: 13 devono essere assegnate ai singoli chierici e al presbitero, 4 rimangono a disposizione del vescovo, 4 vengono godute in comune dal capitolo (BSSS 136, doc. 3). Un forte impulso alla concreta attuazione della riforma verrà dato nei primi decenni del XIII secolo dal vescovo Ugo di Sessa, che nel confermare gli statuti del suo predecessore impone ai canonici il rispetto dell'obbligo di residenza, previsto dal Concilio Lateranense del 1179 ma fino ad allora non rispettato, e la corretta spartizione delle prebende (a. 1218, Golzio, tesi di laurea, aa. 1972/73). Nonostante i continui interventi vescovili il problema della residenza e del corretto uso delle prebende permane.
Nel 1202 è attestato per la prima volta un cantor; nel 1242 compare un thesaurarius (Golzio, tesi di laurea, aa. 1972/73). Nella prima metà del XIII secolo si assiste al moltiplicarsi delle cause mosse dal capitolo per i redditi e i diritti di decima contro particolari o altri enti religiosi: BSSS 105: a. 1211 (doc. 17 e 18); a. 1217 (doc. 21); a. 1218 (doc. 22); a. 1223 (docc. 27 e 28); a. 1230 (doc. 30); 1234 (doc. 32); a. 1245 (doc. 35); a. 1247 (doc. 36). Particolarmente interessante la causa in merito al prelievo delle decime che nel 1230 oppone il capitolo di S. Stefano di Biella alla chiesa di S. Agata del Vernato (BSSS 34.2, doc. 18), perché mette in evidenza la difficoltà di definire il confine fra le due località: si stabilisce infatti che le decime del mansus Capilocii, situato secondo il confine stabilito nella stessa causa all'interno del territorio del Vernato, spettino alla chiesa di S. Stefano di Biella, "quia sunt de mansibus Bugelle quamvis essent de curte Vernati". Un intreccio di giurisdizioni che potrebbe forse rimandare all'originaria struttura della curtis di Biella, attestata in età carolingia, le cui pertinenze si estendevano anche sui territori di Vernato e Chiavazza (vedi voce Assetto insediativo).
 
b. Distretto pievano. Peculiarità della pieve biellese è l'ampiezza del territorio di sua giurisdizione, che secondo alcuni rendeva il funzionamento della collegiata di S. Stefano assai simile a quello di un capitolo cattedrale (Magliola, tesi di laurea, aa 1984-1985, p. 67). L'esistenza stessa di due chiese, S. Stefano e S. Maria, a fianco dell'edificio battesimale è considerato tratto tipico dei centri episcopali (Pantò 1993). La bolla papale del 1207 (ARMO, I, doc. 2) stabilisce che al distretto pievano della chiesa di S. Stefano appartengono 9 chiese "de loco Bugelle" (S. Maria, S. Giacomo, S. Giovanni, S. Michele, S. Paolo, S. Cassiano, S. Pietro, S. Eusebio, S. Maurizio), e 35 situate in numerosi luoghi del Biellese: Donato, Netro, Sala, Mongrando (S. Lorenzo, S. Michele di Plesso, S. Pancrazio), Graglia e Muzzano (fino alla fine del XVI secolo formano una sola comunità ecclesiastica: Lebole, PB, I), Camburzano, Blatino (presso Borriana), Zeblan (Zubiena), Occhieppo superiore, Occhieppo inferiore, Sordevolo, Pollone, Vernato, Ponderano, Borriana, Sandigliano, Gaglianico, Candelo (chiese di S. Lorenzo e S. Pietro), Tollegno, Andorno, valle Oropa (S. Bartolomeo e S. Maria), Campiglia (S. Martino, con le altre della valle Cervo), Chiavazza, Vigliano, Valdengo, Cerreto, Ronco e Ternengo (conferma del vescovo Ugo di Sessa, a. 1227: cfr. BSSS 136, doc. 4). L'elenco delle chiese e dei monasteri della diocesi vercellese, redatto alla fine del XIII secolo (forse del 1298-99: ARMO, I, doc. 18) per la riscossione delle decime papali, continua ad attribuire alla chiesa di S. Stefano nove chiese situate nel Piano e nel Piazzo di Biella, e trentacinque appartenenti al suo distretto plebano: stando all'estimo loro attribuito le più importanti dopo S. Stefano (300 lire) erano Andorno (70 lire), Chiavazza e Sandigliano (50 lire), Vigliano (48 lire). Nel XV secolo, quando la diocesi risulta suddivisa in sei "squadre", la squadra Bugelle comprende tutte le chiese elencate nella bolla del 1207, alle quali si aggiungono quelle di Benna, Magnano, Zimone, Salussola, Prato Celso (Cossato), Mottalciata, Castellengo, Villanova, Massazza, Verrone, Vergnasco, Magnonevolo e Cerrione (Lebole, PB, I). Come parrocchia, S. Stefano nel XVI secolo comprendeva Favaro (ARMO, II, col. 174).
 
c. Possessi. Alla metà del XII secolo (BSSS 103, docc. 8 e 9) il capitolo di S. Stefano risulta titolare di decime e canoni prelevati in varie località del biellese (Mongrando, Donato, Netro, Sordevolo, Vernato, Medalgano, Tollegno, Chiavazza, Ponderano, Plexo (presso Mongrando), Sandigliano, Molinaria – presso Andorno -, Muzzano), e non solo (Roppolo, Gattinara).
Fra gli ampi possessi fondiari detenuti all'interno dell'abitato di Biella, fra XII e XIII secolo il capitolo sembra concentrare i propri interessi nella zona vicino al Cervo (in località Riva e intorno alla chiesa di S. Maurizio), sulle pendici del Piazzo, e soprattutto nella campagna a sud del centro abitato e verso Candelo, nella zona intorno a S. Eusebio (Magliola, tesi di laurea, 1984-1985). Al di fuori di Biella, il capitolo detiene beni fondiari in tutte le località che si dispongono a corona intorno al centro: a Vernato, nella campagna fra Gaglianico e Sandigliano, a Occhieppo, Camburzano, Pollone, Mongrando, a Zumaglia e soprattutto a Chiavazza e Tollegno. Un registro inedito dei redditi e proventi della chiesa di S. Stefano (s.d. ma attribuibile sulla base degli individui citati alla prima metà del XIII secolo) elenca le voci suddivise per località, nell'ordine: Biella, Vernato, Tollegno, Ronco, Vigliano, Chiavazza, Candelo, Sandigliano, Calanino (non identificato), Mulinaria, Magnovevolo (attuale fraz. di Cerrione), Vergnasco, Borriana, Mongrando, S. Pancrazio, Graglia e Muzzano, Occhieppo inferiore, Occhieppo superiore, Sordevolo (ASB, Torrione, Raccolta). Unica attestazione esterna all'area biellese è Gattinara. A Biella, a Tollegno e a Candelo il capitolo possiede dei mulini. Nel già citato elenco delle chiese e dei monasteri della diocesi vercellese redatto per la riscossione delle decime papali alla fine del XIII secolo (ARMO, I, doc. 18), la "plebs sive prepositura Bugelle cum omnibus suis canonicis et beneficiis" è stimata 300 lire: per un confronto, la stessa cifra è attribuita al monastero di Muleggio, mentre la pieve di Casale è stimata 400 lire.
Altre Presenze Ecclesiastiche
Altre presenze ecclesiastiche
Di seguito si dà l'elenco dei principali enti ecclesiastici del territorio comunale articolato nelle seguenti categorie:
1. Chiese, suddivise a seconda della loro collocazione geografica (nell'ordine Biella, Vernato - che dal 1421, con la soppressione del comune, diventa un quartiere di Biella, Oropa, Vandorno, Barazzetto, Chiavazza - che dal 1940, con la soppressione del comune, diventa una frazione di Biella, Cossila S. Giovanni, Cossila S. Grato, Favaro, Pavignano; si riportano anche gli enti ecclesiastici di Pralungo, dato che all'epoca della loro prima attestazione la località faceva ancora parte del territorio biellese e solo nel 1622 diventa comune a sé stante).
2. Confraternite, in ordine alfabetico.
3. Monasteri e conventi, in ordine alfabetico.
4. Ospedali, in ordine alfabetico.
La principale fonte delle notizie riportate sono i quindici volumi dell'opera di D. Lebole, Storia della chiesa biellese, che riguardano l'intero territorio della provincia; per il comune biellese sono utili i due volumi sulle Confraternite: nel vol. I, del 1971, sono trattate: S. Anna del Piazzo, S. Cassiano di Biella, S. Marta di Biella; S. Paolo e S. Elisabetta di Biella; SS. Fabiano e Sebastiano e della SS. Trinità di Biella; S. Nicola del Vernato; SS. Sudario del Piazzo; SS. Trinità di Chiavazza; nel vol. II, del 1972, sono trattate le confraternite di Cossila S. Grato, di Cossila S. Giovanni, Vandorno, Favaro, Pavignano. I primi 4 degli 8 volumi della serie dedicata alla Pieve di Biella: il primo (1984) per le vicende della collegiata di S. Stefano, il secondo (1985) per quelle inerenti la diocesi di Biella, il terzo per le parrocchie cittadine (1986), il quarto per quelle delle frazioni (1987). Due volumi (1996 e 1998) sono dedicati alla storia del santuario di Oropa. Infine i 3 volumi dedicati agli ordini conventuali: il primo (2000) per il monastero di S. Maria Maddalena del Ponte Cervo (poi monastero di S. Agata del Vernato e di S. Caterina al Piazzo, cistercensi), per il convento del Bardone e il convento di S. Francesco (francescani), per gli eremiti di S. Maria di Oropa, per il convento dei Cappuccini, per i minori riformati del convento di S. Antonio di Biella e del convento di S. Sebastiano di Biella, per il convento di S. Antonio Abate del Piazzo (antoniani); il secondo (2004): per gli agostiniani del convento di S. Pietro, i domenicani (convento di S. Domenico), i lateranensi (convento di S. Sebastiano), i gerolamini (convento di S. Gerolamo), i somaschi (orfanotrofio e scuole), la Compagnia di Gesù, gli agostiniani scalzi (convento di S. Carlo); il terzo (2005) per la congregazione dell'Oratorio di S. Filippo a Biella.
 
1. Chiese
Nota generale. La bolla di papa Innocenzo III del 1207 (ARMO, I, doc. 2) ci dà un primo elenco delle chiese "de loco Bugelle": S. Giacomo, unica chiesa presente nel neonato borgo del Piazzo fondato dal vescovo Uguccione, e le chiese di S. Maria, S. Giovanni, S. Michele, S. Paolo, S. Cassiano, S. Pietro, S. Eusebio, S. Maurizio, tutte collocate "in plano Bugelle". Delle chiese situate nella parte bassa di Biella le prime quattro erano collocate in zona centrale (S. Maria, S. Giovanni, cioè l'attuale Battistero, e S. Michele nei pressi dell'attuale piazza Duomo; S. Paolo in corrispondenza dell'attuale piazza Primo Maggio), mentre le rimanenti avevano collocazione più periferica: S. Cassiano nei pressi del guado del torrente Cervo verso Chiavazza (nord-est del centro abitato); S. Pietro, più a sud, ai margini del declivio verso il Cervo, in corrispondenza dell'Ospedale vecchio; S. Eusebio e S. Maurizio (quest'ultima ancora esistente), anch'esse nella zona meridionale, lungo le direttrici che da Biella andavano verso il centro di Candelo. E' interessante notare, per quanto riguarda gli influssi degli enti ecclesiastici sull'articolazione insediativa, che nel XIII sec. sono attestati individui e famiglie che prendono il nome da alcune chiese, in particolare quelle più periferiche rispetto al nucleo abitato di Biella: 'de Sancto Mauricio'; 'de Sancto Paulo' o 'illi de Sancto Paulo'; 'de Sancto Petro' o 'illi de Sancto Petro'; 'de Sancto Cassiano' o 'illi de domo Sancto Caxiano'. Le attestazioni più numerose riguardano i 'de Sancto Petro', famiglia che a differenza delle altre rimane attestata almeno fino alla fine del XIV secolo (estimi: ASB, ASCB, bb. 304-305). Secondo l'ipotesi formulata da Coda Bertetto il percorso delle mura trecentesche (Coda Bertetto 1964), che comprendeva anche il Vernato, lascia al di fuori del nucleo abitato le chiese di S. Eusebio e S. Maurizio, per quanto riguarda Biella, e la chiesa di S. Agata, per quanto riguarda il Vernato.
 
Le parrocchie. Il censimento Istat del 1951 (vol. 1: Dati Sommari per Comune. Appendice B: Circoscrizioni ecclesiastiche, Roma 1956, pp. 77-78) segnala nel territorio del comune di Biella 13 parrocchie: nel centro abitato S. Stefano (cattedrale), S. Paolo (nel quartiere omonimo), S. Biagio (quartiere Vernato), S. Cassiano (quartiere omonimo), S. Giacomo (quartiere/borgo storico del Piazzo); nelle frazioni S. Antonio Abate (fraz. Vandorno), S. Bernardo (Barazzetto), S. Giovanni Battista (fraz. Cossila S. Giovanni), S. Grato (fraz. Cossila S. Grato), S. Giuseppe (fraz. Favaro), S. Carlo Borromeo (fraz. Pavignano), S. Giovanni Evangelista e S. Defendente (fraz. Vaglio e Colma), S. Quirico e Giuditta (fraz. Chiavazza). Lo stesso censimento indica due casi di parrocchie la cui giurisdizione si estende sul territorio di più comuni: la parrocchia di S. Giovanni Evangelista e S. Defendente (fraz. Vaglio e Colma) che si estende in parte sul territorio del comune di Biella (608 individui) e in parte su quello di Andorno (76 individui), e la parrocchia di S. Giuseppe (fraz. Favaro) si estende in parte sul territorio del comune di Biella (1043 individui) in parte su quello di Pralungo (123 individui).
In seguito all'incremento della popolazione del quartiere Villaggio Lamarmora è stata successivamente istituita la parrocchia di Nostra Signora di Oropa: attualmente sono quindi presenti sul territorio del comune di Biella 14 parrocchie (Fonte: Archivio dell'Istituto Centrale per il sostentamento clero).
 
Biella
S. Anna (1597 ca)
(Biella Piazzo, all'angolo della costa del Piazzo)
Nasce dalla ricostruzione, iniziata nel 1597, della chiesa di S. Antonio di Vienne (vedi voce corrispondente), che era passata dall'amministrazione dei padri di S. Antonio di Vienne a quella della confraternita di S. Anna. I lavori, durati quasi trent'anni, furono fatti in modo alquanto approssimativo e "comeche con pocha Architettura e con meno bontà di struttura fu fabricata tal chiesa, avenne che la volta della medesima s'aperse tutta circa l'anno 1643", e l'edificio fu completamente rifatto e completato nel 1660. E' tuttora esistente.
(Lebole, C, I)
 
S. Antonio di Vienne (1373 ca)
(Biella Piazzo, all'angolo della costa del Piazzo)
L'oratorio è costruito, probabilmente fra il 1373 e il 1378, al Piazzo, dove ora sorge la chiesa di S. Anna. Già nel testamento del biellese Giacomo Magnetto del 1349 (BSSS 104, doc. 303) si delibera che la casa di sua proprietà vada in eredità, alla morte della moglie, ai "fratres et conventus domus S. Antonii Vianensis", con l'obbligo di costruire "ibi vel alibi prope ipsam domum unum oratorium cum altari ad reverentiam et sub vocabulo B. Antoni Vianensis". Alla metà del XVI secolo, in seguito all'abbandono della città da parte della comunità degli antoniani, chiesa e casa furono dati in affitto alla confraternita di S. Anna. La chiesa fu demolita e ricostruita, sotto il titolo di S. Anna, a partire dal 1597 (vedi voce corrispondente).
(Lebole, OR, I)
 
S. Cassiano vecchia (X s.)
(Biella, Piano, quartiere Riva)
La prima attestazione risale al 988 (vendita di un appezzamento di prato "in loco et fundo Buiella vel in eius territorio" che confina su due lati con la "terra sancti Cassiani": MHP, Chartarum, to. I, doc. 164). Da un documento del 1173 risulta che la chiesa era collocata in Riva, in corrispondenza del guado del Cervo che metteva in comunicazione Biella e Chiavazza (donazione di un mulino "quod est subtus sancti Cassiani de Bugella, ad vadum per quod itur ad Clavaciam": BSSS 103, doc. 18). Nella bolla di Innocenzo III del 1207 la chiesa è sottoposta alla giurisdizione della pieve di S. Stefano (ARMO, I, doc. 2), e di nuovo nella conferma di papa Gregorio IX del 1228: in quest'ultima occasione per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella' (BSSS 103, doc. 67). Una visita pastorale del 1318 attesta il degrado di questo e di altri edifici religiosi biellesi, privi di porte e pertanto accessibili agli animali ("repertum sit capellas videlicet sancti Pauli, Caxiani et Eusebij non habere hostia ita quod eciam brutis animalibus per eas patet accessus": Lebole, PB, III). La chiesa dà il nome ad uno dei quartieri di Biella attestati negli estimi trecenteschi. A partire dalla fine del XV secolo in S. Cassiano trova sede una confraternita (vedi voce corrispondente), che nel 1560 e nel 1587 promuove interventi di restauraro. Nel 1620 la chiesa di S. Cassiano è nuovamente in grave stato di degrado, e anche a causa delle aumentate esigenze della confraternita si avvia la costruzione di una nuova chiesa nel centro del quartiere Riva. La vecchia chiesa, nonostante le reiterate richieste della confraternita al capitolo di S. Stefano (1637, 1657), non venne demolita ma la fase di degrado continuò. Nel 1698 accanto ad essa fu costruita una cappella intitolata alla Madonna della Pace, di cui si prende cura un eremita: nel 1731, stando ad una visita pastorale, questo è l'unico edificio rimasto in piedi. Fonti più tarde indicano che per qualche anno, negli anni Settanta del XVIII secolo, la zona di S. Cassiano vecchia venne utilizzata come cimitero cittadino.
(Lebole, PB, III; Lebole, C, I)
 
S. Cassiano nuova (1620 ca)
(Biella Piano, quartiere Riva, piazza S. Cassiano)
La costruzione di una nuova chiesa di S. Cassiano comincia intorno agli '20 del XVII secolo su iniziativa dell'omonima confraternita. I lavori, seppure non completati, risultano a buon punto già nel 1627, e in quell'anno vi fu celebrata la prima messa. La chiesa ricadeva nel territorio della parrocchia di S. Stefano, e con il capitolo la confraternita ebbe inizialmente qualche contrasto. Nel 1898 la chiesa fu ceduta dalla confraternita ai salesiani. Nel 1909 la confraternita cominciò ad attivarsi per elevare la nuova chiesa di S. Cassiano a parrocchia smembrandola dalla circoscrizione di S. Stefano: le ragioni addotte sono l'accresciuta popolosità del quartiere di Riva e la constatazione che, di fatto, la chiesa ne svolge già da tempo le funzioni. L'obiettivo viene raggiunto, con l'approvazione del capitolo, nel 1917.
(Lebole, PB, III; Lebole, C, I)
 
S. Eusebio (XII s.)
(Biella Piano, via S. Eusebio)
La prima attestazione scritta risale al 1147 (Lebole cita un documento del 1010 di cui non ho trovato riscontro), quando Guidalardo e Rolando, padre e figlio, e i nipoti "qui professi sunt lege vivere langobardorum" transigono con il capitolo di S. Stefano in merito al possesso della chiesa e dei beni ad essa pertinenti: si conclude che la chiesa di S. Eusebio "est sub ecclesia Sancti Stephani de Bugella", ma i canonici saranno tenuti nei confronti dei contendenti a pagare annualmente un fitto, il fodro regale, e a prestare l'albergaria per quattro milites e i loro scudieri. La chiesa era collocata su un rilievo ('mons sancti eusebii', a. 1259, Magliola, tesi di laurea, 1984-1985, doc. 21) al di fuori dell'abitato, lungo la strada in direzione di Candelo; è confermata fra i possessi di S. Stefano nella bolla di Innocenzo III del 1207 (ARMO, I, doc. 2), e di nuovo nel 1228: in quest'ultima occasione per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella'. L'attestazione, isolata, di un 'Petrus monacus de Sancto Eusebio de Bugella' (Magliola, tesi di laurea, 1984-1985, doc. 14, a. 1253), ha fatto pensare che nel XIII secolo la chiesa fosse amministrata da una comunità monastica. Una visita pastorale del 1318 attesta il degrado di questo e di altri edifici religiosi biellesi, privi di porte e pertanto accessibili agli animali ("repertum sit capellas videlicet sancti Pauli, Caxiani et Eusebij non habere hostia ita quod eciam brutis animalibus per eas patet accessus"). Il vescovo stabilisce che la chiesa di S. Stefano, cui S. Eusebio continuava ad essere sottoposta, debba provvedere a un cappellano che celebri la messa una volta a settimana. Nel 1600 S. Eusebio è ormai un oratorio campestre "extra et prope oppidum Bugelle" affidato alla confraternita di S. Marta e le cui funzioni sono celebrate solo nella festa del Santo. Dato il degrado della struttura il vescovo di Vercelli decreta nel 1771 il trasferimento delle funzioni a S. Stefano. I reperti emersi nel 1921, in occasione dei lavori di sterro per la costruzione dei magazzini generali (dove si trovava la chiesetta di S. Eusebio), fanno supporre che la chiesa sia stata costruita sui resti di una necropoli romana di età imperiale.
(Lebole, PB, III)
 
San Giacomo (fine XII s.)
(Biella Piazzo, piazza Cisterna)
La chiesa sorge nel borgo nuovo del Piazzo, nato per volere del vescovo di Vercelli Uguccione nel 1160 (cfr. s.v. Comunità, origine, funzionamento); la prima attestazione è nel 1207 (ARMO, I, doc. 2), quando è nominata fra le chiese biellesi attribuite al capitolo di S. Stefano (nella conferma del 1228 di papa Gregorio IX è definita non più ecclesia ma 'capella': BSSS 103, doc. 67). Il vescovo Ugo di Sessa stabilisce nel 1218 che il rettore venga nominato dal capitolo di S. Stefano (Lebole, PB, III). Nel Medioevo il territorio della parrocchia era molto vasto, comprendendo i nuclei insediativi dislocati lungo la valle Oropa: viene fortemente ridotto nel XVI secolo, quando la valle sarà sottoposta alla giurisdizione della neonata parrocchia di Cossila S. Grato (stando alla visita pastorale del 1552, il rettore della parrocchia di S. Giacomo considerava "infra limites dicte parochie" sia la chiesa di S. Grato, posta "in cantone Coxille", sia la chiesa di S. Antonio posta in "Barazie cantoni Bugelle" (Vandorno): Lebole, PB, III, p. 561). Nel 1956 il parroco di S. Giacomo, "sollecitato da alcune famiglie del Piazzo e da documenti rinvenuti nella corrispondenza dell'archivio", suggerisce al vescovo di Biella Carlo Rossi una variazione nei confini fra la sua parrocchia e quella di S. Biagio (Vernato): di fatto ingrandendo la prima a scapito della seconda, anche se il parroco si affretta a precisare che la richiesta non è sostenuta dal "desiderio di un maggior numero di parrocchiani o di estensione territoriale, già di per sé tanto notevole, ma per rinfrescare quello che il tempo e l'uso ha forse fatto impallidire". Il decreto vescovile accoglie la richiesta del parroco delineando i nuovi confini della parrocchia, ma è interessante verificare che su questi ultimi potevano influire anche le istanze dei privati: i proprietari di una delle case che venivano in tal modo ad appartenere alla parrocchia del Piazzo, chiedono e ottengono di tornare ad essere aggregati a quella del Vernato.
(Lebole, PB III; Mosca 1972, dattiloscritto in ASB)
 
S. Giovanni (X s.)
(Biella Piano, Piazza Duomo)
Secondo alcuni la chiesa di S. Giovanni, attuale Battistero, risale al IX-X secolo. La prima attestazione scritta risale alla bolla del 1207 di papa Innocenzo III (ARMO, I, doc. 2), dove la chiesa risulta sottoposta alla giurisdizione della pieve di S. Stefano. In un documento del 1209 essa viene collocata "in castro Bugelle" e nelle vicinanze della chiesa di S. Maria (ASB, Fam. dal Pozzo della Cisterna). Nella conferma papale del 1228 per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella'. Nel 1791, durante gli scavi per la realizzazione della cripta, furono rinvenuti reperti lapidei relativi ad una copertura tombale di età alto imperiale.
(Lebole, PB I; QdSA 1998)
 
B. Giovanni Bergognone e S. Alessio (1458 ca)
(Biella, costa del Piazzo)
La costruzione di un oratorio intitolato al Beato Giovanni Bergognone risale ad anni prossimi al 1458, quando un documento lo definisce "noviter fundato". Si trovava lungo la costa del Piazzo (all'epoca costa Andurni), vicino all'ospedale di S. Lorenzo, e poco dopo accanto al titolo di b. Giovanni Borgognone (secondo la tradizione un pellegrino proveniente dalla Borgogna e morto a Biella nel XIV secolo) viene aggiunto quello di S. Alessio. Sono entrambi protettori contro la peste, e nel Cinquecento sono diverse le processioni organizzate in questa chiesa per scongiurare le epidemie. Almeno dal 1525 ha sede in questa chiesa la confraternita di S. Anna, che qualche decennio dopo si sposterà nella chiesa di S. Antonio, situata al Piazzo, al termine della stessa costa. Secondo Lebole la chiesa era già diroccata nel 1600, quando la vicina chiesa di S. Lorenzo risulta essere intitolata anche a S. Alessio e al Beato Giovanni.
(Lebole, PB, III)
 
S. Giuseppe di Riva (XVI s.)
(Biella Piano, quartiere Riva, salita di S. Giuseppe)
L'oratorio di S. Giuseppe viene costruito nel XVI secolo lungo la vecchia strada che da Biella portava ad Oropa. Nel 1881 viene costruita nelle vicinanze una nuova chiesa dedicata a S. Giuseppe di maggiori dimensioni.
 
Madonna delle Grazie e dei SS. Giuseppe e Nicola da Tolentino (1504)
(Biella Piazzo, fuori dalla porta della Torrazza)
Fu costruita intorno al 1504 al Piazzo, su terreni appartenenti a Giacomo Dal Pozzo situati fuori dalla porta della Torrazza. Nel 1557 fu donata ai Padri Cappuccini (che precedentemente erano nella chiesa di S. Teodoro nella baraggia del Vernato, ovvero l'attuale frazione Barazzetto), e dal 1563 iniziarono i lavori per la costruzione di un convento e l'ampliamento della chiesa, che mutò titolo in S. Gottardo (vedi Convento dei Cappuccini). Durante successivi lavori di ampliamento della prima metà del XVII secolo mutò nuovamente titolo in S. Giovanni Battista.
(Lebole, OR, 1)
 
S. Maria al Piano (XII s.)
(Biella Piano, Piazza Duomo)
La prima attestazione risale al 1207 (bolla di papa Innocenzo III in ARMO, I, doc. 2); nel 1213 la chiesa risulta titolare di beni in Vigliano (BSSS 105, doc. 20). Nella seconda metà del XIV vi ha sede una congregazione di beneficenza, e diversi lasciti testamentari sono indirizzati "caritati Sancte Marie de Bugella". Nel 1399 un'epidemia di peste si diffonde nel biellese, e il comune fa voto, in cambio di protezione dal contagio, di costruire una nuova chiesa. Venne così abbattuta la vecchia chiesa di S. Maria del Piano, e nel 1402 inizia la costruzione del nuovo edificio chiamato S. Maria Maggiore. Quando Biella diventa diocesi nel 1773 sarà S. Maria Maggiore "chiesa antica di struttura, ma di capacità superiore di gran longa a quella di S. Stefano" ("Distinta relazione concernente l'erezione del nuovo vescovado di Biella", di Francesco Matteo Beltrami), ad essere scelta come cattedrale, assumendo anche il titolo di S. Stefano Protomartire.
(Sciolla 1980, Trompetto 1983)
 
S. Marta (XVI s.)
(Biella Piano, Piazza S. Marta)
Le prime notizie si incontrano nelle visite pastorali cinquecentesche. Era sede della confraternita di S. Marta, che aveva fra i suoi compiti l'assistenza ai condannati a morte. Su iniziativa di quest'ultima negli anni '80 del XVI la chiesa fu ampliata, andando ad occupare con il consenso del comune parte della piccola piazza antistante. Nel 1807 la confraternita fu soppressa e la chiesa passa con il resto dei beni sotto l'amministrazione dei canonici di S. Stefano: venne prima affittata come magazzino, poi venduta per far fronte alle spese per il rifacimento dell'atrio della cattedrale (1826), e infine demolita.
(Lebole, PB, III)
 
S. Maurizio (XII s.)
(Biella Piano, Via Candelo)
La chiesa di S. Maurizio, ancora esistente, era collocata come quella di S. Eusebio fuori dal centro abitato, lungo la strada per Candelo. Il toponimo è attestato per la prima volta in un atto di vendita dell'8 febbraio 1197: un appezzamento di campo è situato "in territorio Bugelle desuper sancto Mauricio" (BSSS 103, doc. 33). I numerosi individui qualificati nei documenti del XIII secolo come "de Sancto Mauricio" hanno fatto ipotizzare l'esistenza di un cantone suburbano (Lebole, PB, III). Nella bolla papale del 1207 (ARMO, I, doc. 2) la chiesa risulta sottoposta alla giurisdizione della chiesa plebana di S. Stefano (non è invece nominata nella conferma del vescovo Ugo del 1227: BSSS 136, doc. 4). Nel XIII secolo è attestato l'ingresso di conversi e converse, associati nei benefici della chiesa dalla collegiata di S. Stefano. La visita pastorale del 1318, come per S. Eusebio e S. Cassiano, ne constata lo stato di degrado, e impone ai canonici di S. Stefano di provvedere alla celebrazione delle funzioni almeno una volta a settimana. Si susseguono nelle visite pastorali le attestazioni sul degrado dell'edificio fino agli anni '30 del Seicento quando la chiesa, restaurata, diviene oggetto di pellegrinaggio per la presenza di un immagine miracolosa della Madonna. Nel 1834, da tempo non più officiata, la chiesa viene venduta a privati, ed infine negli anni '80 del Novecento entra in possesso del comune. I sondaggi archeologici effettuati in occasione dei lavori di restauro hanno portato alla luce reperti di epoca romana. L'ipotesi attuale è che l'edificio primitivo risalga alla seconda metà del XII secolo.
(Lebole, PB, III)
 
S. Michele (XIII s.)
(Biella Piano, Piazza Duomo)
La prima attestazione è nella bolla di papa Innocenzo III del 1207 (ARMO, I, doc. 2), che la sottopone alla giurisdizione del capitolo di S. Stefano. S. Michele non era distante dalla chiesa di S. Stefano, tanto che un documento la colloca "extra et prope claustro eiusdem ecclesie" (Magliola, tesi di laurea, 1984-1985). Nella conferma del 1228 per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella' (BSSS 103, doc. 67).
 
S. Paolo (XII s.)
(Biella Piano, piazza Primo Maggio)
La prima attestazione risale a un atto di vendita del primo aprile 1167: un sedime "cum edificiis" è collocato "non longe ab ecclesia S. Pauli" (BSSS 103, doc. 13). Nel 1207 è sottoposta per bolla papale al capitolo di S. Stefano (ARMO, I, doc. 2), e di nuovo nel 1228 (BSSS 103, doc. 67): in quest'ultima occasione per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella'. La chiesa dà il nome a uno dei trecenteschi quartieri di Biella, e diversi individui sono qualificati con il toponimico "de Sancto Paulo". A partire dal XVI secolo nella chiesa ha sede la confraternita di S. Paolo, che è all'origine degli interventi operati sulla struttura nel secolo XVII. Nel 1644 si cominciò a pensare alla costruzione di una chiesa di maggiori dimensioni, il che avvenne nei due decenni successivi, in luogo della precedente. Poco dopo, nonostante l'opposizione di alcuni confratelli, che giudicavano quella appena terminata del tutto confacente alle esigenze della confraternita, si stabilì di costruire una nuova chiesa, sempre intitolata a S. Paolo, dietro a quella vecchia. I lavori cominciarono nel 1680 e terminarono più di un secolo dopo, nel 1791. Pochi anni dopo, tuttavia, la chiesa fu requisita dallo stato e divenne deposito per il fieno. La confraternita ne rientrò in possesso nel 1819 (nel frattempo le era stata riattribuita quella vecchia, che la soppressione dei filippini aveva reso disponibile). Alla fine degli anni '60 del XIX secolo si pose da parte del comune, che stava promuovendo una serie di modifiche all'assetto urbanistico della città, il problema del suo abbattimento ai fini della sistemazione della piazzetta del Sale (attuale piazza Primo Maggio). Nel 1911 la confraternita la vende al comune che la demolisce poco dopo (1926), utilizzando il ricavato per costruire la parrocchiale, sempre intitolata a S. Paolo, del Borgonuovo (che dalla chiesa ha preso poi il nome di S. Paolo).
(Lebole, PB, III)
 
S. Pietro (X s.)
(Biella Piano, Ospedale Vecchio)
La chiesa di S. Pietro si trovava in corrispondenza dell'attuale Ospedale Vecchio. La prima attestazione è del 988 (vendita di un appezzamento di prato "in loco et fundo Buiella vel in eius territorio" che confina con la "terra sancti Petri": MHP, Chartarum, to. I, doc. 164). La chiesa risulta fra le dipendenze del capitolo di S. Stefano nella bolla di Innocenzo III del 1207 (ARMO, I, doc. 2), di nuovo nel 1228: in quest'ultima occasione per definire questa e le altre chiese soggette a S. Stefano si usa il termine 'capella' (BSSS 103, doc. 67). Il fatto che non compaia nella conferma dei possessi del capitolo fatta dal vescovo Ugo di Sessa nel 1227 può forse significare che era in atto un tentativo di ottenere l'indipendenza dal capitolo. Nel 1229 fra quest'ultimo e il magister Pietro de Avellanis, che ambiva al conferimento della chiesa, si apre una causa: sottoposta al vescovo di Vercelli e ai delegati papali, si conclude con la vittoria del capitolo e la rinuncia di Pietro de Avellanis. L'attribuzione, pochi decenni dopo, della chiesa di S. Pietro al neonato convento degli Eremitani di S. Agostino (cfr. oltre s.v. Convento di S. Pietro), non elimina del tutto il controllo esercitato su di essa dal capitolo di S. Stefano: nel 1358 si apre una questione a proposito di una presunta consacrazione della chiesa e del cimitero fatta a pregiudizio dei diritti dei canonici. Una seconda questione è sollevata in occasione del secondo rifacimento della chiesa nel 1682 (il primo, come attestano numerose donazioni, era stato effettuato a partire dal 1426 ed era proseguito per tutto il secolo). Nel 1799, sotto il governo napoleonico, la chiesa di S. Pietro diverrà sede dell'ospedale, prima situato presso la chiesa della SS. Trinità. La chiesa dà il nome ad uno dei trecenteschi quartieri di Biella.
 
S. Stefano (V-VI s.)
(Biella, Piano, Piazza Duomo)
La chiesa plebana di S. Stefano, sede di un capitolo collegiato, è attestata per la prima volta nel 1027: "ecclesie plebis sancti Stefani infra castro quod dicitur Bugelle", in MHP, Chartarum, to. I, doc. 270). Sondaggi archeologici nella piazza del Duomo hanno attribuito l'edificazione della chiesa al V sec. (Pantò 1991/92 e 1993). Il cimitero si estendeva nell'attuale piazza Duomo (le tombe ritrovate datano al XII/XIII secolo), e smette le sue funzioni nel 1571, con la costruzione della sacrestia. Costituisce la principale chiesa di Biella fino all'erezione della diocesi (1772), quando viene scelta come cattedrale la vicina S. Maria del Piano, più adatta per le sue maggiori dimensioni alle esigenze di culto. Dopo che coro e presbiterio erano già stati venduti al comune per costruire il palazzo comunale (attuale palazzo Oropa), la chiesa di S. Stefano fu definitivamente demolita nel 1872, fatta eccezione per il campanile romanico, per costruire la casa parrocchiale.
(Lebole, PB, I)
 
S. Sudario (1666 ca)
(Biella Piazzo, presso palazzo Ferrero)
La chiesa del S. Sudario fu costruita al Piazzo dall'omonima confraternita: l'iniziativa è già adombrata nel 1642, ma a causa delle guerre le prime ricognizioni sul luogo prescelto vennero effettuate nel 1666. Negli anni successivi si aprì una controversia con la famiglia Ferrero, il cui palazzo confinava con il terreno della chiesa: la causa, discussa davanti al Senato di Torino, non impedì l'attuazione del progetto, ma si concluse imponendo alcune modifiche allo stesso suggerite dalla nobile famiglia biellese. Con la soppressione della confraternita nel 1807 da parte del vescovo di Vercelli la chiesa del S. Sudario entra in possesso della parrocchia di S. Giacomo del Piazzo. Nel 1832 viene venduta per 900 lire al marchese Carlo Ferrero della Marmora. Nel 1841 la chiesa diventa sede della compagnia delle giovani Figlie di Maria del Piazzo.
(Lebole, C, I)
 
SS. Trinità (XVII s.)
(Biella Piano, via Italia)
La chiesa viene costruita nel XVII secolo in luogo del precedente oratorio dei S. Sebastiano e Fabiano (via Italia, dietro l'attuale Duomo). Quest'ultimo era stato costruito poco dopo la costruzione della nuova chiesa di S. Maria del Piano (1402), e con bolla di Pio II del 1459 veniva aggregato al capitolo di S. Stefano. Nel 1510 si procede a lavori di ampliamento e dal 1579 a fianco della chiesa viene aperto un "Ospedale degli infermi e dei pellegrini della SS. Trinità", con una dozzina di posti letto, che rimarrà lì fino al 1799, quando sarà spostato presso la chiesa di S. Pietro. Nel 1626 cominciano i lavori di rifacimento della chiesa.
(Lebole, C, I)
 
Oratori di S. Rocco (XVI s.)
Ne esistevano cinque, tutti costruiti nella seconda metà del Cinquecento al di fuori delle mura presso le porte della città (al Piazzo: porta della Torrazza e porta dell'Ollera; al Piano: porta di Riva, porta di Roncigliasco; al Vernato: porta della Rovere). L'oratorio della porta di Roncigliasco è distrutto negli anni '70 dell'Ottocento, in occasione dei lavori di ampliamento della via Maestra (attuale via Italia); quello della Porta di Riva, costruito in occasione dell'epidemia del 1585, fu ricostruito all'inizio del XIX secolo, ed è ancora esistente; sempre in occasione della peste del 1585 fu costruito l'oratorio della porta del Vernato, distrutto nel 1888 per lavori di ampliamento della strada. L'oratorio della porta dell'Ollera è già attestato nel 1566 (in occasione della visita delle mura ordinata dal duca di Savoia), ed è ancora esistente come quello, sempre al Piazzo, della porta della Torrazza, edificato in occasione dell'epidemia del 1599.
(Lebole, PB, III)
 
Collegio degli Innocenti e Seminario (XVI s.)
(Biella Piano, Piazza Duomo)
E' fondato nel 1524 dal vescovo di Vercelli Agostino Ferrero, di origini biellesi, con il fine di abbellire le funzioni della collegiata di S. Stefano. E' formato da sei 'innocenti' e da due maestri (grammatica e canto), due economi e un domestico. A neanche 15 anni dalla sua fondazione il collegio non esiste più, si parla solo di cantoria della collegiata. Sulla scia della riforma tridentina vengono fatti altri due tentativi: fra il 1569 e il 1571 dal vescovo Guido Ferrero, nel 1608 dal vescovo Giovanni Stefano Ferrero. Solo l'ultima ebbe successo, e in quell'occasione il vescovo permise che nel collegio venissero accolti anche i ragazzi che volevano diventare preti costituendo di fatto il primo nucleo del Seminario. Nel 1737 e nel 1744 due decreti dei vescovi vercellesi tentano di rispristinare l'istituto alla sua funzione di Seminario, perché nel frattempo era diventato un pensionato per studenti di qualunque tipo. Nel 1772, con l'erezione della diocesi, l'istituto diventa Seminario diocesano a tutti gli effetti. Con la soppressione della diocesi nel 1803 il seminario diventa scuola pubblica. Sarà ripristinato nel 1814.
(Lebole, PB, III)
 
Vernato
S. Agata (XIII s.)
Stando ai regesti di documenti del monastero di S. Agata, compilati dal Torelli nel XVIII secolo, la prima attestazione della chiesa di S. Agata del Vernato risale al 1212, anno in cui fu risolta una causa che opponeva il rettore di quest'ultima e il rettore della chiesa di S. Eusebio di Pollone in merito al diritto di decima e alla giurisdizione parrocchiale nel cantone di Cangio (toponimo tuttora attestato nel territorio di Pollone). Il documento più antico rimasto è del 1230 (BSSS 34/2, doc. 18), e contiene una causa fra la chiesa di S. Agata e il capitolo di S. Stefano sulle decime (una seconda causa fra i due enti si apre nel 1266: BSSS 103, doc. 108). Nel 1260 una bolla papale attribuisce la chiesa di S. Agata alle monache di S. Maria Maddalena del ponte del Cervo, che già nel 1263 risultano essersi trasferite nel nuovo monastero costruito nel Vernato (vedi voce Monasteri e Conventi), e nel 1265 procedono a disporre delle decime di cui la chiesa di S. Agata era titolare a Pollone. Nel 1272 è documentata per la prima volta la badessa a capo del monastero, mentre nel 1273 si procede a definire i confini fra le parrocchie di S. Stefano e di S. Agata. Nel 1432, a causa dello spopolamento del Vernato, da poco annesso al comune di Biella, e delle guerre, il monastero muta sede spostandosi verso il nucleo abitato di Biella (Mullatera ipotizza che si tratti della cascina Agata, tutt'ora esistente). A partire dal '500 si susseguono numerosi interventi vescovili e pontifici per traslare il monastero, finora al di fuori o ai margini del centro abitato, in una sede più sicura: nel 1571 le monache si trasferiscono nel nuovo convento di S. Caterina al Piazzo, e rinunciano al diritto di nomina del cappellano della chiesa di S. Agata del Vernato, che viene concesso ai capi di casa del quartiere. Con il trasferimento delle monache al Piazzo fu S. Biagio ad esercitare le funzioni di parrocchia. La chiesa di S. Agata risulta già in fortissimo stato di degrado nella visita pastorale del 1606, e nelle sucessive non se ne fa più menzione.
(Lebole, PB, III; Lebole, OR, I)
 
S. Biagio (XII s.)
La prima attestazione è in un atto di vendita del 1198 di cui esiste solo il regesto settecentesco del Torelli; il primo documento ancora reperibile si trova nell'archivio capitolare di S. Stefano e risale al 1221 (fra le coerenze di un appezzamento figura la "terra Sancti Blaxii", Mosca, tesi di laurea, 1972-73, doc. 3). Nel 1260 la chiesa viene attribuita con bolla papale alle monache di S. Maria del Ponte del Cervo, che poco dopo si trasferiranno al Vernato costituendo il convento di S. Agata. I diritti delle monache sulla chiesa di S. Biagio sono messe in dubbio nel 1419 da Stefano de Pisanis, vicario del vescovo Ibleto Fieschi, che procede a nominarne il rettore; il contenzioso che ne nasce ha esito favorevole alle monache, cui il vescovo riconferma il possesso della chiesa (una nuova conferma papale avverrà nel 1431 quando la chiesa risulta far parte dei confini della chiesa parrocchiale di S. Agata al Vernato). S. Biagio rimane oratorio/cappella dipendente dalla parrocchia/monastero di S. Agata fino al 1571 (Torrione 1992), quando le monache cistercensi, per effetto del Concilio di Trento che imponeva ai monasteri di stare all'interno dei centri abitati, si trasferiscono al Piazzo, nel nuovo convento di S. Caterina. Il diritto di patronato viene ceduto dalle monache ai capi di casa del Vernato, e il titolo parrocchiale passa a S. Biagio. La parrocchia viene consacrata nel 1578 (Torrione 1992). Nel 1773 si progettò di spostare la parrocchia del Vernato da S. Biagio (che si trovava fuori dalle mura della città) a S. Nicola, ma la translazione non venne attuata. Nel 1783 si diede inizio alla costruzione della casa parrocchiale accanto alla chiesa con il contributo determinante della confraternita di S. Nicola (il parroco abitava in una casa presso l'omonima chiesa). La riforma dei confini delle parrocchie, promulgata da Mons. Canaveri nel 1807, determina lo scorporo dalla parrocchia di S. Biagio di parte del territorio del Barazzetto (dove vi era l'oratorio di S. Nicola), che viene aggregato alla parrocchia del Vandorno. La parrocchia di Vernato viene "ricompensata" aggiungendo al territorio di sua giurisdizione alcuni isolati del cantone di Ghiara (fino alla basilica di S. Sebastiano).
(Lebole, PB, III)
 
S. Maria di Campagnate (XIII s.)
La chiesa di S. Maria di Campagnate era situata fuori dalle mura, a ovest dell'abitato di Vernato in direzione di Occhieppo inferiore. La sua ubicazione è stata individuata in corrispondenza della cascina Campagné (Torrione 1992). Il toponimo Campagnate, ma senza riferimenti ad una chiesa, sembra già comparire alla metà del XII secolo, in un elenco di canoni dovuto a S. Stefano (campaniacum). Per quanto concerne la chiesa non è d'aiuto la bolla di Innocenzo III del 1207, perchè nell'elencare le chiese sottoposte a S. Stefano si limita a citare in modo generico le "ecclesias de Vernato". La prima attestazione esplicita dovrebbe risalire quindi al 1245: stando all'inventario redatto dal Torelli sull'archivio, andato poi disperso, del monastero di S. Agata del Vernato, nel gennaio di quest'anno Bruno de Rugia, converso della chiesa di S. Agata, viene investito di un sedime davanti alla porta del Piazzo. Il più antico documento esistente riguarda una donazione alla chiesa del 1326, ed è conservato nell'archivio di Stato di Torino, nel fondo Avogadro della Motta. A differenza delle altre chiese sorte esternamente all'abitato di Biella (S. Maurizio e S. Eusebio), S. Maria di Campagnate mantiene le sue funzioni di parrocchia fino al XV secolo. Nel 1459 i redditi e le proprietà di S. Maria di Campagnate (con quelli di S. Maria e S. Bartolomeo di Oropa, di S. Paolo, di S. Pancrazio, di S. Maria del Piano e la cappella di S. Sebastiano) vengono da papa Pio II aggregati a S. Stefano. Nel 1599, data la posizione isolata e al tempo stesso prossima all'abitato, la chiesa viene adibita a lazzaretto. Nel XVII secolo le visite pastorali rivelano il degrado che aveva colpito questo come gli altri edifici religiosi dislocati al di fuori del centro abitato. Dalla metà del secolo e fino a tutto il XVIII la chiesa è abitata da eremiti. Nel 1803 è soppressa e i suoi beni sono incamerati dal governo francese. Viene venduta l'anno successivo a un privato. La chiesa è citata nella quattrocentesca cronaca dell'Orsi, secondo il quale il vescovo Uguccione, dopo aver costruito il proprio castello al Piazzo, fece scavare un passaggio sotterraneo fino alla torre del Vernato e poi alla cappella di S. Maria di Campagnate, in modo da poter agevolmente fuggire in caso di necessità.
(Lebole, PB, III; Torrione 1934)
 
S. Nicola (XVI s.)
Vi furono due chiese con questo nome. La più antica risale all'inizio del XVI secolo, e si trovava all'angolo fra le attuali via dei Conciatori e via Marucca, al Vernato. Rientrava nella giurisdizione della parrocchia di Vernato e almeno dal 1553 aveva sede qui la confraternita di S. Nicola da Tolentino. Si trattava di una chiesa di piccole dimensioni, dal momento che nelle fonti è definita oratorium e gisietto. La confraternita promuove a partire dal 1581 circa la sua ricostruzione in maggiori dimensioni, che sarà terminata all'inizio del XVII secolo. Quando nel 1641 gli Agostiniani Scalzi ottengono il permesso di aprire un convento a Biella la confraternita di S. Nicola accetta di cedere loro per qualche anno la chiesa (in considerazione dell'appartenenza del loro santo protettore, S. Nicola da Tolentino, all'ordine agostiniano). Pochi anni dopo (1646 ca), forse in conseguenza della cessione della vecchia chiesa agli agostiniani, si comincia la costruzione di un'altra chiesa dedicata a S. Nicola lungo la costa del Vernato. L'edificio fu completato all'inizio del secolo successivo. Nel 1773 si progetta di spostare la parrocchiale del Vernato da S. Biagio, che si trovava fuori dalle mura della città, alla chiesa di S. Nicola, ma il proposito non verrà attuato. Per quanto riguarda la chiesa vecchia di S. Nicola, dopo il trasferimento degli agostiniani la confraternita vi fece costruire un torchio da vino e uno da olio, che erano affittati a privati. Risulta abbandonata nel 1778, viene definitivamente abbattuta nel 1955.
(Lebole, PB, I; Lebole, C, 1)
 
Oratorio di S. Rocco (XVI s.)
Costruito in occasione dell'epidemia di peste del 1585 fuori dalle mura, accanto alla porta della Rovere (attuale piazza Cossato), fu distrutto in occasione dell'ampliamento della strada che andava verso Occhieppo.
(Lebole, PB, III)
 
Oropa
Priorato di S. Bartolomeo (XIII s.)
(Oropa)
La prima attestazione è nella bolla papale del 1207 (ARMO, I, doc. 2), che la sottopone alla giurisdizione del capitolo di S. Stefano. Il priorato di S. Bartolomeo di Oropa, come quello di S. Maria, è dipendente o dall'autorità vescovile o dal capitolo di S. Stefano (Trompetto 1983). I religiosi di S. Bartolomeo e di S. Maria d'Oropa sono di volta in volta qualificati nelle fonti come presbiteri, eremitae de valle Orepe (o de montibus), fratres, habitantes, servitores, ministri, rectores. Fra le loro funzioni vi è l'assistenza di pellegrini e viandanti. S. Bartolomeo di Oropa ha due dipendenze: la cella di S. Paolo Eremita (Burcina) e la chiesa di S. Pancrazio a Mongrando. Nel XIV secolo S. Maria e S. Bartolomeo sono retti da priori commendatari (per quanto riguarda S. Bartolomeo nel XV e XVI secolo sono commendatari alcuni esponenti della famiglia Cortella). Nel 1581 S. Bartolomeo viene annesso al Seminario di Vercelli ma la decisione è presto revocata. Nelle visite pastorali seicentesche, il priorato di S. Bartolomeo è descritto come "ecclesia parvissima et indecentissima", di cui sarebbe necessario inoltre invertire l'orientamento ("saltem est mutandum altare et ponendum ubi est porta, et porta costruenda est, ubi ad presens est altare"). Basilica Beatae Virginis. Vedi mappa.
(Trompetto 1983)
 
Priorato di S. Maria (XIII s.)
(Oropa, presso il sacello eusebiano)
La prima attestazione è nella bolla papale del 1207 (ARMO, I, doc. 2), che la sottopone alla giurisdizione del capitolo di S. Stefano. Nel 1295 viene defnita "ecclesiam seu capellam Sancte Marie de Orepe sitam tamquam heremitagium in montibus silvestribus de Bugella" (ARMO, I, doc. 15, col. 30). Il priorato di S. Maria di Oropa, come quello di S. Bartolomeo, è dipendente o dall'autorità vescovile o dal capitolo di S. Stefano (Trompetto 1983). I religiosi di S. Maria e di S. Bartolomeo d'Oropa sono di volta in volta qualificati nelle fonti come presbiteri, eremitae de valle Orepe (o de montibus), fratres, habitantes, servitores, ministri, rectores. Fra le loro funzioni vi è l'assistenza di pellegrini e viandanti. Dal 1470 vengono nominati dal capitolo di S. Stefano dei rettori con il compito, fra l'altro, di far sì che "devotio non minuatur set potius augeatur" (ARMO, II, doc. 6; Trompetto 1983, p. 77). Nel '500 sorge nei pressi del priorato il primo albergo per pellegrini e all'inizio del secolo successivo si dà inizio alla costruzione della basilica, terminata fra gli anni '30 e '40 del Seicento (Trompetto 1983). Dal 1614 il vescovo Goria stabilisce che l'amministrazione del santuario debba essere mista, cioè composta in parte da ecclesiastici e in parte da laici.
(Trompetto 1983)
 
Vandorno
S. Antonio Abate (XVI s.)
La chiesa di S. Antonio del Vandorno è attestata per la prima volta nella visita pastorale del 1552, dove risulta parte del territorio della parrocchia di S. Giacomo del Piazzo. Diviene parrocchia indipendente il 5 gennaio 1596, per decreto di Giovanni Francesco Leone, vicario generale e convisitatore del vescovo di Vercelli Marcantonio Vizia. Gli abitanti del Vandorno, assumendosi l'onere del mantenimento del parroco, esercitano anche il diritto di patronato (cui rinunciano nel 1822 per beneficiare dell'aumento della congrua promesso dal governo). La riforma dei confini parrocchiali promossa da Mons. Canaveri vescovo di Vercelli nel 1807 aggrega alla parrocchia del Vandorno metà del territorio di Barazzetto.
(Lebole, PB, III)
 
Barazzetto
S. Bernardo (XVII s.)
Nasce come oratorio nel 1664, diventa parrocchia nel 1843. In origine l'oratorio era amministrato da due priori annualmente eletti dagli abitanti, le cui offerte permisero dopo poco tempo l'assunzione di un cappellano festivo. La concessione del titolo di parrocchia chiude un pluridecennale scontro fra la comunità del Barazzetto e il parroco del Vandorno, cui l'oratorio, prima aggregato alla parrocchia di S. Biagio del Vernato, era stato sottoposto nel 1807 in seguito alla riforma dei confini parrocchiali attuata dal vescovo di Vercelli mons. Canaveri. La decisione aveva da subito suscitato forti resistenze da parte degli abitanti del cantone, che stando al parroco del Vandorno "pretendevano" di esercitare il diritto di patronato sull'oratorio. Nei decenni successivi si susseguono liti e azioni di sabotaggio. A porre fine alle diatribe sarà, nel 1843, la concessione all'oratorio del titolo di parrocchia. I confini della parrocchia del Barazzetto, che non coincidono con quelli dell'omonimo quartiere, toccano a nord il Vandorno, a est il Piazzo, a sud-est il Vernato, a ovest i comuni di Occhieppo inferiore, Occhieppo superiore e Pollone.
(Lebole, PB, IV; Pasquin 2006)
 
S. Paolo Eremita (XIV s.)
(Vandorno, reg. Burcina)
La chiesa sorgeva sulle pendici meridionali della Burcina (collina a nord-ovest di Biella), in località Serramonda detta anche Forte del Vescovo. La più antica attestazione rimasta è un documento di vendita del XIV secolo dove, fra le coerenze di un appezzamento posto "in Burcina", si citano i "frates heremite" (ARMO, I, doc. 34, col. 241). La prima menzione esplicita risale al 13 giugno del 1444, epoca in cui risulta già in stato di forte abbandono (Giovanni Spina si rivolge al vescovo di Vercelli perché la chiesa di S. Maria di Oropa non si riduca "prout et quemadmodum est reductum oratorium sancti Pauli de Burcina" (ARMO, I, doc. 117). Dal XV secolo si susseguono le attestazioni sullo stato deplorevole della chiesa, amministrata da monaci neri benedettini (secondo Carlo Antonio Coda, che scrive nel XVII secolo, la chiesa è all'epoca "asilo delle selvagge fiere"). Nel 1566 la cella viene annessa al Seminario di Vercelli (Trompetto 1983). Le visite pastorali dell'inizio del XVII secolo, gli ultimi documenti a darcene notizia, ne parlano come di una chiesa priva di pavimento e di porte, annessa al priorato di S. Bartolomeo d'Oropa (1600: "visitavit ecclesiam sancti Pauli haeremitae in finibus Bugelle quae est prioratus [...] sitam ubi dicitur ad fortem episcopi"; 1606: "visitavit ecclesiam sancti Pauli […] unitam prioratui sancti Bartolomei): ARMO, II, doc. I, pp. 2-3). Nel 1937 l'edificio fu identificato da Pietro Torrione con la cascina di S. Paolo, nella quale erano stati rinvenuti alcuni affreschi del XV secolo.
(Lebole, PB, I; Trompetto 1983; Torrione 1992)
 
S. Teodoro (XIII s.)
La cappella di S. Teodoro (o Teodulo) è nominata per la prima volta nel 1295, e si trovava nelle vicinanze della cosiddetta Vigna del Vescovo in Vernato. Attestazioni isolate della chiesa proseguono nei secoli successivi, e nel 1524 il beneficio ad essa collegato viene unito al Collegio degli Innocenti, fondato a Biella dal vescovo Agostino Ferrero. Nel 1554 la chiesa venne donata ad una comunità di frati cappuccini, che a causa dell'isolamento del luogo vi rimasero pochi anni, trasferendosi nel 1557 in città, presso la chiesa della Madonna delle Grazie e dei SS. Giuseppe e Nicola da Tolentino (vedi voce corrispondente).
(Lebole, OR, I)
 
Chiavazza
Santa Maria (XIII s.)
Fra le chiese sottoposte al capitolo di S. Stefano la bolla di Innocenzo III del 1207 cita in modo generico le 'ecclesias de Clavatia', secondo Delmo Lebole costituite dalle due chiese di S. Maria e S. Quirico (ARMO, I, doc. 2). La prima attestazione esplicita risale al 1211, quando una transazione coinvolge beni fondiari appartenenti alla chiesa di S. Maria. In seguito alla decadenza della chiesa di S. Quirico, che all'inizio del XIV secolo viene aggregata ai priorati oropei, la chiesa di S. Maria ne assume il titolo, diventando chiesa della B.V. Assunta e S. Quirico Martire. Nel 1495 la parrocchia entra in possesso di Giovanni Gromis, canonico di S. Eusebio di Vercelli e vicario generale dell'arcivescovo di Torino, che intende utilizzarla per aprire a Biella un convento di gerolamini. La chiesa di S. Maria viene distrutta e riedificata in dimensioni maggiori, con a fianco la casa parrocchiale (che nelle intenzioni iniziali dovrebbe essere la sede del futuro convento). Nel 1501 a questo scopo si ottiene da papa Alessandro VI l'unione della chiesa di S. Quirico, prima aggregata alla mensa capitolare di S. Stefano. Nel 1505 papa Giulio II eleva la parrocchia al rango di priorato, incorporandolo nell'ordine dei gerolamini: l'anno successivo i frati assumono anche la cura d'anime precedentemente svolta da un curato. Nel 1517 con la costruzione dell'abbazia di S. Gerolamo la comunità lascia la chiesa di S. Maria, conservandone la cura d'anime.
(Lebole, PB, II)
 
S. Quirico (XIII s.)
Fra le chiese sottoposte a S. Stefano la bolla di Innocenzo III del 1207 (ARMO, I, doc. 2) cita in modo generico le 'ecclesias de Clavatia', secondo Delmo Lebole costituite dalle due chiese di S. Maria e S. Quirico. Quest'ultima nel 1300 risulta essere una chiesa "sine cura et campestris", situata nel territorio della parrocchia di S. Maria: un'evoluzione interpretata come conseguenza del progressivo concentramento dell'abitato intorno alla zona collinare in cui si trovava S. Maria. In ogni caso da questo momento S. Quirico viene per decisione del vescovo vercellese unita ai priorati oropei (prima a S. Maria e S. Bartolomeo, poi, dal 1301, al solo priorato di S. Maria). Con bolla del 1459 la chiesa di S. Quirico torna a far parte della mensa capitolare della chiesa collegiata di S. Stefano: priva di cura d'anime, la chiesa viene data in affitto con contratti di nove anni a canonici e sacerdoti, con l'obbligo di celebrare una messa alla domenica e una seconda infrasettimanale. Nel 1501 il rettore della chiesa di S. Maria di Chiavazza ottiene da papa Alessandro VI l'aggregazione di S. Quirico, onde provvedere dei mezzi necessari il convento di S. Gerolamo che stava per essere fondato. Le visite pastorali seicentesche attestano, per questa come per le altre chiese di Biella, uno stato di profondo degrado. Nel 1821 viene adibita a deposito di cereali e di attrezzi agricoli (uso saltuariamente osservato già nel secolo precedente).
(Lebole, PB, II)
 
Cossila San Giovanni
San Giovanni Battista (1835)
L'esistenza di un oratorio di San Giovanni "al Ronco" (cantone di Cossila San Giovanni) è attestata a partire dal 1619. Il cappellano è stipendiato dagli abitanti, i quali eleggono anche i due amministratori che devono ogni anno rendere conto al parroco di Cossila San Grato. Dal 1712 è sede di una compagnia di disciplinati sotto il titolo del Santissimo Nome di Gesù. Nel 1822 la comunità di Cossila San Giovanni, seguendo l'esempio del Favaro che aveva ottenuto il diritto di parrocchia l'anno prima, fa il primo passo verso l'autonomia, e la chiesa di S. Giovanni viene eretta a succursale della parrocchia di San Grato. La chiesa di SanGiovanni, nonostante l'opposizione di S. Grato, diventa parrocchiale nel 1835, dietro l'impulso della confraternita del Sant Nome di Gesù. Al 1836 risale la costruzione del cimitero. I confini della parrocchia verso San Grato vengono fissati "fin al riale detto della Coda e fino al rivo Bolume".
(Lebole, PB, IV)
 
Oratorio di San Rocco:
Attestato nel cantone Ronco all'inizio del Seicento, fu costruito probabilmente in seguito alla peste del 1599. Fu demolito nel 1661, probabilmente per l'accresciuta importanza dell'oratorio di San Giovanni Battista.
(Lebole, PB, IV)
 
Cossila San Grato
San Grato (XV s.)
Un oratorio di San Grato è attestato alla fine del secolo XV nella cronaca di Giacomo Orsi. Inizialmente affidato alla cura di un rettore, nel 1522 viene unito al capitolo di S. Stefano dal vescovo vercellese Agostino Ferrero. Nel 1574 risulta essere parrocchia. Nel 1623 gli abitanti di Cossila ottengono il diritto di patronato, esercitato con continuità fino al 1822, quando la comunità vi rinuncia per poter beneficiare del regio aumento di congrua di 500 lire. Da quel momento la parrocchia rimane di libera collazione. Il territorio della parrocchia si estendeva per tutta la Valle Oropa: dalla "vasta, dispersa e montuosa parrocchia" (rel. par. 1819) si staccheranno in successione, dotandosi di propria parrocchia, i due principali nuclei insediativi della valle (nel 1821 Favaro e nel 1836 Cossila San Giovanni).
(Lebole, PB, IV)
 
Favaro
San Giuseppe (1821)
Nel 1633 a Favaro viene inaugurata la costruzione di una cappella dedicata a SanGiuseppe, officiata da un cappellano stipendiato dagli abitanti del luogo. A partire dal 1747 questi ultimi fanno richiesta la vescovo di Vercelli di poter disporre di una parrocchia, adducendo fra l'altro la distanza di due miglia a mezzo dalla chiesa parrocchiale di Cossila San Grato e i conseguenti "pericoli assai prossimi massimamente nel tempo d'inverno di morire senza ricevere li med.i (sacramenti), come già purtroppo è in altri tempi accaduto". La decisa opposizione della parrocchia di Cossila San Grato ostacolò non poco i propositi della comunità del Favaro, che ottenne la parrocchia dopo quasi un secolo attraverso passaggi graduali. Nel 1749 una convenzione stabilisce che l'oratorio del Favaro sia promosso a chiesa "comparrocchiale", con diritto di fonte battesimale e del cimitero, ma il cappellano, stipendiato come in passato dalla comunità, dovrà essere scelto in accordo con il parroco di San Grato e da lui dipendere. Andato a vuoto il nuovo tentativo del 1771, la comunità ottenne la propria parrocchia nel 1821, dopo aver ampliato e ristrutturato la chiesa, aver fondato un beneficio per la futura parrocchia e aver contestualmente rinunciato al diritto di patronato.
(Lebole, PB, IV)
 
Oratorio dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria (XV s.)
Sorge a Favaro, in località detta Prussiana, nella seconda metà del XV secolo, in seguito all'incremento della popolazione del cantone (ARMO, II, doc. 19: testamento Agostino Messerano di Biella, che dispone un legato alla fabbrica della chiesa "Sancte Marie de Favario"). Nel marzo del 1507 il capitolo di Santo Stefano chiede al cardinale Stefano Ferrero, amministratore apostolico della diocesi vercellese: quod ecclexia Beate Annunciationis beate Marie Virginis sita in finibus Bugelle loco appellato ad Favarium […] incorporetur, uniatur, annectetur et annexetur prefatis dominis Canonicis et ecclesie collegiate Sancti Stephani [ARMO, II, doc. 31]. E' probabile che la più volte reiterata richiesta del capitolo sia dovuta alla concorrenza che l'oratorio del Favaro, situato sulla strada che portava al santuario, esercitava nei confronti dei priorati oropei di Santa Maria e San Sebastiano, distogliendo parte dei pellegrini dal proseguire il percorso: infatti il 4 ottobre 1507 il cardinale Ferrero, appreso che oratorium […] non multum ab oratorio de Orepa praefato distans, sed in itinere quo ad illud proficiscitur construxerit, ac sicut experientia compertum est ex datione specialis rectoris oratorio de Favario humanis adinventionibus avertitur populus a frequentia oratorii de Orepa predicti, turbaturque pax et quies Venerabilium canonicorum, approva l'unione dell'oratorio alla chiesa di Santa Maria d'Oropa [ARMO, II, doc. 34]. Il capitolo lascerà successivamente decadere l'oratorio: nel 1529 il vescovo darà autorizzazione di asportare i cupos sacellj Favarj e di portarli presso la ecclesiam Sancte Marie de Orepa.
(Lebole, PB, IV)
 
Pavignano
San Carlo Borromeo (1618)
Nel secolo XVI comincia ad essere attestato un oratorio, forse di origine votiva, dedicato ai Santi Rocco e Sebastiano, protettori dalla peste. Le visite parrocchiali attestano che fino al 1600 nell'oratorio si celebra messa solo in occasione delle epidemie et ornamenta et paramenta sumebantur a collegiata S.ti Stephani, in quanto il cantone rientrava nella circoscrizione parrocchiale di questa chiesa (est cantonus hoc intra limites predicte parochialis). Sei anni dopo risulta che gli abitanti del cantone (30 famiglie per un totale di circa 200 abitanti) stipendiano un cappellano che celebri messa in tutte le festività. Nel 1618 l'oratorio diviene parocchia, e per ordine vescovile muta denominazione intitolandosi a San Carlo Borromeo. Agli abitanti viene concesso il diritto di patronato. L'erezione a parrocchia provoca la dura reazione della collegiata di Santo Stefano, che vedeva amputato il proprio territorio di pertinenza. La lite viene chiusa dal vescovo vercellese nel 1618, stabilendo che le decime di Pavignano rimangano ai canonici di Santo Stefano e che gli abitanti diano loro un cero da due libbre ogni anno nella festa del santo (obblighi che stando alle visite pastorali sono stati più volte disattesi).
(Lebole, PB, IV)
 
Pralungo
Santa Maria della Pace (1564)
Fino al secolo XVII gli abitanti di Pralungo fanno capo alla parrocchia di S. Germano di Tollegno. Nel 1526 ottengono il permesso di costruire una cappella e un oratorio e di celebrarvi la messa, fermo restando il pagamento delle decime al rettore della parrocchia di Tollegno. Le rimostranze di quest'utima, esposte al vescovo di Vercelli Agostino Ferrero, non ottengono risultati. Nel 1564 la comunità avanza la richiesta di poter disporre di una parrocchia propria, dichiarandosi disponibile a sostenere una dote annua per il curato pari a 16 scudi d'oro ed esponendo, fra la serie di ostacoli che impedivano la fruizione dei sacramenti presso la parrocchia di Tollegno, quello della distanza delle cascine sparse sui monti (maxime attenta difficultate itineris et distantia loci presertim tempore inondationis aquarum que cum sit in montibus sepe numero venire posset, et varia pericula animarum possunt occurrere). L'autonomia religiosa, ottenuta in quello stesso anno, fu la premessa per l'autonomia sul piano amministrativo: si cominciò a parlare della nascita di un comune di Pralungo alla fine del XVI secolo, e l'obiettivo si concretizzò nel 1622.
(Lebole, PB, IV)
 
2. Confraternite
Nota generale. Le confraternite sono precedute a Biella e a Vernato da associazioni laicali con finalità assistenziali più antiche: è il caso dei frati del Mantello, della confraria di S. Spirito, e delle caritates di S. Maria del Piano (Biella) e di S. Giorgio (Vernato). Le confraternite biellesi, tutte attestate al più presto nel XVI secolo, sono sette: S. Anna - la più antica, dalla quale secondo Lebole si sviluppano tutte le altre -, S. Cassiano, S. Marta, S. Paolo, SS. Fabiano e Sebastiano (poi S. Trinità), S. Sudario, S. Nicola (quest'ultima al Vernato).
Fonti e regolamenti. Per effetto del Concilio di Trento e soprattutto dell'azione regolamentatrice di S. Carlo Borromeo del 1569 le confraternite sono poste sotto l'attenta supervisione dei vescovi. Le visite pastorali, nel XVI e XVII secolo, costituiscono una delle principali fonti per la storia di questi enti, cui possiamo aggiungere, quando ci sono, i documenti prodotti dalle singole confraternite (statuti, libri di conti e ordinati), che generalmente confluirono negli archivi delle parrocchie di appartenenza, e la documentazione del comune, che non di rado interviene nella loro gestione. Per quanto riguarda gli statuti possediamo ancora quelli di S. Cassiano (i più antichi, 1524), e di S Paolo (1539), entrambi redatti da francescani; a partire dalla seconda metà del XVI secolo i regolamenti interni ad ogni confraternita vennero integrati dalla Regola generale di S. Carlo Borromeo.
Pratiche. Pratiche comuni a tutte le confraternite erano la partecipazione alle processioni, alle sepolture e la recita degli Uffici. Processioni che coinvolgevano tutte le confraternite erano quelle generali del Corpus Domini e delle Rogazioni, alle quali si affiancavano quelle particolari di ogni confraternita (dal XVI secolo è attestata la processione una volta all'anno al Santuario d'Oropa, quasi sempre accompagnata da un pasto in comune). La processione per la visita ai Sepolcri del Giovedì Santo era accompagnata dal rito della flagellazione (o disciplina), ancora attestato nel XVIII secolo e per il quale era previsto l'acquisto di acquavite per i flagellanti. Per quanto riguarda le sepolture era d'obbligo la partecipazione per la morte di un membro della confraternita, ma spesso le confraternite erano chiamate a partecipare alle sepolture di esterni, e in tal caso percepivano un compenso.
Aggregazioni alle arciconfraternite romane. Per molte confraternite biellesi si rilevano, lungo il XVI e XVII secolo, aggregazioni a arciconfraternite romane (o, più raramente, torinesi), il che garantiva loro la possibilità di godere degli stessi benefici e indulgenze concesse dai papi a queste ultime. Altre ricadute di queste iniziative erano l'adozione dei loro regolamenti, che andavano ad aggiungersi a quelli della confraternita, e variazioni di colore della divisa, originariamente per tutte bianca (un obbligo, quello di portare la divisa, che riguardava solo gli uomini): l'aggregazione all'arciconfraternita della S. Trinità comportava una divisa rossa, quelle all'arciconfraternita del S. Crocifisso o della Misericordia una nera.
Liti. Frequenti nella documentazione biellese le attestazioni relative a liti di vario genere, per lo più derivate da questioni di concorrenza fra confraternite, oppure fra queste ultime e i parroci. Nel primo caso erano in gioco l'ordine di precedenza nelle processioni cittadine (il sinodo del 1666 ribadisce che l'ordine deve far riferimento all'antichità della confraternita), o per l'esclusiva nella partecipazione ai funerali tenuti in una certa parrocchia; nel secondo il diritto delle confraternite a celebrare messe e uffici nella propria chiesa, e la loro autonomia nella gestione economica. Un sinodo del 1749 si sofferma a lungo su queste questioni, e stabilisce che le messe e gli uffici recitati nelle chiese delle confraternite non devono in alcun modo intralciare le funzioni parrocchiali, né devono essere considerati sostitutivi di queste ultime. L'insofferenza delle confraternite per questi limiti è provata non solo dalle numerose liti sorte in proposito, ma anche dalla difficoltà che i vescovi incontrano nell'imporre ai priori tutti quegli atti formali tesi a sottoporre queste associazioni al controllo del parroco, come la presentazione a quest'ultimo dei conti della confraternita.
La fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo segnalano un tracollo definitivo per molte confraternite biellesi: le disposizioni del governo sabaudo alla fine del XVIII secolo determinano la vendita delle loro proprietà, durante la dominazione francese alcune vengono soppresse (S. Marta e S. Sudario), ad altre sono sottratte le chiese di appartenenza (S. Cassiano e S. Pietro), o il controllo sulle istituzioni da esse formate (l'ospedale per S. Trinità o il Monte di Pietà per S. Cassiano).
 
Confraternita di S. Anna (XVI s.)
(Biella Piazzo)
Stando a cronache locali del XVII e XVIII secolo i più antichi documenti relativi alla confraternita di S. Anna, non più reperibili, daterebbero al XIV secolo, facendone la più antica del biellese; tuttavia il primo documento a nostra disposizione è un acquisto di terra nel 1519. La prima sede conosciuta (1527) è la chiesa del Beato Giovanni Borgognone, nella costa del Piazzo (un testamento prevede un legato di 5 fiorini "societati Sancte Anne que fit in ecclesia beati Johannis que est scita in costa Andurnj in loco Bugelle"). Nel 1539 la confraternita fu aggregata all'ordine dei canonici regolari lateranensi. Nel 1543 una bolla di papa Paolo III risolve a favore della confraternita una questione, sorta con il capitolo di S. Stefano, relativa alla partecipazione alle processioni e alle sepolture. Alla metà del XVI secolo la confraternita contava ottanta membri, fra i quali erano scelti due volte l'anno il priore, il vicepriore, cantori, procuratori, consiglieri, maestri dei novizi, sacristi. Successivamente - la prima attestazione è del 1553 - la confraternita si sposta nella chiesa di S. Antonio, fino ad allora officiata dai padri di S. Antonio di Vienne, situata al termine della stessa costa. Dalle visite pastorali d'inizio Seicento risulta che S. Anna era la confraternita più numerosa della città, e il numero dei suoi confratelli era cresciuto a duecento membri. Fra gli obblighi della confraternita, minuziosamente elencati in una Tavola degli obblighi corali annui e perpretui della M.V. Compagnia di S. Anna del 1658, vi era l'elemosina ai poveri della città di un pane di segala durante la festa di S. Anna; la divisa, di tela bianca, era riservata solo agli uomini, e il tentativo, nel 1759, di estenderla alle donne non andò a buon fine. Nella seconda metà del Seicento si susseguono liti con altri enti ecclesiastici del Piazzo - i frati di S. Domenico, il parroco di S. Giacomo - e con il parroco di Cossila: le questioni concernevano le funzioni celebrate nella chiesa della confraternita e la sua partecipazione ai funerali dei membri defunti, sgradita ai titolari delle parrocchie ove questi erano residenti. Durante l'Ottocento il numero dei confratelli diminuisce sempre più, assieme ai numerosi possessi accumulati per donazione. Attualmente il nome di confraternita di S. Anna è rimasto per indicare l'amministrazione della chiesa omonima.
(Lebole, C, I; Lebole, OR, I)
 
Confraternita di S. Cassiano (XVI s.)
(Biella Piano)
Il primo documento in cui è citata è una bolla cardinalizia del 13 novembre 1500, dove si concedono indulgenze a chi visiti la chiesa di S. Cassiano, dove "est quedam laudabilis confraternitas in honorem sancti Cassiani", e contribuisca alla sua riparazione. La confraternita, formata da donne e uomini, fu riconosciuta e ufficialmente consacrata dal vescovo di Vercelli nel 1521, e pochi anni dopo, nel 1524, venne redatto un regolamento che è il più antico conservatosi per le confraternite biellesi. Nel 1584 fu concessa l'aggregazione all'arciconfraternita del Crocefisso della chiesa di S. Marcello di Roma, che oltre alla possibilità di godere di privilegi e indulgenze, determinò il passaggio della divisa dal bianco, comune a quasi tutte le confraternite, al nero. Nel 1586, su iniziativa di due membri della confraternita appartenenti alla famiglia Bertodano, venne fondato il Monte di Pietà, che per molti secoli fu gestito da questa istituzione religiosa. Nel Seicento la carica di priore, salvo casi eccezionali come le epidemie di peste, durava come nelle altre confraternite sei mesi; fra i doveri della confraternita vi era l'elemosina di un pane di segala nella festa di S. Cassiano. Il continuo aumento dei confratelli - una settantina nel 1576, un centinaio all'inizio del secolo successivo - determinò la decisione di abbandonare la primitiva chiesa di S. Cassiano, situata presso la porta della città che immetteva sulla via per Chiavazza, e di costruirne un'altra con lo stesso titolo nel centro dello stesso rione di Riva. La costruzione era già avviata nel 1636, e proseguì con diverse difficoltà: più volte (1637, 1657) fu avanzata da parte della confraternita la richiesta, sempre respinta, di poter demolire la chiesa vecchia per utilizzare i materiali per la nuova costruzione. Il numero dei confratelli, alla fine del XVII secolo, si aggira intorno ai cinquecento. Con la soppressione della confraternita di S. Marta, l'assistenza ai carcerati e ai condannati a morte fu assunta dalla confraternita di S. Cassiano, che tuttavia cominciò una fase di declino che si protrarrà per tutto il XIX secolo. Nel 1898 la chiesa di S. Cassiano viene ceduta ai salesiani, e nel 1919 la confraternita smette ogni attività.
(Lebole, C, I; Lebole, OR, I)
 
Confraternita dei SS. Fabiano e Sebastiano e della SS. Trinità (XVI s.)
(Biella Piano)
La confraternita fu fondata sotto il nome dei SS. Fabiano e Sebastiano in una cappella della chiesa di S. Maria in Piano (l'attuale cattedrale). Il primo documento che ne fa menzione risale al 1513: in esso il vescovo di Vercelli ordina ai ministri della chiesa di S. Maria e alla "fraternitas sanctorum Fabiani et Sebastiani" di contribuire alle riparazioni della chiesa collegiata di S. Stefano. Nel 1579 la confraternita si aggrega all'arciconfraternita dei pellegrini e convalescenti della SS. Trinità a Roma, aggiungendo il titolo della SS. Trinità a quelli dei SS. Fabiano e Sebastiano, e adottando la divisa di colore rosso. Le visite pastorali seicentesche attestano che la confraternita ruotava intorno ad un centinaio di membri e che, come accadeva per altri enti similari, non rispettava l'obbligo di far portare la divisa a tutti i membri e di presentare annualmente i conti a chi di competenza (in qesto caso il parroco di S. Stefano). In conseguenza dell'aggregazione all'arciconfraternita romana la confraternita assunse l'obbligo di costruire un ospedale per i pellegrini e gli ammalati indigenti. Questo venne iniziato nel 1623 contestualmente all'erezione della chiesa della SS. Trinità che dava sulla via Maestra (attuale via Italia, dietro al Duomo). Durante la dominazione francese non fu soppressa ma perse il diritto di amministrare l'ospedale. Nel 1912 fu approvato un ultimo regolamento della confraternita che tuttavia riguardava ormai la sola amministrazione della chiesa.
(Lebole, C, I; Lebole, OR, I)
 
Confraternita di S. Giorgio (XIV s.)
(Vernato)
Come accade nel caso della confraternita biellese di S. Spirito la Caritas Sancti Georgii, di cui abbiamo notizia dagli statuti trecenteschi del Vernato, era sottoposta al controllo del comune dello stesso luogo, che si occupava attraverso i consoli anche della raccolta delle offerte: ogni abitante di Vernato e Ghiara deve dare una mina di segale (se bifolco o possessore di più di 3 bubulconie di terra), o un quartarone (se manovale) [Crovella 1977, art. 149, 182 e 200]. Con decreto ducale del 1618 i beni della confraria vernatese, come delle altre confraternite del S. Spirito dislocate nel territorio sabaudo, vengono venduti (i beni di S. Giorgio vengono acquistati da Gerolamo Bertodano).
(Lebole, C, I)
 
Confraternita di S. Marta (XVI s.)
(Biella, Piano)
Il primo documento che ne parla data al 1539: un testamento assegna uno scudo d'oro "societatj disciplinatorum sancte Marte plani Bugelle". La confraternita ha sede nella chiesa di S. Marta e ha come principale finalità l'assistenza ai carcerati (il carcere del comune si trovava al Piazzo). Nel 1576 la confraternita aveva un centinaio di membri, e un frate agostiniano del convento di S. Pietro era stipendiato per celebrare quotidianamente una messa nella chiesa di S. Marta. Tutte le cariche interne alla confraternita - priore, consiglieri, procuratori, maestri dei novizi, inferieri, sacrista - duravano sei mesi, una prassi comune agli enti di questo tipo. In conseguenza dell'aggregazione all'arciconfraternita di S. Giovanni Decollato e a quella omonima di Torino, avvenuta nel 1590, la confraternita muta il colore della divisa (dal bianco al nero), e inserisce fra le sue competenze l'assistenza ai condannati a morte: a tale scopo era stato costruito un sepolcro all'interno della chiesa di S. Marta (i carcerati che morivano di morte naturale erano invece sepolti nella chiesa di S. Giacomo al Piazzo). Alla fine del XVI secolo, in occasione del rifacimento della chiesa, la confraternita di S. Marta si trasferisce temporaneamente a S. Eusebio, ormai ridotto a un oratorio campestre "extra et prope oppidum Bugelle". La confraternita fu soppressa nel 1807 dal vescovo di Vercelli Canaveri, che ne attribuì i beni alla parocchia di S. Stefano sotto la cui giurisdizione rientrava la chiesa di S. Marta. Il vescovo Bollati diede l'assenso alla vendita all'incanto della chiesa nel 1826.
(Lebole, C, I)
 
Confraternita di S. Nicola (XVI s.)
(Vernato, strada dei Conciatori)
Le origini della confraternita sono difficili da ricostruire a causa della perdita dei documenti anteriori al 1690, quando un incendio mandò in fumo l'intero archivio. Aveva sede nella chiesa di S. Nicola, al Vernato (attuale via dei Conciatori angolo via Marucca), ed esisteva già certamente nel 1553, quando fu redatta una "Memoria de li hominij et done de la Compagnia dij Santo Nichola de Tolentino" (ma il suo riconoscimento ufficiale risale probabilmente solo al 1581). Da una visita pastorale redatta nel 1576, risulta che la confraternita contava all'epoca circa 59 membri, aveva una divisa bianca, contava al suo interno un priore, un sottopriore, consiglieri, infermieri e un sacrista eletti due volte l'anno; durante la festa di S. Nicola veniva elargito un pane ad ogni famiglia del Vernato. All'inizio del XVII secolo i confratelli risultano essere più di cento, e la divisa è nera. A differenza di quanto accade per quasi tutte le altre confraternite biellesi, per S. Nicola non si registrano aggregazioni ad altre confraternite. Nel 1731 la confraternita disponeva di proprietà, oltre che in Biella, in Occhieppo e in Favaro: quasi tutte furono vendute in seguito al decreto del governo piemontese del 1796. Alla fine del XVIII secolo o all'inizio del successivo si apre una questione fra la confraternita e il parroco di Vernato per la presentazione annuale dei conti (un obbligo che le visite pastorali mostrano disatteso dalla maggior parte delle confraternite). La confraternita partecipava assiduamente alle sepolture - "eccettoché i parenti siano molto poveri", ci informa una relazione del 1819 - non solo nella giurisdizione della parrocchia ma anche nel resto della città: ognuna fruttava tre lire "con una torchia". La confraternita si impegnò attivamente nel garantire una scuola per l'istruzione ai ragazzi del Vernato, fornendo locali e devolvendo a tale scopo parte delle sue entrate. La scuola elementare del Vernato divenne Ente Morale con regio decreto di re Umberto I.
(Lebole, C, I)
 
Carità della Madonna del Piano (XIV s.)
(Biella Piano)
Viene istituita nella seconda metà del XIV secolo, con sede nella chiesa di S. Maria del Piano: le prime attestazioni sono reperibili nei testamenti a partire dal 1372, dove si dispongono lasciti "caritati beate Marie de Bugella" (vedi ad es. ARMO, I, docc. 49, 51, 52, 53, 55). La carità, probabilmente sotto forma di pane, veniva elargita durante la festa dell'Annunciazione. Un consegnamento del 1587 attesta la proprietà di terreni e case in città. La documentazione sulla carità di S. Maria prosegue fino al XVIII secolo inoltrato ma cessa dopo il 1772: forse questa data, in cui la chiesa di S. Maria assunse il titolo di cattedrale, segnò la soppressione dell'istituto.
(Lebole, C, I)
 
Confraternita dei SS. Paolo e Elisabetta (XVI s.)
(Biella Piano)
L'archivio è andato quasi completamente perso. Secondo la tradizione locale la confraternita, che aveva sede nella chiesa di S. Paolo nell'omonimo quartiere, ha le sue origini nel XV secolo. Di fatto il primo dato certo della sua esistenza sono i suoi statuti, che risalgono al 1539: furono stesi da un frate del convento di S. Francesco, e hanno molti punti in comune con quelli della confraternita di S. Cassiano. La visita pastorale del 1576 elenca 125 membri, fra cui un priore, un sottopriore, nove consiglieri, due infermieri e un maestro dei novizi. Queste cariche, come nelle altre confraternite, erano rinnovate due volte all'anno. Nel 1580 la confraternita si aggregò all'arciconfraternita del Gonfalone di Roma. Come accade nei riguardi di quasi tutte le confraternite biellesi, le visite pastorali segnalano più volte lungo il Seicento la ritrosia a presentare annualmente i conti al vicario vescovile e l'inosservanza dell'obbligo di portare la divisa (che riguardava gli uomini e non le donne). Un altro problema, non sappiamo se comune agli altri enti, riguardava l'ammissione nella confraternita di bambini molto piccoli, a volte di 4, 5 e 6 anni, che una volta diventati adulti disattendevano i doveri dei confratelli e a volte disconoscevano la loro appartenenza alla confraternita. Nel 1753 si discusse la possibilità di un'aggregazione alla confraternita di S. Cassiano, ma la richiesta formulata da quest'ultima fu respinta quando ci si rese conto che si trattava di una manovra organizzata dai Filippini, da poco arrivati in città, per ottenere in assegnazione la chiesa di S. Paolo. Dal 1781, in conseguenza di un lascito testamentario, una delle sue finalità divenne la cura delle orfane. La costruzione di una casa da adibire a tale scopo, temporaneamente accantonata durante il governo napoleonico, tornò all'ordine del giorno dopo il ritorno del governo sabaudo. Fu infine deciso di utilizzare a questo scopo il soppresso convento delle cistercensi di S. Caterina (oltre all'orfanotrofio, attivo dal 1819 e chiamato Ravetti in onore del benefattore, l'edificio ospitò dal 1839 un educandato per ragazze, poi detto Istituto S. Caterina). Nel 1809 la confraternita contava circa 130 membri e da almeno nove anni risultava officiare nella chiesa di S. Filippo (la chiesa di S. Paolo vecchia che aveva mutato nome), che la soppressione della comunità di Filippini aveva reso disponibile (la chiesa di S. Paolo nuova, d'altro canto, era stata requisita dal governo). I confratelli rientrarono in possesso della loro chiesa nel 1819. Nel 1911 la chiesa di S. Paolo fu venduta al comune, che prima la utilizzò come magazzino e poi, nel 1926, la demolì per sistemare l'attuale piazza primo Maggio. Il ricavato della vendita venne impiegato dalla confraternita per la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, sempre intitolata a S. Paolo, nel quartiere Borgonuovo (frutto dell'espansione dell'abitato verso sud, si tratta dell'attuale quartiere S. Paolo).
(Lebole, C, I)
 
Confraternita del S. Spirito (XIII s.)
(Piazzo, costa d'Andorno)
La prima attestazione è nel 1201 (Giacomo arciprete di Vercelli dona "pro exequiis meis faciendis" alla chiesa di S. Stefano cento soldi, all'ospedale 20, e "confrarie totidem": Golzio, tesi di laurea, aa. 1972/73, doc. 10). La gestione della confraternita del S. Spirito, presente a Biella come in numerosi altri comuni per iniziativa paracomunale, era sottoposta al controllo del comune, ed è dagli statuti (cfr. Statuti ed. Cancian, art. 68, 75-82, 89-93) che apprendiamo alcune informazioni sull'organizzazione interna dell'istituzione: il priore (prior) era affiancato da amministratori (mestrales), incarico che poteva essere affidato anche a individui che non facevano parte della confraria, e da sagrestani (sorestani). Ogni anno erano eletti il priore e i mestrales per l'anno successivo, e la confraternita doveva rendere conto al comune dei conti e dei beni dell'istituzione (era stabilito che la documentazione prodotta dovesse essere conservata con il resto della documentazione comunale). Ogni membro doveva versare un quantitativo in segale il giorno di S. Eusebio e in denaro il giorno di Pentecoste; i vari sagrestani, quartiere per quartiere, erano incaricati della raccolta di queste donazioni. Durante le feste di pentecoste il priore e i sagrestani facevano suonare la campana per radunare i poveri e dare loro "elemosinam seu confrariam"; la carità, per lo più in pane e legumi, veniva fatta nel cimitero della collegiata di S. Stefano, nei pressi del quale la confraternita possedeva una casa (forse la stessa che il comune utilizzava, approfittando delle sue dimensioni, per le riunioni eccezionali che coinvolgevano tutti i capi casa del Piano e del Piazzo: Statuti ed. Cancian, art. 367). Con decreto ducale del 1618 i beni della confraria biellese, come delle altre confraternite del S. Spirito dislocate nel territorio sabaudo, vengono venduti.
(Lebole, C, I)
 
Confraternita del S. Sudario (XVII s.)
(Biella Piazzo)
Ultima in ordine di tempo fra le confraternite biellesi, viene istituita nel 1640 presso l'oratorio di S. Rocco dell'Ollera, lungo la costa del Vernato, ed era soggetta alla parrocchia di S. Giacomo del Piazzo. Nel 1666 la confraternita inizia la costruzione di una nuova chiesa, intitolata al S. Sudario, presso palazzo Ferrero al Piazzo. Nel 1678 è attestata l'aggregazione all'arciconfraternita del S. Sudario e della Madonna delle Grazie della parrocchiale di S. Pietro del Gallo di Torino, in conseguenza della quale la confraternita biellese aggiunse alla propria divisa, di colore bianco, un cordone rosso. Un elenco di vent'anni successivo attesta che la confraternita aveva proprietà, oltre che in Biella, in Gaglianico e Pralungo. Le visite pastorali del XVII secolo annotano anche per questa confraternita le solite mancanze nel funzionamento di questi enti: inosservanza nell'obbligo (che riguardava solo gli uomini) di portare la divisa, una certa trascuratezza nell'osservare le regole interne, la resistenza all'obbligo di presentare sistematicamente i conti al parrocchiano sotto la cui giurisdizione ricadeva. Una delle finalità principali della confraternita consisteva nel suffragio alle anime dei defunti, e a tal scopo era stata costituita al suo interno una compagnia "dell'Anime purganti". Nel 1763 viene richiesta e ottenuta l'aggregazione all'arciconfraternita di Maria Santissima del Buon Consiglio di Roma, in conseguenza della quale, oltre a cambiare nuovamente divisa, la confraternita cominciò a chiamarsi del S. Sudario e della Vergine del Buon Consiglio. Con le requisizioni del governo sabaudo prima (1792-1794) e la dominazione francese poi la confraternita perse tutti i suoi beni, e nel 1807 il vescovo di Vercelli, mons. Canaveri, ne decretò la soppressione e l'attribuzione delle sostanze, ormai limitate alla chiesa, alla parrocchia di S. Giacomo del Piazzo (1807).
(Lebole, C, I)
 
Confraternita della SS. Trinità (XVII s.)
(Chiavazza)
Le prime attestazioni di questa confraternita, che aveva sede nella chiesa di S. Antonio Abate di Chiavazza, risalgono al XVI secolo. Dalla visita pastorale dell'anno 1600 risulta che la confraternita si era aggregata nel 1585 all'arciconfraternita della SS. Trinità di Roma, che contava circa 200 membri, e che la divisa era di colore rosso. Le visite seguenti si soffermano sulla scarsa osservanza delle regole e su una certa negligenza dei confratelli sia nell'adempiere agli uffici sia nell'obbedienza al priore. Pare che l'elezione delle cariche fosse, a differenza delle altre confraternite, concordata con il parroco del luogo. Un tentativo di emanciparsi da un controllo evidentemente sentito come troppo stretto dev'essere stato all'origine della disputa scoppiata alla metà del XVIII secolo con il parroco Tolomeo Galimberti, che non gradiva la concorrenza: il nuovo priore, un sacerdote, aveva notevolmente incrementato il numero di messe celebrate nella chiesa della confraternita, giorni feriali compresi, scatenando le rimostranze non solo verbali del parroco (la chiesa di S. Antonio era per giunta nella stessa piazza della parrocchia). Le ultime notizie sulla confraternita datano al 1939, quando risulta composta da soli sei membri.
(Lebole, C, I)
 
Monte di Pietà (XVI s.)
(Biella Piano)
I primi tentativi di erigere a Biella un Monte di Pietà furono effettuati nel 1578 dal vescovo di Vercelli Francesco Bonomi, che intendeva destinare a tal scopo i redditi dell'Ospedale e della Confraternita del S. Spirito, ma il progetto prolungatosi con il coinvolgimento del comune e degli enti suddetti fino al 1584 non ebbe esito positivo. Se ne assunse poi l'incarico la confraternita di S. Cassiano, che lo portò a termine del 1586: la prima sede del Monte di Pietà fu quindi nel quartiere di Riva. Nel 1600 la cospicua eredità disposta da Annibale Battiani a favore dell'ente portò il trasferimento dello stesso dal Piano al Piazzo, nel quartiere Bellone, perché il testatore aveva posto la condizione che l'attività fosse esercitata nella casa di sua proprietà. La scomodità del sito fu all'origine, negli anni '80 del XVIII secolo, del tentativo intrapreso dalla confraternita per spostare nuovamente il Monte di Pietà al Piano: ottenuta l'approvazione regia nel 1788, il progetto non andò a buon fine per l'opposizione di alcune nobili famiglie del Piazzo, spalleggiate dall'intendente di Biella. Il governo napoleonico tolse il Monte di Pietà dal controllo della confraternita, ma ne determinò lo spostamento al Piano nei locali, prima adibiti ad ospedale, adiacenti alla chiesa della SS. Trinità. La confraternita tornò ad occuparsi dell'ente nel 1814, con il ritorno del governo sabaudo. Dal 1878 l'amministrazione, per regio decreto, fu composta da sei membri: tre nominati dalla confraternita e tre dal consiglio comunale, al quale spettava anche la nomina del presidente. Nel 1903 fu scelta quale nuova sede del Monte di Pietà un edificio, tuttora adibito alla stessa funzione, posto all'incrocio fra le attuali via Repubblica e via XX settembre.
 
3. Monasteri e conventi
Nota generale. In Biella è attestata la presenza dell'ordine cistercense (convento di S. Agata del Vernato - ex S. Maria del Ponte del Cervo -, poi S. Caterina del Piazzo), francescano (convento del Bardone e di S. Francesco), dei Cappuccini, dei minori riformati (convento di S. Antonio e di S. Sebastiano), antoniani (convento di Antonio Abate del Piazzo); agostiniani (convento di S. Pietro), domenicani (convento di S. Domenico), lateranensi (convento di S. Sebastiano), i gerolamini (convento di S. Gerolamo), i somaschi (orfanotrofio e scuole), della Compagnia di Gesù, degli agostiniani scalzi (convento di S. Carlo), della congregazione dell'Oratorio di S. Filippo.
La relazione dei visitatori della Provincia del 1651 attesta che il convento degli antoniani aveva la comunità più numerosa: undici individui a fronte degli otto del convento di S. Domenico, sette del convento degli agostiniani scalzi e del convento dei francescani conventuali, nove del convento dei Cappuccini, un secondo convento di agostiniani scalzi con otto persone, cinque nel convento dei canonici regolari e dei somaschi.
Nel 1800 (Roccavilla 1997) erano già stati soppressi i padri somaschi, i gesuiti, i gerolamini, i canonici lateranensi di S. Sebastiano, i benedettini. Con decreto del 16 agosto 1802 vengono soppressi i seguenti conventi (ASVc, Dipartimento della Sesia, Registro conventi soppressi, cart. 500bis):
- monache di S. Caterina, con possessi a Biella, a Sandigliano, Gaglianico, Mottalciata, Lessona e con una rendita totale annua pari a 4000 franchi ca.
- monaci agostiniani del convento di S. Carlo con beni a Biella e a Lessona e un'entrata annua pari a 225 franchi.
- padri minori conventuali di S. Francesco con beni a Biella, Salussola e Quaregna e con una rendita annua pari a 15 franchi.
- padri minori osservanti di S. Francesco del convento di S. Antonio con beni a Biella e una rendita annuale pari a 300 franchi.
- i domenicani del convento di S. Domenico con beni a Biella e a Massazza (rendita non dichiarata).
 
Monastero di S. Agata (XIII s.)
(Vernato)
Il monastero nasce con il trasferimento della comunità di monache e dei conversi di S. Maria Maddalena del Ponte del Cervo (vedi voce corrispondente), dove tuttavia rimarrà un oratorio sottoposto al nuovo monastero. Le monache cistercensi, sottoposte all'autorità dell'abbazia di Lucedio, si trasferiscono al Vernato, allora comune autonomo, nel 1263, ma mantengono il diritto di scegliere un individuo (un converso nel XIV e XV secolo, un eremita nel XVIII) che si prenda cura dell'oratorio di S. Maria del Ponte e della casa annessa. Nel nuovo monastero sono presenti anche dei conversi, che tuttavia figurano esclusivamente nelle transazioni fondiarie, in qualità di rappresentanti delle monache. Negli anni '30 del XIV secolo si susseguono a breve distanza una serie di controversie relative alle decime di cui il monastero si dichiarava titolare: con il comune di Vernato e con la famiglia Gromo (1324), con la famiglia di Maio nel 1326. In quest'ultima causa si dichiara che i terreni rientrano "infra limites parrochie ecclesie Sancte Agathe de Vernato", e che "conventus dicti monasterii Sancte Agathe habet populum cui per capitulum dicti conventus ministratur ecclesiastica sacramenta": i procuratori delle monache concludono che "decima omnium terrarum et possessionum sitarum infra limites parrochie de Vernato ad ipsum monasterium pertinet". Nel 1328 si conlude un'altra controversia che riguarda le decime del cantone Cangio in Pollone (che rientrava nella giurisdizione della parrocchia di Vernato): un terzo è attribuito alle monache, i restanti due terzi ai frati di S. Bartolomeo di Oropa. Le monache erano solite uscire dal monastero per seguire personalmente i lavori agricoli sui loro possedimenti. Il 28 giugno del 1417, durante una di queste ricognizioni, la badessa Imiliota de Pectenatis viene duramente ripresa in merito a un diritto di passaggio da un vernatese, Bartolomeo Muzasoto: l'uomo non si limita alle contestazioni verbali ma, "spirito diabolico inspiratus", getta la badessa a terra e poi, "non contentus, sed mala malis cumulando", la prende a calci minacciando di affogarla nel rio Bolume ("ipsam sic prostratam percusit cum pedibus sibi dicens: «Ego faciam te hodie bibere de ista aqua que appellatur Bolumum»": Lebole, OR, I, pp. 333-34). L'autonomia del monastero rispetto all'ordinario diocesano sembra perdersi gradualmente lungo il XIV secolo, e nel successivo le visite pastorali, prima effettuate dall'abate o dai monaci di Lucedio, vengono effettuate dai vicari vescovili. Nel 1428 una nuova causa relativa a fitti e decime oppone il monastero al capitolo di S. Stefano, che si riteneva creditore per i terreni che le monache possedevano sul territorio di Biella. Nel 1432, a causa dello spopolamento del Vernato (che per questa ragione era stato da poco annesso al comune di Biella) e delle guerre, le monache fanno richiesta di potersi trasferire in un nuovo monastero posto nel centro abitato. Altri tentativi, sempre infruttuosi, vennero fatti a partire dagli anni '80 del secolo: con il trasferimento del monastero quest'ultimo sarebbe passato all'ordine eremitano di S. Agostino, fortemente propugnato nei primi anni del Cinquecento da Sebastiano Ferrero, fondatore a Biella del convento di S. Sebastiano. Da una supplica della badessa indirizzata nel 1550 al papa emergono forti contrasti con il comune biellese, responsabile di non difendere il monastero nei suoi diritti e anzi di avallare ogni sorta di sopruso e di violenza. Forse per questa ragione quando, in seguito alle direttive del Concilio di Trento, il vescovo Ferrero avviò il procedimento per trasferire il monastero entro la cinta muraria incontrò una decisa opposizione delle monache, sostenute dall'abate di Lucedio. Solo nel 1571 le monache si trasferiscono nel nuovo convento di S. Caterina al Piazzo (vedi voce corrispondente). La chiesa di S. Agata andò in rovina nei decenni successivi, mentre il monastero costruito accanto, pur rimanendo di proprietà del nuovo monastero, venne adattato a casa colonica, e nel 1735 servì da ricovero per il bestiame colpito da un'epidemia.
(Lebole, OR, I)
 
Convento di S. Antonio (XVII s.)
(Biella Piano, incrocio delle attuali via Garibaldi e via Arnulfo)
La proposta di far venire una comunità di frati minori Osservanti di S. Francesco (o padri zoccolanti) fu avanzata nel 1607, senza che andasse a buon fine, e poi di nuovo nel 1635. In quest'ultima occasione intervennero i Dal Pozzo, acquistando un sito nelle fini di Ghiara per la costruzione del nuovo convento. La vicinanza del luogo al convento di S. Domenico determinò una lite e la sospensione dei lavori, con la conseguente decisione della comunità di costruire un nuovo convento e una chiesa al Piano. La costruzione ebbe inizio nel 1647 all'incrocio delle attuali via Garibaldi e via Arnulfo. La relazione dei Visitatori della Provincia del 1651 attesta che rispetto agli altri sette conventi della città quello degli Antoniani aveva la comunità più numerosa: undici individui a fronte degli otto del convento di S. Domenico, sette del convento degli Agostiniani Scalzi e del convento dei francescani Conventuali, nove del convento dei Cappuccini, un secondo convento di Agostiniani Scalzi con otto persone, cinque nel convento dei canonici regolari e dei Somaschi. Il convento fu soppresso nel 1802 e all'epoca non aveva proprietà oltre agli edifici ecclesiastici.
 
Convento del Bardone (XV s.)
(Biella, loc. Bardone, incrocio strade Tollegno-Pralungo)
La fondazione del convento di francescani avvenne per iniziativa comunale nel 1448, in località "mons Berdoni", nei pressi del ponte che attraversava il torrente Oropa in direzione di Tollegno e Pralungo. All'atto della sua inaugurazione, cui parteciparono il chiavaro di Biella, il podestà d'Ivrea e il vescovo di Vercelli, fu posto sotto la giurisdizione della collegiata di S. Stefano. Dopo pochi anni, nel 1457, forse per l'isolamento del luogo, la comunità di conventuali abbandonò il sito, trasferendosi all'interno del centro abitato di Biella, nel quartiere S. Paolo (vedi voce "Convento di S. Francesco"). Il convento fu demolito mentre la chiesa continua ad essere attestata nei decenni successivi: in occasione della peste del 1599 risulta utilizzata come lazzaretto, l'ultima traccia documentaria risale alla visita pastorale del 1606, dove se ne attesta il profondo degrado.
(Lebole, OR, I)
 
Convento dei Cappuccini (XVI s.)
(Piazzo, attuale Salita dei Cappuccini)
Alla presenza in Biella di una comunità di Cappuccini collaborarono, alla metà del XVI secolo, il comune di Biella e le famiglie Dal Pozzo e Masserano. I frati si installarono a Biella nel 1554. Dopo una breve permanenza nella chiesa di S. Teodoro, scelta dal padre francescano Girolamo da Milano e situata in luogo isolato nella baraggia di Vernato (cfr. voce corrispondente in Chiese-Barazzetto), la comunità si trasferì (1563-64) nel centro abitato, nei pressi della porta della Torrazza al Piazzo. Durante la peste del 1599 alcuni frati di questo convento esercitarono l'ufficio di cappellani nel lazzaretto di Campagnate (cfr. S. Maria di Campagnate). La provenienza milanese di diversi membri della comunità creò attriti con il comune nel 1614, quando per effetto dei cattivi rapporti fra Carlo Emanuele di Savoia e il vicereame spagnolo di Milano i rettori di Biella furono invitati ad espellere i frati di provenienza straniera. Negli anni '30 del Seicento si procedette a nuovi lavori di ampliamento del convento e della chiesa, divenuti insufficienti per le esigenze della comunità. Il convento fu soppresso nel 1802, entrò in mani private e fu demolito qualche decennio dopo.
(Lebole, OR, I)
 
Convento di S. Carlo (XVII s.)
(Biella Piano, attuale ist. Belletti Bona)
Fu costruito nel 1656 per iniziativa della comunità di Agostiniani Scalzi, che in precedenza avevano sede nella chiesa di S. Nicola al Vernato e successivamente (XVII secolo) nel sito messo a loro disposizione dai Dal Pozzo in Ghiara, presso il convento di S. Domenico. Quando il convento viene soppresso in conseguenza delle leggi napoleoniche, nel 1802, risulta avere beni a Biella e a Lessona.
 
Convento di S. Caterina (XVI s)
(Biella Piazzo, poi Biella Piano)
La costruzione del convento ha inizio intorno al 1564 per volere di Caterina Vassallo, che intendeva fondare in Biella una comunità di Clarisse e che nel 1565 aveva ricevuto a questo scopo l'approvazione papale. La morte della fondatrice, poco prima della fine dei lavori, determina il fallimento del progetto: per volontà del vescovo vercellese Guido Ferrero il monastero diviene sede delle monache cistercensi di S. Agata, che prendono il nome di S. Caterina in onore della fondatrice; il trasferimento avviene nel 1571 dopo una lunga e faticosa trattativa con la sede vescovile. Le visite pastorali che si susseguono a partire dal 1600 testimoniano da una parte la prosecuzione dei lavori nell'edificio, dall'altra la crescita della comunità. Proprio quest'ultimo fattore, unito alle difficoltà dettate dai difficili collegamenti con il Piano e un'eccessiva esposizione delle monache agli sguardi e ai motteggi dei "secolari", determina alla metà del Settecento un ulteriore trasferimento della comunità al Piano. Il nuovo monastero viene costruito, su progetto dell'Ing. Beltramo, all'angolo fra le attuali via Orfanotrofio e via Ravetti, e le monache vi si trasferiscono nel 1762. Il vecchio edificio al Piazzo viene adibito ad abitazione privata e poi a scuola. Quando, nel 1802, il nuovo monastero al Piano venne soppresso risulta in possesso di beni in Biella, Sandigliano, Gaglianico, Lessona.
(Lebole, OR, 1)
 
Convento di S. Domenico (XV s.)
(Biella Piazzo)
La chiesa e il convento furono costruiti a partire dal 1432 sull'area dell'antico castello episcopale al Piazzo, donato ai frati domenicani dal Duca di Savoia. Fu sede di tribunale ecclesiastico dell'inquisizione e fra la sua documentazione si trovano vari processi quattro e cinquecenteschi a streghe del biellese. Fu soppresso nel 1802, e all'epoca risultava in possesso di due cascine a Massazza e una a Biella.
 
Congregazione di S. Filippo Neri (XVIII s.)
(Biella Piano, via S. Filippo)
L'oratorio di S. Filippo viene creato a Biella nel 1742, per interessamento di Cesare Scaglia dei conti di Verrua. Quasi subito nacque una lite con la confraternita di S. Paolo, che aveva temporaneamente concesso loro la chiesa nuova di S. Paolo, e quando dopo pochi mesi aveva tentato di rientrarne in possesso (concedendo in alternativa quella vecchia, di dimensioni minori) aveva incontrato la decisa opposizione dei Filippini. Questi ultimi tentarono negli anni successivi varie strade per ottenere nuovamente la chiesa di S. Paolo nuova, ma né il ricorso ai vescovi vercellesi né l'appoggio della confraternita di S. Cassiano si rivelarono produttivi. La comunità dei Filippini fu soppressa in epoca napoleonica (all'epoca contava 11 sacerdoti e 4 laici e parte dei suoi possedimenti erano già stati incamerati dal governo sabaudo) e venne restaurata nel 1816, riottenendo la chiesa di S. Filippo (la chiesa vecchia di S. Paolo che aveva mutato nome).
(Lebole, OR, I; Roccavilla 1990)
 
Convento di S. Francesco (XV s.)
(Biella Piano, quartiere S. Paolo, attuale piazza Martiri)
Il convento di S. Francesco, situato nel quartiere S. Paolo, comincia ad essere attestato negli anni '60 del Quattrocento, quando la comunità di minori conventuali, che aveva sede nel neonato convento del Bardone, progetta di trasferirsi in città. Non è chiaro se il nuovo convento sia stato costruito dal nulla, come sembrerebbero attestare le donazioni e gli acquisti di terreno a partire dal 1473 (Lebole), o se siano stati adattati a questo scopo alcuni edifici precedentemente occupati da una comunità di francescani che li avevano poi abbandonati. Quest'ultima versione sembrerebbe avvalorata da una notizia del Mullatera, tratta da un documento non più esistente: nel 1463 il comune di Biella chiede e ottiene da papa Pio II il permesso di attribuire alla comunità di francescani conventuali del Bardone un convento e una chiesa in città di proprietà dei Padri francescani dell'Osservanza. Questo elemento si aggiungerebbe ad altre isolate attestazioni sull'esistenza a Biella di una comunità di francescani prima della fondazione quattrocentesca del Bardone: innanzitutto l'iniziativa comunale del 1235 (vedi voce "convento di S. Pietro"), poi le attestazioni, riportate dal Provinciale Ordinis Fratrum Minorum vetustissimum secundum codicem Vaticanum nr. 1960 e dagli Annales Minorum (to. IX), sull'esistenza a Biella nel XIV secolo di un convento francescano sotto la custodia di Vercelli e facente parte della Provincia di Milano. In ogni caso donazioni testamentarie per la "fabbrica di S. Francesco" si susseguono per tutto il Cinquecento e oltre. Quando il convento viene soppresso, nel 1802, conta cinque sacerdoti e un laico; risulta in possesso, oltre che dei beni in Biella, di cascine a Salussola e terre a Quaregna (con un reddito pari a 800 lire). Fra il 1803 e il 1804 il comune ottiene dal governo il convento per adibirlo a scuole secondarie, mentre i possessi rimanenti vengono acquistati da privati. Nel 1814 il convento viene concesso per breve tempo ai padri filippini e poi torna in proprietà del comune.
(Lebole, OR, I; Roccavilla 1990)
 
Convento di S. Gerolamo (XV s.)
(Biella, collina di S. Gerolamo)
Fu voluto da Giovanni Gromo (1450ca-1520) ed ebbe la prima sede nella parrocchiale di S. Maria di Chiavazza. Nel 1512 si iniziò al costruire il convento sulla collina detta per l'appunto di S. Gerolamo. Viene soppresso nel 1782. La proprietà dell'edificio passa prima al Seminario di Biella e poi alla famiglia Sella.
 
Monastero di S. Maria Maddalena del Ponte del Cervo (XII s.)
(Biella Piano, al ponte della Maddalena sulla riva destra del Cervo [zona lanificio Pria])
Se si presta fede ai regesti (in ASB, ASCB, s. I, b. 23) elaborati dal Torelli sui documenti dell'archivio del monastero di S. Agata, oggi non più esistenti, una comunità di "Signore del Ponte" esisteva già nel 1150. Il primo riscontro certo risale al 1222, quando il vescovo Ugo di Sessa, su mandato di papa Onorio III, dà permesso a certi "conversis mulieribus et viris" di far costruire un oratorio presso il ponte del Cervo (BSSS 105, doc. 24); in tale occasione la comunità viene sottoposta all'autorità del capitolo di S. Stefano e del vescovo di Vercelli, i quali tuttavia non possono "ponere aliquam personam in ipsa ecclesia sive hospitali" senza il consenso delle converse; peraltro queste ultime non potevano accettare alcun nuovo individuo nella comunità senza l'approvazione del vescovo e del capitolo. La presenza di Pietro "monacus de Lucedio" in qualità di testimone dell'atto anticipa di qualche anno l'adozione della regola cistercense e la dipendenza dal monastero vercellese, sancita in occasione della visita dell'abate di Lucedio Bongiovanni nel 1237 e rimasta tale fino alla soppressione dell'ente nel XIX secolo. L'adozione della regola cistercense da parte della comunità biellese di S. Maria fu patrocinata dal legato papale Giacomo cardinale Prenestino, e si inserisce nel quadro delle riforme promosse da papa Innocenzo III e Onorio III in merito alle comunità religiose non ancora inquadrate in un ordine. Dato lo stato di profonda indigenza delle monache, nel 1260 il vescovo di Vercelli attribuisce loro la chiesa parrocchiale di S. Agata e la cappella di S. Biagio al Vernato (bolla di papa Alessandro IV). Le monache si trasferiscono a S. Agata nel 1263, ma il precedente oratorio di S. Maria del Ponte e la casa annessa rimangono alle loro dipendenze ("monasterium sancte Marie Magdalene de Ponte Sarvi subest ecclesie de Vernato", si legge nell'elenco delle chiese biellesi del 1298), e manterranno il diritto di scegliere un individuo (prima un converso poi, dal XVII secolo, un eremita) che se ne prenda cura (il rettore pagava alle monache un affitto e doveva riconoscere obbedienza a loro e al monastero di Lucedio, che confermava l'elezione). Nel 1659 la costruzione di un mulino, promossa dalle monache del Vernato, incontra l'opposizione del comune di Biella e sfocerà in una causa dibattuta alla Camera sabauda. La chiesa non è mai ricordata nelle visite pastorali dei vescovi vercellesi, e il convento verrà soppresso in epoca napoleonica.
(Lebole, PB, I, Lebole, OR, I; Torrione 1992)
 
Convento di S. Pietro (XIII s.)
(Biella Piano, Ospedale vecchio)
Nel 1235 il comune comincia ad acquistare terreni dietro la chiesa di S. Pietro "ad edificandum domum fratrum minorum" (BSSS 105, doc. 23). La costruzione si protrae sino agli anni '90 del XIII secolo, con donazioni da parte del comune, del vescovo e di privati. La conferma vescovile dei possessi del convento, nel 1304, ci informa che ad essersi installata, sin dalla metà del XIII secolo, in S. Pietro non era una comunità di francescani ma di eremitani dell'ordine di S. Agostino ("fratrum heremitarum ordinis S. Agustini", BSSS 103, doc. 166). Nel XIV e XV si susseguono le donazioni testamentarie a favore del convento degli agostiniani, retto da un priore. Sono attestate due controversie con il capitolo di S. Stefano a proposito di interventi operati dai frati sulla chiesa, evidentemente senza l'approvazione dei canonici: la prima, del 1358, riguarda una presunta consacrazione della chiesa e del cimitero; la seconda i lavori di ricostruzione della chiesa a partire al 1682. Al tempo del Mullatera (XVIII secolo) nel convento vi era una delle più ricche biblioteche cittadine: alla sua soppressione nel 1802 parte del patrimonio librario verrà trasportato al Santuario di Oropa. La comunità di frati fu trasferita qualche anno prima della soppressione al convento di S. Gerolamo (1799), perché il convento e la chiesa furono attribuiti all'Ospedale della SS. Trinità. Sulla seconda iniziativa comunale di fondazione di un convento francescano vedi voce "Convento del Bardone".
 
Convento di S. Sebastiano (XV s.)
(Biella, Piano, via Arnulfo)
Voluto dai canonici Lateranensi di Vercelli, fu fondato da Sebastiano Ferrero nel 1499. Venne soppresso con regio editto nel 1797.
 
4. Ospedali
Ospedale di S. Spirito o di S. Giacomo (XIII s.)
(Piazzo, piazza prospicente S. Giacomo)
Nelle prime attestazioni è detto semplicemente hospitale de Bugella, poi hospitale Sancti Spiriti e, data la vicinanza della chiesa di S. Giacomo, hospitale sancti Jacobi e infine maior. La prima attestazione risale al 1201 (Golzio, tesi di laurea, aa. 1972/73, doc. 10) e, come la confraternita che ne porta il nome, trova una sua regolamentazione negli statuti comunali (cfr. Statuti ed. Cancian, art. 86, 88, 124). L'ospedale accoglieva al suo interno conversi e converse sia di Biella e che del Vernato (art. 124), e un documento del 1304 attesta il rito del loro ingresso nell'ente. Il confratello si recava nella chiesa di S. Stefano e alla presenza dei canonici e del rettore di S. Spirito dichiarava di voler abbandonare il secolo per vivere perpetuo nell'ospedale e osservarne la regola; la cerimonia si concludeva con il preposito che gli poneva "stolam ad collum in signum vere professionis", (ex. in doc. 1304, in ASB, Fam. Dal Pozzo, b. 4). Anche la nomina del ministro, per la quale occorreva la conferma del vescovo o di un suo vicario, seguiva una ritualità particolare: quest'ultimo assumeva la carica prendendo in mano e mostrando ai presenti alcuni oggetti che simboleggiavano la presa di possesso della struttura ("cum veste hostij et pannis lectorum dicti hospitalis in eius manibus exhibendo in signum vere et traddite possessionis"). Una riforma del vescovo Uberto Avogadro, emanata probabilmente nel secondo decennio del XIV secolo, introduce una serie di regole: stabilisce che d'ora in avanti il ministro sia un sacerdote, porti come i conversi la tonsura e una divisa con cappa in panno scuro; le converse devono portare un velo. I neo-conversi devono fare voto di obbedienza, castità e povertà. E' fatto divieto di portare armi e di coltivare chioma e barba, mentre la tonsura deve essere in vista. Ministro e conversi dovevano vivere nella stessa casa, consumare i pasti assieme e in silenzio; le converse osservavano le medesime regole ma in locali distinti. Esistevano un dormitorio comune per gli uomini e uno per le donne. Altre norme stabilivano modalità e tempi della preghiera e del digiuno. La riunione dei confratelli e del ministro è definita, in un documento del 1323, capitulo et conventu. L'ospedale decade nel XV secolo, quando le sue funzioni iniziano ad essere svolte dall'ospedale di S. Lorenzo, fondato nel '300 lungo la costa d'Andorno. Dall'inizio del '500 vengono nominati quali rettori dell'ospedale i Dal Pozzo. A metà del XVI secolo l'ospedale smette le sue funzioni di assistenza ai poveri, diventando ospedale per gli esposti.
(Lebole, PB, III)
 
Ospedale di Santa Maria Maddalena (XIII s.)
(Biella Piano)
Presso la comunità di converse che aveva sede presso l'oratorio di S. Maria Maddalena del Ponte del Cervo (vedi voce corrispondente) è attestato dal 1222 un ospedale (BSSS 105, doc. 24).
 
Ospedale di S. Lorenzo (XV s.)
(Biella Piazzo, costa del Piazzo)
Le prime attestazioni risalgono alla metà del XIV secolo, e parlano di una 'caritas Bugelle', che aveva sede lungo una delle coste che mettono in comunicazione la parte alta della città, il Piazzo, con il Piano (costa Andurni, oggi costa del Piazzo) ed era gestita dai 'fratres de mantello', così detti a causa dell'abito che portavano (testamento del 1344: "fratribus caritatis Bugelle", e del 1349: "fratres de mantello", entrambi in ARMO, I, docc. 33 e 36; in un documento del 1355: "caritas S. Laurenci", in BSSS 105, doc. 376). Nel XV secolo quella che precedentemente era definita per lo più "carità di Biella" o "carità di S. Lorenzo" prende il nome di "carità di S. Lorenzo della Costa", e compaiono riferimenti espliciti ad un hospitale. La nomina del ministro spettava al comune di Biella, e a differenza dell'ospedale di S. Spirito del Piazzo non era necessaria l'approvazione vescovile: il ministro doveva osservare il voto di castità, e rendere conto ogni anno al chiavaro e ai consoli della gestione economica dell'ente. A metà del XVI secolo l'ospedale diventa un ospizio per gli orfani, amministrato prima da un rettore laico e poi, dal 1578, da un ecclesiastico. Nei decenni successivi si avviano numerose trattative con i padri Somaschi e con i Gesuiti per affidare loro la gestione dell'ospizio e della scuola annessa: l'accordo raggiunto nel 1632 sancisce la chiusura dell'ospizio e l'affidamento della scuola ai padri Somaschi.
 
Ospedale della SS. Trinità (XVII s.)
(Biella, Piano)
La costruzione fu cominciata dall'omonima confraternita nel 1623, accanto alla nuova chiesa che la stessa confraternita stava costruendo dietro il Duomo. L'ospedale serviva a ricovero dei pellegrini diretti al Santuario di Oropa e agli ammalati. Il continuo aumento di questi ultimi pone il problema di disporre di locali più ampi: nel 1779 la confraternita si muove per costruire un nuovo ospedale in luogo isolato nel quartiere S. Pietro, dove già aveva alcune proprietà, ma l'iniziativa non va a buon fine. A quest'epoca l'Ospedale risulta gestito da 14 membri della confraternita, dei quali sei perpetui e otto da rinnovare ogni sei mesi. Sotto il governo francese l'ospedale fu gradualmente sottratto al controllo della confraternita, e venne spostato sotto l'amministrazione della neonata Commissione Amministrativa degli Ospedali e degli Ospizi del Comune di Biella nei locali del convento di S. Pietro (1800), che a sua volta era già stato soppresso. I precedenti locali dell'ospedale vennero occupati dal Monte di Pietà.
Assetto Insediativo
Assetto insediativo
Attualmente la struttura insediativa del comune di Biella è composta dal centro cittadino, posto sull'altipiano che si apre a destra del torrente Cervo al suo sbocco in pianura (420 m), e da una serie di frazioni disposte a corona intorno all'abitato, in buona parte collocate lungo le valli che si aprono a raggiera a settentrione. A N rispetto a Biella la Valle Oropa comprende, allontandosi progressivamente dal centro cittadino, le frazioni di Cossila San Grato (m. 546), Cossila San Giovanni (m. 578), Favaro (m. 758), Oropa (m. 1180); a NNE, all'imbocco della valle Cervo, Pavignano (m. 489), Vaglio e Colma (m. 693); a E, sul pianoro alla sinistra del Cervo, Chiavazza (m. 387); a NO, lungo la dorsale destra della valle del rio Bellone, Barazzetto (m. 466), Vandorno (m. 509), Oremo.Vedi mappa 3.
Qui di seguito si distinguono: A. evoluzione dell'assetto insediativo del centro abitato, B. evoluzione dell'assetto insediativo nel territorio comunale (frazioni), C. articolazione insediativa del territorio biellese nella seconda metà del XX secolo.
 
A. Il centro abitato
 
Età protostorica e romana. Scarse le notizie sul carattere dell'insediamento dell'area in epoca protostorica e romana: si lamenta nel caso biellese l'assenza di scavi archeologici sistematici (come quello che è stato di recente ultimato, con ottimi risultati, nella necropoli della vicina Cerrione). Le informazioni in nostro possesso derivano principalmente da ritrovamenti degli anni '50 e '60 del Novecento, che l'interessamento di studiosi locali come Pietro Torrione e il sostegno dell'amministrazione locale hanno saputo valorizzare. Successivamente gli scavi, condotti in occasione di lavori edilizi nel centro storico, hanno avuto per lo più carattere d'emergenza.
Le tracce più antiche relative ad un insediamento sono state reperite sulla cima della collina che ospita la Riserva Naturale parco Burcina, situata a nord-ovest del centro abitato e dal 1935 proprietà del Comune di Biella. Negli anni Cinquanta e Sessanta (1959, 1967, 1969) sono emersi reperti che testimoniano l'esistenza di un insediamento stabile fra la fine del XIV alla fine del VI secolo a.C.
E' stato ipotizzato che l'abbandono del sito d'altura nel V sec. abbia coinciso con la concentrazione della popolazione nella zona del centro storico di Biella, dove alcuni sondaggi testimoniano l'esistenza di un insediamento, forse collocato nelle basse pendici del Piazzo, fra fine dell'età del Bronzo e la prima età del Ferro (X-VII secc. a.C.).
Le due necropoli reperite ai piedi della collina del Piazzo costituiscono per ora la fonte d'informazioni principale sulla realtà insediativa di età romana: la prima, scoperta nel 1950, si trovava ai margini settentrionali dell'attuale abitato, nel quartiere di Riva (via Cavour, area villa Bertrand), e ospitava circa 500 sepolture a cremazione del I-II sec.; l'altra, i cui depositi, comunque consistenti sebbene quantitativamente inferiori, sono andati persi, è stata ritrovata nel 1954 a occidente dell'attuale abitato, ai margini nel quartiere di Vernato (via Mantegazzi, angolo via Ivrea). Nel 1921, in occasione dei lavori di sterro per la costruzione dei magazzini generali (in luogo dei quali si trovava prima la chiesetta di S. Eusebio), sono emersi reperti attribuibili ad una necropoli romana di età imperiale, ma non è chiaro se si trattasse di materiale del posto o proveniente da un'altra zona della centro abitato.
Per ora le ipotesi sull'ubicazione degli insediamenti cui facevano capo le due necropoli principali rimangono prive di riscontri concreti: i pochi e localizzati sondaggi, compiuti sempre in occasione di lavori edilizi, nel centro storico e al Vernato non hanno fatto emergere alcuna struttura chiaramente identificabile. I saggi compiuti nella zona del Duomo, dove si riteneva probabile l'ubicazione dell'insediamento romano, hanno riscontrato un'occupazione/frequentazione non anteriore alla fine del IV-V sec. d.C. I ritrovamenti occasionali nell'attuale area cittadina hanno fatto ipotizzare, per l'epoca romana, un insediamento modesto e frazionato. A proposito della necropoli di via Cavour si è anche supposto che facesse capo a un tipo di insediamento disperso a carattere silvo-pastorale.
(Gambari 1991/92; Gambari-Pantò QdSA 1994; Ciocchetti 1992; QdSA 1993; Torrione 1950; Viale 1971; Brecciaroli Taborelli 2000)
 
Medioevo. Gli scavi archeologici sono ad oggi troppo pochi e circoscritti per fornire informazioni circa l'evoluzione generale dell'assetto insediativo, tuttavia sondaggi nella zona del centro storico (Duomo) hanno permesso di ipotizzare l'edificazione nel V secolo della chiesa di S. Stefano. Le nostre informazioni per la fase successiva sono legate alla progressiva disponibilità di fonti scritte, che cominciano nel IX secolo e sotto questo profilo si fanno significative a partire dal XIV secolo, con la comparsa degli estimi:
 
a. IX-XI secolo: la curtis Bugella e i rapporti con gli insediamenti vicini.
All'inizio del secolo IX Biella è sede di un'azienda imperiale: il diploma imperiale dell'826 descrive un centro dominico collocato nella villa cui fanno capo curtes e curticelle dislocate nei dintorni (Archivio Storico di Parma, Diplomatico, Diplomi imperiali, cassetta 1, doc. 1; su questo documento Negro, tesi di dottorato, 2007-2008). Alcune delle pertinenze della curtis magna que dicitur Bugella si precisano all'inizio dell'XI secolo, quando al vescovo di Vercelli viene donata "Bugellam insuper cum omni sua integritate, id est Vernade, Clavatia" (a. 1030: MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, t. IV, doc. 147). Sempre alla prima metà dell'XI secolo risalgono le attestazioni di un castrum "qui dicitur Bugella", all'interno del quale si trovava la stessa chiesa di S. Stefano, e un castrum, già definito vetus, al Vernato (per Biella, a. 1027: MHP, Chartarum to. I, docc. 269-270; per Vernato, a. 1031 ibid., doc. 282). Delle due pertinenze qui citate, Chiavazza e Vernato, è quest'ultima, a causa della maggiore prossimità, a condizionare di più il successivo sviluppo insediativo del centro abitato di Biella (vedi oltre, par. c, e Parte Narrativa).
 
b. XII secolo: la nascita del Piazzo.
La struttura insediativa di Biella viene profondamente rimaneggiata a metà del XII secolo dall'intervento del vescovo di Vercelli Uguccione, che determina la nascita (1160) di un secondo nucleo abitato incastellato al Piazzo. In forza delle prerogative concesse da Uguccione e dai suoi successori il Piazzo diventa il centro politico e economico di Biella: qui ha sede il palazzo comunale e si concentrano tutte le attività di mercato. L'articolazione in una zona alta, il Piazzo, e una bassa, il Piano, caratterizza ancor oggi il centro cittadino. Oltre che sulla conformazione fisica del centro l'intervento del vescovo Uguccione sembra aver influito anche sulla composizione della popolazione: più avanti è possibile verificare la presenza nei quartieri del Piazzo, contrariamente al Piano, di un'alta percentuale di individui definiti da toponimi di località (come de Mongrando, de Muzzano) o appartenenti a famiglie vercellesi. Il borgo del Piazzo non fu dunque fondato con la prospettiva di trasferirvi, genericamente, la gente che finora viveva al Piano, ma la parte di popolazione sulla quale il vescovo era maggiormente interessato a garantirsi il controllo (Negro, tesi di dottorato, 2008).
 
c. XIII secolo: gli statuti.
Nel secolo XIII cominciamo a disporre di informazioni sull'assetto insediativo di matrice comunale. Le due redazioni statutarie del comune di Biella, che contengono disposizioni a partire dal 1245 fino ai primi decenni del XIV secolo, permettono di cogliere un tratto interessante della struttura insediativa del luogo. Se dal punto di vista politico e amministrativo da una parte Biella, articolata nei due nuclei del Piazzo e del Piano, e dall'altra Vernato costituiscono due enti ben distinti, di fatto la loro contiguità impedisce una totale autonomia. La particolare vicinanza dei nuclei abitati dei due comuni crea intrecci di giurisdizione (come si verifica nel caso del prelievo della decima da parte degli enti religiosi collocati nell'una e nell'altra località: cfr. causa a. 1230 in BSSS 34.2, doc. 18, e sopra, voce Pieve, a. Organizzazione), complica la gestione della fiscalità (non di rado gli abitanti di Biella avevano possessi al Vernato e viceversa: aa. 243, 245-249 in Statuti ed. Cancian) e rende meno facile l'apprestamento dei sistemi difensivi (come risulta già evidente negli statuti del 1245 la manutenzione delle fortificazioni necessitava di un coordinamento dei due centri: Negro, tesi di dottorato, 2007-2008). Sono frequenti i casi in cui i due comuni sono costretti a coordinare la loro azione politica (ad esempio una causa del 1319 vede i comuni di Biella e Vernato associati per contrastare quello di Mongrando: voce Liti territoriali ad a.), e gli stessi statuti sono costretti in determinati articoli a contemplare l'altra località, al fine di preservare la validità delle disposizioni nei confronti dei propri abitanti (vedi ad esempio gli aa. 210 e 224 della rubrica "De placio, plano et fortilicis eorundem", e l'art. 230 in Statuti ed. Cancian; in altri articoli l'appartenenza di Biella e Vernato ad un unico ambito amministrativo, di volta in volta definito "curia" "poderium" o "districtus", sembra data per scontata: ibid., art. 299-301, 308). Negli statuti troviamo anche qualche accenno alla parte di abitato collocato fuori dalle mura, ad esempio alcuni articoli (art. 255, 258) fanno riferimento a cascine e più generalmente agli "habitantes extra portas Bugelle".
 
d. XIV secolo: gli estimi.
Il salto di qualità nella possibilità di indagare l'articolazione dell'insediamento avviene con gli estimi, che cominciano ad essere disponibili, pur con lacune e discontinuità, dalla metà del XIV secolo. Lo spazio amministrativo della Biella tre e quattrocentesca è articolato in otto quartieri, 4 per il Piazzo - Bellone, S. Giacomo, Codecapra e Campile -, e 4 per il Piano - S. Paolo, S. Cassiano, S. Pietro e S. Stefano, a sua volta suddiviso in S. Stefano superiore e inferiore. Il Vernato, che fino al 1421 è comune a sé stante, ricorre spesso nei consegnamenti biellesi anche prima di questa data, perchè chi vi possedeva dei beni doveva comunque dichiararli e sostenere, seppur con modalità specifiche,  gli "honera" del comune di Biella (Negro, tesi di laurea, aa. 2003-2004).
Le consegne degli abitanti evidenziano una netta contrapposizione fra il Piazzo, costituito da un rilievo allungato e stretto, e il Piano, dove la conformazione naturale del terreno non vincolava lo sviluppo dell'abitato. Al Piazzo i lotti regolari si dispongono ai lati della via che tuttora lo taglia longitudinalmente; ognuna delle case presentava la facciata lungo la strada e si sviluppava in profondità, permettendo a un maggior numero di abitanti lo sbocco sulla via. Quasi l'intero spazio disponibile era occupato da case, infatti le proprietà dichiarate in riferimento al Piazzo sono nella quasi totalità abitazioni e i pochi appezzamenti sono situati "in pendiviis Placi" cioè lungo i due pendii che digradano dal Piazzo verso il Piano e dalla parte opposta verso il rio Bellone. Al Piano invece quasi tutte le consegne delle abitazioni includono un orto o un claussum, e spesso un terreno che era annesso in un'unica voce di consegna. La localizzazione della casa, che nel Piazzo è limitata al quartiere o al massimo alle coste e alla "ruta Belloni", nel Piano è spesso accompagnata dall'ulteriore indicazione della zona introdotta da "ubi dicitur" o dalla contrada. Altra caratteristica che distingue il Piano è infatti la presenza di zone denominate con il nome della famiglia che le abitava.
All'inizio del secolo XIV risalgono interventi del comune di Biella sulle mura cittadine (BSSS, 34/1, doc. 58) che concernono anche il Vernato: i due comuni, quello di Vernato-Ghiara e quello di Biella, risultano a quest'epoca cinti da uno stesso giro di mura, segno tangibile di quella interdipendenza fra le due comunità già riscontrata nel secolo precedente nelle fonti normative (sopra, par. c, e Negro, tesi di dottorato, 2007/2008, cap. 3). L'esigenza di proteggere più nuclei abitati fa sì che la superficie racchiusa dalle mura, pari a circa 90 ettari, sia molto estesa se confrontata con quella di altri centri coevi, che all'epoca erano ancora racchiusi entro le mura romane: 54 ettari per Torino, 40 per Aosta, 30-35 ettari per Novara (Barbero 2008).
Per quanto riguarda le proprietà al di fuori del centro abitato vengono nominate, soprattutto nelle consegne del Piazzo ma non solo, numerose cascine situate lungo la valle Oropa (in regione Valauta o in Cossila).
 
Età moderna. Ancora nel Cinquecento Boyvin Du Villars, che partecita alla campagna francese in Italia al seguito di Brissac, descrive Biella come "una grande distesa di mura che racchiude due o tre diversi villaggi o borgate piene d'artigiani e di gente dedita ad ogni sorta di traffici" («deux ou trois diverses villettes ou bourgades pleines d'artisans et de gens adonnez à toute sorte de trafic»: F. Boyvin du Villars, Mémoires, Paris, 1606, p. 150). Questa stessa struttura policentrica è riproposta dalla rappresentazione della città, realizzata nel 1682 su disegno di Giovanni Tommaso Borgonio, del Theatrum Sabaudiae. Pur tenendo conto dello scarso realismo della raffigurazione, dovuto agli intenti celebrativi dell'opera e particolarmente evidente nel circuito delle mura e nell'aspetto di alcuni edifici ecclesiastici, risultano ancora evidenti due tratti caratteristici della struttura dell'abitato: presenza di tre nuclei abitati (Piano, Piazzo e Vernato) ben distinti all'interno di una cerchia di mura molto estesa e, anche in conseguenza di quest'ultimo dato, 2. grande spazio lasciato all'incolto. Il catasto Colombino (1782) delinea con molta precisione la struttura abitativa di Biella: le abitazioni al Piano si addensano ancora ai margini dei principali assi viari: soprattutto la via Maestra (attuale via Italia), che unisce le porte di Riva a nord e di Roncigliasco a sud, e gli assi viari via Vescovado-via Vernato e via S. Filippo-costa d'Andorno che tendono verso il Piazzo. Nei larghi spazi non edificati che si stendono a est e a ovest della via Maestra spiccano i principali conventi della città: a est verso il Cervo il monastero di S. Pietro, a ovest verso il Piazzo il convento di S. Francesco; sempre a ovest, in direzione del Vernato, il convento di S. Sebastiano.
 
L'Ottocento. Quando, nel 1872, l'ingegner Cesare Beruto viene incaricato di redigere il primo piano regolatore per il futuro sviluppo urbanistico di Biella, la struttura dell'abitato è ancora quella verificata nei tre secoli addietro: "giova ricordare come la Città di Biella consti divisa in tre distinti gruppi o centri abitati, aventi sede sopra tre diversi altipiani" (Negro-Pidello-Piva 1995). Questo dato di fatto influisce sulla decisione di fare del Prato della Fiera (corrispondente grosso modo all'attuale piazza Curiel) il luogo principale di mercato della città, data la sua collocazione centrale rispetto ai tre nuclei. Il piano Beruto, presentato nel 1874, è ancora tutto concentrato sull'area interna all'antico percorso delle mura: il che si spiega con il fatto che questa non era mai stata del tutto edificata, e dopo la soppressione dei conventi nuovi spazi si erano resi disponibili. Fino alla fine dell'Ottocento la città non supera il limite che stabiliva il percorso delle mura medievali: la prima stazione ferroviaria, la Biella-Santhià, viene costruita nel 1856 sul lato meridionale della città, che correva lungo via Lamarmora di fronte ai giardini Zumaglini. Solo alla fine del secolo la città supera questo limite espandendosi verso sud, nell'unica direzione resa possibile dalla sua conformazione fisica (l'espansione era impedita a ovest dall'altura del Piazzo, a nord dai rilievi collinari, a est dal torrente Cervo). In questa fase comincia anche lo sviluppo industriale, e gli stabilimenti andranno ad occupare le zone lasciate libere dai conventi.
 
Il ventennio fascista. In una fase di forte espansione urbanistica del centro abitato si rende necessaria una nuova ripartizione amministrativa. Nel 1938, con delibera del 9 settembre, il podestà Giuseppe Serralunga stabilisce la divisione ufficiale della città in 'rioni': l'intervento è finalizzato a "rendere più agevole e facile la distribuzione e lo svolgimento dei vari servizi sia per le operazioni di censimento, sia per quelle della polizia urbana e sia per quelle della difesa antiaerea" (Mosca 1972). I rioni, di cui vengono indicati con precisione i confini, sono 11: Riva, Borgo, Roncigliasco, Vernato, Piazzo, Centro, S. Paolo, S. Maurizio più altri tre, situati nella zona meridionale della città a più recente sviluppo edilizio, che sono ancora "da denominarsi". Questi, in sintesi, i dati riportati dal verbale (si avverte che alcune delle vie citate hanno oggi diversa denominazione):
- Rione A: Riva. Il rione confina a nord con il territorio comunale di Cossila e i limiti del territorio abitato di Pavignano; a ovest segue la linea che dalla regione Bottalino segue la strada privata Rivetti (sotto la clinica Belletti) per poi innestarsi nella vecchia strada del Piazzo fino ai giardini di Biella-Piazzo (ex mercato bovini); a sud segue la costa del Piazzo fino all'incrocio con via S. Filippo, per poi seguire un tratto di via Umberto, tutta la via Orfanotrofio fino al Cervo e la salita dell'Ospedale; a est il confine con il rione di Pavignano lungo la strada privata Sella.
- Rione B: Borgo. A nord confine con il rione Riva fino all'angolo fra via Vittorio Emanuele II e via Orfanotrofio, a ovest confina con il rione Piazzo, a sud la linea scende per la costa di S. Sebastiano, sbocca in piazza Lamarmora e percorre tutta la via XX Settembre fino all'incrocio con Vittorio Emanuele II, a est prosegue per via Vittorio Emanuele II fino a ricongiungersi con via Orfanotrofio.
- Rione C: Roncigliasco. A nord confina col rione Riva, la linea segue a ovest via Vittorio Emanuele II fino allo scalo ferroviario e prosegue lungo via Trento fino all'incrocio con via Tripoli, a sud percorre via Tripoli fino al Cervo, a est confina con il comune di Chiavazza.
- Rione D: Vernato. Il confine attraversa la costa di S. Sebastiano a nord, passa sotto villa Poma e all'imbocco del Vicolo Mole verso il Piazzo, segue lo stesso vicolo fino al rio Bolume, a ovest segue per un tratto via Ivrea, poi via delle Carceri fino all'incrocio con l'asse di via Tripoli, a sud corre lungo via Tripoli, a est percorre la costa di S. Sebastiano fino a piazza Lamarmora e prosegue lungo il prolungamento di via Pietro Micca fino a via Tripoli.
- Rione E. Piazzo. A nord confina con il comune di Cossila, a ovest il rio Bolume, a sud confina con il Vernato, a est con i rioni Riva e Borgo.
- Rione F: Centro. A nord segue via XX Settembre, a sud l'asse del prolungamento di via Pietro Micca fino a via Tripoli, a sud via Tripoli, a ovest via Vittorio Emanuele II e percorre via Trento fino all'incrocio con via Tripoli.
- Rione G: S. Paolo. A nord via Tripoli fino al Cervo, a sud via Macallé, prosegue tagliando piazza Adua fino alla stazione Biella-Novara, a est con il Cervo lungo il quale corre il confine con Chiavazza.
- Rione H: da denominarsi.
- Rione I: da denominarsi.
- Rione L: S. Maurizio. A nord confina con il rione S. Paolo, a sud confina con i territori dei comuni di Ponderano, Gaglianico e Candelo, a est confina con i comuni di Chiavazza e Candelo.
- Rione M: da denominarsi.
 
Sempre al podestà Serralunga si deve la realizzazione, ancorché parziale, del progetto "Grande Biella", che aveva impegnato l'amministrazione comunale sin dagli anni Venti del Novecento. Sull'onda della riforma delle circoscrizioni amministrative promossa dal governo fascista, il comune di Biella aveva avanzato a più riprese proposte di accorpamento di un certo numero di comuni contermini (il progetto più ambizioso contemplava l'annessione del territorio di ben sei comuni). Queste iniziative non erano mai andate a buon fine: una prima volta (1927) a causa delle dimissioni del podestà, una seconda (1929) per un ritardo nella presentazione del progetto, una terza (1931) a causa di un ripensamento sul numero di comuni da inserire nella richiesta. Solo nel 1938 il podestà Serralunga, col decisivo supporto di Mario Ferrerati (che in precedenza era stato commissario prefettizio a Biella e aveva propugnato con energia la realizzazione della Grande Biella), riprende in mano la pratica e riesce a portarla a buon fine: con legge del 13 giugno 1940, emanata «dalla zona di operazioni», Vittorio Emanuele III stabilisce che «al comune di Biella sono aggregati i comuni di Cossila e di Chiavazza eccettuata la parte del territorio di quest'ultimo, delimitata giusta l'annessa pianta planimetrica, che è aggregata al comune di Vigliano Biellese» (vedi anche oltre, voce Mutamenti territoriali).
 
B. Le frazioni
I toponimi della maggior parte dei futuri nuclei insediativi del territorio comunale - Pralungo, Cossila, Favaro, Pavignano - compaiono nelle fonti medievali in connessione ai beni comuni, boschi e pascoli (vedi alla voce Comunanze e Toponimo storico). Per Pralungo l'esistenza di un centro abitato stabile sembra già accertata all'inizio del XIII secolo: nella causa del 1219 fra il comune di Biella e Tollegno diversi forestarii chiamati a testimoniare si definiscono de Pratolongo. Un articolo negli statuti del comune di Biella, presente anche nella redazione più antica ma attribuito dal Gabotto all'inizio del XIV secolo, prescrive che non si possano concedere ad alcun individuo "terre vel possessiones que sunt comunis et hominum Bugelle a Pratolongo superius" per dissodarlo o per coltivarlo (Statuti ed. Gabotto, art. 342bis; Statuti ed. Sella, art. 362; Statuti ed. Cancian, art. 363). Anche il centro di Pavignano compare negli statuti di inizio Trecento, con un articolo che prevede la nomina di un campario nel luogo.
Cossila compare già negli statuti come luogo in cui si trovano boschi comunali, ma le prime tracce di un insediamento stabile risalgono agli estimi quattrocenteschi: alcuni abitanti di Biella consegnano come prima voce (che solitamente riguarda la casa d'abitazione) una cascina "in territorio Bugelle ubi dicitur in Coxila", oppure, sempre richiamando l'appartenenza della località al territorio biellese, nella vicina Cavallo. I consegnamenti interessati da queste attestazioni (ASB, ASCB, Comune, s. I, bb. 304-305, ff. 7041 e 7046: gli estimi sono privi di data, per l'attribuzione all'inizio del Quattrocento cfr. Negro 2004) sono quelli relativi ai quartieri Bellone e S. Giacomo del Piazzo (sono i quartieri che si collocano nella zona settentrionale del centro abitato e quindi più prossimi alla valle Oropa in cui si trovano le località citate). E' significativo che negli estimi più antichi relativi a questi quartieri, pur essendo presenti individui che posseggono proprietà in queste località, non vi siano consegne di case d'abitazione. Ferma restando la possibilità che il cambiamento sia dovuto a un rinnovamento o a una maggiore accuratezza nelle modalità di redazione degli estimi (su cui potrebbe aver influito la soggezione ai Savoia di fine Trecento), si potrebbe pensare che l'insediamento in forma stabile in queste zone sia da collocare a cavallo fra la fine del Trecento e l'inizio del secolo successivo. Come già suggerito da Ferraris (ARMO, II, p. 38) è possibile che le proprietà dichiarate negli estimi in queste aree fossero originariamente sortes comunali, successivamente cedute in modo definitivo dal comune ai privati. Mi sembra meno condivisibile e tutta da verificare, invece, l'idea che il popolamento della valle d'Oropa, con la formazione dei centri abitati di Cossila, Favaro e Pralungo, sia dovuto "ad elementi esogeni" provenienti dalla Valsesia (vedi il commento di G. Ferraris in ARMO, II, p. 39).
In generale il forte sviluppo demografico delle frazioni sembra avvenire nel XVI secolo. Stando ad un registro del 1593 (quinternetto dei fuochi et capi di casa del luogo di Biella), Biella all'epoca contava fra Piazzo e Piano circa 775 fuochi, Cossila 124, Barazza e Barazzetto 102, Pralungo 133, Pavignano 30. E' in quest'epoca che i nuclei più popolati del territorio comunale acquisiscono l'autonomia prima dal punto di vista religioso e poi amministrativo. Pralungo ottiene la possibilità di avere una parrocchia nel 1564, e diventa comune autonomo nel 1622); Cossila S. Grato ha una propria parrocchia dal 1573, e nel 1694 diventa comune. Nel secolo successivo diversi altri nuclei abitati tentano, senza riuscirci, di erigersi a comune autonomo: è il caso dei nuclei di Barazzetto e Vandorno (1710, 1724, 1784) e di Pavignano (1747). L'unico di questi centri abitati a mantenere fino ad oggi l'indipendenza amministrativa è Pralungo (vedi oltre, alla voce Mutamenti territoriali, e Parte narrativa).
 
C. L'articolazione insediativa del territorio biellese nella seconda metà del XX secolo
Il dato forse più significativo sull'assetto insediativo del territorio comunale nella seconda metà del XX secolo, è il progressivo scollamento delle fonti ufficiali - nello specifico le ripartizioni amministrative di matrice comunale e i rilevamenti Istat - dalla realtà insediativa come si presenta nella realtà e nella percezione degli abitanti.
Le fonti comunali. Nel caso delle articolazioni amministrative stabilite dal comune i nuclei insediativi minori (le cosiddette "frazioni"), molti dei quali mantengono tuttora una loro identità, testimoniata ad esempio dai cartelli stradali che segnalano l'inizio e la fine del centro abitato, non costituiscono più l'unità sulla quale si ricalcano le ripartizioni del territorio comunale, né godono di uno statuto e di una denominazione diversa rispetto alle ripartizioni interne al centro urbano.
Con legge dell'8 aprile 1976 n. 278 il comune di Biella sopprime le frazioni in cui era suddiviso il territorio comunale e istituisce 15 "quartieri", termine con il quale si passa ad indicare tanto le ripartizioni del centro urbano quanto le vecchie frazioni: 1. Centro, 2. Riva, 3. S. Paolo-Masarone-Villaggio Sportivo, 4. Vernato-Thes, 5. Villaggio Lamarmora, 6. Barazzetto, 7. Chiavazza, 8. Cossila S. Giovanni, 9. Cossila S. Grato, 10. Favaro-Oropa, 11. Oremo, 12. Pavignano, 13. Piazzo, 14. Vaglio-Colma, 15. Vandorno.
Con ordinanza del 1990 vengono aboliti i quartieri e istituite le circoscrizioni, organismi dotati di consiglio istituiti con legge n. 142 del 1990. Il territorio del comune di Biella oggi comprende "la parte del suolo nazionale delimitato con il piano topografico di cui all'art. 9 della Legge 24 dicembre 1954 n. 1228, approvato dall'Istituto Centrale di Statistica", ed è suddiviso in 10 circoscrizioni: 1. Centro, 2. Riva, 3. Vernato-Thes, 4. Villaggio Lamarmora, 5. S. Paolo - Masarone - Villaggio Sportivo, 6. Piazzo, 7. Oremo - Barazzetto - Vandorno, 8. Valle Oropa (Cossila S. Grato - Cossila S. Giovanni - Favaro/Oropa), 9. Chiavazza, 10. Pavignano - Vaglio Colma (cfr. l'attuale  statuto cittadino,  articolo 3 comma 1 e 2. Vedi testo).
 
I rilevamenti dell'ISTAT. Nel caso dei dati Istat la discrepanza fra rappresentazione statistica e articolazione insediativa, ancora più marcata, sembra dovuta ai criteri di rilevamento dei dati. I censimenti nazionali della popolazione italiana, che iniziano ad essere effettuati all'indomani dell'Unità d'Italia (il primo risale al 1861), si limitano inizialmente a distinguere fra popolazione accentrata e popolazione sparsa. Il primo censimento Istat che prende in considerazione la dislocazione della popolazione residente per specie di "località abitata", cioè distinguendo fra centri abitati, nuclei abitati e case sparse, risale al 1951 (IX censimento della popolazione). Il criterio con il quale si distinguono le tre categorie di località abitate rimane grosso modo lo stesso anche nei censimenti successivi: sintetizzando, il "centro abitato" è un aggregato di case caratterizzato dalla presenza di servizi ed esercizi pubblici (quali scuole, farmacie, uffici postali, negozi etc.), che garantiscono una forma di vita sociale in certa misura autonoma e che determinano l'afflusso di abitanti dei luoghi vicini; il nucleo abitato è un aggregato di case (con un limite minimo di cinque famiglie) che deve far riferimento, per le necessità della vita associata, a centri abitati esterni; le case sparse sono abitazioni isolate. Fra il censimento del 1951 e i successivi vi sono tuttavia delle differenze: ad esempio nella segnalazione dei territori in contestazione fra comuni, e non tutti i censimenti riportano oltre al numero di centri abitati e nuclei abitati presenti all'interno del territorio comunale, anche il nome degli stessi (questo avviene nei censimenti del 1951, del 1991 e del 2001). Il censimento del 1951 ha una categoria in più, che è quella della "frazione geografica", ovvero la quota parte del territorio comunale definita da un centro abitato e dai nuclei abitati e dalle case sparse gravitanti su di esso. Sono considerate frazioni geografiche, e individuate da un loro toponimo, anche le isole amministrative e le aree montuose. Nei rilevamenti successivi scompare la categoria delle "frazioni geografiche", e viene introdotta quella delle "aree speciali" con cui si definiscono isole amministrative, aree di montagna etc.
Nel caso biellese i dati che colpiscono di più a leggere in sequenza i dati dei rilevamenti del 1951, del 1991 e del 2001 è da una parte il progressivo azzeramento della categoria dei "nuclei abitati" (molto numerosi in quello del 1951), dall'altra la diminuzione dei centri abitati nei due ultimi censimenti (quello del 1951 comprende nella categoria "centri abitati" quasi tutte le principali frazioni, fatta eccezione per Cossila S. Grato). In questa tendenza parrebbe di rilevare la progressiva perdita di autonomia (sotto il profilo dei servizi e esercizi pubblici) delle frazioni rispetto alla città.
Si riportano qui di seguito i dati relativi al comune di Biella dei tre censimenti.
 
1951
Il censimento del 1951 rileva nel territorio del comune di Biella 6 frazioni geografiche: Biella, Colma, Favaro, Vandorno, Oropa, Monte Camino. Un nucleo abitato, Masserano, da non confondere con l'omonimo comune, risulta diviso fra il comune di Biella e il comune di Ronco Biellese. Di seguito i centri abitati e i nuclei abitati di ogni frazione geografica:
- Biella: 3 centri abitati (Biella, 34.601 abitanti; Pavignano, 1149 abitanti; San Giovanni, 1312 abitanti); 16 nuclei abitati per un totale di 963 abitanti (Beltramo, Casa Nuova, I gesuiti, Lombardine, Maioleo, Masserano, Masseria, Monte, Neggia, Nicodano, Novella, Ostocco, Posta, Ramella di Sopra, Rondolina, Sella); 1068 individui abitano in case sparse. Il totale della popolazione è pari a 39.093 abitanti.
- Colma, costituita dal solo centro abitato di Colma (61 abitanti), diviso fra i comuni di Biella e Andorno, e 31 individui che vivono in case sparse.
- Favaro, costituita da un centro abitato, Favaro (945 abitanti), e da due nuclei abitati (Pezza e Vaietto, per un totale di 48 abitanti); 84 individui vivono in case sparse.
- Vandorno, costituita da due centri abitati, Vandorno (558 abitanti) e Barazzetto (672 abitanti), e da 13 nuclei abitati per un totale di 753 abitanti (Angela, Bonino, Calaria, Chiesetto, Croce, Gallinetti, Libera, Muccio, Mucetto, Pescia, Pinola, Ronco, Vindolo); 341 persone vivono in case sparse.
- Oropa, costituita dal solo centro abitato di Oropa (104 abitanti), e da due nuclei abitati "speciali" per un totale di 6 abitanti (La Vecchia e il rifugio di montagna Mucrone); 57 individui vivono in case sparse.
- Monte Camino, cosiddetta "frazione speciale" in quanto costituita da montagna disabitata.
 
1991
Il censimento del 1991 rileva nel territorio del comune di Biella tre centri abitati (Biella, Colma, Favaro), due nuclei abitati (Beltramo e Oropa), un'area speciale (lago del monte Mucrone), e 179 case sparse (in cui risiedono 215 persone).
 
2001
Il censimento del 2001 rileva nel territorio del comune di Biella tre centri abitati (Biella, Colma, Favaro), un'area speciale (lago del monte Mucrone), e 98 case sparse (in cui risiedono 305 persone).
 
Luoghi Scomparsi

Luoghi scomparsi

 

 

 

 

Comunità, origine, funzionamento
Comunità: origine e funzionamento
Nota generale. Il passaggio alla forma di governo comunale avviene sotto l'egemonia dei vescovi vercellesi, signori del luogo sin dal IX secolo: fondamentale in questo processo l'intervento del vescovo Uguccione nel 1160, precocemente assunto nella concezione delle élites locali a episodio fondante delle libertà comunali. La crescente importanza del luogo come centro di potere vescovile e la prevalenza nel ceto dirigente di famiglie signorili con interessi e orizzonti politici sovralocali danno un'impronta peculiare allo sviluppo dell'istituzione: il comune di Biella "pur nato da una vicinia rurale, decisamente oltrepassa la nozione di comune rurale, per uniformarsi chiaramente agli schemi sociali e politici del comune cittadino" (Tabacco 1979). A Biella tuttavia il comune non divenne mai un organismo con piena autonomia di governo: per tutti i secoli medievali l'ampliamento delle prerogative comunali è condizionato da una continua e non sempre pacifica dialettica con i poteri superiori, che affiancano alle magistrature locali propri funzionari (prima i gastaldi e i vicari vescovili, poi i podestà viscontei (1354) e infine sabaudi (1379)).
I paragrafi che seguono trattano: a. Le origini del comune, b. Le magistrature comunali, c. Le magistrature sotto la signoria vescovile, d. Le magistrature sotto la signoria viscontea, e. Le magistrature sotto la signoria sabauda.
 
a. Le origini del comune. In un documento del 1090 compaiono i "vicini de Bugella", definiti poco dopo "vicini Sancti Stephani", con riferimento alla locale chiesa capitolare: si tratta della prima attestazione di una comunità che agisce collettivamente. La prima attestazione certa del comune risale al 1202 ("a comuni Bugelle", in BSSS 103, doc. 40). Nel 1209 la documentazione testimonia l'esistenza a Biella di consules che agiscono a nome della credencia del luogo (documento inedito in ASB, Fam. dal Pozzo della Cisterna; per la data finora proposta del 1215 cfr. Poma 1885; Torrione 1956). La comparsa di termini specifici dell'ambito comunale (consules, credencia etc.) non coincide tuttavia necessariamente con la comparsa dell'istituto cui si riferiscono (Keller 1988; Wickham 2001; Milani 2005; Grillo 2005): nel caso di Biella il momento di svolta verso una forma di governo comunale sembra essere avvenuto vari decenni prima, e più precisamente nel 1160, quando il vescovo Uguccione investe gli uomini di Biella del monte chiamato Plaç (la collina del Piazzo) e cede loro alcuni banni di sua pertinenza. I rappresentanti biellesi che sottoscrivono il documento, pur non qualificandosi "consules", agiscono pro comune honore et utilitate eius ville, mentre i documenti posteriori individuano nell'episcopato di questo vescovo un'iniziale definizione delle modalità di sfruttamento dei beni comuni (BSSS 103, docc. 55, 56, 57, 58). Questi elementi suggeriscono l'ipotesi di una fase, la seconda metà del XII secolo, in cui esistevano le funzioni comunali ma non ancora la loro formalizzazione con il ricorso a termini specifici. Per quanto riguarda le attestazioni consolari, anche dopo il 1209 i dati biellesi continuano ad avere carattere intermittente, e solo dagli Novanta del Duecento si inizia a disporre annualmente dei nomi dei magistrati eletti.
 
b. Le magistrature comunali. La formalizzazione compiuta dell'istituto comunale avviene a metà del XIII secolo, con la prima redazione degli statuti (una seconda risale all'inizio del Trecento, cfr. oltre, s.v. Statuti). Il comune era retto da tre consoli e da un chiavaro, magistrature che continuano ad essere attestate fino alla fine del Quattrocento. Sono esplicitamente nominati fra i funzionari che li affiancano:
- un notarius (Statuti ed. Sella, art. 122; Statuti ed. Cancian, art. 122; da una redazione statutaria del 1356 emerge tuttavia che i notai al servizio del comune erano almeno 3: oltre a quello per gli atti del comune, era eletto un notaio per redigere i verbali delle cause criminali e uno per quelli delle cause civili, Statuti ed. Cancian, art. 17 p. 193).
- un numero imprecisato di camparii, guardie deputate al controllo dei campi e delle vigne (Statuti ed. Cancian, art. 110-120, 125, 130, 135-136, 142). Il codice più tardo (l'articolo manca in quello più antico) stabilisce che "eligatur unum camparium in Pavignano" (Statuti ed. Sella, art. 55; nell'ed. Cancian "Pavignerano"). Fra le zone di competenza dei campari sono citate Novella (nei pressi del Piazzo) e Cossila (art. 117).
- forestarii, guardie deputate al controllo dei boschi e degli alpeggi (Statuti ed. Cancian, art. 110, 116, 123, 125, 170-173).
- assumatores mensurarum (controllori delle misure: vedi rubrica "De mensuris et salvitate", e in particolare art. 231, 233, 236, 237 in Statuti ed. Cancian).
- servitores (Statuti ed. Cancian, art. 109, 116, 125).
Dalla seconda metà del XIV secolo sono attestati, con funzioni di controllo sull'operato dei consoli, i proconsules (Statuti ed. Cancian, art. 227 p. 247). Il Liber sacramentorum consulum et officialium (Statuti ed. Cancian, p. 316 sgg.), che contiene doveri e funzioni degli ufficiali comunali stabiliti fra il 1402 con aggiunte fino al 1502, elenca nell'ordine: consoli, proconsoli, i controllori delle misure (assomatorum mensurarum), campari, extimatores (deputati a valutare i dampna in caso di lite), forestari, servitori, determinatores (funzionari deputati alla terminazione dei confini sia delle proprietà private sia di quelle comunali), il podestà e i suoi collaterali (vicario, milite, familiari). Gli statuti pongono sotto diretto controllo del Comune l'ospedale, gestito da religiosi, e la confraria, retta da un priore. Stando agli statuti dei collegi delle arti (ferrai 1275; calegarii 1291; sarti 1296; tessitori 1310; drappieri 1348; massari 1385; notai 1429; beccai s.d.: cfr. Statuta ed. Sella, p. 234, e Sella 1908), ogni corporazione di mestiere era rappresentata da uno o più consoli (1 per i ferrai; 2 per i drappieri, i massari e i sarti; 3 per i tessitori e i macellai; 4 per i calegarii). Soprattutto nello statuto dei macellai si fa spesso riferimento a norme introdotte per volere del vescovo di Vercelli. L'attività dei collegi delle arti era sottoposta al controllo del comune (Statuti ed. Cancian, art. 251, 253-54, 263-264).
Magistrature e funzionari duravano in carica un anno, erano eletti nella festa di S. Martino (11 novembre) da 12 credendarii (consilium sapientium) a loro volta nominati dall'intera credenza, che non poteva essere composta da più di 60 individui (a Biella l'incarico di credendario durava un anno, costituendo un'anomalia rispetto ai comuni limitrofi, dove la carica è solitamente più lunga se non vitalizia: cfr. Pene Vidari, introduzione a Statuti ed. Cancian, p. 30). La nomina dei consoli e dei funzionari comunali era considerata valida con maggioranza dei due terzi del consilium sapientium. La carica di tutti gli uffici comunali era di durata annuale e uno stesso individuo non poteva essere rieletto se non dopo un intervallo di 4 anni (per i servitores un anno). Per trattare questioni straordinarie e di particolare rilievo venivano eletti uno o più rappresentanti del comune - sindaci o procuratores – con delega ad agire in nome della comunità.
Le fonti coeve e posteriori di carattere non normativo permettono di cogliere nel concreto il funzionamento di alcune magistrature: in particolare i forestarii (causa del 1219 in BSSS 103, docc. 55, 56, 57, 58), e i camparii (causa del 1319, ivi, doc. 196). I funzionari meno specializzati erano indubbiamente i servitores, che le fonti ci mostrano impiegati come ambasciatori, messi comunali nonché testimoni negli atti emanati dai consoli. Spicca, rispetto a quanto disposto dagli statuti, la permanenza nelle cariche degli stessi individui per più anni consecutivamente.
 
c. I funzionari presenti a Biella sotto la signoria vescovile. Sul rapporto fra le magistrature comunali e i funzionari vescovili la documentazione anteriore al Trecento è quasi inesistente: l'unico accenno nei due codici statutari riguarda il pranzo che ogni anno i consoli e il chiavaro dovevano offrire appena eletti al gastaldo del vescovo; sappiamo che la nomina degli ufficiali minori, almeno nel caso dei forestarii, era fatta dai gastaldi vescovili e dai consoli (BSSS 103, doc. 57, p. 113). Dalla seconda metà del XII secolo esiste a Biella un palazzo vescovile, il che lascia supporre la presenza continuativa di personale militare e non. La documentazione trecentesca ci informa sulla presenza di un vicario e di un gastaldo, sulle cui esatte competenze siamo però all'oscuro. I gastaldi biellesi compaiono nella documentazione che riguarda le compravendite fra biellesi di terre vescovili, oltre che nella ricezione dei redditi percepiti dal vescovo nelle varie località della diocesi (che confluivano in parte nel castrum di Biella). Per analogia con quanto accade in altre località, il gastaldo doveva probabilmente sovrintendere al periodico censimento delle proprietà vescovili (a Biella estremamente consistenti, come emerge dagli estimi trecenteschi). L'unico esemplare di cui disponiamo, relativo alla località di Sordevolo, dimostra che in queste operazioni erano coinvolte le magistrature comunali.
Un cambiamento decisivo nei rapporti fra funzionari vescovili e magistrature locali avviene a metà Trecento, con l'avvento alla cattedra vercellese della famiglia Fieschi, i cui esponenti rimarranno alla guida della diocesi per più di un secolo. Le disposizioni della curia vescovile, a Biella come nelle altre località sottoposte alla signoria della chiesa vercellese, in merito al personale dislocato nei vari centri della diocesi mirano esplicitamente ad eliminare il fitto intreccio di interessi che aveva fino ad allora contraddistinto l'operato di funzionari signorili e magistrature locali. L'effettiva ricaduta locale di queste misure è ancora da verificare: l'ufficio di gastaldo a Biella, ad esempio, è costantemente affidato nella seconda metà del Trecento alla famiglia Tarditi, che a partire dalla fine del XIII secolo si era progressivamente inserita nella vita politica e religiosa del luogo collocando propri membri nella credenza del comune e ai vertici del capitolo di S. Stefano.
 
d. I funzionari presenti a Biella sotto la signoria viscontea. La soggezione di Biella ai Visconti alla metà del XIV secolo avviene in un contesto di ambiguità: uno dei membri più influenti della famiglia milanese, l'arcivescovo Giovanni Visconti, è al contempo il superiore del vescovo vercellese Giovanni Fieschi, signore di Biella. Quando nel 1352 divampa una violenta ribellione contro il vescovo Fieschi l'arcivescovo Giovanni Visconti, intervenuto su richiesta di papa Clemente VI a pacificare le parti, assume provvisoriamente e con l'assenso del vescovo il governo del luogo: il suo ruolo di arbitro e di tutore dei diritti della chiesa vercellese, tuttavia, non impedisce che dopo la sua morte Biella entri ipso facto fra i domini del nipote Galeazzo Visconti, sottraendo al vescovo il più importante dei suoi possedimenti (Negro 2011). Con la soggezione di Biella ai Visconti (1351-1373) avviene un'importante innovazione nelle magistrature cittadine con l'introduzione del podestà (la prima attestazione certa risale al 1354, ma cfr. Mullatera, Memorie di Biella cit., p. 56, e Gabotto, Biella e i vescovi cit., p. 45, che ipotizzano la prima nomina di un podestà visconteo già nel 1351; non c'è traccia dell'esistenza di un podestà nella prima metà del XIV secolo: introduzione a Statuti ed. Cancian, p. 36). Podestà di nomina viscontea sono attestati, oltre che nel 1354, negli anni 1357, 1359, 1362, 1364, 1369, e provengono per la maggior parte da Milano (uno solo da Bologna). Per i decenni '50 '60 e '70, costellati di pestilenze e guerre, sappiamo poco del funzionamento delle magistrature cittadine, complice una netta diminuzione della quantità di fonti disponibili (anche se proprio in questo periodo si registra un'importante innovazione in ambito fiscale con l'introduzione degli estimi, attestati in modo discontinuo sin dal 1351, cfr. Negro 2001). Continuano ad essere attestati consoli e chiavari, ma si nota un incremento nel ricorso dell'istituto del sindacato, probabilmente dovuto alla necessità di gestire le frequenti emergenze belliche e finanziarie.
La presenza dei funzionari viscontei non significa l'estromissione di quelli vescovili. I libri dei redditi del vescovo di Vercelli (la cui compilazione inizia significativamente nel 1352, uno degli anni più difficili per la chiesa vercellese), attestano che Biella continua ad essere uno dei centri principali della signoria vescovile: vi risiedono diversi gastaldi e nei magazzini vescovili continuano a confluire i prelievi annuali di diverse comunità vicine. Una serie di disposizioni statutarie del 1356 attestano inoltre come ancora attivi in città gli "officiales domini episcopi" deputati a giudicare le cause (Statuti ed. Cancian, art. 53, p. 207). D'altra parte che le modalità con cui era avvenuta la soggezione di Biella ai Visconti non fossero mai state pienamente legittimate emerge con evidenza nel 1376, quando un accordo fra Visconti e lega antiviscontea pone fine a un pluridecennale periodo di guerra: diversamente da quanto accade per altre località della diocesi che erano finite in mano ai Visconti, e per le quali si prevede un periodo di tregua per stabilire la loro attribuzione all'uno o all'altro dei contendenti, Biella viene riconosciuta immediatamente al temporale del vescovo. Il ripristino dell'autorità vescovile durerà solo tre anni: nel 1379 la dedizione di Biella ai Savoia riproporrà, come vedremo, il problema della coesistenza fra funzionari signorili e funzionari vescovili.
 
e. I funzionari presenti a Biella sotto la signoria sabauda. Con la soggezione di Biella ai Savoia nel 1379 la figura del podestà viene regolamentata con molta precisione. L'accordo prevede che il conte lo scelga in una rosa di quattro candidati proposti dal comune (Sella 1904). Le norme emanate successivamente precisano che tanto il podestà quanto i suoi collaboratori non devono essere biellesi (ma già il primo podestà, nel 1380, non è di famiglia biellese: Sella 1904, II, doc. 9, p. 35). La familia del podestà è composta da un vicario, che dev'essere dottore in legge, e da un collateralis o miles, nobile e affiancato da cinque clientes con armi e almeno tre cavalli. Quest'ultimo svolge funzioni di polizia, ed è deputato a far rispettate le leggi sulle vendite dei tessuti, carne, gioco d'azzardo, e sui pesi e le misure. L'istituto podestarile entra in crisi alla fine del XV secolo: le aggiunte statutarie del 1504 (Statuti ed. Cancian, p. XVII) denunciano che ormai il podestà, di nomina sabauda, non si recava a Biella ma vi mandava un sostituto. Un'altra importante ripercussione della dedizione ai Savoia è la creazione di un districtus facente capo a Biella (cfr. Dipendenza medioevo). Con l'accordo (di validità trentennale) del 1379 e con quello definitivo del 1408 (Sella 1904, II, pp. 5 e 40) si stabilisce che una serie di località avrebbero dovuto per le questioni di giustizia far capo al podestà di Biella (si tratta di Andorno, Bioglio, Mosso, Mortigliengo, Zumaglia, Ronco, Chiavazza, Occhieppo superiore, Sordevolo, Vernato, Pollone e Tollegno). Nel 1408, in occasione della definitiva dedizione di Biella ai Savoia (l'atto del 1379 aveva validità trentennale), i Savoia sottopongono alla giurisdizione di Biella anche Sostegno, Coggiola, Lessona e Benna, località prima sottoposte a Vercelli. Si viene a delineare in questo modo, almeno in linea di principio, un distretto di pertinenza biellese, ma non sappiamo quanto concretamente realizzato. Almeno nel primo periodo Andorno e Zumaglia sono a loro volta sede di castellania. Certamente il tentativo di affermare e veder riconosciuta la propria egemonia su una serie di località grosso modo coincidenti con l'attuale biellese, perseguito con continuità da Biella sin dalla prima dedizione ai Savoia, sarà complicato sia da situazioni di ambiguità ereditate dall'epoca in cui Biella era sotto la signoria vescovile, sia dalle rivendicazioni vercellesi su alcune località (vedi Parte narrativa).
Per quanto riguarda la gestione finanziaria (Torrione 1946) i Savoia nominano a Biella un funzionario, denominato chiavaro (il primo ricevitore dei redditi è Bartolomeo Scaglia, nominato il 4 novembre 1379), che era deputato a ricevere i redditi solo per le località di Biella e delle terre al di qua del Cervo (mentre i redditi di Andorno, Zumaglia e degli altri luoghi al di là del Cervo confluivano in un rendiconto a sé stante, anche se a volte gestito dallo stesso funzionario biellese, come accade fra il 1387 al 1398). I funzionari deputati a ricevere i redditi delle due aree sembrano essere stati fino alla fine del Quattrocento membri di famiglie locali (famiglie i cui esponenti risultano ricoprire questo ruolo sono gli Scaglia, i Novellino, i Bertodano, i Tuna, gli Spina: cfr. AST, Sezioni Riunite, conti della castellania di Biella). Essi erano affiancati dai gastaldi, ufficiali attestati a Pollone, Graglia, Muzzano e Camburzano per quanto riguarda le terre al di quà del Cervo, e a Chiavazza, Bioglio, Mosso, Mortigliengo, Zumaglia e Andorno per le terre poste al di là del Cervo. Nelle titolature adottate dai funzionari sabaudi (podestà, chiavaro, gastaldo) si riscontra anche per Biella la tendenza a rispettare la tradizione amministrativa locale (Barbero 2002).
Nel 1414 un accordo fra il comune di Biella e il vescovo vercellese, alla presenza di un funzionario sabaudo, fissa i limiti dei poteri del vicario vescovile: scelto fra i canonici della collegiata di S. Stefano, il vicario si limita alle cause spirituali. Nonostante la soggezione ai Savoia il comune continuerà a prestare giuramento nelle mani del vescovo e a ricevere da lui l'investitura dei privilegi che detiene ab antiquo (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 86).
Risale al 1424 la prima attestazione a Biella di una scuola pubblica (ARMO, II, p. 58), il cui rettore è stipendiato dal comune (rector scholarum Bugelle è anche Giacomo Orsi, autore della più antica cronaca delle vicende cittadine). La sede delle scuole pubbliche era al Piazzo: un ordinato del comune del 1459 rinnova l'affitto della casa di Besso Ferrero "pro scolis gramaticalibus" (ASB, ASCB, Comune, Ordinati).
Nel 1518 Carlo II di Savoia cambia il nome del chiavaro in quello di rettore (Torrione 1946).
Nel 1699 viene attuata una riforma delle magistrature comunali: il consiglio è composto da 18 membri di cui 9 in rappresentanza dell'Università del Piano e 9 di quella del Piazzo. Fra questi vi erano 5 membri appartenenti a famiglie della città, 6 chiavari delle arti (ferrari, bovari, lanatori, sarti, legnamari e muratori, calzolai), 2 procuratori del popolo (uno per il Piazzo e uno per il Piano), 2 consiglieri del popolo. Tra i 18 consiglieri erano eletti ogni anno (27 ottobre) un rettore e tre consoli (il rettore era eletto alternativamente fra i consiglieri del Piano e fra quelli del Piazzo). L'organico contemplava anche un segretario, due archivisti, due procuratores ad lites, due estimatori.
 
Con le Regie Patenti del 1775, che uniformano la composizione dei consigli comunali in tutto il regno, i Savoia stabiliscono che il consiglio comunale biellese sia composto di 7 membri compreso il sindaco. La carica di quest'ultimo ufficio, ricoperto alternativamente da un consigliere del Piazzo e del Piano, ha durata semestrale. I rappresentanti locali dei Savoia sono un Intendente e un vice Intendente per la città e la provincia (Biella è provincia dal 1626); un Prefetto e un vice Prefetto Giudici e un comandante della Piazza. La polizia è composta da cinque compagnie di milizia urbana (Roccavilla).
 
Il 10 dicembre 1797, in seguito all'occupazione francese, viene nominato un Consiglio provvisorio municipale e nella piazza di S. Stefano viene piantato l'albero della libertà (nei giorni seguenti l'albero della libertà sarà innalzato a Cossila, Crocemosso, Strona, Trivero, Ronco e Oropa).
Con l'instaurarsi della Repubblica Piemontese (dicembre 1798-maggio 1799), viene formato un Consiglio provvisorio municipale e la sede del comune si sposta dal Piazzo al Piano (Oratorio di S. Filippo). Viene nominato un Prefetto di Biella e Provincia e un Commissario deputato a riorganizzare le municipalità e le magistrature comunali. Con decreto del 21 dicembre 1798 l'ufficio di Intendente e vice Intendente vengono sostituiti da una Direzione centrale di finanza composta di 15 membri. Le compagnie di milizia vengono sostituite da una Guardia Nazionale. L'arrivo degli austriaci (maggio 1799) ripristina le precedenti magistrature sabaude.
Statuti
Statuti
 
I codici medievali
Degli statuti del comune di Biella esistono due codici di età medievale:
 
1. il codice più antico risale al 1245 e contiene aggiunte e correzioni fino ai primi anni del Trecento; è conservato a Torino, nell'archivio della famiglia Gromis di Trana, e nel 1908 ne è stata fatta un'edizione a cura di Ferdinando Gabotto: Gli Statuti di Biella secondo il codice originale del 1245, a cura di F. Gabotto, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/3), pp. 317-401.
 
2. il secondo codice, che rimase in vigore fino alla fine del Settecento, è redatto fra il primo e il terzo decennio del XIV secolo, probabilmente per sostituire il codice più antico e offrire un corpus statutario più ordinato e completo; è conservato nell'Archivio Storico della Città di Biella (ASB, ASCB, s. I, b. 10ter/1) e ne sono state fatte due edizioni: la prima nel 1904 a cura di Pietro Sella (Statuta comunis Bugelle et documenta adiecta, Biella, 1904, vol. I, pp. 1-89), la seconda, con traduzione a fronte, nel 2009 a cura di Patrizia Cancian (Statuta comunis Bugelle. Statuti del comune di Biella, Torino, 2009, pp. 2-183).
 
I due testi statutari si differenziano in vari punti (per il loro confronto rimane ad oggi insostituibile l'introduzione all'edizione curata dal Gabotto): innanzitutto il codice del 1245 contiene un centinaio di articoli non più presenti nel codice del XIV secolo, mentre viceversa quest'ultimo contiene 169 articoli in più; in secondo luogo il codice più antico non presenta scansioni interne della materia statutaria, al contrario del codice trecentesco che si presenta articolato in 23 rubriche: 1. sui consoli (De Cumsulibus), 2. sulla credenza (De credentia et credendariis), 3. sul comune (De comuni Bugelle), 4. sulle feste e gli enti religiosi e assistenziali (De sanctis festis, eclexiis, salmis, cumfraria et hospitali), 5. sugli officiali del comune (De officialibus comunis), 7. sui prati, i campi e le vigne (De pratis, campis, vineis et clausis), 8. sui boschi il legname e le sorti (De buschis, lignamine et sortibus), 9. sui forestari (De forestarii), 10. sui giochi d'azzardo (De ludis, lusoribus et balnitis), 11. sul Piazzo (De Placio et ornamenta eius), 12. sulle fortificazioni (De Placio, Plano et fortalicis eorundem), 13. sulle misure (De mensuris et salvitate), 14. sugli abitanti (De habitatoribus et vicinis), 15. sulle vie e i beni comuni (De viis et aliis comunibus), 16. sulle bestie (De bestiis), 17. sui furti e danneggiamenti (De dapnis, guastis et furtis), 18. sulle taverne (De tabernis et tabernariis), 19. sulla roggia (De rugia), 20. sui mulini e i forni (De molendinis et furnis), 21. sugli alpeggi (De alpibus), 22. varie (Extra Ordinaria), 23. sul reato di truffa e falso (De crimine stelionatus). I due codici statutari di Biella, fatta eccezione per la breve rubrica De iniuris et rixis, non contemplano una sezione dedicata allo svolgimento del processo civile e di quello penale, un dato che la tradizione di studi giuridici interpreta come segno di ridotta autonomia del comune (introduzione all'ed. Cancian, pp. 28 e 34). Un libro sul processo penale verrà redatto a Biella solo nel XIV secolo (si tratta dei cosiddetti Statuta maleficiorum, in copia del XIV s., vedi oltre alla voce corrispondente), mentre non c'è traccia di una redazione simile per il processo civile (ma l'ipotesi più accreditata è che sia andata persa, ibid.).

Aggiunte e integrazioni al codice degli statuti (XIV-XV s.). Nell'archivio storico del comune sono conservate una serie di redazioni statutarie parziali redatte nella seconda metà del XIV secolo e nel XV secolo ad integrazione del codice principale. Anche queste sono state edite prima dal Sella e poi, con maggiore rispetto per l'unità archivistica che le contiene, nel volume curato dalla Cancian (l'elenco è nell'introduzione di Gian Savino Pene Vidari a quest'ultima edizione, pp. XV-XVII):
- 1356, statuti sul podestà e i suoi collaboratori (copia cartacea mutila del 25 gennaio 1356 in ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 10bis, f. 24; Statuti ed. Sella, pp. 126-202; Statuti ed. Cancian, pp. 184-202);
- s.d., attribuito prima metà del XIV s., statuti vari (copia membranacea, in ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 10bis, f. 23; Statuti ed. Sella, pp. 93-113; Statuti ed. Cancian, pp. 202-249);
- s.d. attribuito alla fine XIVs.-inizio XVs., sul sindacato del podestà e della sua familia (in ASB, ASCB, Comune, s. I, m. 19bis, f. 8; Statuti ed. Sella, pp. 163-167; Statuti ed. Cancian, pp. 304-315);
- 1402-1504, codice membranaceo di statuti contenenti formule di giuramento degli ufficiali comunali, con aggiunte del 1408, 1454, 1455, 1484, 1492, 1504 (ASB, ASCB, s. I, Comune, 19bis, f. 573ter; Statuti ed. Sella, pp. 117-159; Statuti ed. Cancian, pp. 316-389).
 
Gli statuti criminali
(ediz. in Statuti ed. Sella, pp. 169-193; Statuti ed. Cancian, pp. 250-303)
Il codice, databile alla prima metà del XIV secolo, porta il titolo Statuta maleficiorum Bugellae, e si trova in ASB, ASCB, s. I, b. 10bis, f. 23.
Rispetto alle redazioni statutarie coeve di altri comuni subalpini, quella biellese si distingue per le pene corporali frequenti e pesanti (introduzione a Statuti ed. Cancian, p. 46). Stando a un articolo degli statuti sul podestà emanati nel 1356 esisteva un notaio deputato ad inserire nel "libro maleficiorum" il nome di chi contravveniva alle norme sul gioco d'azzardo (Fragmenta statutorum comunis Bugelle, in Statuti ed. Cancian, art. 15).

Gli statuti delle arti
Le corporazioni di mestiere di Biella sono contemplate in vari articoli del codice statutario generale: vengono espressamente nominate quella dei massari e dei bovari, dei notai, dei macellai, dei mercanti, dei calzolai, dei conciatori, dei tessitori (Statuti ed. Cancian, art. 263). Un codice cartaceo (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 10) contiene gli statuti delle arti: nell'ordine beccai, ferrai, tessitori, drappieri, sarti, conciatori; due fascicoli cartacei a sé stanti contengono gli statuti dei notai e quello dei massari. Sono tutti editi da Pietro Sella (Statuta comunis Bugelle, vol. I) e ampiamente commentati dallo stesso in Legislazione statutaria biellese.
In ordine di antichità abbiamo:
statuto dei ferrai (1275)
statuto dei calegarii (1291)
statuto dei sarti (1296)
statuto dei tessitori (1310)
statuto dei beccai (s.d., ma probabilmente da attribuire all'episcopato di Uberto (1310-1328), cfr. P. Sella, Statuta, II, p. 296, doc. 4)
statuto dei drappieri (1348)
statuto dei massari (1385)
statuto dei notai (1429)

I bandi campestri
(l'elenco è desunto da L'alpe e la terra. I bandi campestri biellesi nei ss. XVI-XIX, a cura di L. Spina, Biella, 1997)

- 1732, gennaio 22 "Bandi campestri per la Città e il finaggio di Biella. Riforma de capitoli dei Bandi Politici, campestri, della Pesca e dell'Alpero della città di Biella" (AST, Int. Sen. piem., vol. 30 (1735), cc. 1r-12r). Il bando concerne acqua, alpero, caccia e pesca, campari, disposizioni generali, distanza legale, forestieri, fuoco, pascolo, prodotti agricoli, strade, vendemmia.
 
- 1835, gennaio 16 "Per pubblicazione di riforma de' Bandi Campestri in vigore nella Città di Biella" (AST, Int. Sen. piem., vol. 26 [1734-36], cc. 522r-523v).
 
- 1835, gennaio 16 "Approvazione di riforma dell'articolo quinto de' Bandi Campestri vigenti nella Città di Biella di cui nell'Ordinato 16 gennaio 1835" (AST, Int. Sen. piem., vol. 26 [1734-36], cc. 636r-641r).
Il bando concerne l'acqua.
 
- 1845, febbraio 5 "Per pubblicazione de' Bandi Campestri formati dalla città di Biella e Comunità di Cossila" (AST, Int. Sen. piem., vol. 24 [1742-47], cc. 496r-498r).

 
Catasti
Catasti
Gli estimi e i catasti comunali (1351-1793) sono conservati nell'Archivio Storico della Città di Biella, attualmente depositato presso il locale Archivio di Stato.
La serie degli estimi medievali  comincia nel 1351 e procede in modo discontinuo nei due secoli successivi (ASB, ASCB, s. 1, bb. 8-10 e 304-305). Per il XIV e XV secolo disponiamo complessivamente di una trentina di fascicoli, ogni fascicolo contiene l'estimo di uno degli otto quartieri in cui erano suddivise le due parti della città: al Piano vi erano i quartieri di S. Pietro, S. Cassiano, S. Paolo e S. Stefano (a sua volta diviso in S. Stefano superiore e S. Stefano inferiore); al Piazzo i quartieri di Bellone, S. Giacomo, Codecapra e Campile (sugli estimi medievali di Biella: Negro, tesi di laurea, 2003-2004).
 
L'elenco dei catasti storici di epoca moderna del territorio biellese è disponibile online sul sito dell'Archivio di Stato di Biella:
Si elencano qui di seguito i catasti che riguardano il territorio dell'attuale comune di Biella (sono quindi compresi anche i catasti relativi alle località che allora costituivano comuni a se stanti ma che oggi rientrano nel territorio comunale biellese).
 
Catasti moderni del territorio di Biella:
- 1573. Catasto compilato da Bernardino Draghetto del territorio di Biella (ASB, Comune, s. I, b. 316)
- 1622-1639. Catasto dell'università del Piano (ASB, Comune, s. I, b. 317).
- 1678. Catasto dell'università del Piazzo (ASB, Comune, s. I, b. 319).
- 1750. Catasto dell'università del Piazzo (ASB, Comune, s. I, b. 319).
- 1782. Mappa del territorio della città di Biella formata dal misuratore e geometra Eusebio Colombino di Netro. Dalla mappa campagnola del 1782 viene ricavata nel 1788 la mappa del territorio biellese conservata in AST, Sezioni Riunite, Sala H, cui è allegato un volume che riporta in ordine alfabetico tutti i proprietari e le relative proprietà.
- 1790. Libro campagnolo del 1790, realizzato da Giovanni Bernardo Borione in dipendenza della Misura generale dell'anno 1782 secondo le misurazioni di Gio Bernardo Colombino di Netro (conservato presso la Biblioteca Civica di Biella, Sala Biella).

Catasti moderni del territorio di Chiavazza:
(libri catastali secolo XVII -1950)
- Mappa del territorio di Chiavazza 18 marzo 1783 (copia della mappa originale del 1782).
 
Catasti moderni del territorio di Cossila:
(libri catastali secolo XVII-1950)
- Mappa del territorio di Cossila del 1778
Ordinati
Ordinati
Gli ordinati sono disponibili dal 1561 nell'Archivio di Stato di Biella (ASB, ASCB, s. I, bb. 143-216, docc. dal 1561 al 1801); nella busta 143 è contenuto il "Liber reformationum" proveniente dall'archivio dei marchesi Gromis di Trana (1456-1459 e 1524-1525).
Dipendenze nel Medioevo
Dipendenza nel medioevo
 
IX secolo: Biella nell'impero carolingio. Prima dell'826 Biella era una curtis che faceva parte del fisco imperiale. In quest'anno gli imperatori Ludovico il Pio e Lotario donano la curtem Bugellam a un loro vassallo, Bosone, attestato in qualità di "comes vel misso domini imperatoris" in un placito coevo tenutosi a Torino. Il diploma imperiale fornisce anche le prime informazioni sulla distrettuazione pubblica in cui la località di Biella risultava all'epoca inserita. Elencando una serie di ripartizioni geografico-amministrative a scatole cinesi, il diploma inquadra la curtis di Biella nel pagus degli Ictimoli, che è parte del comitato di Vercelli, a sua volta una ripartizione della Langobardia ("in Langobardia, in pago videlicet [I]ctimol[um] quod pertinet ad comitatum Vercellensem"). L'appartenenza di Biella al comitato vercellese è attestata nelle fonti fino al penultimo decennio del X secolo (Sergi 1975).
882-1352: Biella sotto la signoria vescovile. Pochi decenni dopo la donazione al conte Bosone Biella, secondo una prassi frequentemente verificata dalla storiografia (Panero 2004; Lazzari 2006), torna nella disponibilità del potere imperiale: nell'882 la "curtis magna quae dicitur Bugella" viene donata dall'imperatore Carlo il Grosso al vescovo di Vercelli Liutvardo. Biella entra così a far parte dei domini temporali che la chiesa vercellese, attraverso il favore degli imperatori e l'intraprendenza spregiudicata di vescovi come Leone (vescovo di Vercelli dal 998 al 1026), cerca di estendere all'intera diocesi. Questo proposito verrà definitivamente bloccato dalla politica messa in atto dal comune di Vercelli fra l'ultimo quarto del XII e il primo quarto del XIII secolo, che porta a un deciso ridimensionamento del numero di comunità che rientrano nella signoria vescovile. Questa finisce per concentrarsi in gran parte nella parte settentrionale della diocesi: quando nel 1243 il comune di Vercelli riesce, grazie al gioco di alleanze innescate dalle lotte fra impero e papato, a farsi cedere ciò che rimaneva del districtus vescovile, l'elenco delle località che risultano farne parte trova una qualche coerenza territoriale proprio nel biellese (in corsivo le località del biellese): Masserano, Mortigliengo, Curino, Crevacuore, Flecchia, Mosso, Bioglio, Andorno, Chiavazza, Ronco Biellese, Zumaglia, Moncrivello, Santhià, Cigliano, Uliaco e Miralda (presso Villareggia), Saluggia, Palazzolo, Asigliano, Fregaria (presso Villanova Monferrato), Casale Aquarti (presso Crescentino), Biella, Piazzo di Biella, Sandigliano, Ponderano, Gaglianico, Occhieppo, Camburzano, Graglia, Muzzano, Sordevolo, Coggiola, Guardabosone, Pollone (Panero 2004, p. 168 e cartina a p. 172). Il colpo di mano del comune di Vercelli non riuscì mai a tradursi in realtà, tant'è che un secolo dopo i libri dei redditi vescovili (1351-1377) ripropongono, per quanto riguarda le località sottoposte alla giurisdizione della chiesa, un quadro simile: Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Curino, Masserano, Mortigliengo, Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Camburzano, Muzzano, Casaletum (forse Castelletto), Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Cigliano, Villareggia, Miralda, Moncrivello (Negro 2011).
E' in questo contesto di progressiva erosione della signoria ecclesiastica che Biella, diventata comune nella seconda metà del XII secolo, accresce il proprio peso come centro di potere vescovile: dalla metà del Duecento comincia ad apparire a livello documentario l'esistenza di un distretto "biellese", anche se la sua formulazione compiuta (nel senso di elenchi di località su cui Biella può rivendicare ufficialmente la propria centralità amministrativa) avverrà solo sotto i Savoia. Quando nel 1239 i vercellesi radunano le forze per contrastare l'imperatore Federico II, cercando di ottenere a tale scopo anche il contributo delle terre vescovili, si rivolgono al comune di Biella affinché «ipsi et homines loci, cum tota jurisdictione domini episcopi vercellensis ad iamdictum locum Bugellae spectante, et specialiter Andurno, Clavasia, Poleono et Pitenengo sub eadem pena in instanti exercitu contra Alexandrinenses vadant» (Gabotto 1896). All'affermarsi di un'egemonia di Biella sulle località circostanti ha certamente contribuito in modo determinante l'esclusiva del diritto di macello per un raggio di otto milia dal centro abitato: nel 1313 il vescovo Uberto Avogadro conferma ai consoli del collegio dei beccai il privilegio detenuto da "longa et longissima tempora" secondo cui "aliqua beccaria non possit fieri in aliquo loco Bugelle nec per octo miliaria prope in terra domini episcopi" (Sella 1904, I, p. 277). Come dimostra un articolo dello statuto dei beccai (ivi, p. 271) l'applicazione di questo principio si traduceva in un'area definita da un raggio medio di 15 km circa dal centro abitato, grosso modo coincidente con l'attuale Biellese: nessun beccaio di Biella può "facere beccariam a Saluzolia et a Costa Calamacii et a Messerano et a Castelleto versus Bugellam" (Biella-Salussola = 14 km ca; da Biella alla morena della Serra [Costa Calamacii]: 15 km ca; Biella-Masserano = 17 km circa; Biella-Castelletto Cervo = 17 km ca).
 
1352-1370: Biella sotto la signoria viscontea. L'acuirsi dei contrasti negli anni '40 del XIV secolo fra il comune e il vescovo di Vercelli culmina nella primavera del 1352 coll'imprigionamento del vescovo ad opera dei biellesi. L'episodio prelude all'ingresso dei Visconti nel governo della città: Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, entra in possesso di Biella fra il 17 agosto del 1352, data della lettera papale che lo invita ad intervenire in aiuto del vescovo vercellese, e il 2 maggio dell'anno successivo, quando lo stesso arcivescovo scrive una lettera agli uomini e al comune di Biella "quos sub nostra gubernatione recepimus". Il controllo su Biella del Visconti, che in qualità di arcivescovo di Milano era il diretto superiore del vescovo Fieschi, doveva essere una soluzione temporanea, ma alla sua morte (1354) Biella confluisce fra i domini del nipote Galeazzo Visconti, che in quanto signore di Vercelli era già titolare di giurisdizione sull'ampio districtus vercellese. E' sotto di lui che la signoria viscontea su Biella si realizza completamente anche attraverso la nomina di funzionari: la tarda testimonianza secondo cui "d. Galeaz Vicecomes erat dominus dicti loci Bugelle et faciebat ipsum locum gubernari et regi per eius officiales" (1452), trova riscontro nei nomi di diversi podestà viscontei attestati dalle fonti biellesi fra il 1354 e il 1369 (Negro 2011). Data la scarsità delle fonti per il periodo in questione non è facile capire se l'aggressiva politica del Visconti nei confronti della chiesa vercellese - sappiamo che in questi anni Galeazzo aveva esteso la propria dominazione su diverse altre località della signoria vescovile - mirasse a creare un nuovo polo di potere nella diocesi vercellese (come farebbe pensare la nomina dei podestà a Biella) o intendesse inquadrare le terre di nuova acquisizione entro la giurisdizione vercellese. Quest'ultima è certamente l'interpretazione preferita dal podestà di Vercelli, che nel 1355 invia alcuni suoi funzionari in alcune non meglio precisate "terras et loca" appartenenti alla chiesa per ingiungere agli abitanti il pagamento di certe somme a nome di Galeazzo. La guerra che dilania la diocesi nei due decenni successivi, con la formazione di una lega antiviscontea che coinvolgerà a partire dal 1372 il papa, il marchese di Monferrato, i Savoia e il vescovo di Vercelli determinerà per quanto riguarda Biella la fine della signoria dei Visconti e il (temporaneo) ritorno sotto la signoria vescovile (1376): ma già nell'agosto del 1379 il comune di Biella sottoscrive l'atto di dedizione ad Amedeo VI, conte di Savoia.
 
1379-metà del XVI s.: Biella sotto la signoria sabauda. I patti di dedizione del comune di Biella al conte di Savoia Amedeo VI del 6 agosto 1379 (Sella 1904, II, p. 5) comportano per la prima volta la creazione di un districtus biellese ufficialmente riconosciuto: l'ottavo capitolo dell'accordo stabilisce infatti che al podestà di Biella dovranno obbedire nelle questioni di giustizia "omnes et singulos homines" delle località di Andorno, Bioglio, Mosso, Mortigliengo, Zumaglia, Ronco, Chiavazza, Occhieppo Superiore, Sordevolo, Vernato, Pollone e Tollegno "et aliarum terrarum alias subditarum ecclesie Vercellarum" che si erano sottoposte alla signoria sabauda o lo avrebbero fatto in futuro. Nel 1408, in occasione della definitiva dedizione di Biella ai Savoia (l'atto del 1379 aveva validità trentennale), si stabilisce che il podestà di Biella abbia giurisdizione anche sulle località di Sostegno, Coggiola, Trivero, Lessona, Benna, Mosso, Bioglio, Chiavazza e Sordevolo "olim iurisdictionis Vercellarum". Dal punto di vista finanziario la sottomissione ai Savoia aveva disegnato una ripartizione territoriale almeno formalmente diversa: al funzionario biellese spettava occuparsi dei redditi delle comunità "al di qua del Cervo", ad Andorno quelli delle comunità al di là del Cervo (quindi Chiavazza, Bioglio, Mortigliengo, Ronco, Zumaglia). Questa doppia articolazione territoriale è probabilmente un tentativo messo in atto per venire incontro alle aspirazioni del comune biellese senza esacerbare troppo Andorno, senza dubbio la più recalcitrante fra le comunità su cui Biella rivendicava la propria egemonia.
Nonostante l'impegno profuso dai ceti dirigenti biellesi per concretizzare quanto previsto negli atti di dedizione ai Savoia l'esistenza di un distretto ben definito facente capo a Biella rimane a lungo più sulla carta che nella realtà (trovando una definitiva realizzazione solo nel XVI e soprattutto nel XVII secolo: vedi alla voce Mutamenti di distrettuazione). E' di ostacolo tanto la decisa opposizione di alcune località (Andorno in primis, ma anche Bioglio, Mosso, Trivero e Chiavazza), quanto la difficoltà di eliminare alcune situazioni di ambiguità che risalivano ancora all'epoca in cui Biella era sotto la signoria vescovile. Nel XIII secolo, infatti, in un certo numero di località (alcune delle quali vicinissime a Biella, come Chiavazza) si era arrivati a una spartizione territoriale fra un ambito di giurisdizione vescovile e uno di giurisdizione vercellese: la condizione di quelle che nei documenti sono definite ville o terre "miste iurisdicionis" si era poi prorogata nel tempo e non era mai stata risolta definitivamente, tanto che ancora nel XV secolo il comune di Vercelli può rivendicare diritti su una parte di quelle località e contestarne l'appartenenza al distretto biellese (vedi Parte narrativa).
Feudo
Feudo
Biella non è mai infeudata.
Mutamenti di distrettuazione
Mutamenti di distrettuazione
La riforma di Emanuele Filiberto del 1560 determina l'appartenenza di Biella alla provincia di Vercelli. Il 17 maggio 1561 Andorno, che dall'inizio del Quattrocento si oppone alla soggezione a Biella chiedendo di essere separato e ottenere un proprio mercato, ottiene patenti dallo stesso duca per poter nominare un proprio podestà (Torrione 1946). Il 12 ottobre 1575 i delegati della città di Biella prestano fedeltà a Carlo Emanuele, fatto salvo il rispetto degli usi, franchigie e privilegi del luogo (Sella 1904, II, doc. 55, pp. 192 sg.): in particolare si fa richiesta a. di "restituire et riunire ad esso luoco di Biella et suo mandamento le Terre et i luoghi da quella smembrati ciò è Andorno et Casa del Bosco", e b. che facciano capo a Biella e non più a Vercelli le cause di prima istanza sia civili che criminali di tutte le comunità appartenenti al distretto di Biella e più in generale quelle entro un raggio di 10 miglia dalla città (Sella 1904, II, doc. 56, pp. 195 sg.). Quest'ultima richiesta viene corrisposta, in cambio di 1000 scudi d'oro, dal duca con lettere patenti del 21 dicembre 1577 (Sella 1904, II, doc. 83, p. 203 sg.).
 
La città viene elevata a capoluogo di provincia con Lettera Patente di Carlo Emanuele I del 17 novembre 1626 (anche se figura per la prima volta come tale in un ordine dello stesso duca del 20 agosto 1614). Alla provincia appartengono all'incirca novantamila abitanti e sessantacinque fra comuni e terre (Roccavilla 1991): Biella (con Barazza e Pavignano), Andorno e Valle (Campiglia, Callabiana, Piedicavallo, Quittengo, Selve, Sagliano, S. Giuseppe, S. Paolo, Tavigliano), Bioglio e Cantoni (S. Maria, Camandona, Piatto, Pettinengo, Valle S. Nicolao, Vallanzengo), Buronzo, Benna, Borriana, Coggiola, Cossato, Casa del Bosco, Castellengo, Cerrione, Camburzano, Candelo, Cerretto, Chiavazza, Cossila, Carisio, Cavaglià, Dorzano, Donato, Graglia, Gaglianico, Lessona, Mortigliengo e Cantoni (Casapinta, Crosa, Mezzana, Soprana, Strona), Massazza, Magnano, Mongrando, Muzzano, Miagliano, Mottalciata, Mosso e Cantoni (S. Maria, Croce, Pistolesa, Valle Superiore, Valle Inferiore, Veglio), Netro, Occhieppo Inferiore, Occhieppo superiore, Occhieppo inferiore, Ponderano, Portula, Pollone, Pralungo, Piverone, Quaregna, Roppolo, Ronco, Roasio, Sala, Sostegno, Salussola, Sandigliano, Sordevolo, Trivero, Tollegno, Ternengo, Torrazzo, Verrone, Viverone, Vigliano B.se, Valdengo, Villa (presso Sostegno), Villanova B.se, Zubiena, Zumaglia, Zimone. Vennero aggregati a Biella anche i seguenti 'cascinali' che non fanno parte di alcuna comunità: Nebbione, S. Damiano, Villa Ferracane (Roasio) e Carpanetto. Nel 1750 vi sono progetti in merito al distaccamento dalla provincia di Biella delle comunità di Magnano, Zimone e Moncrivello (ASTO).
 
Sotto i francesi Biella fu prima aggregata al compartimento di Vercelli (1798). Poi, dopo la battaglia di Marengo, il Piemonte fu diviso in sei dipartimenti fra cui il Dipartimento della Sesia, con capoluogo Vercelli, a sua volta diviso in cinque circondari: Biella, Vercelli, Santhià, Crescentino e Masserano (24 aprile 1801). Ai circondari furono preposti dei sottoprefetti dipendenti dal prefetto di Vercelli.
 
Nel 1814 con il ritorno dei Savoia in Piemonte vengono ripristinate le province com'erano prima della costituzione dei dipartimenti sotto il governo napoleonico (il Piemonte è diviso in 20 province fra cui Biella). Con l'editto del 1818 vengono stabiliti 4 livelli gerarchici nelle ripartizioni amministrative: Divisioni, Province, Mandamenti, Comunità. Nel 1836 la riforma delle circoscrizioni provinciali - guidata da principi quali l'esistenza di confini naturali, "la facilità e la brevità delle comunicazioni" e "la maggiore o minore frequenza delle vicendevoli relazioni commerciali segnatamente con il Capo di provincia" - investe anche la provincia di Biella, alla quale vengono accorpati sottraendoli dalla provincia di Vercelli i mandamenti di Crevacuore e Masserano (per un totale di 17 comuni in più).
Della provincia di Biella fanno parte ora 95 comuni suddivisi in 12 mandamenti:
1. Biella (Biella, Chiavazza, Cossila, Ponderano, Pralungo, Tollegno)
2. Andorno Cacciorna (Andorno Cacciorna, Callabiana, Campiglia, S. Giuseppe, Miagliano, S. Paolo, Pié di Cavallo, Quittengo, Sagliano d'Andorno, Selve, Tavigliano)
3. Bioglio (Bioglio, Pettinengo, Piatto, Ronco, Ternengo, Vallenzengo, Valle S. Nicolao, Zumaglia)
4. Candelo (Candelo, Benna, Castellengo, Gaglianico, Massazza, Motta Alciata, Sandigliano, Verrone, Villanova di Massazza)
5. Cavaglià (Cavaglià, Dorzano, Roppolo, Viverone)
6. Cossato (Cossato, Casa Pinta, Ceretto, Crosa, Lessona, Mezzana, Quaregna, Soprana, Strona, Valdengo, Vigliano)
7. Crevacuore (Crevacuore, Ailoche, Bornate, Caprile, Flecchia, Guardabosone, Pianceri, Piane, Postua, Serravalle di Sesia, Sostegno, Vintebbio)
8. Graglia (Graglia, Donato, Muzzano, Netro, Occhieppo superiore, Pollone, Sordevolo)
9. Masserano (Masserano, Brusnengo, Castelletto Villa, Castelletto Cervo, Curino)
10. Mongrando (Mongrando, Borriana, Camburzano, Occhieppo inferiore, Sala, Torrazzo, Zubiena)
11. Mosso S. Maria (Mosso S. Maria, Camandona, Coggiola, Croce di Mosso, Pistolesa, Portula, Pray, Trivero, Valle superiore di Mosso, Valle inferiore di Mosso, Veglio)
12. Salussola (Salussola, Cerrione, Magnano, Zimone)
Lo scorporo dei mandamenti di Crevacuore e Masserano dalla provincia di Vercelli determinò rimostranze sia da parte del vescovo di Vercelli, che ottenne rassicurazioni sul fatto che questo non avrebbe inciso sulle circoscrizioni ecclesiastiche, sia da parte dalle comunità interessate (1837, ASTo; Sereno 1999). Nel 1845-46 si discute una riforma della circoscrizione della provincia di Biella. Il 7 ottobre 1848 la provincia di Biella con quella di Casale entra a far parte della divisione amministrativa con capoluogo a Vercelli.
 
1859. Legge Rattazzi. Il nuovo ordinamento amministrativo del Piemonte promulgato nel 1859 (Legge 3702 del 13 ottobre 1859, detta "legge Rattazzi") sopprime diverse province fra cui Biella, che diventa un circondario della provincia di Novara. Con Regio Decreto 9 ottobre 1861 n. 250 agli intendenti subentrarono i sottoprefetti e Biella divenne sede di sottoprefettura.
 
1927. Biella diventa parte della provincia di Vercelli. In seguito alla riforma delle circoscrizioni provinciali del 1927 viene istituita nuovamente la provincia di Vercelli - Regio Decreto N° 1 del 2 gennaio 1927 -, scorporando i circondari di Vercelli, Biella e Val Sesia dalla provincia di Novara alla quale erano stati assegnati con il Decreto Rattazzi del 1859 - R.D. n°3702 del 23/10/1859; ripartendo il territorio fra le provincie di Vercelli e Novara si verifica l'errata attribuzione della Val d'Ossola a Vercelli, poi subito corretta (Archivio storico della provincia di Vercelli, pratiche relative allo scorporo della provincia di Vercelli da quella di Novara, 3 bb.).

Con Decreto Legislativo 6 marzo 1992 n. 248 fu nuovamente istituita la provincia di Biella, scorporandola dal territorio di Vercelli. Ne fanno parte 82 comuni: Ailoche, Andorno Micca, Benna, Biella, Bioglio, Borriana, Brusnengo, Callabiana, Camandona, Camburzano, Campiglia Cervo, Candelo, Caprile, Casapinta, Castelletto Cervo, Cavaglià, Cerreto Castello, Cerrione, Coggiola, Cossato, Crevacuore, Crosa, Curino, Donato, Dorzano, Gaglianico, Gifflenga, Graglia, Lessona, Magnano, Massazza, Masserano, Mezzana Mortigliengo, Miagliano, Mongrando, Mosso, Mottalciata, Muzzano, Netro, Occhieppo Inferiore, Occhieppo Superiore, Pettinengo, Piatto, Piedicavallo, Pollone, Ponderano, Portula, Pralungo, Pray Biellese, Quaregna, Quittengo, Ronco Biellese, Roppolo, Rosazza, Sagliano Micca, Sala Biellese, Salussola, Sandigliano, San Paolo Cervo, Selve Marcone, Soprana, Sordevolo, Sostegno, Strona, Tavigliano, Ternengo, Tollegno, Torrazzo, Trivero, Valdengo, Vallanzengo, Valle Mosso, Valle San Nicolao, Veglio, Verrone, Vigliano Biellese, Villa del Bosco, Villanova Biellese, Viverone, Zimone, Zubiena, Zumaglia.
Mutamenti Territoriali
Mutamenti territoriali
Si espongono in ordine cronologico gli interventi che hanno determinato variazioni del territorio comunale in seguito a soppressione di comuni contermini oppure alla nascita di nuovi comuni.

1421: il comune di Vernato viene accorpato a quello di Biella. La premessa di questa unione è la dedizione ai Savoia, resasi definitiva per entrambi i comuni nel 1408. Dalle suppliche inoltrate dal comune di Vernato al duca di Savoia fra il 1420 e il 1421 emerge che il Vernato non riesce più a sostenere il pagamento del focatico annuale, pari a 25 fiorini, che era stato concordato all'atto della dedizione. Pur essendo all'interno dello stesso circuito di mura che cinge Biella, infatti, il Vernato paga "focagia et cetera omnia ac per se et separatim", ma i suoi abitanti sono "paucissimi" e "pauperculi", perché molti si sono trasferiti sul territorio di Biella e si rifiutano di pagare le imposte per i beni che tengono nel Vernato. Ne deriva che o il duca obbliga questi ultimi a pagare le tasse al Vernato, o non resta altro che unire i due comuni. Inviato il capitano generale Henri de Colombier a verificare la situazione e avuto conferma dello stato delle cose il 27 aprile del 1421 il duca di Savoia approva l'unione: i vernatesi godranno degli stessi privilegi dei biellesi mentre questi ultimi subiranno un incremento del focatico pari ai 25 fiorini prima pagati dalla comunità di Vernato.
 
1622: il cantone di Pralungo viene scorporato dal territorio del comune di Biella e diventa comune autonomo. Pare che le prime richieste di smembramento siano state avanzate qualche decennio prima, perché già all'inizio del secolo il duca di Savoia invita il comune di Biella a segnalare nel nuovo catasto (catasto Draghetto, 1599-1601) il territorio di Pralungo "che per l'avenire et in perpetuo deu'essere Communità et Luogo distinto da quello di Biella". Le lettere patenti sull'erezione della comunità a comune autonomo da Biella risalgono al 6 dicembre 1622, e vengono approvate dal Senato il 17 febbraio 1623; in cambio la comunità di Pralungo versa nelle casse ducali 500 ducatoni d'oro. La decisione suscita la decisa opposizione del comune di Biella, che inoltra una supplica al duca (31 marzo 1623) chiedendo l'annullamento della decisione, dal momento che "cosa di tanto danno sarebbe la perdita di essa, la quale priva delle membra che a guisa di corpo cui siano recise le braccia […] resti inutile tanto al servitio Suo et a se stessa" (Gilardino 2010). La protesta del comune di Biella deve essere andata ben oltre l'invio di suppliche, se il 26 maggio il duca, confermando la propria decisione, ordina "alla Comunità di Biella di non più molestare la supplicante Comunità di Pralungo". I confini territoriali stabiliti in questa occasione determineranno una lunga contesa con il comune di Biella, che avrà una prima risoluzione nel 1726. E' interessante notare che quello di Pralungo è, fra tutti i tentativi messi in atto dai cantoni di Biella per rendersi indipendenti, uno dei pochi ad essere riuscito (insieme a Cossila, vedi oltre) e il solo a essersi mantenuto sino ad oggi. Questa peculiarità si spiega forse con il fatto che dal punto di vista ecclesiastico Pralungo, a differenza di tutti gli altri cantoni, non ricadeva sotto la giurisdizione di una delle parrocchie di Biella, ma ha sempre fatto capo alla parrocchia di un altro comune, Tollegno. Una sovrapposizione di giurisdizioni perfettamente sintetizzato dalla lettera del 9 aprile 1526 che il vescovo di Vercelli indirizza "hominibus et incolis Pratilongi finium Bugelle et parochie Tolegni" (Lebole, PB, IV), e che può aver influito nel rendere definitivo lo smembramento territoriale da Biella.
 
1625-1640: divisione della città di Biella fra Piazzo e Piano. Nel 1640 la città di Biella "altre volte unita in un sol corpo" riceve l'autorizzazione per dividersi in "due unità, Piano e Piazzo, con intiera separazione de debiti". La procedura di separazione dei registri sarà completata nel 1680 (Mullatera). Per effetto di questa divisione i cantoni di Barazzetto e Baraza (Vandorno), che prima facevano parte del territorio di Vernato, vengono uniti al Piazzo.
 
1660: infeudazione dei cantoni di Biella. L'11 marzo 1660 il duca Carlo Emanuele II scrive al comune di Biella che, in vista del matrimonio della sorella Margherita, intende infeudare la giurisdizione di Pralungo e quella dei cantoni di Cossila, Barazza e Pavignano. Ad esserne investito fu, il 26 aprile dello stesso anno, il comune di Biella, che ottiene contestualmente la possibilità di inserire nello stemma civico la corona comitale (Torrione 1963).
 
1694: il cantone di Cossila diventa comune autonomo. Il 14 gennaio 1694 Cossila, anteriormente cantone di Biella, diventa comune autonomo con sede del municipio a Cossila S. Grato: il comune comprende i nuclei di Cossila S. Grato, Cossila S. Giovanni e Favaro. Il 18 aprile dello stesso anno viene infeudata a Giacinto Nomis. Biella inoltrò una supplica al duca di Savoia affinché annullasse il provvedimento - «Biella era tutto che bellissima città proverbiata più richa che bella, quella che ora la più deforme e miserabile città del Piemonte, ne altro ne viene causata questa muttatione lugubre che dalle patite smembrazioni […] che levato un sol braccio (si allude alla già avvenuta smembrazione di Pralungo) ad un corpo, le resta, tutto che indebolito, anche il soccorso dell'altro (cioè di Cossila) destituito affatto di aiuto langue, e muore» - ma senza risultato (Torrione 1946). Con la nascita del comune si pone la questione dei confini con la vicina Pralungo per quanto riguarda i beni comunali della reg. Vallauta (sul lato destro del torrente Oropa), che vengono attribuiti a Cossila (Gilardino 2006). Nonostante la separazione i campari biellesi mantengono il diritto di svolgere il proprio ufficio sopra il territorio di Cossila come già facevano anteriormente, dal momento che in quest'ultimo correva per la maggior parte la roggia che serviva l'acqua al borgo del Piazzo (l'usufrutto e la manutenzione della stessa erano a carico della città per i 4/5, il restante della comunità di Cossila, vedi Bandi Campestri di Biella del 1735).
 
1739: il "cantone di Pavignano" fa richiesta di essere separato da Biella. La comunità di Biella si oppone stendendo un memoriale in cui sostiene:
- che Pavignano è stata infeudata in conseguenza dell'editto del 14 ottobre 1733, con il quale tuttavia si stabiliva che le comunità erano smembrate dalla città solo per quanto riguarda la giurisdizione, mentre per quanto riguarda il registro delle tasse "continuassero come prima a far tra di loro un solo corpo comunicativo".
- è quindi illegittima la richiesta del "piccol cantone predetto di Pavignano" che pretende "ora separarne anche il registro dalla massa totale della Città con formare un corpo separato dalla medesima". Tale smembramento porterebbe non solo grave pregiudizio alla città (contraddicendo l'editto del 1733) ma anche alla comunità stessa, che dato il numero limitato di famiglie (40 fuochi) soccomberebbe al peso dei carichi ordinari e straordinari. (ASB, ASCB, b. 91, f. 2965). (Vedi mappa).
 
1799: durante la dominazione francese il comune di Chiavazza e quello di Cossila vengono aggregati a quello di Biella (Torrione 1963). (Vedi mappa.)
 
1814: con la restaurazione, Chiavazza e Cossila tornano ad essere comuni autonomi (Torrione 1963).
 
1940: il progetto Grande Biella. Nel 1929 viene avviato dall'amministrazione di Biella un progetto di ampliamento del territorio comunale definito "la Grande Biella" (promotore il commissario prefettizio Ferrerati), che prevede la soppressione dei comuni di Cossila, Chiavazza, Gaglianico e il loro accorpamento al comune di Biella. Vengono a tal proposito commissionate ricerche in archivio atte a provare la legittimità "storica" dell'iniziativa. L'esito del progetto "Grande Biella" è, nel 1940 (legge 838 del 13 giugno 1940), la soppressione dei comuni di Cossila e Chiavazza. Il primo viene integralmente aggregato a Biella, il secondo viene spartito fra Biella (frazioni Chiavazza, Magliola-Prato e Vaglio) e Vigliano Biellese (ASB, ASCB, Comune, sec. XX; Arch. Storico Provincia di Vercelli, b. Amministrazione, cl. 9 e 10 (circoscrizioni territoriali), f. 22).
Comunanze
Comunanze
a. Toponimi medievali e localizzazione; b. Gestione
 
a. Toponomi medievali e localizzazione. Dagli statuti fissati dal comune di Biella fra la metà del XIII e i primi decenni del XIV secolo si ricavano i nomi di diverse aree a bosco e prato sfruttate collettivamente. La quasi totalità dei comunia di Biella erano collocati lungo la media e l'alta valle Oropa. Gli statuti comunali nominano fra i comunia 'citra Oreppam', cioè sulla sponda destra del torrente Oropa, i boschi di Vallealta (o Valalta) e Serramonda (Statuti ed. Cancian, art. 150, 158, 166). I due toponimi sono spesso associati nei documenti, e si riferiscono a regioni situate nella zona mediana della valle Oropa, il primo è stato localizzato nei pressi della cascina Valauta, nell'attuale frazione di Cossila S. Giovanni (m. 550, sopra la strada Cossila-Pralungo, sulla destra del torrente Oropa), il secondo sulle pendici della Burcina presso Favaro (m. 638). Forse a questi stessi comunia fa riferimento l'articolo che parla di un campario deputato a custodire, fra l'altro, delle non meglio definite terre a Cossila (Statuti ed. Cancian, art. 117, "terras Coscile"). Sulla localizzazione dei beni comuni vedi i commenti di Giuseppe Ferraris ai documenti pubblicati in ARMO, I, p. 49 sgg. e Torrione 1992, p. 207. Sempre nella valle Oropa sono situati i boschi comuni di Cavallo (nella zona dell'attuale fraz. Cavallo sopra Cossila S. Giovanni, Statuti ed. Cancian, art. 168) e Luveri (che gli estimi trecenteschi indicano al confine con i boschi di Vallealta e di Cavalli). Altri quattro comunia non meglio identificati sono situati "ultra Oreppam", cioè sul lato sinistro del torrente Oropa sopra Pralungo e verso Tollegno. Un articolo negli statuti del comune di Biella prescrive che non si possano concedere ad alcun individuo "terre vel possessiones que sunt comunis et hominum Bugelle a Pratolongo superius" per dissodarle o per coltivarle (Statuti ed. Gabotto, art. 342bis; Statuti ed. Sella, art. 362; Statuti ed. Cancian, art. 363). Da una causa fra il comune di Biella e quello di Tollegno dell'inizio del dal XIII secolo (vedi alla voce Liti territoriali) emerge che il comune di Biella affittava a quello di Tollegno una parte dei beni comuni (325 giornate ca di pascoli e boschi detti, per l'appunto, dell'Affittà) situati nel territorio della vicina Pralungo (oggi in fraz. S. Eurosia): pascoli e boschi erano dati in parte ad uso esclusivo dei tollegnesi, in parte in comune con gli abitanti di Biella. Nei pressi del centro abitato di Biella vi erano i comunia di Novella (ovest del Piazzo), della valle del Bellone (piccola valle fra il Piazzo e Vandorno, ove scorre il rio Bellone), di Valixella e pendii del Piazzo verso il Bellone, e la cosiddetta isola Sarvi (prati comunali situati sull'isola del Cervo).
Gli alpeggi comunali erano tutti situati nella conca di Oropa: gli statuti nominano l'alpe de Mazono, l'alpe Mararie (localizzato in corrispondenza della cascina Malera, m. 1220), e l'alpe Noche (Statuti ed. Cancian, rubrica "De alpibus": "alpis de Niaçono" in art. 336, 339, 342; "alpibus Mararie et Noche superioris et inferioris" in art. 340). Altri beni comuni, nello specifico una baraggia, erano situati a Pavignano, nella bassa valle Cervo a nord-est del centro di Biella, tanto che un articolo degl statuti prevede la nomina di un campario in quella località (Statuti ed. Cancian, art. 55).
Con atto del 2 settembre 1407 il comune di Biella viene associato nell'uso dei comunia di Vernato (allora ancora comune indipendente): il documento elenca fra questi la Marzaglia (da lungo tempo oggetto di contesa con il comune di Mongrando, vedi alla voce Liti territoriali), la metà del monte Oremo, una barazza sopra la Marzaglia (Roccavilla 1991). A spingere il Vernato a questa decisione è l'impossibilità di sostenere autonomamente le spese per la causa in atto contro il comune di Pollone, che rivendicava l'uso del pascolo della Marzaglia.
Il 9 aprile 1574 un ordinato del comune stabilisce una ricognizione e una misura generale "di tutti li terreni communi occupati tanto per modo di rubarie che di soprapreise per qual si voglia particulare" (Sella 1904, II, doc. 63, p. 183 sg.). Il 26 e il 28 aprile segue la ratifica dell'ordinanza da parte dei collegi dei ferrai, dei lanieri e dei calzolai; il 2 maggio e il 13 giugno la ratifica degli uomini di Pralungo e del cantone di Cossila (ivi, pp. 185-190).
Un elenco completo degli alpeggi comunali (detti giacci) e dei loro confini è fornito dall'atto redatto in occasione della ricognizione fatta dal comune fra il 2 e il 4 agosto 1592 (ARMO, II, doc. 150). Tutti insieme costituivano una larga fascia al cui centro vi era la conca d'Oropa; alle estremità occidentale e orientale confinavano rispettivamente con il comune di Pollone e con quello d'Andorno: il giaccio detto Tibiotto (detto anche Pian dell'Orso), identificato con la cascina Vittino, a sinistra guardando la chiesa nuova d'Oropa, m. 1200 ca; il giaccio Comune (che secondo Ferraris è da identificare con l'alpe Mazzone citato dagli statuti medievali, e che si trova sulle pendici del monte Tovo, m. 1535); il giaccio delle Raije Rosse e quello detto l'Orio Picinino (considerati un'unico alpeggio, corrispondono le attuali alpi Ersuccio superiore e Ersuccio inferiore, rispettivamente a m. 1663 e 1511); il giaccio detto l'Orio Laurero (l'attuale alpe Orone, m. 1480); il giaccio delli Cugnoli (in corrispondenza del rifugio Sella presso la Galleria Rosazza, m. 1488); i giacci della Pissa (m. 1448), Strà (m. 1813) e Frisone (sulle pendici del Monte Camino, m. 2157) dislocati lungo la strada per Fontanamora; il giaccio del Trotto (lungo il sentiero della Bocchetta di Finestra, m. 1810); i giacci Deijro (m. 1515), Pian di Zeij (attuale Pian di Gè, m. 1540), e Mora (m. 1774) sulle pendici orientali del Mucrone; i giacci Campo (m. 1380), Plan di Lot (m. 1313) e Besa (m. 1200 ca) sul versante ovest del Monte Cimone e del Cucco.
 
b. Gestione. A Biella, diversamente da altre località della diocesi vercellese, il comune acquisì progressivamente il controllo e la gestione dei beni collettivi in accordo con l'autorità vescovile (Rao 2008). La prima tappa di questo processo è l'investitura del vescovo Uguccione del 1160, con la quale vengono concesse alla comunità le 'appendici' del Piazzo, regolarmente confermate dai successori: i comunia de valle Valixelle, de valle Berloni, e le pendinas Placii versus Berlonum. Questa la versione fornita in un articolo del più antico codice statutario (art. 191 Statuti ed. Gabotto), ma è significativo che nel corrispondente articolo del codice redatto all'inizio del XIV secolo (art. 274 Statuti ed. Cancian) non si faccia più alcun riferimento al vescovo: le stesse aree sono entrate a far parte dei terreni comuni per esclusiva disposizione comunale: "comunia de valle Belloni et de Valixella et de pendina Placii verssus Bellonum, que fuerunt asignata comunia per comune Bugelle […]". Nel 1225 il vescovo Ugo di Sessa investe il comune dei beni fluviali del Cervo che gli pertengono ("investivit ad nomen recti et gentilis et paterni feudi cum omni honore et districto […] de toto illo rivato et de omnibus illis moltis quod et quas predictus d. episcopus habet in Sarvo": BSSS 105, doc. 29). Il consegnamento del 1304 (Sella 1904, vol. II, doc. 2, pp. 3-4) fornisce un quadro complessivo dei beni collettivi ricevuti per investitura dai vescovi vercellesi:
- il monte del Piazzo con le sue appendici (esplicitamente ricondotti nel documento all'investitura del vescovo Uguccione del 1160)
- il ripatico del Cervo "per tota curiam Bugelle usque in curiam Candeli, Clavacie et Tolegni" (derivante dall'investitura del 1225 del vescovo Ugo di Sessa)
- i comunia al di qua del torrente Oropa "usque in curiam Poleoni, Sordeveli et usque in Culmam", eccetto i boschi di Valalta e Serramonda.
Secondo lo stesso documento su alcuni degli alpeggi e dei boschi comunali al di qua dell'Oropa il vescovo percepiva un fitto: 7 soldi e 4 denari imp. per ciascuna delle alpi Mararie, Mazono di sotto e Mazono di sopra, e 18 soldi pavesi per il bosco Cavalli.
Per alcuni comunia gli statuti medievali enunciano con precisione tempi e regole del banno e dell'incanto. L'alpe Mazzone era messo all'incanto nel mese di marzo: il miglior offerente se ne aggiudicava l'uso dal primo di maggio a Natale, ma tutti gli abitanti di Biella potevano usufruirne nel mese di maggio e dall'ottava di S. Maria di settembre in poi (il banno durava di conseguenza dalll'inizio di giugno alla metà di settembre, Statuti ed. Cancian, rubrica De alpibus, art. 336). Gli altri alpeggi erano tenuti in banno dal primo maggio al 29 settembre (festa di S. Michele), periodo durante il quale erano utilizzati da chi si era aggiudicato l'incanto (Statuti ed. Cancian, rubrica De alpibus, art. 339).
Gli ufficiali comunali deputati alla salvaguardia dei comunia sono i forestarii, eletti la prima domenica di marzo, un anno al Piazzo e uno al Piano. Oggetto di particolare cura erano i comunia collocati al confine con altre comunità: stando agli statuti due forestarii erano quotidianamente incaricati di ispezionare l'uno l'area verso Tollegno e l'altro quella verso Pollone e Favaro (rispettivamente a nord est e a nord-ovest di Biella: "Item statutum est quod unus forestariorum cotidie ire reguardare teneatur boscum versus Tolegnum usque ad sellam Runcini. Et alius ire versus Polonum usque ad Favarium", in BSSS 34, art. 317). Non a caso proprio in queste aree si apriranno fra due e trecento due cause: la prima fra il comune di Biella e quello di Tollegno (1215-19), la seconda fra il comune di Biella e quello di Vernato da una parte e il comune di Mongrando dall'altra (1319) (cfr. voce Liti territoriali).
All'interno dei comunia vi sono aree o sortes date in concessione a privati che dovevano pagare un fitto al comune (art. 286 in Statuti ed. Cancian; se i comunia erano di origine vescovile i privati versavano l'affitto delle sortes al vescovo). Alcune di queste sortes, come emerge dagli stessi statuti e dagli estimi trecenteschi, erano di fatto diventate monopolio di alcune famiglie (ad esempio i Bertodano e i Cortella in quelle della reg. Cavallo, sopra Cossila: Statuti ed. Cancian, art. 161 e 168), oppure di consortili (Statuti ed. Cancian, art. 167), e in tal caso vigevano regole particolari in merito ai tempi in cui si procedeva a togliere il banno. Gli statuti parlano di sortes veteres e sortes nove (Statuti ed. Cancian, art. 161), ma non sappiamo quando il comune biellese procedette all'operazione di frazionamento (per quanto riguarda il Vernato, invece, un'operazione di questo tipo pare sia avvenuta nella prima metà del Trecento: cfr. consegna di Andreone Messerano: "peciam unam sortis, que fuit de comunibus Glarie et Vernati, nobis datam per comunem pro nostra parte, quando dividebantur comunia Vernati et Glarie", BSSS 105, doc. 376). Un atto del 1263 (BSSS 103, doc. 98) esemplifica come avveniva la cessione a privati dei beni comunali: il comune, convocata la credenza, concede in enfiteusi perpetua a Guido Lignola "comune et nemore quod dictum comune Bugelle habebat in territorio Bugelle ubi dicitur in Chavallo", in cambio di un canone annuale e con l'obbligo di rispettare i periodi di banno validi per gli altri boschi biellesi. Il documento dimostra al contempo la varietà di situazioni che potevano coesistere fianco a fianco, perché il bosco concesso al Lignola confina con un altro bosco comune i cui tenutari, "illi de Marchissio", pagano il fitto al vescovo. Per un'analisi della gestione dei comunia biellesi nel confronto con altre situazioni subalpine cfr. R. Rao, Comunia. Le risorse collettive nel Piemonte comunale, pp. 118-23, e 187-192.
Alla fine del Trecento una serie di novità portano ad una fase di ridefinizione nell'uso dei beni comuni. Questa è in parte dovuta al complicato mosaico di giurisdizioni che si sono create nel territorio biellese con la coesistenza fianco a fianco di comunità sottoposte ai Savoia e comunità sottoposte dei Visconti (vedi alla voce Liti territoriali: causa del 1395 con Mongrando), in parte alle accresciute esigenze finanziarie che portano a ridefinire situazioni, come quella dell'accesso ai beni comuni da parte dei "forestieri", che erano rimaste da lungo tempo immutate (vedi alla voce Liti territoriali: causa con Tollegno per i pascoli pralunghesi del 1397). Contemporaneamente il tentativo, fortemente perseguito dal comune nel XV e XVI secolo, di costituire un distretto di pertinenza biellese si gioca anche sul piano dell'accesso ai beni comuni: agli andornesi, che si oppongono fermamente all'egemonia biellese, ed ad altre comunità considerate a torto o a ragione solidali viene inibito in perpetuo l'uso dei pascoli biellesi. Nel 1564 una deliberazione del consiglio comunale distingueva varie tariffe per l'accesso agli alpeggi comunali a seconda che si fosse abitanti di Biella dentro il circuito delle mura (per le bestie di grossa taglia 3 grossi e per quelle piccole 1 grosso), abitanti di Biella fuori dalle mura (il doppio), forestieri (il triplo).
In seguito alla ricognizione compiuta nell'agosto del 1592 e alla risoluzione di alcune controversie di confine (come quella che riguarda l'alpe Deiro) il comune di Biella stabilisce con ordinato del 24 marzo 1596 di affittare gli alpeggi ad appaltatori privati previa pubblicazione nei soliti luoghi e nelle parrocchie di Pralungo, Cossila e Barazza (cioè le parrocchie poste nella parte settentrionale del territorio comunale e quindi più prossime agli alpeggi). Questa decisione implica una grossa novità rispetto alla precedente gestione: gli appaltatori possono infatti affittarli anche a pastori 'forestieri' (fatta eccezione per quelli provenienti da Andorno, da Miagliano e da altri luoghi esclusi dagli statuti per effetto di precedenti controversie). I primi a tentare di beneficiare dell'opportunità sono alcuni pastori di Tronzano, ai quali gli appaltatori subaffittano un pascolo per 550 pecore, e un pastore di Lignana, cui era stato subaffittato un pascolo per 900 pecore. La reazione dei pastori biellesi è, a detta degli appaltatori che hanno chiesto l'intervento del comune sotto pena di recissione dei contratti, alquanto decisa: "detti compratori [di Tronzano] in viaggio con sue pecore gionti sopra le fini di Biella sono stati minacciati de molti col dirli che andando sopra dette alpi serano amazati luoro et luoro pecore insieme".
Il capitolo finale della gestione comunale dei pascoli comuni inizia nel 1599, quando il comune decide di vendere l'intero complesso di alpeggi oropei (gli alpeggi Deiro, Pian dei Giochi, Mora, Strada, Pissa, Trotta, Ghiaccio, Orone, Er Picciolo, Campo e Besa) al nobile Agostino Fantone per 3000 scudi, riservandosi il diritto perpetuo di riscatto. Una seconda vendita sembra essere stata progettata nel 1675: in quell'anno il comune si affretta a smentire "la vociferata distrattione de pascoli comuni" che secondo alcuni era stata deliberata nel consiglio comunale e che aveva creato allarme in vari "cantoni" la cui economia si basava sulla pastorizia (il documento cita Cossila e Barazza). L'atto non specifica la collocazione dei pascoli, non è quindi chiaro se si tratti sempre dei pascoli di Oropa, che in tal caso sarebbero tornati in possesso del comune, o di altri terreni. Sembra deporre a favore di questa seconda ipotesi la notizia secondo cui il comune si avvalse del diritto di recesso nei confronti degli eredi della famiglia Fantone solo nel 1747; in ogni caso nello stesso anno la confraternita d'Oropa richiese la cessione di tutti gli alpeggi recuperati per estinguere il debito che il comune aveva con essa, aprendo una questione che durerà decenni (e durante la quale il santuario denuncia fra l'altro errori nelle rilevazioni del catasto sabaudo di fine Settecento). Gli alpeggi passano definitivamente al Santuario nel 1798 (ARMO, II, p. 314; ASB, ASCB, Comune, s. I, bb. 74, 102).
 
Il rapporto dell'intendente sui pascoli del mandamento biellese nel 1838. Nel 1838 l'intendente di Biella manda un sunto relativo all'entità dei terreni comuni: le proprietà comunali di tutta la provincia di Biella assommano "all'enorme cifra" di giornate 112.243, di cui 31.586 circa concesse in affitto, 603 in enfiteusi; il tutto produce all'erario comunale "l'esigua rendita" di lire 63.953: "dedotte altre giornate 3547 tenute ad economia e giornate 14521,48 considerate di niun prodotto" (perché composte di terreno ghiaioso o roccioso), rimangono "la sovrabbondante quantità di giornate 62.586,22 lasciate a pubblico pascolo, ciò che vuol dire di pochissimo reddito ai comuni e vantaggio ai particolari". Per queste ragioni l'intendente propone "l'alienazione de' beni comunali, o loro concessione a lunghi affittamenti", allegando una particolareggiata tabella sullo "Stato dimostrativo dei Beni di spettanza Comunale": per ogni comune viene indicato il numero totale di giornate di terreni comunali, la loro destinazione d'uso (quante giornate tenute "ad economia", "ad affittamento", dati "in enfiteusi", "lasciati a pubblico pascolo", "gerbidi di niun prodotto"), la rendita annua che deriva attualmente al comune. Particolarmente interessanti le due ultime caselle, che riferiscono i propositi dei vari comuni in merito ai propri pascoli comuni e infine un giudizio dell'intendente sulle misure da adottare tanto per l'utilizzo dei "gerbidi di niun prodotto", quanto per aumentare la rendita delle altre categorie di beni comunali. Nel caso di Biella le giornate lasciate a pubblico pascolo sono 353, e con soddisfazione dell'intendente il consiglio comunale ha già deliberato sulla loro alienazione, dal momento che sono quasi tutte situate in montagna troppo distanti dalla città perché riescano di qualche profitto "al pubblico". Per quanto riguarda gli altri comuni:
- l'intendente rileva molto spesso l'usurpazione dei beni comunali da parte di privati (la misura proposta in questi casi è solitamente l'alienazione del terreno agli stessi).
- le proposte più consuete di modifica nella gestione dei beni comuni sono la frammentazione dei beni comuni in lotti da affittare a lungo termine ai privati, l'imposizione di una tassa sul bestiame di chi usufruisce dei pascoli comuni.
- in molti casi l'intendente rileva la scarsa collaborazione se non l'opposizione dei consigli comunali alla riduzione dei pascoli comuni o all'imposizione di una tassa sul bestiame: è il caso di Benna, Bioglio, Callabiana, Castelletto Villa, Coggiola, Curino, Lessona, Masserano, Mongrando (un caso particolare quello dei comuni di Ailoche, Piane, Pianceri, Caprile, Postua, Guardabosone, Crevacuore, che gestiscono i pascoli in comune).
- si segnalano contese in atto sui beni comunali fra i comuni di Campiglia vs Cacciorna e Mosso; di Piedicavallo vs Sagliano, Sagliano vs S. Paolo.
- casi particolari: ai comuni appartenenti all'antico mandamento di Crevacuore (Ailoche, Piane, Caprile, Postua, Crevacuore, Guardabosone) fanno capo ben 5358 giornate di terreno a pascolo gestite in comune; le comunità di Soprana, Massazza e Strona gestiscono i pascoli in comune; il comune di Crocemosso possiede beni comunali distanti all'incirca 15 miglia dal capoluogo. La comunità di Castelletto Cervo è l'unica per la quale il consiglio comunale non riesce a prendere una posizione nei confronti delle sollecitazioni dell'intendente, essendo spaccato fra una parte favorevole a frazionare in lotti l'intero territorio lasciato a pubblico pascolo (di notevole dimensione) da dare poi in affitto a lungo termine a privati, e quella contraria a questa misura.
(AST, Paesi in genere, Provincie, b. 18.2)
 
Usi civici. Il Commissario per la liquidazione degli usi civici venne istituito dalla legge 16 giugno 1927 n. 1766, con il compito di liquidare gli usi demaniali e civici insistenti sui terreni privati. Per quanto riguarda i diritti civici esercitati sulle terre comunali e frazionali, la stessa legge stabilisce che devono essere riordinati e conservati se queste hanno natura silvo-pastorale.
Nell'archivio del Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici di Torino esistono 6 fascicoli relativi al comune di Biella, particolarmente significativi quelli relativi al Decreto del 16 maggio 1935 (Inesistenza usi civici), e al Decreto 12 maggio 1939 (Inesistenza di usi civici e Chiusura operazioni). Il geom. Cantono è incaricato di accertare nel caso di Biella l'applicabilità della legge 16 giugno 1927, n. 1766. La ricerca, conclusasi con decreto del 12 maggio 1939, è condotta nell'archivio del comune, alla sezione tecnica catastale e all'archivio di stato, e ne risulta quanto segue:
- non esistono terreni comunali e frazionari di demanio civico e quindi non vi sono promiscuità di usi tra i Comuni o frazioni del comune stesso, né diritti o consuetudini piantive, né infine occupazioni abusive di terreni comunali e frazionari di demanio civico e che il comune non possiede altri terreni di natura patrimoniale;
- non vi furono vendite di di terreni comunali o frazionari non regolarmente deliberate o non approvate dall'autorità tutoria dell'epoca;
- non vi sono terreni di proprietà privata gravata da usi civici;
- non esistono infine associazioni agrarie della natura di quelle contemplate dalla suddetta legge;
- non ricorre alcun caso di applicazione della legge vigente sugli usi civici.
Liti Territoriali
Liti territoriali
b. Liti territoriali o interventi di delimitazione del territorio comunale
 
1215-19: Biella vs Tollegno per boschi e pascoli fra il rio Staono e il torrente Oropa.
La causa fra il comune di Biella e il comune di Tollegno in merito ai diritti di pascolo, di boscatico e di pesca sui beni comuni situati fra il rio Staono e l'Oropa viene discussa di fronte al vescovo di Vercelli. Legata a questa causa è la redazione nella metà del XIII secolo di un elenco degli affittuari dei prati di Biella, tutti collocati nella zona contesa. Fra i beneficiari, oltre a vari forestarii che avevano prestato testimonianza durante la causa, risulta anche il comune di Tollegno: la causa si era quindi conclusa con un accordo in base al quale il comune di Tollegno era investito dal comune di Biella dei pascoli e boschi contesi per i quali pagava annualmente a Natale 4 lire pavesi e 10 soldi e un cero che il comune avrebbe dato al capitolo di S. Stefano (BSSS 105, doc. 37; Rao 2008). Questa zona, che sarà più tardi denominata Affictà (cioè "affittata"), sarà oggetto di contesa fino al 1755 (prima fra il comune di Biella e quello di Tollegno poi, dopo l'erezione del comune di Pralungo, fra quest'ultimo e il comune di Biella).
(in ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 2, doc. 72; ed. in BSSS 103 docc. 55-57)
 
1319: Biella e Vernato vs Mongrando per baraggia della Marzaglia.
La causa, discussa di fronte al vescovo di Vercelli, è fra il comune di Biella e il comune di Vernato da una parte e il comune di Mongrando dall'altra sul possesso della baraggia detta Marzaglia, territorio che si trova fra i comuni di Ponderano, Borriana, Occhieppo Inferiore (le coerenze indicate nella causa sono: "ab una parte silicet ab oriente comune Ponderani a maiori parte, et aliquantullum coheret ab eadem parte comune Boriane, ab alia parte silicet a meridie quedam frascheta sive sortes que appellatur in Senilio dicti comunis Mongrandi, ab alia silicet ab occidente certi singulares homines de dicto loco Mongrandi et pratum de Muzassotis de Vernato, ab alia parte a media nocte comune Oclepi inferioris et pratum predicti d. episcopi").
(in ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 4, doc. 178; ed. in BSSS 103, doc. 196)
 
1395: Biella, Ghiara e Vernato vs comune di Mongrando per baraggia della Marzaglia
Della causa ci è rimasto l'esito dell'inchiesta fatta da Giovanni d'Agnello di Pisa, capitano della città di Vercelli, delegato dal duca di Milano ad assumere informazioni sulla terra di uso comune denominata Marzaglia (il comune di Mongrando all'epoca è sotto i Visconti). Secondo il podestà di Mongrando più di trecento biellesi armati di tutto punto e "cum vexillis extensis et confalonis elevatis", si sono recati sul territorio conteso "et destruxerunt seminata ibidem, videlicet melicam, mileum" oltre a ferire con una lancia uno degli abitanti di Mongrando. Il capitano di Vercelli dichiara che la Marzaglia appartiene al comune di Mongrando adducendo le seguenti ragioni: la baraggia confina con il detto comune e non con quelli di Biella, Ghiara e Vernato, inoltre gli abitanti di questi comuni non possono accedervi "nisi tangendo" il territorio di dominazione viscontea e nello specifico il territorio dei comuni di Ponderano e Occhieppo che sono frapposti fra il territorio di Biella, Vernato e Ghiara e  quello della Marzaglia.
(in ASCVc, Protocolli notarili, Agostino de Maliono (1387-1405); ed. in A. Coppo-M.C. Ferrari, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo, Vercelli, Comune di Vercelli, 2003, doc. 21, p. 291, da correggere nel regesto)
 
1397: Biella vs Tollegno per pascoli dell'Affittà
Nel 1397 si riapre la lite fra il comune di Biella e quello di Tollegno, i cui abitanti a dire dei campari biellesi avevano illecitamente condotto le bestie "in finibus Bugelle" (si parla dei toponimi "in Valle finale", "in Val Chocha", "ad zuchum de nuce, deirum de Aragna et riale Bozzelline et Stahonum", alcuni dei quali già presenti nella causa 1215-19). Il comune di Tollegno sostiene che è in pieno diritto di usufruire delle zone contese perché sin dal XIII secolo gli erano state concesse dal comune di Biella in cambio di un pagamento annuale (vedi causa 1215-19). Il comune di Biella sostiene che il diritto è decaduto perché il comune di Tollegno non ha pagato il canone annuale per l'investitura e se l'ha pagato non l'ha fatto secondo i patti; inoltre ha venduto alcuni terreni, sempre contravvenendo agli accordi con Biella. In seguito all'accordo del 23 marzo vengono dichiarati nulli gli accordi del 1220 e si stabilisce che la proprietà dell'area spetta interamente a Biella date le irregolarità nei pagamenti effettuati dal comune di Tollegno, vengono apposti termini lapidei a delimitare l'intera zona (la descrizione dei confini contempla la strada per la quale si va a Pralungo sotto il monte della fontana Oriola, l'acqua dello Staone, Vallefinale, il gruppo Ubertallo, il deiro Aragna e altri possessi di privati). Di questa una parte di pascoli e boschi sarà attribuita al comune di Tollegno che potrà pascolare, fare bosco, roncare, costruirvi case e cascine, recintarla in tutto o in parte e utilizzarla come meglio crede, fermo restando l'obbligo di realizzare due strade ampie almeno tre pertiche e delimitate da termini lapidei dove i particolari di Biella e le loro bestie possano transitare. L'altra parte verso Pralungo sarà data a Tollegno in enfiteusi perpetua dietro pagamento annuale di 10 fiorini al comune e un cero al capitolo di S. Stefano. Potranno pascolare solo quelli di Biella e Tollegno, se sarà trovato un straniero la multa sarà pagata per due terzi a Biella e per un terzo a Tollegno. Su quest'ultima parte il comune di Tollegno non potrà vendere né attivare alcun tipo di contratto senza il consenso di Biella e pena la perdita di qualunque diritto, avrà tuttavia diritto di eleggere ogni anno un camparo che presti giuramento ai consoli di Biella e che custodisca pascoli e boschi con i campari di Biella. Ancora nel 1700 il comune di Biella risulta ricevere 113 lire di reddito dal comune di Tollegno per i pascoli di montagna concessi a quest'ultimo in affitto (da cui la denominazione di Affittà, toponimo già presente nella Cronaca dell'Orsi ("in partem nostris alpis descendunt, cui Fictuate nomen est", ed. Vayra, p. 38; e in un documento del 1534: "dell'Affictà").
(Gilardino 2010; ASB, ASCB, Comune, s. I, bb. 95 e 370)
 
1407: Pollone vs Vernato per baraggia detta della Marzaglia.
In conseguenza delle intrusioni illecite degli uomini di Pollone il comune di Vernato (2 settembre 1407) associa Biella nell'uso dei beni comuni con l'obbligo per quest'ultima di contribuire alla difesa dei pascoli e in particolare "a commune et hominibus Polloni". Le aree comuni cui Biella risulta associata sono: la Marzaglia (che confina con i comuni di Mongrando, Borriana, Occhieppo inferiore e i signori di Ponderano), il cosiddetto grupus furcarum (che confina con il torrente Oremo, con il comune di Occhieppo superiore e con la via che da Vernato va a Occhieppo), la baraggia del Vernato (sopra la Marzaglia) e le sortes poste nel territorio di Ghiara e Vernato dalla vigna del vescovo e dalla chiesa di S. Teodoro in su.
(ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 95, f. 2991)
 
1429: Biella vs Occhieppo inferiore per confini e diritto di pascolo al Gruppus Forcarum.
Nel 1429 si apre una contesa fra il comune di Biella e quello di Occhieppo inferiore in merito ai confini fra i due comuni nel luogo detto monte "Gruppus Forcarum": la comunità di Biella sostiene che metà del detto monte verso l'Oremo appartiene a Biella e la comunità di Occhieppo sostiene il contrario. L'accordo finale prevede che alla comunità di Biella spetti il territorio oltre l'Oremo fino al monte Gruppus Forcarum dove sono posti i cippi. Fra le clausole di accordo emerge che la ognuna delle due comunità può portare a pascolare il bestiame fino ai cippi apposti (ASB, Comune, s. I, b. 86, f. 2713).
 
1492: Biella vs Tollegno per pascoli dell'Affittà.
Il comune di Biella e quello di Tollegno convengono sui confini delle rispettive comunità nella zona dei pascoli comuni (Affittà) sulla base dell'atto steso a conclusione della lite del 1397 procedendo al riposizionamento dei termini lapidei e alla registrazione nel libro del comune di Biella di chi possiede cascine e prati sopra i confini di Biella (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 370).
 
1496: Biella vs Chiavazza per confini.
Accordo fra comune di Biella e quello di Chiavazza in merito alla delimitazione dei confini. Viene nominato a delimitarli Sebastiano Ferrero signore di Candelo e Gaglianico consigliere ducale e Tesoriere generale. Segue descrizione dei luoghi in cui sono stati posti i cippi (fra i quali l'isola del Cervo) (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 86).
 
1622-26. Biella vs Pralungo in merito ai confini.
La lite trae origine dal fatto che la richiesta avanzata dalla comunità di Pralungo per essere smembrata da Biella è  contemporanea alla redazione di un catasto del territorio biellese (catasto Draghetto, 1599-1601). Biella ha avuto ordine dai funzionari sabaudi di segnalare nel nuovo catasto il territorio della comunità di Pralungo come già distinto da quello biellese, ma questo è stato fatto a danno di quest'ultima. Così quando nel 1622 la comunità di Pralungo ottiene le lettere patenti per lo smembramento da Biella si decide di procedere a una nuova delimitazione del neonato territorio comunale che prescinda da quanto segnalato nel catasto. Da un memoriale del 10 marzo 1623 risulta:
- che la comunità di Pralungo propone come confini del territorio comunale quelli del precedente cantone di Pralungo, vale a dire il rio Staone verso Tollegno e il torrente Oropa verso Biella (portando a riprova gli estratti dal registro biellese del 1618 e 1619).
- il comune di Tollegno, onde evitare che l'accordo danneggi i suoi diritti di pascolo, manda suoi rappresentanti per aggiungere che i confini verso il comune di Pralungo proseguono con la linea che unisce il rio Staono fino a "un sasso grosso" detto il Dejro dell'Aragno posto in montagna.
- i confini fra la comunità di Andorno e quella di Pralungo erano stabiliti secondo quest'ultima dalla linea che unisce il Dejro dell'Aragno sino alla colonna detta del Taremone, e per retta linea continuando sino alla colma detta del Tovo.
Questa delimitazione non è accettata dal comune di Biella che continua a molestare la comunità di Pralungo attraverso i propri funzionari. Nonostante l'ingiunzione del 1626 la questione dei confini tornerà ad essere affrontata nel 1697 e nel 1726.
 
1674: Biella vs Miagliano per pascoli.
La comunità di Miagliano fa ricorso contro la città di Biella per essere stata interdetta in perpetuo dai pascoli biellesi in seguito ad un errore: al tempo dello smembramento di Andorno dal mandamento biellese (ottenuto al termine di una lunga contrapposizione nel 1561, vedi s.v. Mutamenti di distrettuazione) la comunità di Miagliano sarebbe stata inserita nel decreto di proibizione formulato contro Andorno nell'errata convinzione che costituisse un cantone di quest'ultima. La comunità rivendica la sua assoluta indipendenza da Andorno, il fatto di non aver mai partecipato alla "guerra" che contrappose quest'ultima a Biella, e chiede che le sia data la possibilità di accedere ai pascoli come viene fatto per altri "forasterii", portando ad esempio il caso degli abitanti della vicina Tollegno. La supplica ha esito positivo e il 10 novembre 1474 il  consiglio di Biella concede agli abitanti di Miagliano di accedere ai pascoli comuni biellesi, con l'obbligo però di giurare il rispetto degli statuti biellesi nei capitoli che riguardano i pascoli e di pagare quanto dovuto per tale diritto come fanno abitualmente i forestieri e massimanente quelli di Tollegno (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 102, fasc. 3109, 3153).
 
1675: Biella vs Cossila e Barazza (Vandorno) per pascoli.
Nel 1675 i particolari dei cantoni di Cossila e di Barazza (l'attuale Vandorno) fanno un'interpellanza al comune di Biella, essendogli giunta voce che nell'ultimo consiglio comunale fosse stata deliberata, o almeno proposta da qualche consigliere, la "distrattione o sia alienazione" dei beni comuni in montagna. I particolari fanno richiesta che in caso di vendita si debba "dichiarar et divider li pascoli spettanti alli particolari et cantoni suddetti", ma il comune smentisce in modo totale che si sia mai progettata tale vendita. In realtà, almeno nel caso dei pascoli oropei in regione "Mararia", pare che la voce fosse tutt'altro che inventata, tanto che nella sua relazione a Carlo Emanuele il procuratore Libellino sostiene che "contro gli antichissimi statuti et consuetudini se giattano alcuni del consiglio della medesima città di voler indiretta e clandestinamente distraher li pubblici pascoli non catastrati", e conclude suggerendo di convocare i rappresentanti della città affinché spieghino la "causa per quale non debba desister attorno la distrattione o alienazione in tutto o parte de communi pascoli da ogni novità ripugnante all'antichissimo solito e libertà dei registranti".
(ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 102)
 
1686: Biella vs Tollegno per confini.
Nuovo capitolo della contesa che aveva opposto le due comunità in merito all'uso dei pascoli in Pralungo con ulteriore delimitazione dei confini.
(ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 241)
 
1709: Biella e Cossila vs Pralungo per divisione beni comuni.
Con rescritto del 19 luglio 1697 l'intendente di Biella aveva stabilito la divisione degli alpeggi e dei pascoli fra le comunità di Pralungo di Biella e di Cossila (che era diventata comune separato da Biella nel 1694). Nel 1709 le comunità di Biella e Cossila acquisiscono testimoni di Andorno, Tollegno, Pettinengo, Miagliano, Pollone e Valsesia comprovanti il diritto dei particolari di Cossila di pascolare e fare bosco oltre il torrente Oropa (verso Pralungo); contemporaneamente la comunità di Pralungo raccoglie testimonianze di particolari di Sagliano, Camandona, Pralungo e della Valle di Andorno comprovanti che:
- i confini di Pralungo sono segnati dal torrente Staono verso Tollegno e dal torrente Oropa verso Biella;
- il territorio pralunghese "resta disteso sino dalla colma del Tovo, et da ivi sino alla dirittura del Sacro Monte di Oropa circa"
- che i pralunghesi hanno sempre goduto del diritto di pascolare e boscare nei "communi" posti fra i due torrenti e i termini posti sulla cima della montagna detti "del Taremone" e "dell'Aragno".
(ASB, Tollegno, b. 18)
 
1715: Biella vs Tollegno per confini.
Controversia fra la comunità di Biella e quella di Tollegno relativamente a un'isola del Cervo posta nel cantone di Pavignano che entrambe le comunità considerano appartenente al proprio territorio.
(ASB, Tollegno, b. 12)
 
1726-29: Biella e Cossila vs Pralungo per confini.
Controversia fra la città di Biella e Cossila (che però non ha rappresentanti) da una parte e la comunità di Pralungo dall'altra in merito ai confini. Si prendono in considerazione:
- le decisioni prese negli anni 1622-26 (vedi voce corrispondente) relativamente alle pratiche per la separazione di Pralungo da Biella.
- le testimonianze del 1709 presentate dalle comunità di Biella e Pralungo relative ai confini e alla possibilità per i particolari di Cossila di pascolare e far bosco oltre il torrente.
- l'obbligo ducale che imponeva alle comunità di consegnare i beni ecclesiastici e comuni e in base al quale la comunità di Pralungo dichiara nel 1715 1540 giornate e 90 tavole di beni comuni (pascoli e boschi) non catastati in contenzioso con Biella; mentre il comune di Biella consegna 1354 giornate di "pascoli non cattastrati in comune con Cossila e Pralungo".
Si stabilisce che le disposizioni confinarie relative alla separazione di Pralungo da Biella nel 1622 devono essere considerate nulle in quanto non erano state convocate tutte le comunità contermini e in quanto la separazione riguardava, nelle intenzioni del duca, il registro e il finaggio ma non i beni comuni; che le testimonianze del 1709 sono inattendibili perché interessate; che la consegna dei beni comuni nel 1715 rileva discrepanze fra Biella e Pralungo e quindi si deve provvedere alla delimitazione dei beni comuni fra le comunità di Biella e Cossila da una parte e quella di Pralungo dall'altra. Nel 1728 avviene la transazione fra la città di Biella e la comunità di Pralungo relativamente ai "Beni comuni, Pascoli e Boschi sin'allora indivisi", e in conseguenza dell'atto di divisione 30 luglio 1729 vengono apposti alcuni termini lapidei.
(ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 91, f. 2967; ASB, Tollegno, b. 18)
 
1726. "Atti giudiziari correlati inerenti i confini con Pralungo e l'alpeggio dell'Affittà": nel 1726 si avvia una causa con Pralungo per delimitazione dei confini fra le due comunità sulle falde del monte Cucco. Nel 1740 l'intendente di Biella manda un notaio a fare i confini (ASB, Tollegno, b. 18)
 
XVIII sec. (post 1733): causa conte Verani contro comune di Biella in seguito alla promulgazione dei bandi campestri e dell'Alpero della città di Biella, approvati dal Senato il 30 aprile 1735.
 
1743: Biella vs Pavignano per baraggia in Pavignano.
Alcuni particolari di Pavignano e di Biella protestano con l'intendente di Biella per l'usurpazione da parte di particolari sia dello stesso luogo sia di Biella della buona parte della baraza comune dove pascolavano gli animali (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 106, f. 3254)
 
1743: Biella vs Pralungo per confini
Causa fra Biella e Pralungo per la loro delimitazione. Nel 1743 si apre una causa fra le due comunità perché secondo i biellesi i pralunghesi hanno apposto nuovi termini rispetto a quelli apposti nel 1729 in conseguenza dei quali "si verrebbe ad occupare molta quantità di Boschi e Pascoli propri di detta Città".
(ASB ASCB, Comune, s. I, b. 91, doc. 2967)
 
1755: Biella vs Cossila per confini.
Regolamento di confini tra la città di Biella e quella di Cossila (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 91). Dal 1740 la comunità di Cossila ha "fatto proceder alla misura generale di quel territorio" e al controllo dei termini che segnano il confine con le comunità contermini. Si chiede alla città di Biella di procedere alla ricollocazione dei termini lungo il confine fra questa e Cossila (che attraversa la regione detta "dell'Abbot", il rio Bellone e il torrente Bolume nonché la strada "delle Montagnine").
 
1774: Biella e comuni confinanti.
In occasione della redazione del catasto Colombino, si procede all'identificazione dei confini fra il comune di Biella e i comuni contermini: Pralungo, Cossila, Pollone, Occhieppo superiore e inferiore, Ponderano, Gaglianico, Candelo, Vigliano, Chiavazza, Cacciorna, Tollegno (ASB, ASCB,  Comune, s. III, b. 104).
 
1778. Nel 1778 il comune di Biella fa richiesta all'intendente Ghilini di poter vendere alcuni tenimenti in montagna, dal momento che 1. la città è gravata da molti debiti; 2. molti terreni sono stati usurpati da privati; 3. i detti tenimenti sono in montagna a troppa distanza dal centro abitato (4 miglia e mezza). Gli unici a usufruirne sono pertanto i particolari dei cantoni prossimi a detti alpeggi e boschi (Cossila e Favaro), che per ciò che concerne il legname lo trasportano in città per poi venderlo "a caro prezzo". Il comune dichiara che i terreni assommano a 577 giornate di pascolo e 90 di bosco in montagna. Alla richiesta dell'intendente di avere esatta misura dei detti terreni il misuratore Colombino (lo stesso impegnato nella redazione del catasto sabaudo) dichiara che i terreni assommano a ca 678 giornate (67810.8 tavole), di cui circa 61 giornate occupate da privati, e 191 in contenzioso con la comunità di Pralungo. L'intendente permette la vendita tranne che per i terreni contesi con Pralungo.
 
1784 regolamento dei confini mediante apposizioni di termini tra la città di Biella e il santuario di Oropa (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 74)
Fonti
Fonti
Le fonti sulla storia del comune di Biella si trovano principalmente nell'Archivio Storico cittadino, attualmente depositato presso il locale Archivio di Stato; a quest'ultimo occorre aggiungere, dati gli stretti rapporti intercorsi fra comune e la chiesa vercellese prima (secc. IX-XIV) e il potere sabaudo poi (XIV-XIX), l'Archivio Arcivescovile Vercellese e l'Archivio di Stato di Torino. Si fornisce di seguito un censimento di massima, suddiviso per archivi, dei fondi documentari più interessanti per la storia della formazione territoriale del comune di Biella, con particolare riguardo alle liti territoriali e alle controversie di giurisdizione.
 
Archivio di Stato di Biella
Nota generale. L'archivio storico del comune di Biella è stato creato alla fine dell'Ottocento con l'idea di farne un archivio della storia del biellese, premessa che è stata alla base anche dei successivi interventi di epoca fascista (Negro 2007). Per questa ragione vi sono confluiti i documenti di molti altri comuni: Andorno (ASB, ASCB, Comune, s. I, bb. 342-361); Gaglianico, Miagliano e Tollegno (ivi, bb. 362-370); Cossato (b. 372);; Mongrando (b. 374); Mosso Santa Maria (b. 375); nelle bb. 373 e 376-378 sono conservati documenti relativi a Torrazzo, Sala Biellese, Netro, Sandigliano, Trivero, Sordevolo, Ponderano, Pollone, Mortigliengo, Tollegno, Miagliano, Pralungo, Occhieppo Inferiore e Occhieppo Superiore, Zubiena, Valdengo, Verrone, Ronco Biellese, Zumaglia, Vintebbio, Serravalle, Bornate, Castelletto Cervo, Verrone, Coggiola, Camburzano, Crevacuore, Campiglia Cervo, Benna, Borriana, Candelo, Cavaglià, Mosso Santa Maria, Lessona, Graglia, Muzzano, Andorno, Sandigliano, Chieri, Vercelli, Bollengo, Ivrea, Cuneo, Bioglio, Castellengo, Camburzano, Cossila, Lessona, Massazza, Mortigliengo, Valle S. Nicolao, Balzola e Cerrione. Altri archivi comunali sono confluiti nell'archivio storico in seguito all'operazione "Grande Biella" del 1940, in conseguenza della quale furono soppressi i comuni di Chiavazza e Cossila.
Sul contenuto dell'archivio vedi Guida dell'Archivio di Stato di Biella, a cura di G. Bolengo, M. Cassetti, Biella, 2000 (pp. 138-147, per l'archivio storico).
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 3 (i comuni di Mosso e Trivero compromettono la determinazione dei confini, a. 1288; questioni fra il comune di Biella e il vescovo di Vercelli per la giurisdizione, a. 1288; bandi del comune di Biella contro Tollegno, a. 1297; questioni fra il collegio dei beccai e il comune di Biella, a. 1298)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 4 (causa fra i comuni di Biella e Vernato contro Mongrando per il possesso e l'uso della baraggia denominata Marzaglia, a. 1319)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 8 (causa fra il comune di Biella e il vescovo di Vercelli, a. 1351; consegne di panico al capitolo di S. Stefano, a. 1352-54)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 9 (signoria viscontea, a. 1373)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 11 (Amedeo di Savoia conferma i privilegi di Biella: Andorno e le altre terre del mandamento di Biella entro sette miglia non possono tenere mercato né macello, a. 1469; ordini del duca di Savoia circa la giurisdizione di Biella sui comuni di Trivero, Coggiola, Sostegno, Lessona, Mosso, Bioglio, Chiavazza, Benna e Sordevolo, a. 1408; ordini al podestà di Biella perché rispetti i privilegi di Andorno, a. 1408)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 12 (sull'estimo del Vernato, a. 1420; sui privilegi del comune di Biella in merito alle cause di prima istanza, a. 1420; i comuni di Mosso, Lessona, Sostegno, Chiavazza, Trivero, Coggiola, Sordevolo supplicano per essere mantenute sotto la giurisdizione di Biella, a. 1429; il Duca Amedeo di Savoia sottopone Mosso, Bioglio, Chiavazza, Sordevolo alla podestaria di Biella, a. 1432; duca Amedeo sulla giurisdizione del podestà di Biella e quello di Vercelli, a. 1434; sulla lite fra la comunità di Andorno e i Bertodano, a. 1444)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 13 (sentenza in favore del Comune di Biella contro Andorno, Bioglio, Mosso, Chiavazza e Trivero circa la giurisdizione del mercato, della beccaria e contribuzione nei carichi, a. 1469)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 16 (atti relativi alle investiture dei luoghi di Tollegno, Miagliano e Gaglianico ai Bertodano, aa. 1423-1510)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 19 (integrazioni statuti di Biella, XV s.; statuti del comune di Biella circa le tele di lino e canapa, a. 1408; sui privilegi del comune di Biella in merito alle cause di prima istanza, a. 1420)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 24 (condanne del podestà di Biella a andornesi che hanno infranto gli statuti sui beccai, a. 1417; interrogatori di testimoni fatto dal procuratore fiscale relativamente al mercato in Andorno, a. 1424; causa fra il comune di Andorno e i beccai di Biella: ordine del capitano generale sabaudo al podestà di Biella di prendere informazioni, a. 1434; capitoli sul funzionamento del macello di Biella, a. 1477; transazione fra il comune di Biella e i beccai e nuovi capitoli, a. 1479; Il duca Carlo annulla il privilegio di mercato, concesso ad Andorno il 23 settembre 1483 e conferma i privilegi di Biella, a. 1486; rigetto della sentenza ducale favorevole a Biella da parte di Andorno, a 1486; transazione fra Biella e Mortigliengo circa la possibilità di tenere un mercato in quest'ultimo lunedì e giovedì, a. 1496)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 31 (vertenza tra le comunità di Biella, Mortigliengo, Bioglio, Trivero e Mosso per la ripartizione delle spese per il sussidio degli armigeri)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 34 (investiture di terreni ad alcuni particolari di Andorno fatte da Ludovico Bertodano come commissario di Francesco di Challant, a. 1431; transazioni di beni fondiari in Andorno, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 41 (lite vertente fra Pietro Bertodano e Giovanni di Challant per un terreno in Ponderano, a. 1427; atti di lite fra il comune di Biella e i conti Valperga di Masino per pedaggi nel luogo di Alice, XV secolo)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 51 (atti dei vescovi di Vercelli contro chi non paga le decime, a. 1405; questioni tra il vescovo e il comune circa un mulino di Chiavazza, a. 1409; questioni circa il pagamento delle decime al capitolo di S. Stefano, a. 1415; questioni circa l'interdetto di Andorno discusse alla curia di Vercelli, a. 1422; controversie fra i canonici di S. Stefano di Biella e le monache di S. Agata del Vernato, a. 1425; assenso del comune di Biella alla fondazione del convento di S. Domenico, a. 1431; donazione degli Challant al convento di S. Domenico, a. 1432; minaccia di scomunica a quelli di Occhieppo che detengono beni del capitolo di S. Stefano e non li restituiscono, a. 1432; convento di S. Pietro terreni, a. 1433; chiesa di S. Maria Maddalena del Cervo, a. 1444)
 
ASB, comune, I, b. 67 (vertenza tra il priore d'Oropa Enrico de Pastoribus de Vercelli e il prete Antonio Prina di Mosso per i frutti dei campi e cascina situati sui monti d'Oropa, a. 1425; rettori delle chiese di S. Maria d'Oropa e S. Quirico di Chiavazza, a. 1439)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 82 (lettere del duca Carlo che annullano la concessione della giurisdizione al castellano di Andorno, a. 1486)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 83 (transunto fatto dal Consiglio Ducale di alcuni documenti relativi alla questione fra Biella e Andorno, a. 1487; transazione fra Biella e Andorno circa il mercato, a. 1487)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 86 (transazione fra il comune di Biella e il comune di Chiavazza circa i confini, XV s.; unione del comune di Vernato al comune di Biella, a. 1421;  integrazioni statuti di Biella, XV s.; transazione fra Biella e Occhieppo circa i confini, a. 1429; giuramenti al podestà di Biella prestati dai rappresentanti delle comunità di Mosso, Trivero, Mortigliengo, Chiavazza, Lessona e Andorno, XV secolo)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 95 (lite fra Tollegno e Biella per i pascoli e per questioni di confine, a. 1397; parere di un giusperito circa i pascoli di quelli di Tollegno, a. 1397; la credenza del Comune di Biella delega determinate persone a rivedere il deliberamento fatto a Ludovico Gromo del bosco dei fossati, a. 1474; deliberamento dell'Alpero a Manfredo Meschiati, a. 1479; incantamento dei fossati di Biella, a. 1488; incantamento dell'Alpero, a. 1496; transazione tra Biella, Vernato e Ghiara circa un pascolo, a. 1407)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 97 (bandi dell'alpero, a. 1488)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 109 (riparazione mura di Biella, XV-XVIII s.; elenco delle spese per l'archivio di Biella, a. 1638)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 112 (carichi per le fortificazioni del Piazzo, a. 1422; alpeggi, XV s.; concessioni del comune di Biella del dazio del vino, a. 1423; atti di lite fra il comune di Biella e il Comune di Andorno, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 113 (podestà, XV s.; supplica del comune di Biella per non essere molestato dai dazieri di Vercelli, a. 1474; sulle terre che concorrono al pagamento di certi redditi con Biella, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 131 (isola del Cervo, XV s.; ordine ducale al podestà di Biella di obbligare gli abitanti ad abitare entro le mura della città, a. 1483; patti Biella-Trivero dopo la sottomissione di quest'ultimo alla giurisdizione di Biella, s. XVI; transazione fra il comune di Biella e il vescovo di Vercelli per questioni di giurisdizione, a. 1414; atti di lite fra la comunità del Piazzo e quella del Piano, XV secolo; beni comunali Isola del Cervo, metà XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 141 (lite fra il comune di Biella e privati per questioni di acque, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 217 (lite fra il comune di Biella e il procuratore fiscale circa le cause di usurpazione del suolo pubblico, XV s.; atti di lite fra il comune di Biella e privati, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 217 (difesa del comune di Biella nel processo intentato dai dazionieri, a. 1429; la credenza di Biella nomina procuratori per le controversie con Andorno sul mercato e sulla giurisdizione, a. 1486; sentenza definitiva di Carlo di Savoia nelle controversie fra Biella e Andorno, a. 1486; lite davanti al Consiglio Ducale sabaudo fra il comune di Biella e il procuratore fiscale per le cause relative all'usurpazione di suolo pubblico)
 
ASB, Comune, I, b. 218 (sui privilegi della beccaria del comune di Biella, a. 1443)
 
ASB, Comune, I, b. 219 (sulle multe e l'amministrazione di Lessona, a. 1425)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 237 (Atti processuali fra la Città di Biella e gli eredi Villani, a. 1476)
 
ASB, ASCB, comune, s.I, bb. 304, 305 (estimi città di Biella, XV-XVI s.)
 
ASB, comune, I, b. 342 (il vescovo di Vercelli assolve il Comune di Andorno dalla pena incorsa per insufficiente aiuto prestato agli uomini di Ronco, a. 1291; lite fra il comune di Andorno e gli uomini della Valle, a. 1292)
 
ASB, comune, I, b. 343 (sentenza nella lite vertente tra il Comune di Andorno e quello di Bioglio e Pettinengo intorno a questioni di pascolo, a. 1320; atti giudiziari fra la comunità di Andorno e di Mosso per il possesso dell'alpe Montuccia e di Andorno contro Bioglio per il possesso dei pascoli e di un bosco, aa. 1320-1540; atti giudiziari tra la Comunità di Andorno e quella di Biella per la questione del mercato, a. 1373-1652)
 
ASB, comune, I, b. 344 (processo istituito in Andorno dal vescovo Ibleto Fieschi contro molti uomini d'Andorno, aa. 1416-1422; questioni relative ai pascoli di Andorno, a. 1415; questioni fra il podestà di Biella e Andorno relative alla beccaria, aa. 1423-1424; investiture di individui di Andorno al vescovo di Vercelli, a. 1418; questione fra la corporazione dei beccai e alcuni individui di Andorno, a. 1420; ricorso delle comunità di Andorno, Bioglio Mosso Coggiola Mortigliengo, Chiavazza, Pollone, Sordevolo, Muzzano e Occhieppo per il concorso alle spese per la fortificazione del Piazzo, a. 1425)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 345 (atti giudiziari della comunità di Andorno relativi al pagamento del salario al podestà di Biella, a. 1423; atti processuali fra Andorno e gli Challant per mulini, a. 1423)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 346 (lite fra il podestà di Biella e il comune di Andorno, XV s.; contestazioni del comune di Andorno contro le decisioni del podestà di Biella, XV s.; controversie fra il comune di Andorno e i Bertodano cui il Challant aveva ceduto i suoi diritti per 11 anni, a. 1436; interrogatori sulla causa fra il comune di Andorno e Vercelli per questioni di pedaggi, a. 1438; lite fra Andorno e Bioglio per l'alpe Cusogna, a. 1443; concessione del podestà di Biella di procedere all'accordo fra il comune di Andorno e la comunità di Macugnaga, a. 1442; deposizione del console di Andorno circa un sequestro di pecore a danno di Bioglio, a. 1443; ricorso della comunità di Andorno nei confronti di quella di Bioglio che vieta di far legna in un bosco, a. 1443; questione fra il castellano di Andorno Amedeo Cutella e i Bertodano da una parte e la comunità di Andorno dall'altra circa la riscossione dei fitti dei mulini e l'investitura di terreni, a. 1444; ricevute fatte per i signori di Mongioveto, Bard, S. Martino e Vallesa dei tributi pagati da Andorno, a. 1445)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 347 (lite fra il comune di Andorno e alcuni particolari, a. 1473; atti di lite fra il comune di Biella e altri comuni fra cui Bioglio e Andorno, a. 1473; sentenza arbitramentale contenente i capitoli per l'amministrazione dei cantoni di Andorno, a. 1474; Capitoli testimoniali in una causa relativa al castello di Andorno, a. 1475; ricorso di Andorno contro gli Challant, a. 1478; processo mosso dal Comune di Andorno per l'aggressione contro l'alpe Lavagna, a. 1479; ordine ducale contro coloro che ebbero a ricevere a sassate il podestà per la sentenza del mercato, a. 1487; il duca Carlo I di Savoia vieta che per le feste di Pasqua si frappongano impegni agli andornesi che intendono recarsi al mercato di Vercelli, a. 1487; il duca Carlo I di Savoia proroga all'8 giugno il termine utile per provare il numero delle mole dei mulini esistenti nel territorio di Andorno, a. 1487; ordinati del comune di Andorno relativi al compromesso raggiunto con certi particolari del cantone della Valle, a. 1488; il duca Carlo I ordina che il comune di Biella restituisca al comune di Andorno i beni illecitamente sottratti, a. 1488)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 349 (atti processuali tra la Comunità di Andorno e quella di Biella per la tassa di uguaglianza, aa. 1500-1550)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 358 (sentenza sulla causa fra il comune di Mosso e alcuni particolari d'Andorno, a. 1421; atti giudiziari tra Ibleto Fieschi, vescovo di Vercelli, e gli Challant per i redditi spettanti al feudo di Andorno, a. 1424; atti di lite fra i Bertodano e Andorno per un credto, a. 1431; lite fra la comunità di Andorno e altre comunità per questioni di pascolo, a. 1435)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 359 (atti di lite fra il procuratore fiscale e il comune di Andorno sui redditi del podestà di Biella, XV s.; liti fra la comunità di Biella e i comuni circostanti per questioni di giurisdizione, XV-XVI s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 362 (sentenza contro il comune di Andorno per danni arrecati ad una roggia del comune di Tollegno, XV s.; lite fra Tollegno e il capitolo di S. Stefano, XV s.; Bertodano signori di Tollegno e Miagliano, XV s.; atti di lite fra la comunità di Tollegno e i Bertodano, XV s.; statuti di Tollegno, a. 1428; i consoli di Biella in una causa fra Besso Ferrero e il comune di Tollegno applicano una multa ad un privato per aver condotto le bestie in un terreno affittato a Tollegno, a. 1448; atti di lite fra la comunità di Miagliano e i Bertodano, a. 1473; ricevute per la segala consegnata dal comune di Tollegno al capitolo di S. Stefano, aa. 1475-1567; il Vicario del Vescovo di Vercelli condanna il tesoriere del Capitolo di S. Stefano ed assolve il Comune di Tollegno del canone che quegli gli aveva imposto, a. 1486; transazione fra Tollegno e Miagliano circa i pascoli, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 363 (fitti pagati dal comune di Tollegno a Biella per pascoli, aa. 1438-1563)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 364 (transazione tra Tollegno e il Capitolo di S. Stefano sulle decime, a. 1421)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 368 (pagamento del comune di Tollegno al chiavaro di Biella pascoli, XV s.)
 
ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 370 (atti giudiziali fra il comune di Biella e Tollegno per regolamenti di confine, a. 1397; transazione tra Tollegno e il Capitolo di S. Stefano sulle decime, a. 1421; transazione tra il comune di Biella e la Comunità di Tollegno relativa alla locazione dei terreni detti dell'affitto e delimitazione dei due comuni, a. 1492)
 
ASB, ASCB, Comune, s. III, b. 104 (Delimitazione del territorio di Biella, contengono atti dal 1774 al 1779 connessi al catasto fatto da Colombino. Procedimento di verifica dei confini compiuto nel 1774 dai funzionari biellesi e dai rappresentanti delle comunità confinanti di Pralungo, Cossila, Pollone, Occhieppo superiore e inferiore, Ponderano, Gaglianico, Candelo, Vigliano, Chiavazza, Cacciorna, Tollegno)
 
ASB, Comuni, Chiavazza, b. 224 (conferma di Amedeo di Savoia delle concessioni di Ibleto di Challant al comune, a. 1409; concessioni al comune di Chiavazza a procedere per i debiti delle taglie indipendentemente da Biella, a. 1422)
 
ASB, Ferrero della Marmora, Economico Feudale, b. 17 (transazione tra i signori di Borriana, Blatino e gli uomini di detto luogo relativa all'uso dei pascoli comuni, XV-XVI s.); b. 27 (estimi fam. Ferrero, XV secolo), b. 32 (ricognizione dei redditi comuni della città di Biella), b. 31 (delibere sui redditi della città di Biella); b. 75 (monastero regolari padri Operandi, XV secolo; accordo fra Masserano, Brusnengo e Cossato per questioni di prati e boschi, a. 1387; sentenza arbitrale sopra le differenze per i finaggi tra le comunità e gli uomini di Ponderano e Gaglianico, a. 1441); b. 76 (chiesa di S. Maria Maggiore, a. 1420)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Biella, b. 1 (regolamenti relativi agli incanti dei pesi delle misure e degli alpeggi del comune di Biella, XV s.; locazione dei mulini di Occhieppo fatta dal vescovo di Vercelli, a. 1429; atti d'incanto del comune di Biella, 1471 s.; ordinati del comune di Biella, a. 1482); b. 3 (causa fra il comune di Biella e il comune di Andorno, a. 1473; Carlo duca di Savoia conferma alla Comunità di Biella i privilegi del mercato contro la comunità di Andorno, a. 1486; Carlo duca di Savoia concede alla comunità di Andorno di staccarsi da quella di Biella, a. 1486; sentenza definitiva della causa per il mercato fra Biella e Andorno, a. 1486; atti di lite fra il comune di Biella e quello d'Andorno 1487-1557); b. 4 (inventario dei beni dell'Ospedale di S. Spirito, a. 1416); b. 12 (mulini del comune di Biella, aa. 1428-1445)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Beni diversi, b. 10 (definizioni diritti di macello e mercato per il comune di Biella nel raggio di 7 miglia e pertinenza cause civili, XV s.; liti fra privati in Andorno, a. 1421)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Estranei alla famiglia, b. 9 (lite tra i Gromo e i de Comitibus circa la roggia che serviva ai mulini di questi ultimi, a. 1370)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Ponderano, b. 2 (lite fra la comunità di Ponderano e i Dal Pozzo per carichi, a. 1370); b. 5 (riduzione del registro di estimo concessa a favore del comune di Ponderano dalla duchessa di Milano a causa dei gravi danni sofferti per un incendio, 1402)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Tenimenti vercellesi I, b. 1 (lite fra gli Avogadro di Casanova e la comunità di detto luogo da una parte e i signori e la comunità di Vettigné dall'altra per questioni relative ai confini e ai pascoli della baraggia, a. 1353)
 
ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Borriana e Blatino, b. 4 (lite per questioni dei pascoli di Zubiena fra i signori di Blatino e privati di Zubiena, a. 1379; lite dei consignori di Borriana in merito all'uso dei pascoli, XV s.; comunicazioni fra il vicario vescovile e il comune di Biella circa l'elezione del rettore dell'Ospedale di S. Spirito, a. 1443)
 
ASB, Gromo di Ternengo, Pergamene, b. 44 (comune di Vernato, acque, a. 1411); b. 47 (riduzione focatico comunità di Ternengo, a. 1434); b. 51 (sentenza arbitramentale sulle questioni di carichi e confini insorte fra la comunità di Buronzo e quella di Balocco, XV s.)
 
ASB, Bulgaro, b. 4 (lite fra i Bulgaro e Trivero per giurisdizione, a. 1344); b. 7 (convenzione tra Galeazzo Visconti e il Conte di Savoia in merito alle reciproche giurisdizioni e le norme per i banditi, a. 1378); b. 8 (arbitrato nella questione vertente sulle isole del Cervo fra il comune di Vercelli e i Bulgaro, a. 1397)
 
ASB, Corporazioni religiose, Cistercensi di Santa Caterina di Biella, b. 2 (atti di lite per questioni di decime, XV s.)
 
ASB, Corporazioni religiose, Domenicani di Biella, b. 12 (donazione del castello di Biella e pertinenze ai padri domenicani di Biella, a. 1442; misurazione, descrizione, e rendita di beni diversi appartenenti al convento di San Domenico, a. 1479-1802), b. 14 (terreni S. Domenico al Piazzo, a. 1444)
 
ASB, S. Martino di Baldissero e Motta dei conti Scaglia di Verrua, s. Scaglia di Verrua, b. 24 (definizione dei confini fra le comunità di Verrua e Robella, a. 1474); b. 51 (compromesso fra la comunità di Biella e i beccai, a. 1298); b. 85 (Consegnamento fatto dalla comunità di Camburzano dei beni semoventi del diretto dominio dei Savoia, a. 1474); b. 87 (consegnamento della comunità di Muzzano con fedeltà al duca di Savoia, a. 1474)
 
ASB, Morra di Sandigliano, Archivio, b. 1 (atti di lite fra la comunità di Sandigliano e i signori dello stesso luogo, a. 1478), b. 4 (atti nella causa fra il signore di Sandigliano e il fisco, a. 1481), b. 15 (atti nella causa fra il signore di Sandigliano e il fisco, a. 1482); b. 59 e 69-70 (atti di lite fra la comunità di Sandigliano e i signori dello stesso luogo per giurisdizione, gabelle, donativo militare 1442-1746)
 
ASB, Famiglia Gromo di Ternengo, Pergamene, b. 36 (fedeltà di Ternengo ai Buronzo, a. 1445); b. 59 (arbitrato le questioni sorte tra Filippono de Langosco e Guido suo consanguineo da un lato e la comunità di Motta dei Conti, a. 1481); b. 89-90 (consegne degli uomini di Ternengo, a. 1445)
 
ASB, Ferrero Avogadro di Valdengo, s. II, b. 12 (sulle celebrazioni in S. Stefano, a. 1419; sulle proprietà e i beni del convento di S. Agata del Vernato, a. 1429; sul ricorso dei canonici di Biella al duca di Savoia in merito al concorso per le riparazioni delle mura, a. 1435; investiture ai Tarditi di beni fondiari in Biella appartenenti alla mensa vescovile, a. 1438); b. 31 (raccolta di documenti dal XV al XVIII secolo fatta da Gustavo Avogadro, membro della deputazione di storia patria, per la storia della città e famiglie di Biella)
 
ASB, Vialardi di Verrone, Pergamene, b. 7 (vendita terreni in Biella, a. 1431)
 
ASB, Centro studi cavaliere P. Torrione, serie Raccolta, b. 6 (confraria di S. Spirito di Biella, a. 1426); b. 17 (sugli statuti di Vernato e Ghiara, XV s.); b. 14 (questioni circa i beni della chiesa di S. Maria del Ponte del Cervo, a. 1422)
 
Archivio di Stato di Torino
AST, Camerale, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, mazzo 1, "Biella".Carta in due parti del Territorio di Biella stata levata per Ordine del Governo dei 12 Anno XI (3 novembre 1802) dall'Ing. Geometra Momo sulla Scala di 1/5000 (Copie 2), s.d. [Autore disegno originale: Momo]. Parte I. Vedi mappa.
 
AST, Camerale, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie III, mazzo 2, Biella, "Carta Topografica Regolare del Circondario di Biella / dipartimento della Sesia"."Carta topografica regolare del circondario di Biella, dipartimento della Sesia", anni dal 1800 al 1814, Antonio de Steffani di Graglia Misuratore. Inchiostro e acquerello di vari colori, s.d. [Autore disegno originale: Antonio Desteffani di Graglia].   Vedi mappa.
 
AST, Camerale, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, mazzo 1, Cossilla, Plan Géométrique de la Commune de Cossila levé par le Géométre Ettienne Bussetti. Carta del Territorio di Cossilla stata levata per Ordine del Governo dei 12 Brumajo Anno XI (3 novembre 1802) dall'Ing. Geometra Momo sulla Scala di 1/5000 (Note: Accanto all'indicazione di scala: "Ing.r en Chef Momo".) [Autore disegno originale: Ettienne Bussetti].  Vedi mappa.
 
AST, Camerale, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, mazzo 1, Pralungo, Plan Géométrique de la Commune de Pralungo levé par le Géométre Ettienne Bussetti. Carta del Territorio di Pralungo stata levata per Ordine del Governo dei 12 Brumajo Anno XI (3 novembre 1802) dall'Ing. Geometra Momo sulla Scala di 1/5000 (Note: Accanto all'indicazione di scala: "Ing.r en Chef Momo".) [Autore disegno originale: Ettienne Bussetti].   Vedi mappa.
 
AST, Camerale, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, mazzo 2, Strada Consortile da Biella a Pettinengo per Zumaglia. Strada Consortile da Biella a Pettinengo per Zumaglia - Piano della località per la formazione di un tronco di essa compreso tra quella di Andorno inferiormente al Quartiere Ajetta nel Comune di Pavignano ed il Comune di Pettinengo della complessiva lunghezza di M6734 il tutto a norm dei relativi progetti. Con la data 30 dicembre 1840. Compilato dall'Ingegnere della Provincia Galimberti sulla scala di 1/2000. (Vedi le relative R. Patenti in data 2 ottobre 1841) [Autore disegno originale: Galimberti]   Vedi mappa.
AST, Provincia di Biella, bb. 1 (atti fra la comunità e il vescovo Fieschi, XIV s.; dedizione ai Savoia, XIV-XV s.; lite fra la comunità di Biella e Vercelli per questioni di giurisdizione, aa. 1427-1440; relazione sullo stato della città di Biella di Giovanni Bernardino Porta, 1620; relazione dell'intendente della provincia Blanchiotti, a. 1751), 2, 4;
 
AST, Paesi per A e B, Biella, b. 16 (discordie fra Piazzo e Piano relativamente a questioni di giustizia, macello, mercato, XVII s.; ragioni addotte dal conte Verani nella causa con la città di Biella a proposito dei bandi campestri, a. 1733; bandi campestri e dell'Alpero della città di Biella, a. 1735; questioni relative alla strada Maestra e alle concerie, ricorsi per i danni subiti dai particolari, XVIII s.; abbattimento porta di Rossigliasco, a. 1773-1779; atti di lite dinnanzi alla camera dei conti tra i particolari del Vernato, cantone di Biella, e l'università del Piazzo per il fatto del mercato ivi esercitato il giovedì, a. 1791-92; lagnanze del Piazzo contro il Piano, a. 1799; S. Filippo), 17 (acquisto convento S. Francesco, a. 1822; strada dal ponte nuovo alla porta di Riva, a. 1827; abusi della civica amministrazione contro il cantone di Riva, a. 1830; piano di abbellimento della città, a. 1832, piazza dinanzi alla cattedrale, a. 1832; vertenza tra la città e la confraternita di S. Cassiano per la proprietà dell'area dell'antico cimitero, a. 1833; vertenze della città con gli appaltatori del Dazio comunale, aa. 1827-28), 18 (riparazione selciato, dazi comunali XIX s.; vendita di terreni usurpati, aa. 1844-45); b. 1 add. (memorie storiche sull'acquisto del Biellese e della castellania di Verrua da parte della casa di Savoia).
 
AST, Paesi per A e B, Campiglia, b. 5 (lettera dell'intendente di Biella con cui accusa ricevuta di un ricorso del parroco di Campiglia circa una strada progettata da Campiglia al torrente Balura, a. 1822)
 
AST, Paesi per A e B, Candelo, b. 6 (l'intendente di Biella Blanciotti rimette copia autentica dell'ordinato fatto dal comune di Candelo riguardo il progetto dell'intendente per estinguere la lite fra la comunità di Candelo e quella di Biella, a. 1750; l'intendente Rubatti trasmette informativa sul ricorso della comunità di Candelo per la divisione dei siti denominati delle sorti, a. 1783)
 
AST, Paesi per A e B, Cerreto, b. 46 (vendita di beni comunali usurpati, a. 1837)
 
AST, Paesi per A e B, Cerrione, b. 46 (l'intendente della provincia di Biella, conte Villata di Piana, manda il suo parere circa il ricorso del conte Paolo Gattinara di Zubiena il quale chiede alla comunità di Cerrione la cessione in enfiteusi perpetua di giornate 300 di gerbidi comunali siti in regione Barazza, aa. 1774-75)
 
AST, Paesi per A e B, Chiavazza, b. 55 (capi esposti dalla comunità di Chiavazza contro il convento dei Gerolamini di Biella, a. 1776; autorizzazione del comune di Chiavazza di alienazione di un sito comunale, a. 1846)
 
AST, Paesi per A e B, Coggiola, b. 64 (pascolo delle capre del comune di Coggiola, a. 1831)
 
AST, Paesi per A e B, Cossato, b. 67 (alienazione di terreno comunale, a. 1833, a. 1844)
 
AST, Paesi per A e B, Cossilla, b. 60 (cimiteri e strada per Oropa, XIX s.; traslocazione tra i comuni di Biella e Oropa circa il riparto dell'acqua derivante dal torrente Oropa, a. 1844; cessione di terreni usurpati, a. 1847)
 
AST, Paesi per A e B, Curino, b. 80 (rivendicazione di terreni comunali usurpati, a. 1845)
 
AST, Paesi per A e B, Crevacuore, b. 73 (ricorso della comunità di Crevacuore per continuare a far parte della provincia di Vercelli preferibilmente a quella di Biella, a. 1837)
 
AST, Paesi per A e B, Massazza, b. 4 (permuta di beni tra il comune di Massazza e il conte Avogadro della Motta, a. 1833; cessione di terreno usurpato, a. 1842)
 
AST, Paesi per A e B, Masserano, b. 4 (due lettere della principessa di Masserano Cristina di Savoia al segretario di guerra per raccomandargli gli interessi dei padri domenicani di Biella colpiti da contravvenzione per aver seminato riso in luoghi di giurisdizione non permessa e del causidico Bonino a. 1728); b. 6 (proteste del comune di Masserano per essere stato smembrato dalla provincia di Vercelli e aggregato a quella di Biella, a. 1837)
 
AST, Paesi per A e B, Mongrando, b. 23 (fedeltà di Mongrando al marchese Isidoro di Monferrato, a. 1404)
 
AST, Paesi per A e B, Mosso S. Maria, b. 23 (investitura concessa dal vescovo di Vercelli alla comunità di Mosso, a. 1346)
 
AST, Paesi per A e B, Mottalciata, b. 34 (autorizzazione per vendita di terreni comunali, a. 1820; delegazione per raggiungere un accordo fra il comune e il conte di Castellengo, a. 1830)
 
AST, Paesi per A e B, Muzzano, b. 36 (atti di lite fra il comune di Muzzano e alcuni privati usurpatori del luogo, a. 1818; vendita di beni usurpati, a. 1839)
 
AST, Paesi per A e B, Pettinengo, b. 6 (vendita di beni comunali per fronteggiare le spese per la costruzione di una strada consortile da Pettinengo a Biella, a. 1842)
 
AST, Paesi per A e B, Ponderano, b. 18 (vertenze tra la comunità di Ponderano e quella di Biella per la strada comunale Ponderano-Biella, a. 1777-78)
 
AST, Paesi per A e B, Riva (quartiere), b. 9 (lettera dell'intendente sulla supplica degli abitanti di Riva per il riattamento della strada dal ponte del Cervo a Biella, a. 1818)
 
AST, Paesi per A e B, Sagliano, b. 1 (alienazione senza formalità di incanti di beni comunali usurpati da vari particolari, aa. 1818-19, altra cessione di beni comunali usurpati a. 1831)
 
AST, Paesi per A e B, Salussola, b. 3 (ordinati per la costruzione di una nuova strada Salussola-Biella, a. 1741; ricorso di parecchi particolari per ottenere la riassegnazione di beni comuni usurpati, XIX s.; causa fra il comune di Salussola e il santuario d'Oropa, a. 1828)
 
AST, Paesi per A e B, S. Paolo C.vo, b. 14 (concessione di beni comunali in enfiteusi, a. 1739-40)
 
AST, Paesi per A e B, Sordevolo, b. 41 (prospetto della comunità di Sordevolo per la costruzione di una strada comunale verso Biella, in ragione Ceretto, a. 1828)
 
AST, Provincia di Vercelli, b. 1 (convenzioni fra il conte di Savoia e il vescovo di Vercelli relativamente a Biella, XIV s.)
 
AST, Materie economiche, Intendenze e regolamenti di comunità, bb. 1 (conti e redditi comunità della provincia di Biella, 1627)
 
AST, Materie economiche, Agricoltura, b. 2 (quesito sulle terre incolte e stati di risposta da parte della provincia di Biella, aa. 1827-40)
 
AST, Materie economiche, Risaie, b. 1 (progetto di restrizione delle risaie nei territori delle provincie di Biella e Vercelli, a. 1727, lettere, ricorsi); b. 3 (stato delle risaie consegnate nel territorio di Biella nell'anno 1792; disposizioni sulla coltivazione del riso in provincia di Biella con ordinati della comunità di Salussola)
 
AST, Materie economiche, Caccia e boschi, b. 1 (circolare dell'intendente di Biella con vari quesiti circa lo stato dei boschi in quella provincia, XIX s.; stato dei boschi della provincia di Biella ricavato dai consegnamenti fatti negli anni 1729 e 1771)
 
AST, Materie economiche, Commercio, Professioni arti e manifatture cat. IV, bb. 3-4 (industria della lana provincia di Biella, XVIII s.)
 
AST, Materie economiche, Sanità pubblica, Provvidenze, b. 1-13 (peste 1720, XVIII s.)
 
AST, Materie economiche, Strade e ponti, bb. 1 (strada Biella-Ivrea, XVIII s.), 2 (strada Biella-Ponderano, XVIII s.), 3 (strada Biella-Benna, XVIII s.; Candelo Biella Vercelli, s. XVIII)
 
AST, Materie economiche, perequazione del Piemonte, bb. 2 (titoli dei beni feudali nella provincia di Biella, a. 1730), 3, 7
 
AST, Materie economiche, Miniere, b. 1 (pareri sulle miniere presenti nel territorio di Biella e albergamenti dei Savoia a favore dei Fieschi, a. 1464)
 
AST, Materie economiche, Caccia e boschi, b. 1 (consegnamenti dei boschi fatti da enti ecclesiastici della prov. di Biella, XVIII s.); b. 3 (stati dei boschi trasmessi dagli intendenti di varie provincie fra cui Biella, XVIII s.)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Vescovati, Vercelli, bb. 1 (diplomi imperiali), 2 (redditi; lettera di Madama Reale al vescovo di Vercelli per indurre il clero di Biella al pagamento del tasso richiesto, a. 1681);
 
AST, Materie ecclesiastiche, arcivescovadi e vescovadi, Biella, bb. 1 e 2 (sull'erezione della diocesi, aa. 1771-72)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Materia beneficiaria cat. 2, b. 2 (sull'erezione del vescovato a Biella, a. 1622)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Visite pastorali cat. XXIII, b. 1 (notizie dell'intendente di Biella Verani circa le spese da farsi in occasione della visita pastorale dei vescovi, e con redditi di ciascuna parrocchia, a. 1732)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Benefizi di qua dai monti, b. 1 (lite fra la collegiata di S. Stefano e la confraternita dei disciplinati, a. 1757-58); b. 3 (scritture sulla lite fra la collegiata di S. Stefano e il parroco di S. Giacomo, a. 1752; lite fra il chiavaro di Biella e la collegiata di S. Stefano per la processione della Sinagoga, a. 1720; ricorso della collegiata di S. Stefano contro il pagamento sui beni a loro dire immuni, a. 1758; stato dei benefizi della provincia di Biella, a. 1728), b. 5 e 8 s.a. (relazioni sullo stato dei benefici nella provincia di Biella, XVIII s.); b. 12 (stato dei benefici ecclesiastici la cui nomina dipende dalla città, lite fra la comunità di Chiavazza e il monastero di S. Gerolamo, a. 1751-1778)
 
AST, Regolari di qua dai Monti, b. 4 (convento dei Cappuccini, XVIII s.), b. 9 (soppressione confraternita di S. Paolo, erezione Oratorio di S. Filippo Neri, XVIII s.; pubblicazione degli atti di soppressione dei conventi di Biella, a. 1782; fondazione del monastero di S. Gerolamo, a. 1519; progetto di soppressione del monastero di S. Gerolamo, a. 1775), b. 10 (Gesuiti a Biella, XVII e XVIII s.; Lateranensi, XVI e XVIII s.), b. 16 (sulla soppressione dei Somaschi collegio fondato nel 1632, a. 1788)
 
AST, Monache di qua dai monti, b. 1 (sul trasferimento del monastero di S. Caterina al Piazzo, a. 1759)
 
AST, Luoghi pii di qua dai Monti, b. 1 (informativa dell'intendente sabaudo sul Monte di Pietà, a. 1789-90; relazione dell'intendente Bottone delle congregazioni di carità esistenti nella provincia di Biella e loro redditi, a. 1766); b. 4 (confraternita di S. Cassiano, a. 1723; Ospedale dei poveri o di carità, a. 1740); b. 5 (decreti sul Santuario d'Oropa dal XV al XVIII s.; liti fra il santuario d'Oropa e il capitolo di S. Stefano da una parte e il vescovo di Vercelli dall'altra rispetto alle reciproche competenze, XVIII s.; lite fra il Santuario d'Oropa e la città di Biella in merito all'amministrazione dei redditi; inventari di scritture), b. 6 (Santuario d'Oropa, XVIII s., lite fra il vescovo di Vercelli e il santuario d'Oropa in occasione della visita pastorale, a. 1771; Ospedale degli Infermi, redditi, a. 1741; Ospizio di Carità a. 1721; monte di Pietà, spostamento dal Piazzo al Piano, a. 1788)
 
AST, Materie politiche per rapporto all'interno, Tutele reggenze luogotenenze generali, m. 4.2 (sul governo di Biella da parte del principe Tommaso, a. 1643)
 
AST, Materie politiche per rapporto all'interno, Cerimoniale, b. 1 (relazione sopra le differenze fra il capitolo di S. Stefano e il Maggiore di Biella per questioni di cerimoniale, a. 1722; informativa dell'intendente di Biella sul cerimoniale in occasione del Natale, a. 1780-81)
 
AST, Materie politiche per rapporto all'estero, Trattati, b. 1 (trattato di pace tra Galeazzo Visconti e papa Gregorio XI con riferimento a Biella e alle temporalità vescovili, a. 1376)
 
AST, Paesi in genere e per Provincie, b. 1 (sul distaccamento dalla provincia di Biella delle comunità di Magnano, Zimone e Moncrivello, a. 1750), b. 18.2 (beni di spettanza comunale nella Provincia di Biella, a. 1838), b. 23 (riforma della circoscrizione della provincia di Biella, a. 1845-46), b. 42 (tesoriere, a. 1551; informativa dell'intendente sulla provincia di Biella, a. 1774; relazione dell'intendente sugli archivi comunali, a. 1825; notizie dell'intendente di Biella relative alla porzione del convento di S. Sebastiano posseduta dalla città, a. 1828; causati; nomine dei sindaci dei comuni della provincia aa. 1830-33; ricorso dei Sella per l'apertura di una strada Biella-Mosso); b. 43 (perlustrazione dell'intendente nella provincia; rinnovo dei sindaci della provincia a. 1838; approvazione di re Carlo Alberto per l'apertura di una strada Biella-Pettinengo, a. 1841; contestazioni relative all'affittamento di beni nei comuni della provincia di Biella, a. 1842)
 
AST, Paesi per A e B, Verrone, b. 16 (costruzione di una strada Biella-Verrone s.d.)
 
AST, Paesi per A e B, Andorno, b. 21 (copia di patenti ducali per la sottrazione del mandamento di Andorno dalla giurisdizione di Biella, in seguito a implicita minaccia di ribellione da parte della prima, a. 1486; patenti ducali, a. 1548, concesse alla comunità di Andorno per ottenere l'immediata soggezione al duca di Savoia senza ricadere sotto la giurisdizione di Biella; memoriale a capi del comune di Andorno e risposta del duca di Savoia per la conferma dell'esenzione dalla giurisdizione di Biella, a. 1573; a. 1791 trasmissioni d'informazioni dell'intendente di Biella Rubatti in merito al ricorso del Cantone di Rivabella nella comunità di S. Paolo d'Andorno al fine di ottenere un sussidio per mantenere in detto cantone un confessore; lagnanze del sindaco di Andorno perché l'intendente di Biella gli ha tolto le chiavi di una camera, a. 1834)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Immunità e giurisdizione cat. X, b. 1 (relazione sui provvedimenti del vicario del vescovo di Vercelli contro il rettore del convento di S. Caterina per perdurbata giurisdizione vescovile, a. 1685)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Immunità reale del Piemonte cat. XI, b. 4 (atti contro il clero di Biella per il pagamento dei tributi, a. 1682); b. 7 (relazione sul rifiuto di alcuni curati di Biella d'amministrare i sacramenti in conseguenza del prelievo dei frutti dei beni ecclesiastici, a. 1702)
 
AST, Materie ecclesiastiche, Riduzioni e vacanti cat. IV, b. 1 (ricorso collegiata S. Stefano sui redditi del vescovato di Vercelli ora vacante, a. 1713-16)
 
AST, s. Riunite, Conti della castellania di Biella (1378-1573), bb. 1-29;
 
AST, sez. riunite, A. Famiglia Avogadro di Collobiano della Motta, b. 147; b. 149 (lite fra i Tarditi e i Ferrero per una casa al Piazzo, a. 1383)
 
AST, Materie Economiche, Carceri per A E B, Biella, b. 2.1.;
 
AST, Diplomi imperiali, b. 1;
 
AST, Protocolli ducali e camerali, n. 72 (rosso) (sul feudo di Andorno fra Challant e vescovo di Vercelli, a. 1427); n. 73 rosso (riduzioni dei focatici ad Andorno, Bioglio Mosso, Ronco, Zumaglia, Chiavazza, a. 1434); n. 91 (rosso) (sull'accusa al comune di Biella d'aver distratto ad altri usi l'imposta concessagli per le fortificazioni, a. 1448); n. 109 (nero) (sulla questione di Andorno, a. 1444)
 
AST, sez. corte, A. Avogadro di Collobiano della Motta, m. 114 (ricognizione dei confini fra il comune di Massazza e quello di Salussola, a. 1438), b. 119 (questione fra gli Alciati e la comunità di Monteberoardo, cessione di beni comuni, a. 1335)
 
Archivio Arcivescovile di Vercelli
 
A.A.Vc, Inventari (inventario del 1772 delle scritture o sia titoli comprovanti li livelli annui dovuti dalla comunità e particolari della città e provincia di Biella alla Mensa vescovile di Vercelli, con docc. a partire dal 1560 ca)
 
A.A.Vc, Biella, 3 bb. (registri di investiture, XVI s.; lite macellai-Piazzo, a. 1565; atti della mensa episcopale contro debitori e affittuari biellesi, a. 1571 e sgg.; lite fra la mensa episcopale e i canonici di S. Sebastiano, a. 1574; atti di lite fra l'Ospedale di Biella e gli Spina, a. 1597, patti fra il comune di Biella e il vescovo Cavalli, a. 1402, mensa vescovile XV-XVIII s.)
 
A.A.Vc, Diversorum, b. 1 (libro dei redditi del vescovo di Vercelli, 1377); b. 2 (libro dei redditi del vescovo di Vercelli, aa. 1352-59), b. 3 (libro delle investiture del vescovo di Vercelli, a. 1346; fascicolo degli estimi delle squadre della diocesi di Vercelli, a. 1440)
 
A.A.Vc, Sinodali, b. unica (libri dei redditi della mensa vescovile, 1445-52)
 
A.A.Vc, Investiture, b. 1 (libro delle investiture del vescovo di Vercelli, a. 1349-50); b. 2 (libro delle investiture del vescovo di Vercelli, aa. 1359-63), bb. 3-8 (libri investiture ss. XV-XVII)
 
A.A.Vc, Sub titulo Bucelle, b. 1 (investiture di beni in Biella, XV s.; pagamenti alla mensa vescovile di Vercelli di particolari di Biella, XV s.)
Bibliografia
Bibliografia
(1. Edizioni di fonti; 2. Storiografia; 3. Tesi di laurea)
I riferimenti bibliografici nelle voci della scheda sono forniti con i seguenti criteri: nel caso di opere edite nome dell'autore e anno di edizione; nel caso delle tesi nome dell'autore e anno accademico. Gli estremi completi sono forniti di seguito nei paragrafi dedicati alle edizioni di fonti, alle opere storiografiche e alle tesi di laurea.
Le abbreviazioni di cui si è fatto uso nella scheda sono le seguenti:
AAV: Archivio Arcivescovile di Vercelli
ARMO: Acta Reginae Montis Oropae: vol. 1, Biella, 1945, e vol. 2, Biella, 1948, entrambi a cura di G. Ferraris, D. Arnoldi, P. Torrione; vol. 3, Biella, 1999, a cura di M. Coda;
ASB: Archivio di Stato di Biella
AST: Archivio di Stato di Torino
BSSS 34/2: Documenti Biellesi di Archivi Privati. 1039-1355, a cura di F. Guasco di Bisio–F. Gabotto, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/2)
BSSS 103: Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello-A. Tallone, vol. I, Voghera, 1927;
BSSS 104: Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello-A. Tallone, vol. II, Voghera, 1928;
BSSS 105: Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello-A. Tallone, vol. III, Voghera, 1930;
BSSS 136: Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello, vol. IV, Torino, 1933;
HPM: Historiae Patriae Monumenta
Lebole C: D. Lebole, Storia della chiesa biellese. Le Confraternite, vol. I (Biella, 1971), vol. II (Biella, 1972)
Lebole OR: D. Lebole, Storia della chiesa biellese. Ordini e congregazioni religiose, vol. I (Biella, 2000), vol. II (Biella, 2004), vol. III (Biella, 2005).
Lebole PB: D. Lebole, Storia della chiesa biellese. La Pieve di Biella, vol. I (Biella, 1984), vol. II (Biella, 1985), vol. III (Biella, 1986), vol. IV (Biella, 1987).
MGH: Monumenta Germaniae Historica
Statuti ed. Cancian: Statuta comunis Bugelle. Statuti del comune di Biella, a cura di P. Cancian, Torino, 2009
Statuti ed. Sella: Statuta Comunis Bugelle et documenta adiecta, a cura di P. Sella, 2 voll., Biella, 1904
Statuti ed. Gabotto: Gli Statuti di Biella secondo il codice originale del 1245, a cura di F. Gabotto, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/3), pp. 317-401
QdSA: Quaderni della Sprintendenza Archeologica del Piemonte
 
1. Edizioni di fonti
NOTA. I documenti conservati nell'archivio comunale anteriori al 1379 sono editi nei quattro volumi de Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello-A. Tallone, vol. I, Voghera, 1927 (BSSS, 103); vol. II, Voghera, 1928 (BSSS, 104); vol. III, Voghera, 1930 (BSSS, 105); vol. IV, a cura del solo Borello, Torino, 1933 (BSSS, 136). In un unico volume della BSSS sono editi: Il libro dei prestiti del comune di Biella (1219-1391), a cura di P. Sella, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/1), pp. 1-191; la raccolta dei Documenti Biellesi di Archivi Privati. 1039-1355, a cura di F. Guasco di Bisio–F. Gabotto, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/2), pp. 195-314; e infine l'edizione della prima redazione statutaria del comune di Biella: Gli Statuti di Biella secondo il codice originale del 1245, a cura di F. Gabotto, Pinerolo, 1908 (BSSS, 34/3), pp. 317-401. L'edizione del codice trecentesco degli statuti comunali è stata fatta da Pietro Sella: Statuta Comunis Bugelle et documenta adiecta, a cura di P. Sella, 2 voll., Biella, 1904. Dello stesso codice statutario è stata recentemente fatta una nuova edizione, con traduzione italiana, in Statuta comunis Bugelle. Statuti del comune di Biella, a cura di P. Cancian, Torino, 2009 (come l'edizione del Sella quest'ultima contiene, oltre al testo statutario del codice trecentesco, diverse redazioni statutarie posteriori).
I quattro volumi della BSSS sulla documentazione comunale possono essere integrati dagli Statuta Comunis Bugelle del Sella, che oltre agli statuti trecenteschi contengono documentazione del XV-XVI-XVII secolo, e dai 3 volumi degli Acta Reginae Montis Oropae: vol. 1, Biella, 1945, e vol. 2, Biella, 1948, entrambi a cura di G. Ferraris, D. Arnoldi, P. Torrione; vol. 3, Biella, 1999, a cura di M. Coda (e previsto un quarto ed ultimo volume contenente gli indici), che contengono l'edizione dei documenti a partire dal XIII fino al XVII secolo corredati, soprattutto nei primi due volumi, da ampie e approfondite note di commento.
I documenti del capitolo di S. Stefano dell'XI e XII secolo sono tutti editi (in parte nei Monumenta Historiae Patriae (cfr. Chartarum, voll. I e II), in parte in L. Schiaparelli, Origini del comune di Biella, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», s. II, XLVI (1895-6), pp. 203-58. I documenti del XIII secolo sono in gran parte inediti, ma quattro tesi di laurea coordinate da Giovanni Tabacco (per la loro collocazione vedi sez. Bibliografia relativa alle tesi) ne contengono la trascrizione integrale: P. Golzio, L'antico ordinamento del capitolo canonicale di Biella, tesi di laurea in Storia Medievale, relatore prof. Giovanni Tabacco, Torino, a.a. 1972-73 (54 docc. dal 1027 al 1234); L. Mosca, Il territorio agrario nel biellese secondo antiche attestazioni canonicali, tesi di laurea in Storia Medievale, relatore prof. Giovanni Tabacco, a.a. 1972-73 (69 docc. dal 1220-1232); M. Biollino, I canonici di Biella nella società del Duecento, tesi di laurea in Storia Medievale, relatore prof. Giovanni Tabacco, a.a. 1972/73 (62 docc. dal 1232 al 1250); M. Magliola, Il capitolo canonicale di Santo Stefano di Biella nella seconda metà del XIII secolo, tesi di laurea in Storia Medievale, relatore prof. Giovanni Tabacco, a.a. 1984-85 (92 docc. 1251 al 1301). Molti documenti interessanti la storia degli enti ecclesiastici biellesi sono editi nei volumi della Storia della Chiesa biellese di Delmo Lebole (per gli enti trattati che ricadono nel territorio comunale vedi la citazione dell'opera nella sezione Storiografia).
 
Cartario d'Oropa o Acta Reginae Montis Oropae, a cura di G. Ferraris, D. Arnoldi, P. Torrione, 3 voll., Biella, 1945-1999 (I, Biella, 1945; II, Biella, 1948; III, Biella, 1999).
 
Le Carte dell'Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello-A. Tallone, vol. I, Voghera, 1927 (BSSS, CIII); vol. II, Voghera, 1928 (BSSS, CIV); vol. III, Voghera, 1930 (BSSS, CV); il vol. IV, a cura del solo Borello, Torino, 1933 (BSSS, CXXXVI).
 
Cronaca latina di Biella di Giacomo Orsi, a cura di P. Vayra, Biella, 1890.
 
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Statuta Comunis Bugelle et documenta adiecta, a cura di P. Sella, 2 voll., Biella, 1904. Il volume secondo contiene una serie di documenti che integrano i "monumenta" editi nel primo volume: Mon. I: Statuta comunis Bugelle (XIV sec.) et collegii drapariorum Bugelle et Vernati (1348); Mon. II: Statutorum Comunis Bugelle seculi XIV fragmentum; Mon. III: A. Liber sacramentorum consulum et officialium comunis (senza data), B. De potestate (senza data), C. Statuta de dotibus (1454-1455), D. Privilegia, Immunitates, Honorancie, Libertates et consuetudines Comunis Bugelle (senza data); Mon. IV: Statuta super sindicatione potestatis Bugelle eiusve familie (senza data); Mon. V: Statuta maleficiorum Comunis Bugelle (senza data); Mon. VI: Statuta notariorum Bugelle (1429); Mon. VII: Liber statutorum et ordinamentorum omnium magistrariarum Comunis Bugelle: A. Statuta ferrariorum (1275), B. Statuta calegariorum (1291), C. Statuta sartorum (1296), D. Statuta textorum (1310), E. Statuta drapariorum (1348), F. Statuta massariorum (1385), G. Statuta beccariorum (tra il 1310 e il 1328).
 
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3. Tesi di laurea

Si riportano, senza pretesa di esaustività, le tesi di laurea sulla storia di Biella (titoli e collocazioni sono tratte dagli elenchi messi a disposizione dalla biblioteca civica di Biella, dal Centro di Documentazione Biellese e dall'Archivio di Stato di Biella).

Fulvia Acquadro, L'industria laniera a Biella dalle origini al sec. XIX, tesi di laurea a.a. 1974-75 (Biella, Città degli Studi, 011 BI 2)

Silvia Algerino, Terre comuni, pratiche e diritti d'uso in un'area subalpina: Il caso della valle d'Andorno (sec. XVI - XVIII), tesi di laurea a.a. 1996-1997 (Biella, Archivio di Stato, tesi 47)

Flavia Annovati, Forma e funzioni urbane in un "Capo di provincia" del Piemonte sabaudo: stabilità e mutamento a Biella tra Sei e Settecento, tesi di laurea, a.a. 1994-1995 (Biella, Archivio di Stato, tesi 28)

Romina Asta, L'iconografia mariana nel Biellese dopo il Concilio tridentino, tesi di laurea a.a. 2002 (Biella, Biblioteca Civica, BI 1G 11)

Alberto Barbero, Indagine e statistica sullo spopolamento della montagna biellese, tesi di laurea a.a. 1970-71 (Torino, Biblioteca storica della Provincia, coll. T.L. 448)

Maurizio Barnabé, La Podestaria e la Giudicatura di Biella (sec. XVI, XVII e XVIII), tesi di laurea a.a. 1996-97 (Biella, Archivio di Stato, tesi 44)

Paolo Barzan, Istituzioni comunali e ceto dirigente a Biella nel primo Trecento, tesi di laurea a.a. 1975-76 (Biella, biblioteca civica, 5 B 20)

Roberto Belli, Struttura sociale e criminalita. Studio di un caso: il Tribunale di Biella (1949 -1971), tesi di laurea a.a. 1975/76

Michele Pietro Belli, Ricerche storico-giuridiche sull'amministrazione della giustizia civile e penale a Biella nel secolo XVIII attraverso gli atti del tribunale, tesi di laurea, a. a. 1999-2000 (Biella, Archivio di Stato; Biella, biblioteca civica, 2 F 37)

Tiziana Benedetto, Ricerche storico-giuridiche sul Monastero di San Gerolamo in Biella: le pergamene dell'Archivio storico dell'ordine Mauriziano in Torino, tesi di laurea, a.a. 1991-92 (Torino Biblioteca F. Patetta, dipartimento di scienze giuridiche Università degli Studi di Torino)

Bruno Bernero, L'ordinamento pubblico del Comune di Biella nel XIII secolo: gli Statuti del 1245, tesi di laure 1969-70 (Biella, biblioteca civica, 5 B 17)

Laura Bertinaria, La genesi di un nuovo ente locale: aspetti istituzionali ed economico-finanziari della Provincia di Biella, tesi di laurea a.a. 1997-98 (Biella, Docbi)

Mariella Beschi, Organizzazione sindacale e lotte operaie tessili biellesi attraverso la stampa locale (1950-1963), tesi di laurea a.a. 1972-73 (Biella, biblioteca civica, 5 C 21-22)

Angelo Stefano Bessone, La situazione religiosa nel Santuario di Oropa dal sec. XIII al sec. XIX, tesi di laurea a.a. 1968-69 (Biella, biblioteca civica, 2 C 24)

Alberto Bianchi, L'intendenza provinciale nel Piemonte sabaudo del XVIII secolo. Il caso di Biella: genesi sviluppo, funzioni (1692-1801), tesi di laurea, a.a. 1991-92 (Biella, Archivio di Stato, tesi 22/1-2)

Isa Bianco, L'industria tessile nel periodo napoleonico, tesi di laurea a.a. 1971-72 (DocBi)

Mariella Biollino, I canonici di Biella nella società del Duecento, tesi di laurea a.a. 1972-73 (Biella, biblioteca civica, 5B 13)

Alberto Bistolfi, Dallo sciopero generale del 1904 all'avvento del fascismo attraverso le pagine del "Corriere Biellese", tesi di laurea a.a. 1970-71 (Torino, Istituto Salvemini, TESI.42)

Maria Teresa Bosso, I beni territoriali del vescovo di Vercelli (Archivio Storico di Vercelli, coll. 26)

Carlo Bozzalla, Il diritto successorio a Biella nei secoli XVII-XIX: testamenti e contratti di dote dell'archivio Bozzalla Pret, tesi di laurea a.a. 2003-2004 (Biella, Fondazione Piacenza)

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Iginia Brovarone, Il vescovo Giovanni Fieschi, tesi di laurea a.a. 1940-41 (Biella, Archivio di Stato, Biblioteca Torrione coll. A-30)

C. Bruna, Ricerche sul lessico domestico piemontese da inventari quattrocenteschi del Biellese, tesi di laurea (Biella, biblioteca civica, 5 C 6)

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Giovanni Canepa, L'economia biellese nell'epoca napoleonica, tesi di laurea a.a. 1971-72 (Biella, biblioteca civica, coll. 3 D 24; Biella, Biblioteca Città degli Studi, coll. 011 BI 1)

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Alessia Civra Dano, Le memorie cronologiche e corografiche della città di Biella (1778) di Giovanni Tommaso Mullatera. Una fonte storico - artistica per il biellese, tesi di laurea a.a. 1998-1999 (Biella, Archivio di Stato, tesi 52)

Francesca Clarichetti, Il fondo Frichignono di Castellengo dell'Archivio di Stato di Biella: inventario e proposte di restauro, tesi di laurea a.a. 2002-2003 (Biella, Archivio di Stato, tesi 72)

Anna Maria Cocchi, Evoluzione dei distretti tessili e delle strategie delle imprese distrettuali: i casi di Prato, Biella e Como, tesi di laurea a.a. 1995-96 (Firenze, biblioteca universitaria)

Antonio Dante Coda, Contributo alla storia della maestranza laniera nel biellese (dalle origini all'alba del nuovo secolo), a.a. 1927 (Biella, Archivio di Stato, Biblioteca Torrione)

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Roberto Coppe, Ricerche sulla legislazione di Emanuele Filiberto, tesi di laurea a.a. 1995-1996 (Biella, Archivio di Stato, tesi 40)

Alberto Corda, Assistenza ed enti religiosi nella Biella del Medioevo, tesi di laurea, a.a. 1991-92 (Biella, biblioteca civica, 3F 24-25; Biella, Archivio di Stato, tesi 23 1-2)

Lariana Crosa, Partiti politici, propaganda elettorale ed elezioni nel Biellese (1948-1968), tesi di laurea (Biella, Biblioteca Civica, 3D32)

Mariella Debernardi, Ricerche di toponomastica medioevale del Biellese, tesi di laurea a.a. 1969-70 (DocBi)

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Carlotta De Francesco, Il comune di Biella nel secolo XIII, tesi di laurea a.a. 1951-52 (Torino Biblioteca storica della Provincia T.L. 73)

Giorgio Dell'Oro, Il Sacro Monte di Oropa nei secoli XVII e XVIII. Tra devozione e ragion di Stato nei domini sabaudi, tesi di laurea a.a. 1991-92 (Biella, biblioteca civica, 6G 25; Oropa, biblioteca del santuario; Biella, Archivio di Stato)

Federica Delmastro, Castellengo e i suoi signori dall'XI al XV secolo, tesi di laurea 2002-2003 (Biella, Archivio di Stato, tesi 75)

Silvia Delzoppo, "La scuola biellese" e la vita scolastica a Biella nel primo Novecento, tesi di laurea a.a. 1995-1996 (Biella, Archivio di Stato, tesi 41)

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Descrizione Comune
Biella
La prima attestazione documentaria del luogo di Biella è contenuta in un diploma del 10 luglio 826 concesso dagli imperatori Ludovico il Pio e Lotario al conte Bosone: i due imperatori gli donano la curtis di Biella con le sue dipendenze in cambio di otto mansi situati nella villa di Beek, presso un'importante sede del potere imperiale, Nimega. Tornata poco dopo a far parte del fisco imperiale, con il diploma di Carlo il Grosso dell'882 Biella è ceduta ai vescovi di Vercelli. Nel 1352, in seguito a una rivolta contro il vescovo Giovanni Fieschi, Biella passa sotto il controllo dei Visconti; seguono anni di guerra che culmineranno, nel 1377, con il temporaneo ritorno sotto la signoria vescovile e infine con la dedizione ai Savoia del 1379 (vedi voce Dipendenza Medioevo).
Sotto la signoria vescovile avviene il passaggio alla forma di governo comunale, di cui costituisce una premessa la nascita del borgo incastellato del Piazzo ad opera del vescovo Uguccione nel 1160 (vedi voce Comunità, origine e funzionamento). Le redazioni statutarie della metà del XIII e dell'inizio del XIV secolo testimoniano una grande attenzione del ceto dirigente verso i pascoli e i boschi comunali, confermata anche dalle numerose liti confinarie con le comunità contermini (vedi voci Comunanze e Liti territoriali).
La crescente importanza del luogo come centro del potere vescovile, unita alla prevalenza nel ceto dirigente di famiglie signorili con interessi e orizzonti politici sovralocali, danno un'impronta peculiare allo sviluppo dell'istituzione: il comune di Biella "pur nato da una vicinia rurale, decisamente oltrepassa la nozione di comune rurale, per uniformarsi chiaramente agli schemi sociali e politici del comune cittadino" (Tabacco 1979). Lo statuto particolare del luogo, inscrivibile a pieno titolo nella categoria chittoliniana delle "quasi città", è rintracciabile anche nell'assetto degli enti ecclesiastici: Biella è sede di una delle più antiche e importanti pievi della diocesi vercellese, cui fanno capo chiese dislocate in tutto il Biellese, mentre alcuni aspetti del funzionamento della collegiata di S. Stefano lo rendono simile a un capitolo cattedrale (vedi voce Pieve).
A Biella tuttavia il comune non diviene mai un organismo con piena autonomia di governo, e per tutti i secoli medievali l'ampliamento delle prerogative comunali è condizionato da una continua e non sempre pacifica dialettica con i poteri superiori, che affiancano alle magistrature locali propri funzionari: prima i gastaldi e i vicari vescovili, poi i podestà viscontei (1354) e sabaudi (1379). Sotto la signoria sabauda, fra XV e XVII secolo, Biella riesce a costruire e a veder ufficialmente riconosciuto un distretto di sua pertinenza (vedi voce Dipendenza Medioevo e Mutamenti di distrettuazione). Rimandando alle voci corrispondenti per l'analisi più approfondita dei singoli aspetti fin qui sintetizzati, si sviluppano nei tre paragrafi successivi i temi che a mio avviso costituiscono le principali peculiarità dello sviluppo storico del territorio comunale: la struttura policentrica dell'abitato, l'influenza dei beni comunali nella formazione del territorio comunale, le complesse dinamiche che sovrintendono la nascita di un distretto biellese. 
 
1. I confini del centro abitato: policentricità e ambiguità istituzionale.
Fino alla fine dell'Ottocento i confini del centro abitato di Biella sono definiti dalle fortificazioni create sotto i vescovi vercellesi fra la metà del Duecento e l'inizio del Trecento. Il circuito delle mura definisce un'area pari all'incirca a 90 ettari, molto ampia se la confrontiamo con quella cinta dalle mura, per lo più ancora di epoca romana, di altri centri medievali: 54 ettari per Torino, 40 per Aosta, 30-35 ettari per Novara (vedi voce Assetto insediativo). Questa peculiarità si spiega con il fatto che all'atto della loro creazione gli apprestamenti difensivi, per essere efficaci, si trovano a dover inglobare tre nuclei abitati: i due che dal XII secolo fanno capo al comune di Biella, il Piazzo e il Piano, e quello di Vernato-Ghiara, che all'epoca costituiva un comune a sé stante. Tanto l'estensione delle mura quanto l'articolazione dell'insediamento sono dati di lungo periodo: nel XVI secolo Boyvin du Villars, che partecipa alla campagna francese in Italia al seguito del Brissac, descrive Biella come "una grande distesa di mura che racchiude due o tre diversi villaggi o borgate piene d'artigiani e di gente dedita ad ogni sorta di traffici" (F. Boyvin du Villars, Mémoires, Paris, 1606, p. 150), mentre nel 1872 l'ingegnere Cesare Beruto, incaricato di redigere il primo piano regolatore della città, osserva: "giova ricordare come la Città di Biella consti divisa in tre distinti gruppi o centri abitati, aventi sede sopra tre diversi altipiani".
Alla netta identità insediativa dei tre nuclei di Piazzo, Piano e Vernato non corrisponde un'altrettanto chiara identità istituzionale, resa impossibile dalla prossimità fisica degli abitati. Il problema è evidente soprattutto nel caso dei rapporti fra Biella e Vernato, che pur se racchiusi nella stessa cerchia difensiva costituiscono fino all'inizio del XV secolo due comuni distinti. Gli statuti di Biella contemplano in diversi articoli il comune di Vernato, e non di rado sembrano considerarlo parte dello stesso ambito amministrativo; un dato che trova riscontro nel fatto che in quasi tutte le vicende che superano l'orizzonte locale - rapporti con i poteri superiori, scontri con altre comunità - i due comuni risultano associati in un'azione unitaria, di solito con un ruolo più forte esercitato dal comune biellese. Per altro verso gli abitanti dei due nuclei del Piazzo e del Piano, parte di uno stesso comune, sono soggetti a uno statuto diverso che ha origine dalle disposizioni del vescovo Uguccione e dei suoi successori, ma che si protrarrà ben oltre la fine della signoria vescovile: al Piazzo sono condensate tutte le attività di mercato oltre che di governo, mentre le transazioni fondiarie devono essere effettuate secondo quello che nelle fonti è definito l'usum terre Placii (nessuna compravendita può essere effettuata senza il consenso e la conseguente investitura da parte del vescovo in carica). Con l'incremento demografico e economico del luogo in età moderna i privilegi del Piazzo, e in particolare quelli che gli garantivano l'esclusiva sull'esercizio delle attività commerciali, suscitano più volte l'opposizione del Piano, che ricorre all'autorità superiore. La controversia più aspra si apre nel 1565 e ha per oggetto il diritto di macello, dal Medioevo prerogativa esclusiva del Piazzo e ora rivendicato da quelli del Piano (Sella 1904, II, doc. 7 e 8). Il memoriale prodotto dalla beccaria del Piazzo, dal titolo "Supplica con discorso delle Raggioni delli del Piazzo di Biella contra li del Piano", spiega bene la capacità dei privilegi vescovili di condizionare nei secoli il rapporto fra le due parti di Biella: "nell'anno 1100 (sic) il Piazzo di Biella monte sterile, ed angusto, e quale seco aporta alli habitatori infiniti discomodi, nondimeno ornato dal Signore di Biella di quel tempo della prerogativa delle beccarie, mercato, della giurisdittione, del Conseglio, e constituitelo theatro ove li essercitassero tutte le attioni publiche del luogo, invitò, incitò, e fu stimolo à tutta la nobiltà, e indi a molto popolo, abbandonar le commodità del Piano, e ivi edifficar Palazzi con gravi spese, Chiese, e altre abitazioni che eccedono le tre parti di Biella restante. Questa concessione non deve chiamarsi privilegio, ma contratto, che mai si può alterar perché altrimenti resterebbero li novi habitatori defrodati" (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 131, f. 4199). A rompere il "contratto" stabilito tanti secoli prima fra gli abitanti del Piazzo e i vescovi vercellesi proverà nel 1615 Carlo Emanuele I, salvo dover presto recedere dalla sua decisione ripristinando lo status quo precedente (Sella 1904, II, docc. 8 e 9, pp. 316-326). Nel 1625 il Piano ottenne il diritto di macello e la possibilità di costituire una comunità separata rispetto al Piazzo: la separazione dei registri delle due "università" venne portata avanti nei decenni successivi e arrivò a conclusione il 12 marzo 1680. Un primo tentativo di invertire la gerarchia fra le due parti di Biella avvenne sotto il governo francese, che per prima cosa determinò lo spostamento al Piano del palazzo comunale. Nonostante il ripristino dello status quo imposto dalla restaurazione, lo spostamento del centro decisionale e politico al Piano, dove tra poco sarebbero sorte le prime attività industriali, era ormai un dato irreversibile: nel 1848 la sede del comune si trasferisce definitivamente al Piano.
 
2. I confini del territorio comunale: beni comuni e interventi vescovili.
Attualmente il territorio del comune di Biella ha grosso modo la forma di una clessidra inclinata secondo un asse nord-ovest sud-est: l'area del centro abitato e delle frazioni, posta nell'estremo meridionale, si restringe incuneandosi nella valle Oropa per poi ampliarsi nuovamente nella parte terminale di quest'ultima, sulle falde dei monti dove sin dal Medioevo è attestata la presenza dei pascoli e dei boschi comunali. In questa configurazione rimane traccia di uno dei fattori che storicamente hanno condizionato il processo di definizione del territorio comunale: il legame, già pienamente formalizzato nella prima fase di vita del comune, fra il centro abitato e alcune aree di bosco e pascolo. Queste ultime condizionano la formazione dei territorio comunale in due modi apparentemente contrastanti: da una parte danno stabilità ai suoi confini, perchè considerando l'importanza che pascoli e boschi rivestono nell'economia del luogo il comune investe in quelle zone in modo continuativo; dall'altra rendono quegli stessi confini più teorici che concreti, perché quelle aree continuano ad essere utilizzate, ad onta delle ricorrenti pratiche di delimitazione, anche dalle comunità contermini. Questo doppio binario emerge in modo evidente se si analizza l'evoluzione del territorio comunale alla luce delle controversie fra il comune di Biella e le altre comunità (voce Liti territoriali) e dei mutamenti per così dire 'istituzionali' (cioè avvenuti per effetto della nascita di nuovi comuni o al contrario alla perdita di autonomia da parte di una comunità: vedi voce Mutamenti territoriali).
Liti territoriali. Sulle aree di pascoli e boschi si giocano quasi tutte le controversie territoriali di cui abbiamo notizia nei secoli medievali e moderni, con una sorprendente continuità delle zone interessate: a nord del centro abitato, verso la comunità di Tollegno, i pascoli e i boschi sopra Pralungo; verso ovest, in direzione delle comunità di Mongrando, Occhieppo e Pollone, le baragge intorno al Vernato. Il periodico riemergere delle contese in queste zone è dovuto al fatto che la nozione di confine contrasta con le pratiche d'uso che caratterizzano le aree a pascolo, tradizionalmente a carattere promiscuo. Benché le numerose cause che si susseguono dal XIII al XVIII secolo insistano sulla messa per iscritto di confini e modalità d'uso esclusive, si ha l'impressione che i cosiddetti comunia "biellesi" riescano a sfuggire per tutti questi secoli a una precisa delimitazione, rimanendo aree sfruttate da più comunità. Si tratta di un dato di fatto che le fonti ufficiali evitano accuratamente di esplicitare. Nel caso dei pascoli pralunghesi contesi fra il comune di Tollegno e quello di Biella, oggetto della più antica causa sui beni comuni a noi nota (1215-19), l'esistenza di un'area ad uso comune fra le due comunità viene dissimulata dietro la formula di un affitto annuale che il comune di Tollegno versa, o meglio dovrebbe versare, a quello di Biella (ma la clausola, che attribuisce ipso facto a quest'ultimo il possesso dell'area, rimane come dimostrano le controversie successive per lo più sulla carta). Della possibilità data agli abitanti di Miagliano di accedere ai pascoli biellesi veniamo a sapere solo quando il comune di Biella decide di negargliela, come punizione per la loro presunta partecipazione alle rappresaglie di Andorno (vedi Liti territoriali 1674).
Mutamenti territoriali. Se si analizzano i principali mutamenti istituzionali del territorio comunale che si rilevano fra XV e XVII secolo - l'unione del comune di Vernato al comune di Biella (1421), la separazione di Pralungo (diventato comune nel 1622), la separazione di Cossila (diventata comune nel 1696) - risulta evidente che l'ampliamento o la diminuzione del territorio comunale è resa meno effettiva  – dal punto di vista delle ripercussioni concrete – proprio dalla presenza in quelle aree dei beni comunali.  L'unione del comune di Vernato a quello di Biella avviene formalmente solo nel 1421, ma le testimonianze portate nelle cause del 1319 e del 1395, in cui i due comuni rivendicano il possesso della baraggia Marzaglia contro il comune di Mongrando, dimostra che di fatto i biellesi avevano sempre usufruito con gli abitanti di Vernato almeno di una parte dei comunia appartenenti al territorio di quest'ultimo. E' comunque da notare che l'uso comune di quelle zone da parte dei biellesi e dei vernatesi non era affatto sentito come equivalente: molte testimonianze considerano legittimo quello dei vernatesi, segno che l'appartenenza al territorio comunale o comunque la contiguità dello stesso significava molto, mentre prudentemente si astengono dal pronunciarsi sul diritto dei biellesi. Ma di fatto queste distinzioni sembrano acquisire un senso solo nelle controversie giudiziarie: proprio in vista di una di queste nel 1409 il comune di Vernato, che non era in grado di sostenere le spese autonomamente, associa ufficialmente il comune di Biella nell'uso delle sue baragge, andando a formalizzare una prassi molto più antica. Il caso di Pralungo, che diventa comune indipendente da Biella nel 1622, è altrettanto significativo, perché le controversie confinarie successive dimostrano che a causa delle plurisecolari pratiche d'uso relative ai beni comuni della zona, in cui erano coinvolte tra l'altro anche le comunità di Tollegno, Miagliano e Andorno, era di fatto impossibile una completa delimitazione territoriale del nuovo comune. Nel 1715, in occasione della consegna dei beni comuni ordinata dal governo sabaudo, esistono fra le 1300 e le 1500 giornate di pascolo e bosco che il comune di Pralungo dichiara "in contenzioso" con Biella mentre quest'ultimo, più diplomaticamente, li definisce "pascoli non cattastrati in comune con Cossila e Pralungo". I confini fra i due comuni sono ancora parzialmente irrisolti nel 1951: stando al IX censimento generale della popolazione, che a differenza dei successivi specifica anche i territori contesi fra i comuni, la "frazione" di territorio denominata Moscarola, segnalata sotto il comune di Pralungo, è in contestazione con il comune di Biella: IX Censimento generale della popolazione (4 novembre 1951), vol. I: Dati sommari per comune, fasc. 6: Provincia di Vercelli, Roma, 1956, p. 27 (il territorio contestato non è segnalato nei censimenti successivi né sotto Biella né sotto Pralungo). Nel 1715 Cossila  era comune autonomo da una ventina d'anni, ma ancora non era stato risolto il problema della definizione dei confini con Pralungo nella zona di pascoli e boschi del torrente Oropa; inoltre, quando la questione dà adito nel 1726 a una causa con il comune di Pralungo, il comune di Cossila non ha propri rappresentanti, e ad agire in giudizio è il comune di Biella, segno che la presenza dei beni comuni poneva anche in questo caso forti limiti all'autonomia del nuovo comune.
Il caso di Cossila introduce un altro fattore che ha profondamente condizionato lo sviluppo del territorio comunale biellese: l'intervento dei poteri superiori e nello specifico della chiesa vercellese. La fondazione nel XII secolo del centro incastellato del Piazzo, che grazie ai privilegi vescovili rimarrà per molti secoli il centro politico e istituzionale del luogo, istituisce un legame ulteriore fra Biella e la zona di Cossila: al nuovo nucleo abitato, collocato su un rilievo che il già citato memoriale cinquecentesco definisce "sterile, ed angusto, e quale seco aporta alli habitatori infiniti discomodi", viene assicurato il rifornimento d'acqua costruendo una derivazione dal torrente Oropa che parte proprio dal territorio di Cossila (regione Valauta). Come segnalano i bandi campestri del 1735, anche dopo la separazione di Cossila da Biella i campari biellesi mantengono il diritto di svolgere il proprio ufficio sopra il territorio di Cossila come già facevano anteriormente, dal momento che su quest'ultimo correva per la maggior parte la roggia che serviva l'acqua al borgo del Piazzo.
 
3. La formazione di un distretto biellese: enti ecclesiastici e rapporti con i poteri superiori.
Dal punto di vista delle circoscrizioni ecclesiastiche l'esistenza di un distretto biellese risulta chiaramente delineata già all'inizio del XIII secolo: la pieve di S. Stefano estende la sua giurisdizione sulle chiese di un ampio territorio (vedi voce Pieve) che, oltre a Biella e alla Valle Oropa, comprende numerosi luoghi dell'attuale Biellese: Donato, Netro, Sala, Mongrando, Graglia, Muzzano, Camburzano, Blatino presso Borriana, Zubiena, Occhieppo superiore e inferiore, Sordevolo, Pollone, Vernato, Ponderano, Borriana, Sandigliano, Gaglianico, Candelo, Tollegno, Andorno e la valle Cervo, Chiavazza, Vigliano, Valdengo, Cerreto, Ronco e Ternengo. La creazione di un distretto amministrativo segue un percorso molto più tortuoso e accidentato. Se già sotto la signoria vescovile, in uno dei momenti di maggior attrito fra la chiesa e il comune vercellese, quest'ultimo sembra riconoscere al comune biellese un ruolo di coordinamento su parte delle terre ecclesiastiche ("ipsi et homines loci, cum tota jurisdictione domini episcopi vercellensis ad iamdictum locum Bugellae spectante, et specialiter Andurno, Clavasia, Poleono et Pitenengo" vedi voce Dipendenza Medioevo), è con la dedizione ai Savoia che per il comune si concretizza la possibilità di costruire un proprio districtus. In entrambi gli accordi sottoscritti con il conte di Savoia - il primo, di validità trentennale, del 1379 e quello definitivo del 1408 - l'orizzonte cui si richiama Biella per definire l'ambito della propria supremazia è quello della signoria ecclesiastica: si stabilisce il lungimirante principio secondo il quale non solo devono essere sottoposte al podestà di Biella tutte le località prima appartenenti alla signoria vescovile e che si sono sottomesse ai Savoia, ma anche quelle che lo faranno in futuro. La realizzazione di questo progetto si rivelerà molto più ardua del previsto sia per la resistenza opposta da alcune località sia a causa della politica aggressiva del comune di Vercelli, che da tempo rivendicava di essere il legittimo erede della signoria vescovile.
Resistenza delle località. Fra le località "ribelli" vi sono Bioglio, Mosso, Trivero, Mortigliengo, Chiavazza e, soprattutto, Andorno: l'unica fra queste che sembra poter aspirare a sua volta ad essere a capo di una propria circoscrizione. Ad essere in gioco sono non solo questioni di giurisdizione - in particolare la soggezione al podestà di Biella per le cause civili e criminali - ma anche il diritto di mercato e di macello (Mullatera 1902). La sentenza emanata nel 1469 dal maresciallo Seyssel, luogotenente generale del duca di Savoia, pone un primo punto fermo alla questione stabilendo i seguenti principi:
- sono nulle tutte le precedenti concessioni a queste comunità che siano in contrasto con i privilegi di Biella;
- i consoli delle comunità "ribelli" non possono esercitare alcuna giurisdizione né civile né criminale, e debbono sottoporsi per tutte le cause sia attive sia passive all'autorità del podestà di Biella;
- i consoli delle dette comunità devono, per poter esercitare il loro ufficio, prestare giuramento nelle mani del podestà di Biella dichiarando di esercitare le loro prerogative fedelmente, e in particolare sono vincolati a denunciare a quest'ultimo entro dieci giorni tutti i crimini e gli eccessi che si commettono nelle rispettive terre;
- le comunità devono contribuire con Biella per quanto riguarda i carichi ducali, fermo restando il diritto di mandare loro rappresentanti in occasione della ripartizione delle quote e delle convocazioni dei tre stati;
- le comunità possano negoziare tra loro, ma senza avere un giorno fisso per il mercato e senza macellare carni se non per il loro uso (possibilità, quest'ultima, limitata alle terre discoste più di due miglia da Biella).
La ribellione delle comunità, tuttavia, non viene meno, e in particolare quella di Andorno sembra ad un certo punto avere successo con l'acquisizione del diritto di mercato, concesso dal duca il 23 settembre 1483 (ASB, ASCB, Comune, s. I, b. 24, f. 13). In seguito alle rimostranze del comune di Biella il 7 febbraio 1486 viene emanata una nuova sentenza, con la quale si revocano le precedenti disposizioni riconfermando di fatto i principi stabiliti dal Seyssel vent'anni prima.
Vercelli e il problema delle ville a giurisdizione mista. I contrasti fra il comune di Biella e quello di Vercelli in merito ai rispettivi distretti esplodono nel 1427, quando anche Vercelli, prima soggetta ai Visconti, fa dedizione al conte di Savoia: si pone a questo punto il problema di ripartire la diocesi vercellese, tutta in mano sabauda, fra una sfera d'influenza biellese e una d'influenza vercellese. E' in questo contesto complicato, in cui alle istanze dei due centri principali si sommano le rivendicazioni delle singole comunità che avrebbero dovuto far capo all'uno o all'altro, che emerge in tutta la sua estensione il problema delle ville a giurisdizione mista: comunità cioè, in cui la popolazione risulta divisa fra una parte che finora era soggetta ai Visconti, e quindi al comune di Vercelli, e una parte soggetta ai Savoia. Fra queste vi sono, ad esempio, Mosso, Bioglio, Chiavazza e Sordevolo. L'esempio di Chiavazza, citato in un documento del 1429, è emblematico dei problemi che una tale situazione poteva comportare: gli individui colpevoli di crimini sfuggono alla punizione "se redducendo super alia iurisdicione", cioè spostandosi a seconda della convenienza da una zona all'altra. "Et sic", continua il documento, "foret una magna confuxio, quod in ipsis villis fietur et exercetur iurisdictio per potestates predictorum locorum civitatis Vercellarum et Bugelle" (Negro 2011).
Per quanto le ricerche su questa fase della formazione del distretto biellese siano ancora da approfondire, pare che i Savoia abbiano presto optato per l'attribuzione di queste località al podestà biellese (1432), rispettando un criterio grosso modo geografico nella ripartizione della diocesi: il punto di arrivo nella creazione del distretto sarà l'elevazione della città a provincia nel 1626 (vedi voce Mutamenti di distrettuazione), ma la spia di quanto sia stato difficile e contrastato questo processo sono i documenti, conservati in archivio, relativi ai periodici giuramenti che il podestà di Biella richiedeva a quanto pare solo ai consoli di queste località e di Andorno.