Piozzo

AutoriMorandini, Cesare
Anno Compilazione1996
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Cuneo
Area storica
Monregalese.
Abitanti
956 (ISTAT 1991), 987 (SITA 1996).
Estensione
14,25 kmq (ISTAT 1991; SITA 1996).
Confini
A nord Lequio Tanaro, a est Farigliano, a sud Carrù, a ovest Bene Va­gienna.
Frazioni
Centri abitati: Piozzo, San Grato; nuclei: Biale, Griero, Mirra, Pià, Porretti, San Bobbio, Vernera (ISTAT 1991). Vedi mappa.
Toponimo storico
«Plauzium» (1001) (Ferro 1977, p. 29), «Placeacum» (1096), «Plozascum», «Plocium» (1345) (Conterno 1989, p. 22).
Diocesi
Nella diocesi di Asti, poi (1388) in quella di Mondovì.
Pieve
Nella «plebs Baennarum Inferiorum» (Bene Vagienna) della diocesi di Asti nel 1345, con tre ecclesiae: S. Maria, S. Stefano e S. Michele (Conterno 1989, p. 22).
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nessuna.
Assetto Insediativo
Luoghi Scomparsi
Nessuna notizia.
Comunità, origine, funzionamento
Citato come luogo di insediamento già nel 1001 (Ferro 1977, p. 26); nel 1041 è una curtis dipendente dalla chiesa di Asti (Casalis 1847, p. 414). Segni dell’attività autonoma del comune sono la dedizione a Mondovì del 1238 e l’ingresso nel cittadinatico di Asti e Alba del 1251 median­te giuramento di fedeltà (Morozzo della Rocca 1894, II, p. 92).
Statuti
Statuta comunitatis et hominum Plosij, redatti nel 1434, con aggiunte di capitoli nel 1461 e 1502,  in Biblioteca Reale di Torino [Fontana 1907, vol. II, p. 390].
Catasti
All’Archivio di Stato di Torino è conservato il Catasto francese (AST, Camera dei Conti, Sala Mappe, fasc. 143: Piozzo, catasto francese).
Ordinati
Prima della sua distruzione, in archivio comunale esistevano ordinati dal 1627, Atti di lite e scrit­ture varie 1498-1803 (Bianchi 1881, p. 293).
Dipendenze nel Medioevo
Nel comitato di Bredulo, già nel 1041 Piozzo era feudo vescovile della diocesi di Asti (Casalis 1847, p. 414). Nel 1237 i signori di Morozzo prestavano giuramento di fedeltà al vescovo di Asti per i loro possedimenti in Piozzo (Morozzo della Rocca 1894, II, pp. 33-34). Piozzo nel 1238 si era dato a Mondovì, era poi tornato al vescovo d’Asti ed era stato ancora successivamente – nel 1240 – ripreso per Mondovì dal Bressano (Morozzo della Rocca 1894, II, p. 57). Nel 1251 però, Piozzo giura fedeltà alla repubblica di Asti e alla città di Alba insieme (Morozzo della Rocca 1894, II, p. 92). Nel 1391 è ancora dipendenza dalla chiesa di Asti, che la concede dietro annuo reddito ai marchesi di Saluzzo, pur non rientrando probabilmente tra i diretti domini del mar­chesato (AST, Corte, Paesi per A e B, P, m. 15, n. 3: Bolla di papa Bonifacio IX [1391]).
Feudo
Feudo vescovile della chiesa di Asti, nel 1349 da questa infeudato parte ai Romanisio e parte ai Piozzo; nel 1387 Piozzo si dona a Manfredo di Saluzzo-Cardè, che ne mantengono il possesso fino al 1493, anno in cui viene venduto prima a tal Bernardino Govone, poi ai Vacca di Saluzzo (Casalis 1847, pp. 414-415).
Mutamenti di distrettuazione
  
Mutamenti Territoriali
Determinazione dei confini tra Bene Vagienna  e Piozzo [A.C.B., fald. 23, s. 1607, Tenor divisionium finium locorum Bennarum Plocii et currenti per sententiam arbitralem (1455); vd. anche scheda Bene Vagienna].
     Il comune di Lequio Tanaro, soppresso e annesso a Bene Vagienna con R.D. n. 143 del 26 gennaio 1928, cede 324 ha al comune di Piozzo, territorio corrispondente alla frazione Costa­magna; tale frazione viene poi nuovamente annessa a Lequio Tanaro al momento della sua ricostituzione avvenuta con D.L.P. n. 345 del 19 marzo 1947.
Comunanze
Beni di uso civico di discreta estensione; a carattere enfiteutico in regione Bosco.
Liti Territoriali
I confini tra Carrù, Bene Vagienna e Piozzo   sono oggetto di ripetute tensioni nel XV secolo, con compromessi e arbitrati nel 1455 e nel 1480 [A.C.B., fald. 349, s 2638, nn. 18-20; A.C.C.,cat. 1, cl. 9, fald. 1; A.C.C., cat. 1, cl. 9, fasc. 1;  vd. anche schede Bene Vagenna e Carrù].  
     Nel 1611, lite con Farigliano per un gorreto in regione Viagliano, risolta a sfavore di Piozzo; nel 1605 e 1721 due liti Farigliano-Piozzo per motivi di sfruttamento della bealera di Pià; nel 1663 e 1763 due liti a pro­posito del canone per lo sfruttamento di un’altra bealera, tra il Regio Patrimonio, comunità e feudatari [Vd. anche scheda Farigliano] .
Fonti
A.C.B. (Archivio Storico del Comune di Bene Vagienna).
A.C.B., fald. 23, s. 1607, Tenor divisionium finium locorum Bennarum Plocii et currenti per sententiam arbitralem (1455).
A.C.B., fald. 349, s 2638, nn. 18-20.
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Carrù).
A.C.C., cat. 1, cl. 9, fasc. 1, carte sparse: Comune di Carrù contro comune di Piozzo (1756-1836).
A.C.F. (Archivio Storico del Comune di Farigliano).
A.C.F., fald. 163, fasc. 4, f. 6v: Instrumento di pace tra la comunità di Piozzo e la comunità di Farigliano.
A.C.F., fald. 163, fasc. 8, f. 1r: Atti di visita fatta tra li particolari di Farigliano e li particolari di Piozzo (8 maggio 1605); f. 3: Atti civili contro Piozzo per la bealera di Pià (1605), f. 29v; f. 32v: Atti civili contro Piozzo (1605).
A.C.F., fald. 163, fasc. 10, n. 16, f. 10v: Atti della comunità et homini di Farigliano contro comunità et homi­ni di Pioz­zo.
A.C.F., fald. 167, fasc. 30, f. 1: At­ti civili Farigliano contro Piozzo (1721-1723).
A.C.P. (Archivio Storico del Comune di Piozzo).
I  fondi storici sono andati distrutti nel corso della seconda Guerra mondiale.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Camera dei Conti, Articolo 616 Declaratorie, 1764, II, f. 241; 1763, III, f. 75;
A.S.T., Camera dei Conti, Articolo 619, Sentenze camerali, 1653 in ss.;
A.S.T., Camera dei Conti, Capo 21, Mazzo 88, f. 19r, f. 20v e r (s.d.);
A.S.T., Camera dei Conti, Sala Mappe, fasc. 143: Piozzo, catasto francese
A.S.T., Corte, Paesi per A e B, P, Mazzo  15, n. 3: Bolla di papa Bonifacio IX (1391).
Bibliografia
Bianchi N., Le carte degli archivi piemontesi, politici, amministrativi, giudiziari, finanziari, comunali, eccle­siastici, di enti morali, Torino 1881.
Capello C.F., Piozzo e la sua storia, Torino 1967.
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sar­degna, XV, Torino 1847.
Conterno G., Pievi e chiese tra Tanaro e Stura nel 1388, in La diocesi di Mondovì. Le ragioni di una storia, Mondovì 1989, pp. 9-55.
Ferro G., Sale S. Giovanni e Sale Langhe. Memorie storiche dall’epoca romana ai nostri giorni, Sale S. Giovanni 1977.
Fontana L., Bibliografia degli Statuti dei comuni dell’Italia Superiore, Torino 1907.
Morozzo della Rocca E., Le storie dell’antica città del monteregale ora Mondovì in Piemonte, Mondovì 1894.
Descrizione Comune

Piozzo

Piozzo, stando alla documentazione raccolta, dedica nei secoli la maggior parte delle energie dei suoi or­ganismi comunitari a difendere i propri diritti contro le usurpazioni delle comunità vicine, aprendo vertenze che spesso restano irrisolte – e dunque focolai di tensioni – per secoli. Vi sono, alla litigiosità di Piozzo, ra­gioni di diverso tipo, legate alla situazione geografica e a quella della gestione dei beni comunitativi.
     Piozzo ha un assetto geografico-idrogeologico del territorio per certe zone assai simile a quello di Carrù, per altre a quello di Farigliano; con la differenza che le acque scorrono da Carrù a Piozzo, così come da Farigliano a Piozzo. Nelle vertenze per ragioni d’acque Piozzo si trova dunque sempre nella posizione più svantaggiata, in balìa delle imposizioni al regime delle acque dei due paesi confinanti. In effetti, la storia di Piozzo è segnata da un discreto numero di vertenze per motivi di diritti su corsi d’acqua: per la bealera di Pià (a principio del Seicento e nel Settecento), per quella detta «di Piozzo» (liti dalla metà del Seicento all’Ottocento); in queste ver­tenza Piozzo subisce spesso le azioni di danneggiamento delle comunità a monte, senza riuscire mai in maniera esauriente a far valere i propri diritti, e reagendo in conseguenza – come nel caso lampante dell’omicidio del 1605 – con la violenza dei suoi contadini. ù
     Bisogna dire che, dagli atti relativi alle liti per ra­gioni d’acqua, i centri che si contrappongono a Piozzo -- appunto Carrù e Farigliano -- paiono agire sempre con maggiore sapienza tattica, esibendo documenti e carte che attestano spesso diritti incontrovertibili: Piozzo non riesce per lo più che a rispondere con minacce e fucilate. È una circostanza che contraddistingue tutte le vertenze piozzesi, compresa quella territoriale per il gorreto di Viagliano: debolezza nel fornire argomentazioni legali salde, a fronte invece di una difesa degli interessi altrui agguerrita e argomentata; un alto tasso di virulenza nelle reazioni dei Piozzesi, dovuta proprio alla consapevolezza della propria debolezza su di un piano squisitamente legale.
     Non vi sono notizie sullo stile di gestione dei beni comunitari; non dovette essere troppo attenta, se nel Set­tecento i beni comunitari rimasti erano per lo più quelli livellari della regione del Bosco, ossia una parte del Donio, la vasta area di antica enfiteusi oggi condivisa anche da Carrù e Magliano Alpi. I beni livellari in un certo senso non avevano bisogno di un gestione particolarmente attenta da parte della comunità, dal mo­mento che era molto difficile riuscire a legittimare, ossia trasformare in proprietà piena, beni di questo tipo.
     Piozzo aveva nel suo territorio dai rilevamenti della Misura Generale del 1699 185 giornate e 30 tavole di beni comunitativi non registrati a catasto; in più venivano segnalate 266 giornate definite come «beni di ter­za specie», ossia sostanzialmente enfiteutici, tenuti da particolari che pagano alla comunità 60 emine (3 coppi) di grano annue per ciascuna giornata. Sostanzialmente i dati non cambiano in un consegnamento successivo del 1715; si precisa soltanto che i beni comuni di Piozzo sono suddivisi in sette pezze di pasco­lo. La situazione della divisione tra beni pienamente comuni e beni enfiteutici si precisa meglio dai da­ti rac­colti in occasione della Perequazione del 1721. I beni comunitativi sono 131 giornate e 90 tavole, e sono costi­tuiti solo più da tre pezze a pascolo, di cui oltretutto 40 giornate sono state vincolate ad ipoteca ad un priva­to, che paga un censo annuo di 40 scudi. I funzionari della Perequazione annotano che i sindaci di Piozzo non hanno inteso bene le categorie entro le quali erano tenuti ad effettuare la misurazione e la con­segna delle pezze comuni e immuni, ed hanno così omesso di segnalare tra i beni comuni quelli enfiteu­tici. Questi beni hanno un’estensione considerevole: ben 267 giornate, ed inoltre hanno una storia molto lunga ed inte­ressante. Nei registri della Perequazione viene solo segnalato che i beni enfiteutici si trovano nella regione del Bosco, ed in origine erano comunitativi, ossia venivano sfruttati gratuitamente dalla comunità, che con l’andare del tempo ne ha permesso l’occupazione da parte dei contadini dietro il pagamento di un annuo af­fitto in misure di grano (AST, Camera dei Conti, capo 21, m. 88, f. 19r, f. 20v e r [s.d.]).
La regione del Bosco ha una storia del tutto particolare. Come già accennato, è una vasta area il cui topo­nimo occupa non solo il territorio di Piozzo ma anche quelli di Carrù e Magliano Alpi, e faceva parte fin dal secolo X della Selva Bennale, così chiamata in quanto donata nel X secolo dall’imperatore Ludovico III al vescovo di Asti, re­sponsabile dell’amministrazione della corte imperiale di Bene. Già sotto il vescovo di Asti la selva veniva sfruttata senza appartenere a pieno titolo a nessuna comunità o essere assoggetata a regime feudale, e secondo norme ben precise: alcune zone erano «populares», ossia di sfruttamento pubblico, divise tra di­verse comunità che le gestivano a loro volta con norme proprie; altre toccavano all’uso signorile (Morozzo della Rocca 1894, I, p. 104). La trasformazione, nel corso dei secoli, delle terre destinate a uso civi­co origi­nate dalla Selva Bennale, ac­comunate dai toponimi «Bosco» e «Beinale», in aree omogeneamente af­fit­tate dalle comunità – che nel frattempo ne avevano preso pieno possesso – secondo con­tratti di enfiteusi, è pro­cesso attestato sia per Piozzo che – in misura ancora maggiore – per Carrù. Carrù, in particolare, aveva nel suo territorio il bosco detto del Donio, parte dell’antica selva Bennale concessa origi­nariamente ai si­gnori di Bredolo, e fatta oggetto di alcune liti di rilievo tra Carrù e Mondovì nel corso dei se­coli XIV e XV.
Le regioni di Viaiano, Viaiano Sottano e Sarmazza costituiscono insieme una propaggine del territorio di Fa­rigliano incuneata tra Piozzo, Lequio Tanaro e Dogliani. Tale propaggine si trova nel fondovalle del Tanaro, e per questo motivo si è rivelata nel tempo un focolaio di tensioni tra i paesi contermini, vista la frequenza di esondazioni, corrosioni e mutamenti d’alveo del fiume.
Poco più di un secolo dopo l’assegnazione della regione a Farigliano, che nel frattempo aveva sfruttato un gorreto in Viagliano come bene comunitario, il 1 aprile 1610 il Tanaro, sul cui letto era il confine, nel corso di una esondazione mutò alveo spostandosi all’interno del territorio di Farigliano, e tagliando in due la re­gione che oltretutto era già stata in passato contesa per lungo tempo con Dogliani: il gorreto della Sarmaz­za risultò quindi separato dal fiume dalla frazione fariglianese di Viagliano (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, n. 15: Atti civili contro Piozzo per il gorreto di Viagliano [1611]). I Piozzesi, dalla sponda opposta del Tanaro rispetto a Farigliano, avendo dopo il mutamento d’alveo “guadagnato” tra i propri confini il gorre­to della Sarmazza, lo rivendicarono subito per sé, e presero a fare legna. La lite ebbe inizio nel 1611, e terminò con una sentenza arbitramentale del 30 luglio 1612 che assegnava il gorreto a Farigliano, spostando quindi il con­fine dal letto in quel momento attivo del Tanaro all’antico alveo alla sua sinistra, ovvero dise­gnando la si­tuazione che dura tuttora. Al piantamento dei termini, che avvenne nell’agosto del 1612, non si presenta­rono i rappresentanti di Piozzo (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 10, n. 16, f. 10v: Atti della comunità et homini di Farigliano contro comunità et homi­ni di Pioz­zo).
All’inizio del Seicento Farigliano prendeva acqua per l’irrigazione dei suoi campi da una bealera scorrente da Carrù, attraverso tre derivazioni successive: la seconda e la terza di queste derivazioni erano situate nella zona di confine tra le tre comunità di Carrù, Farigliano e Piozzo, ossia nella attuale regione carrucese delle Moglie. Si esclude che la bealera principale – denominata in alcuni punti degli atti di lite Rialeto – sia il rio Rilavetto, il cui corso attuale è incongruente con i luoghi richiamati negli atti della lite. Attraverso la terza derivazione – denominata bealera di Pià – i Fariglianesi irrigavano i loro campi situati verosimilmente nella regione del Quartiere soprano e sottano (negli atti, Pian Mezzano e Caudana). Tale derivazione interrom­peva del tutto la bealera di origine, lasciandola senz’acqua, e impedendo un suo proseguimento verso Piozzo; la chiusa in questione era situata ancora nel territorio di Carrù, in regione Moglie, ossia ap­punto nell’unica zona di confine tra Farigliano e Carrù anche secondo la situazione attuale.
Il 4 maggio 1605 una ventina di uomini armati di Piozzo (altrove cento: AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 1r: Atti di visita fatta tra li particolari di Farigliano e li particolari di Piozzo [8 maggio 1605]) si recarono alla chiusa della terza bealera di Pià, minacciarono i campari Piasenza e Milano, e ruppero la chiusa, di modo che l’acqua, non più deviata dalla bealera fariglianese, cominciò a scorrere verso i terreni di Piozzo (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 3: Atti civili contro Piozzo per la bealera di Pià [1605]).
Farigliano intentò causa con Piozzo per la rottura della chiusa: le ragioni del suo diritto di sfruttamento della bealera di Carrù stavano in uno strumento di acquisto del 3 febbraio 1486 delle acque della terza bealera dalla comunità di Carrù (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 29v) e in una lettera di salvaguardia ducale del 28 febbraio dello stesso anno (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8: Lettere di salvaguardia [28 febbraio 1605]). Le ragioni di Piozzo invece sembra­vano avere soprattutto una connotazione di rivendicazione territoriale riguardante i confini nella re­gione Moglie, che come si è detto conteneva il punto di incontro dei territori di Carrù, Piozzo e Farigliano: fu con­testato il fatto che la chiusa fosse situata nel territorio di Carrù, e che dunque rientrasse tra i diritti sanciti dall’atto di acquisto prodotto, e non piuttosto già in quello di Piozzo.
Il 21 giugno 1605 una delegazione di Farigliano andò a ricostruire la chiusa da cui partiva la bealera di Pià con fascine di rovere, sassi e terra, ma tal Luigi Perno di Piozzo si frappose, ostacolando le operazioni, levando i rami posti; scoppiò un alterco sui diritti delle due comunità sull’acqua di Carrù, e quando la delegazione fa­riglianese esibì i «rotoli» in cui erano sanciti i diritti di Farigliano sulla bealera di Carrù, il Perno fuggì, per tornare di lì a poco «con una sappa in spalla e coltellacci alla cintura», coprendo i Fariglianesi di ingiurie, chiamandoli «zingari e ladri», accusandoli di ruberie compiute nelle case dei Piozzesi (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 32v: Atti civili contro Piozzo [1605]). Il 28 luglio 1605 quelli di Farigliano chiesero e ottennero una nuova lettera di salva­guardia da parte del duca per la tutela della bealera, in virtù dell’acquisto dei diritti sugli scolaticci dalla co­munità di Carrù, stipulato nel 1486, e ratificato il 7 gennaio 1494.
Il momento culminante della vertenza tra le due comunità si ebbe però nel luglio con alcuni fatti di sangue, e portò da un lato alla trasformazione della causa in corso da civile a criminale, e dall’altro, paradossalmen­te, ad una sua rapida composizione tra le parti. Quel giorno, un massaro che stava in un suo canapeto in regione Canavero sentì gridare «alli ladri, alli ladri» (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8, f. 3v: Atti criminali del sig. procuratore fiscale della co­munità di Farigliano per l’omicidio seguito in rissa tra li particolari di Piozzo e quelli di questo luogo di Fari­gliano per la bealera di Pià nella persona di Bernardino Boglio [8 agosto 1605]), e salì in direzione delle grida; raggiunto un luogo elevato vide molti uomini armati in parte di archibugi e in parte di «sparatori» e «arme d’asta» e li riconobbe come Piozzesi. Li fronteggiava una decina di uomini di Farigliano, anch’essi armati. Alcune personalità eminenti di Farigliano, tra cui il prete Antonio Durando si misero in mezzo ai due schieramenti, cercando di evitare lo scontro. I Piozzesi spararono due archibugiate, che colpirono, ferendoli alla testa e ad un braccio, due uomini della delegazione, tra cui il prete. Cominciò una confusa sassaiola che fece un ferito tra i Fariglianesi. Costoro, in minor numero, si ritirarono.
A questo punto gli atti prodotti dal procuratore di Farigliano sulla base di testimonianze quasi tutte apparte­nenti alla parte fariglianese, non precisano, come per le altre vicende, i particolari e le circostanze: si dice soltanto che in quella stessa giornata, dopo avere udito il suono della campana della chiesa di Fari­gliano suonare a martello per la sassaiola nella regione della chiusa della bealera di Pià, Bernardino Boglio di Piozzo cadeva colpito al capo da una pallottola d’archibugio, e moriva dopo alcuni giorni.
Il 2 agosto 1605 Antonio marchese di Ceva, della Camera dei Conti, e «delegato di S.A. in questa parte dei suoi domini» ingiunse a quelli di Farigliano e Piozzo, senza scendere nel merito delle ragioni della lite, di non andare armati nei luoghi contesi, fuorché i campari autorizzati; il giorno 9 vennero citati in giudizio 4 uomini di Pioz­zo e 5 di Farigliano, con obbligo di comparizione presso il tribunale di Farigliano (AC Farigliano, fald 163, fasc. 8: Testimoniali di richiesta di comparizione di informatori [28 maggio 1605]).
Si svolse un rapido processo, con condanne per uomini di Piozzo e Farigliano, i cui atti non sono stati con­servati. Nel settembre diversi particolari di Farigliano supplicarono Sua Maestà che volesse cancellare le lo­ro condanne, e pene, dietro il pagamento di una multa di 200 ducatoni (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 8: Copia d’atti delli partico­lari di Farigliano supplicanti il fisco ducale [17 settembre 1606]). Il re doveva concere l’amni­stia un anno dopo. Un vero e proprio “strumento di pace” venne invece firmato dalle delegazioni di Piozzo e di Farigliano nel santuario della Mellea: la versione dei fatti data in quell’occasione distribuisce equamente le colpe di quanto accaduto alle due comunità contendenti: tutte e due le fazioni hanno sparato, il Boglio è morto «casualmente». Un certo Occelli, a nome di chi di Farigliano ha sparato, che non viene mai nominato, chiede perdono umilmente alla figlia del Boglio Margherita (AC Farigliano, fald. 163, fasc. 4, f. 6v: Instrumento di pace tra la comunità di Piozzo e la comunità di Farigliano) che riceve a titolo di risar­cimento da parte dei Fariglianesi 50 scudi; le due delegazioni promettono infine – sancendo la promessa con abbrac­cio rituale – di vivere d’ora in poi rapporti pacifici tra vicini. Eppure non v’è parola sul modo in cui è stata composta la lite sulla terza bealera di Pià. Con tutta probabilità, viste le due salvaguardie ducali ot­tenute sui diritti d’acqua di Farigliano, e l’assenza di una articolata lite circa i confini tra Carrù e Piozzo messi in di­scussione dai Piozzesi, le ragioni di questi ultimi dovevano essere deboli, forse basate solo su di una con­suetudine allo sfruttamento di parte dell’acqua di Farigliano non rafforzata da atti ufficiali di acquisto: si scontravano per contro con solidi atti di acquisto tra Farigliano e Carrù, basati sul reciproco – e verosimilmente, pacifico – riconoscimento dell’assetto confinario della regione delle Moglie; le ragioni del conten­zioso, da parte piozzese, non trovavano altra giustificazione apparente che nella volontà di continuare a godere, pur non avendone diritto, dell’acqua di Farigliano.
La seconda lite tra Piozzo e Farigliano a proposito di ragioni d’acqua si situa nel Settecento, e pur tra molte difficoltà riguardanti il mutamento dei nomi di regioni e bealere, è possibile comprendere come l’oggetto del contenzioso non sia sostanzialmente mutato rispetto alla lite del 1605, ossia sempre la bealera di Pià, o Rialeto, terza derivazione di acque carrucesi che Farigliano rivendica come proprie in virtù di un lontano at­to d’acquisto.
Nei centoventi anni che separano le due liti sono però mutate alcune circostanze. Innanzitutto alla luce della seconda lite è possibile comprendere il modo con cui era stata risolta la prima: la terza bealera della Pià, che i Fariglianesi nel 1605 sfruttavano per intero in virtù dei loro accordi con Carrù era stata divisa, forse nel contesto della “pace” della Mellea stipulata tra le due comunità a composizione della violenta lite di inizio Seicento, da un «Repartidore» che divideva esattamente a metà l’acqua, trasformandola in comunitaria tra Farigliano e Piozzo. In corrispondenza del Repartidore, già nel finaggio di Farigliano, Farigliano deriva­va la sua acqua verso i propri campi, Piozzo in una sua bealera detta del Fornace.
Nei primi mesi del 1721 i massari di Farigliano attuarono un sistema ingegnoso, e per i Piozzesi, fraudo­lento, per infrangere a proprio vantaggio la norma della divisione a metà delle acque. Gettando sassi e le­gna nel fondo della bealera di Pià, a monte del Repartitore ma ancora nelle fini di Farigliano fecero esonda­re l’acqua che così colava nei loro terreni posti più a valle di quelli di Piozzo; la quantità che finiva dunque al Repartitore risultava molto ridotta, a scapito degli interessi di Piozzo. Piozzo ricorse al Senato di Torino il 24 aprile 1721, protestando l’illegittimità della deviazione dell’acqua comune della bealera di Pià (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 1: At­ti civili Farigliano contro Piozzo [1721-1723]). Evidentemente Farigliano ri­teneva ingiusti, in virtù dei suoi antichi diritti di sfruttamento esclusivo dell’acqua di Carrù, gli accordi della “pace” della Mellea di inizio Seicento, che la costringevano a fare a metà con Piozzo. La comunità non mandò quindi nessun suo rappresentante a comparire. Nonostante una prima ingiunzione del Senato a Fa­rigliano, i contadini di quella comunità continuarono a derivare illegittimamente l’acqua (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 41r).
La vertenza si era ormai incanalata nuovamente sugli stessi binari delle rivendicazioni del 1605: rigettati gli accordi della “pace” della Mellea, tra Farigliano e Piozzo si era nuovamente daccapo. Piozzo, in risposta al­le azioni di Farigliano, tornò a rimettere in discussione i confini tra Carrù, Piozzo e Farigliano nella regione delle Moglie, su cui si basavano gli atti quattrocenteschi fariglianesi di proprietà dell’acqua di Carrù: così come l’assetto territoriale della regione carrucese in cui si dipartiva la derivazione di Farigliano era stato la fondamentale ragione del contendere nel 1605, così lo era nel 1721.
Nel corso della lite vennero richiesti testimoniali di esperti che verificassero quell’assetto una volta per tutte; con tutta probabilità tali testimoniali confermarono i confini di sempre.
Farigliano dunque aveva la ragione dalla propria parte, e per meglio affermarla, il 1 aprile del 1723 fece opere di manutenzione ad una sua chiusa a monte del Ripartitore, come – a dire dei testimoni – aveva sem­pre fatto da tempo immemorabile; pochi giorni dopo partì una denuncia di Piozzo per attentati alla bealera del Rialeto (AC Farigliano, fald. 167, fasc. 30, f. 50r); nel corso di una piena del Tanaro inoltre, con la scusa di migliorare il deflusso delle acque, Piozzo mandò suoi uomini «con pali di ferro» a togliere le pietre messe dai Fariglianesi nella bealera.
La lite pare arrestarsi qui, senza ulteriori risposte dei Fariglianesi, forse stanchi della contesa: tolte le pietre dalla bealera di Pià-Rialeto cessò il motivo del contendere da parte dei Piozzesi, che se non avevano otte­nuto la revisione dei confini nella regione delle Moglie – che ancora oggi è carrucese – ebbero di nuovo la loro metà d’acqua in base agli accordi della “pace” della Mellea.
A metà Seicento risalgono le tracce di una lite tra l’amministrazione finanziaria centrale del ducato e la co­munità di Piozzo, a proposito della cosiddetta “bealera di Piozzo”, scavata nel 1613 dietro l’acquisto dal comune di Cherasco di ventiquattro once di acqua in larghezza e sei in altezza (Morozzo della Rocca 1894, I, p. 559). Il Regio Patrimonio aveva il possesso e gestione dell’acqua della bealera sfruttata da Piozzo. Piozzo usava per irrigazione la metà delle acque di Cherasco, dietro una contribuzione annua di 500 lire, fissata nel con­tratto stipulato il 16 marzo 1613. Tale contratto prevedeva che il Regio Patrimonio si impegnasse nella manu­ten­zione dell’alveo per permettere all’acqua di giungere fino al territorio di Piozzo; se l’acqua fosse ri­sultata in quantità inferiore alla pattuita, l’affitto sarebbe stato ridotto in proporzione (il canone verrà infatti ridotto nel 1668 alla metà per l’insufficienza della quantità d’acqua). Nel corso degli anni Cinquanta del Seicento il Regio Pa­trimonio intenta una causa contro Piozzo, da un lato rivendicando il fatto che gli oneri della manu­ten­zione dovessero toccare a Piozzo, dall’altro accusando la comunità di appropriarsi indebitamente anche dell’altra metà delle acque della bealera di Cherasco. La vertenza viene sciolta da una sentenza camerale che re­spinge le istanze del Patrimoniale circa la manutenzione, ed accoglie quelle circa lo sfruttamento in­debito dell’intera acqua della bealera: se Piozzo dunque vorrà sfruttare anche la metà per cui non paga la contribuzione, dovrà pagare anche per quella (AST, Camera dei Conti, art. 619, Sentenze camerali, 1653 in ss.).
Il 15 giugno 1660 il duca Carlo Emanuele dona in concessione al Controllore Generale della Casa Ferrari l’«annuo livello» pagato da Piozzo (AST, Camera dei Conti, art. 616 Declaratorie, 1763, III, f. 75); in seguito, nel 1685, dietro pagamento, la comunità si affranca del debito. Nel 1698, in seguito ad una nuova lite, la quantità assegnata a Piozzo viene dimezzata (Morozzo della Rocca 1894, I, p. 559). Già dal 1685, però, in virtù dell’estinzione della servitù di affitto per l’uso delle acque, la comunità non doveva probabilmente pagare più nulla.
Nel 1763 viene intentata una nuova lite: per Regio Editto del 7 gennaio 1720 infatti la bealera viene nuovamente ridotta al Regio Demanio, che dovette reimporre un canone d’affitto; dovettero di conseguenza riaccendersi gli interessi dei feudatari e le loro pretese sul canone, in particolare il signore di Farigliano Carlo Agostino Oreglia e la contessa Ferraris erede di Bernardino Ferraris, che aveva ricevuto la concessione del canone nel 1660 (AST, Camera dei Conti, art. 616 Declaratorie, 1764, II, f. 241).
La bealera di Piozzo scorre per circa due miglia nelle regioni carrucesi della Lama Richelma e degli Abbe­veratoi. Il fatto che Piozzo debba provvedere alla manutenzione del corso d’acqua anche per la parte carru­cese, porta nel Settecento ad attriti tra le due comunità. Nel 1716 i Piozzesi cercano di rinforzare gli argini della belaera usando terra circostante, ossia appartenente al pascolo comunitativo carrucese della Lama Richel­ma, e ne vengono impediti. Nel 1753 l’impresario della bealera di Piozzo Giorgio Costa pretende di scavare un fosso nella regione degli Abeveratori dalla bealera, e viene multato in ragione della contravven­zione ai bandi campestri di Carrù; due anni dopo, in circostanze analoghe Giuseppe Marrone prende terra dal pa­scolo comune per riparazioni al terrapieno della bealera, contravvenendo anch’esso ai bandi campestri, ma rifiutando il pagamento della penale e intentando lite. Marrone in sede di lite afferma la consuetudine im­memorabile all’uso della terra carrucese per le riparazioni, così come la proprietà di Piozzo della terra degli argini: terra che di recente è stata occupata in deroga a tali consuetudini da Carrù, che ha piantato dei filari di alberi lungo la bealera; alberi che dunque spetterebbero anch’essi a Piozzo. La lite dà però ragione a Carrù, che intima pure il pagamento dei carichi catastali alla comunità di Piozzo per l’occupazione, con la bealera, del suolo carrucese.
Le vertenze però non si concludono: ancora nel 1829 si registra una lite del medesimo tenore e sostanza di quelle precedenti (AC Carrù, cat. 1, cl. 9, fasc. 1, carte sparse: Comune di Carrù contro comune di Piozzo [1756-1836]).