Casorzo

AutoriRaviola, Alice B.
Anno Compilazione2003
Anno RevisioneIn aggiornamento
Provincia
Asti.
Area storica
Basso Monferrato.
Abitanti
680 (Istat 2001).
Estensione
12,6 kmq.
Confini
A nord Ottiglio, a nord-est Olivola, a est Vignale, a sud-est Altavilla Monferrato, a sud Montemagno, a sud-ovest Grana, a ovest Grazzano Badoglio.
Frazioni
Nessuna frazione.
Toponimo storico
«Casurcium» (Cartari minori I, p. 34, Cancian 1983), da cui «Casurtium» e «Casorzo». Secondo un’interpretazione non verificabile, il toponimo deriverebbe dal nome «Casurciulis» attribuito da Plinio alle popolazioni liguri produttrici di formaggio (Musso 2001, pp. 6-7) o, più probabilmente, dal toponimo «Casa Ursius». Proposta anche la lectio «Casalitium» (Casalis 1837, p. 41).
Diocesi
Casorzo appartenne alla diocesi di Vercelli fino al 1474, anno di costituzione di quella di Casale (Settia 1987-88) alla quale tuttora fa capo.
Pieve
La chiesa più antica di Casorzo di cui si abbia notizia è quella di San Giorgio, poi reintitolata alla Madonna delle Grazie, eretta con funzioni plebane nel 1411 (Pittarello 1998). Nel 1434 San Giorgio fungeva già da parrocchiale, così come un’altra chiesa casorzese dedicata a San Vincenzo. Il 22 novembre di quell’anno, il vescovo di Vercelli, ordinò alle due chiese di unirsi sotto il titolo di Santa Maria di Piazza. Nonostante la consacrazione effettuata sotto tale titolo dal primo vescovo di Casale Bernardino Tibaldeschi (1480), pare che per un certo periodo la nuova parrocchia continuasse a chiamarsi dei SS. Giorgio, Vincenzo Martire e Santa Maria di Piazza; di tale denominazione, infatti, si ha ancora attestazione per il 1548 (Musso 2001, pp. 9, 66, 76).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La scrupolosa visita apostolica di mons. Carlo di Montiglio, effettuata nel 1584 (Ferraris 1995), prese l’avvio dalla parrocchiale di Santa Maria di Piazza, presso la quale era già attiva una compagnia del SS. Sacramento addetta alla manutenzione degli arredi sacri. L’edificio era all’epoca in condizioni mediocri: molti degli altari erano privi di decorazione e il pavimento sarebbe stato da rifare, «solandola condecentemente alle spese della comunità» (AD Casale, Visita Montiglio, c. 102v). Oltre alla parrocchiale, nel nucleo centrale del paese furono censiti anche l’oratorio della compagnia di San Pietro Martire – piccola confraternita da dotare pressoché integralmente – e l’oratorio di Santa Maria, anch’esso quasi privo di tutto l’occorrente. «Fuor della terra di Casorzo» sorgevano la chiesa di San Vito, provvista di un rettore, don Fabio Bonadeo, che avrebbe dovuto celebrare Messa almeno nel giorno del santo; un’altra piccola chiesa dedicata a Santa Maria, di proprietà della comunità; quella di San Vincenzo, unita alla parrocchiale e officiata sporadicamente; una cappella in onore di Sant’Anna. Una menzione speciale meritava la chiesa di San Giorgio (cfr. il lemma ‘Pieve’) «fuor di Casortio […] consecrata et unita alla parrocchiale di Santa Maria» e come tale da tenere «con più veneratione di quel [che il parroco] ha fatto sin hora, che l’ha lassata sempre aperta et l’altare sfornito» (AD Casale, Visita Montiglio, c. 104). Mons. Montiglio ordinò infine che «la materia et cementi delle sudette chiese di San Vincenzo et Santo Georgio che si perdono siano applicati alla restauratione della casa parrochiale» e di una cascina da essa dipendente. Nel novembre del 1593 (AD Casale, Visita Borsari, cc. 96 sgg.), il vescovo di Casale Settimio Borsari diede nuove disposizioni a riguardo degli arredi della parrocchiale e delle chiese di San Giorgio e San Vincenzo, entrambe ricordate come ex parrocchiali. Santa Maria delle Grazie, da identificare forse con la chiesetta di proprietà comunale, era priva di finestre e da tempo preda dei ladri. Anche San Vito e Sant’Anna necessitavano di interventi. Nel frattempo era sorto un nuovo oratorio, dedicato a San Rocco, legato anch’esso alla comunità. Per il 1607, anno della visita pastorale di mons. Tullio del Carretto, si ha notizia di due compagnie legate agli altari principali della parrocchiale e tipicamente presenti nel Monferrato dell’epoca (Parola 1999): quella, già citata, del SS. Sacramento e quella del Rosario, entrambe tenute alla manutenzione degli arredi sacri e delle rispettive cappelle e altari (AD Casale, Visita del Carretto, 1607, c. 43v).
Dalla visita pastorale di mons. Scipione Pascale, effettuata a Casorzo il 30 giugno 1619, si ricavano ulteriori informazioni sulla parrocchiale: il vescovo fu accompagnato dal clero locale «alla chiesa ove si aministrano li sacramenti sotto il titulo di Santa Maria di Piazza, nella quale si esercisce la cura d’anime in logo delle chiese parrocchiali sotto il titolo di SS. Giorgio et Vincenzo, le quali si trovino fabricate fori del logo» (AD Casale, Visita Pascale, vol. II, c. 61). Santa Maria di Piazza era stata fatta costruire dalla comunità «per comodità del popolo […] in buon logo, assai capace di tutto il populo», ben fornita di arredi e curata dalla compagnia del Corpus Domini in essa eretta. Vi erano attive anche una compagnia legata alla cappella di San Francesco e una del Rosario. Poco lontano dalla chiesa era stato edificato un oratorio intitolato alla SS. Trinità, mentre continuava a essere officiato quello di San Pietro Martire; entrambi erano gestiti da un’omonima confraternita di laici. I Disciplinanti frequentavano invece la chiesa dell’Assunzione della Madonna da essi fatta costruire. Tutte le chiese di Casorzo risultavano all’epoca in buono stato (AD Casale, Visita Pascale, vol. II, cc. 61v-65v).
Il 29 agosto 1656, durante la visita di mons. Miroglio, furono censite la parrocchiale (ormai a pieno titolo Santa Maria di Piazza), all’interno della quale si riunivano le compagnie del SS. Sacramento e delle Vergini; l’oratorio di San Pietro martire; quello dell’Assunzione e quello della SS. Trinità (AD Casale, Visita Miroglio, cc. 127-128v). Quattro anni più tardi, la parrocchiale risultava in cattivo stato (tetto e pavimento da restaurare), a eccezione della cappella del SS. Rosario il cui altare era «benissimo ornato». Mons. Miroglio visitò anche «la chiesa di San Ludovico, fuori del luogo», officiata dal canonico Montagnino su mandato vescovile, ma quasi completamente diroccata; era da restaurare anche l’oratorio di San Pietro Martire, mentre quello della SS. Trinità era in discrete condizioni (AD Casale, Visita Miroglio, vol. II, 55v-57v).
Nel 1723, a cessione ormai avvenuta del Monferrato al Regno di Sardegna, il vescovo Pietro Secondo Radicati visitò innanzitutto la chiesa di San Bernardo, ai margini del paese, per poi essere accompagnato alla nuova parrocchiale di San Vincenzo dove era attiva la confraternita della SS. Trinità che, secondo l’ordine del vescovo, avrebbe dovuto essere fusa con quella di San Pietro Martire. Di fronte alla proposta di Radicati di «allongare questa chiesa parrocchiale per esser troppo angusta et incapace del popolo, giaché si deve ingrandire il choro», i consoli della comunità G.B. Pozzo e Gaspare Gatto risposero che «sarebbe [stato] necessario servirsi anco del sito in cui vi resta la chiesa della SS. Trinità» ormai gestita da pochi confratelli (AD Casale, Visita Radicati, 1723, cc. 339-377, in particolare c. 347v). Lungo l’elenco delle altre chiese presenti in loco: Sant’Anna, di proprietà della comunità, «assai ben edificata e soda» e custodita da Alessandro Allara; l’antica parrocchiale di San Giorgio, in discrete condizioni ma scarsamente officiata; San Pietro, «buona fuori e dentro»; San Ludovico, in buono stato, con beneficio e cappellania degli Scoffone dal 1630; «San Lorenzo nelli Arali […] fabricata da puochi anni in qua parte dal sig. don Giovanni Varo e parte con collette e stabilita l’anno scorso»; la cappella di San Rocco; San Giovanni Battista; San Bernardo negli airali; San Sebastiano negli airali, fatta costruire dalla comunità tre anni prima; San Vito, «situata in luogo più tosto eminente e distante da Casorzo un miglio e mezzo circa»; la chiesa della Madonna delle Grazie, anch’essa distante un miglio circa dal paese, officiata non regolarmente, ma sempre in occasione di Santa Lucia, e abitata da un romito (Pietro Biglia); San Vincenzo, di «fabrica […] rustica, mal composta, con creppature»; San Felice, in pessimo stato e «in cui, a memoria d’huomini, non si è celebrato et è della comunità».
Quanto al suggerimento di ampliamento di mons. Radicati, la comunità lo accolse e, a partire dal 1730, finanziò la costruzione di una nuova parrocchiale, dedicata a San Vincenzo Martire in ricordo di una delle due più antiche titolature casorzesi. I lavori, durati sei anni, furono eseguiti su disegno dell’architetto casalese Francesco Ottavio Magnocavalli (Ieni 1993) e la bella chiesa è tuttora la parrocchiale di Casorzo. La chiesa di San Giorgio o della Madonna delle Grazie continuò comunque a essere frequentata e nel XIX secolo, durante alcuni restauri, le fu addossata una bella facciata tondeggiante con colonnato (Pittarello 1998).
Assetto Insediativo
Il paese si presenta articolato in due nuclei distinti, uno arroccato su un colle (dove si trovano il municipio, la parrocchiale e il santuario della Beata Vergine delle Grazie), l’altro disteso più in basso lungo la strada provinciale di collegamento con Grazzano Badoglio. Nonostante la mancanza di frazioni, borgate o case sparse amministrativamente intese, il territorio comunale è suddiviso in cantoni (Gorgo, San Vincenzo), cascine (Cascina Nuova, Gara, Madonna, Ragazzi, Gatti, Valfossato) e bricchi (Moretta, Albareto). Dal catasto del 1788 emergono numerosi altri toponimi legati alle suddivisioni del territorio in Antico Regime, ovvero le regioni Pozzolio; Bariole; Gara; Casalino; Gario; Capelletto; Costa; Sgarsone; Vernazza; Castellario; Bonzole; Coriano; Figaletto (al confine con Altavilla); Rivario (al confine con Vignale); Gorgo; Calupo; Pizzone e Mestalenga; San Lodovico; Bricco San Giorgio; Carretta; Bricco Monticello; Baldea (al confine con Vignale); Prapiana; San Felice; Marcellino; Gesso; Collareto; Bellanina; Salara; Cuvo; Tovo; Valcanina; San Bernardo; Serra; San Giovanni; Sottorinei; Pratonuovo; San Vincenzo; Mestalenga; Baiardo; Bollazzo; Ancellino; Cornaleto; Bosone; Pragrande; Molino; Monteizo; Isola; Valle di Grana; San Vito; San Secondo; Varisella o Val Pizzone; Moncucchetto (in prossimità e comunanza con Grazzano Badoglio); Prato Casale; Momperletto; Pezzeto; Pianchetta; Ronco; Valcanina; Vallebra (AC Casorzo, Catasto, reg. 1; Musso 2001, p. 58).
Luoghi Scomparsi
Nessuna attestazione.
Comunità, origine, funzionamento
Nell’ambito del conflitto tra il Contado di Asti e i marchesi di Monferrato scoppiato nel 1290 con l’intento, da parte di entrambi i contendenti, di acquisire territori nel potentato vicino e ridisegnarne i confini a proprio vantaggio, gli abitanti di Casorzo si rivolsero alla città per affrancarsi dai poteri signorili locali (in particolare, i non meglio precisati signori «de Casurtio»). In quell’occasione, la comunità aderì al cittadinatico di Asti prendendo a modello un analogo patto stipulato da quella di Montemagno nel 1255 (Pia 2001, pp. 35-36). Un anno più tardi, tuttavia, come risulta dal corpus del codice contenente gli statuti del 1375, gli uomini di Casorzo tornarono sotto l’egida del marchese di Monferrato cui prestarono fedeltà il 18 febbraio, ripetendo l’atto nel 1294 e nel 1306. Nel 1303 due Casorzesi, Pietro Bava e Giacomo Pria, parteciparono alla dieta di Trino decisiva per la scelta dei successori degli aleramici (Musso 2001, p. 21) e nel 1320, in occasione del Parlamento di Chivasso indetto dal marchese Teodoro per la costituzione di un esercito, il comune e uomini di Casorzo inviarono due soldati (Benvenuto di San Giorgio 1780; Casalis 1837, p. 41). Gli statuti, concessi appunto nel 1375, costituiscono la tappa saliente dell’organizzazione della comunità nel Medioevo. Da allora, sempre in cambio dell’omaggio di fedeltà ai Paleologo e poi ai Gonzaga (nel 1376, 1384, 1431, 1437, 1464, 1465, 1519, 1534), i Casorzesi ne ottennero sempre la conferma fino a fine Cinquecento, conservando una relativa autonomia (Caturegi 1929). Nel 1419, inoltre, Casorzo risultava compresa tra le località con le quali Montemagno avrebbe potuto commerciare liberamente (Raviola 2001, p. 44).
Statuti

Statuta et ordinamenta communis hominum Casurcii, a cura di Caturegli N., Pisa 1929.

Catasti
AC Casorzo, reg. 1, serie Catasto, Libro figurato desunto dalla mappa del territorio di Casorzo in servizio della comunità di detto luogo, formata dagli infrascritti misuratori in seguito alla misura generale da’medesimi fatta negli anni 1783 e ’84, collaudata nel successivo 1785 e pubblicata nel 1786 in conformità dell’instrumento giudiciale dei 21 febraro 1783, ricevuto dal sig. segretario dell’Intendenza generale della città di Casale Francesco Antonio Bocca, misuratori Giulio Ferraris e Francesco Cabiati (in trabucchi di Piemonte).
Ordinati
AC Casorzo, m. 3, serie II, 1605-1640 (frammenti di delibere per i quali risultano mancanti, però, nonostante la segnalazione dell’inventario, gli anni 1605-1617); 1649-1661; m. 4, serie II, 1685-1730; m. 5, serie II, 1727-1747; m. 6, serie II, 1776-1859; completa la serie delle delibere post-unitarie.
Dipendenze nel Medioevo
Casorzo è tra le località elencate nel diploma di Belforte del 5 ottobre 1164 con il quale l’imperatore Federico I Barbarossa confermò al marchese Guglielmo l’investitura dei suoi possedimenti in Monferrato (MGH, Diplomata, p. 378). Nel 1224 il luogo ricadeva ancora sotto la sfera d’influenza dei marchesi: Guglielmo VI, infatti, ottenendo un prestito di 9000 marchi d’argento dall’imperatore Federico II s’impegnò a ipotecare tutti i suoi possedimenti monferrini e di «Casorzu» si dice che «est in pignore Alberto de Cortisell(is)» (Cancian 1983, p. 734). Un anno prima, nel 1223 tutte le terre possedute da tale «Asclerius de Casurcio» «citra rivulum de Cerreto» erano state oggetto di una permuta tra Berta, contessa di Monferrato, e Guido, priore di Santa Maria di Crea, che aveva ottenuto in cambio dei possedimenti di Ascherio una braida in Mombello (Cartari minori I, pp. 34-35, 46-47). Alcuni decenni più tardi il casorzese Manfredo Crotti ottenne in affitto da Benedetto, abate di Grazzano, due pezze di terra una delle quali «in territorio Casurcii ibi ubi dicitur in castro arso, cui coheret Guillelmus Pica, de Casurcio, via et heredes done Alaxie de Casurcio», l’altra sempre in Casorzo «ubi dicitur ad maciam» (Cartari minori I, pp. 58-59 [7 gennaio 1253 o 1280]). Sin dal XII secolo, dunque, se si esclude la breve parentesi di dominio astigiano, il territorio di Casorzo fu soggetto all’influenza dei potenti enti ecclesiastici della zona e dei marchesi di Monferrato cui questi facevano capo. Tale dipendenza perdurò per i restanti secoli del Medioevo (cfr. il lemma ‘Comunità, origine, funzionamento’) e per la prima età moderna, in seguito al passaggio del Monferrato ai Gonzaga (1536).
Feudo
A fine Quattrocento sono attestati in loco come feudatari gli Zabaldani, già signori di Altavilla, che erano stati investiti del feudo nel 1454, nella persona di Nicolino, mastro di camera del marchese Giovanni IV. Nel 1594 Vincenzo I Gonzaga infeudò di Casorzo il colonnello d’origine tirolese Giovanni Battista di Lodrone (Manno 1895-1906, XIV, p. 310), mentre nel 1611 ne fu investito un altro militare, il governatore di Casale Carlo Rossi, imparentato con i duchi di Mantova (Musso 2001, p. 24). Il 3 ottobre 1621 la località, confluita nelle proprietà della Camera ducale di Monferrato, fu acquistata per 2000 doppie d’oro d’Italia da Giovanni Francesco Picco, cui succedette il nipote, figlio di suo fratello Ambrogio. Trasmesso con primogenitura maschile all’interno del casato, nel 1721 ne fu investito Francesco Antonio Picco, con titolo comitale, e nel 1755 Giacomo Francesco Alberico Pico Gonzaga d’Uviglie. Restò alla famiglia fino al 1797 (Manno 1895-1906, I, p. 166; sui Picco Gonzaga: Raviola in corso di stampa).
Mutamenti di distrettuazione
Appartenente al marchesato, poi ducato, del Monferrato, Casorzo fu classificato fra le terre dello Stato «di qua da Tanaro» costituenti la prima, embrionale provincia di Casale (Raviola 2003). Dopo l’annessione del Monferrato agli Stati sabaudi (1708), continuò a far parte della provincia, istituzionalmente annessa e riorganizzata dal governo di Torino. Tale assetto fu confermato dalla definitiva sistemazione delle province piemontesi attuata nel 1749 e si mantenne perciò fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798) (Sturani 1995). Entro la maglia amministrativa francese, la comunità seguì le sorti della vecchia provincia di appartenenza, aggregata, senza sostanziali alterazioni, alla circoscrizione di Alessandria, prima nell’ambito del dipartimento del Tanaro (1799), poi, dal 1801, di quello di Marengo, circondario («arrondissement») di Casale. Dipendente da Alessandria per l’intero XIX secolo e l’inizio del XX, Casorzo fu assegnato alla provincia di Asti all’atto della sua costituzione, avvenuta nel 1935.
Comunanze
Secondo il catasto del 1788, la comunità possedeva all’epoca 17,61 giornate di beni comuni (campi, terreni edificati e gerbidi) (AC Casorzo, Catasto, reg. 1, c. 52). L’ultimo residuo di beni comunitativi, però, risulta esser stata la gestione dei forni, di proprietà comunale dal Medioevo (si può supporre dal 1375 almeno) al 1846 e oltre (AST, Corte, Paesi per A e B, C, m. 30, fasc. 3, Vendita del “forno vecchio”, ma in vista della costruzione di uno nuovo, sempre comunale).
Fonti
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Casorzo).
Dell’archivio esistono due inventari: il primo, sintetico, è di G.A. Di Ricaldone ed è datato 1968; il secondo, anonimo, è relativo al recente riordino del 2001, ma riprende sostanzialmente l’inventario di Di Ricaldone.
A.D. Casale (Archivio Storico della Diocesi di Casale Monferrato):
Visita apostolica di mons. Carlo di Montiglio, 1584, cc. 102 sgg.;
Visita pastorale di mons. Settimio Borsari, 1593, cc. 96 sgg.;
Visita pastorale di mons. Tullio del Carretto, 1607, c. 43v sgg.;
Visita pastorale di mons. Scipione Pascale, 1616-24, 3 voll.; vol. II, 1619, cc. 61-65v;
Visita pastorale di mons. Miroglio, 1656-60, 2 voll., vol. I, cc. 127-128v; vol. II, cc. 55v-57v;
Visita pastorale di mons. Radicati, vol. I, 1701-’29, 1723, cc. 339-377.
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 6, s.d. (ma post 1755), Stato delle città e terre della provincia di Casale;
Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 23;
Corte, Paesi, Paesi per A e B, C, m. 30.
Bibliografia
Benvenuto di San Giorgio, Cronica del Monferrato, a cura di G. Vernazza, Torino 1780.
Cancian P., La carta di mutuo di Guglielmo VI di Monferrato a favore dell’imperatore Federico II. Un contributo paleografico all’onomastica piemontese, in «BSBS», 81 (1983), pp. 729-749.
Cartari minori, vol. I, Pinerolo 1908 (BSSS 42).
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Maspero, Torino 1837.
Documenti capitolari del secolo XIII, a cura di Daquino P., Cotto Meluccio A.M., Asti 1987.
Ferrari G., Clero e fedeli nella diocesi di Casale Monferrato. La visita apostolica di Carlo Montiglio (1584) in Stefano Guazzo e Casale tra Cinque e Seicento. Atti del convegno di studi nel quarto centenario della morte, Casale Monferrato, 22-23 ottobre 1993, a cura di D. Ferrari, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 171-195.
Gabotto F., Commentando Benvenuto San Giorgio. Pievi e chiese del Monferrato alla metà del Trecento in «BSBS», 31 (1929), pp. 211-235.
Guasco Di Bisio F., Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911 (BSSS 54-58).
Ieni G., Un profilo biografico di Francesco Ottavio Magnocavalli, in «Monferrato Arte e storia», 5 (1993), pp. 5-13.
Manno A., Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, Civelli, Firenze 1895-1906, 2 voll. e 27 dattiloscritti, vol. I, ad vocem.
MGH, Diplomata Regum et Imperatorurn Germaniae, X, 2, a cura di H. Appelt, Hannover 1979, pp. 377-378.
Musso A.M., Casorzo: la sua gente, la sua storia nei documenti e nei ricordi, Riva di Chieri 2001.
Parola M., Associazioni devozionali nell’Astigiano, in Confraternite. Archivi, edifici, arredi nell’Astigiano dal XVII al XX secolo, a cura di A. Torre, Asti 1999, pp. 21-38.
Pia E.C., Il processo di definizione politica di un’area di confine: il territorio di Montemagno tra XII e XIII secolo, in Montemagno tra arte e storia, Asti 2001, pp. 21-36.
Le chiese romaniche delle campagne astigiane: un repertorio per la loro conoscenza, conservazione, tutela, a cura di L. Pittarello, Asti 1998.
Raviola B.A., Fonti e prospettive per una storia di Montemagno in età moderna, in Montemagno tra arte e storia, Asti 2001, pp. 37-78
Raviola B.A., Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-stato (1536-1708), Firenze 2003.
Raviola B.A., Tra nobiltà feudale e patriziato urbano: i Picco Gonzaga d’Uviglie e i Callori di Vignale nel Monferrato del XVI secolo in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», in corso di stampa.
Settia A.A., «Fare Casale ciptà»: prestigio principesco e ambizioni familiari nella nascita di una diocesi tardo-medievale, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV secolo alla metà del XVI. Atti del convegno di storia della chiesa in Italia, Brescia, 21-25 settembre 1987, a cura di G. De Sandre Gasparini, Roma 1990, pp. 676-715.
Statuta et ordinamenta communis hominum Casurcii, a cura di Caturegli N., Pisa 1929.
Torre A., Introduzione, in Confraternite. Archivi, edifici, arredi nell’Astigiano dal XVII al XX secolo, a cura di A. Torre, Asti 1999, pp. 9-20.
Descrizione Comune
Casorzo
     Due sono gli aspetti emergenti della storia di Casorzo a partire dal Medioevo: la spinta autonomistica della comunità nonostante la pressione di poteri signorili esterni e, in misura minore, la posizione di confine con il contado d’Asti che ne favorì un certo sviluppo commerciale.
Ascritto ai possedimenti della marca di Monferrato sin dal diploma di Belforte del 1164, nei secoli seguenti Casorzo, come altre località vicine, fu al centro degli interessi dei poteri laici ed ecclesiastici che si contendevano l’area, in primis degli stessi marchesi, poi della città e della Chiesa d’Asti che spingevano la loro influenza oltre i torrenti Rotaldo e Grana. In tale ottica, le vicende duecentesche del luogo appaiono significative: ipotecato nel 1224 da Guglielmo VI a favore di tal «Alberto de Cortisell(is)» (Cancian 1983, p. 734; cfr. il lemma ‘Dipendenza nel Medioevo’) e dunque pienamente inserito nel suo demanio, parte del territorio di Casorzo non sfuggiva né all’influenza del priorato di Santa Maria di Crea né a quella della potente abbazia di Grazzano, che pure facevano capo ai marchesi di Monferrato (si veda la scheda dedicata a Grazzano Badoglio). Nel 1223, infatti, tutte le terre possedute da «Asclerius de Casurcio» «citra rivulum de Cerreto» erano state oggetto di una permuta tra Berta, contessa di Monferrato, e Guido, priore di Santa Maria di Crea, che aveva ottenuto in cambio dei possedimenti di Ascherio una braida in Mombello (Cartari minori I, pp. 34-35, 46-47). Dopo alcuni decenni il casorzese Manfredo Crotti ottenne in affitto da Benedetto, abate di Grazzano, due pezze di terra una delle quali «in territorio Casurcii ibi ubi dicitur in castro arso, cui coheret Guillelmus Pica, de Casurcio, via et heredes done Alaxie de Casurcio», l’altra sempre in Casorzo «ubi dicitur ad maciam» (Cartari minori I, pp. 58-59, 1253 o 1280).
Tuttavia, per allentare questa dipendenza e ridurre il potere dei signori «de Casurtio» attestati in loco, nel 1290 la comunità non esitò a scendere a patti con la città di Asti aderendo al cittadinatico come il vicino Montemagno (Pia 2001), salvo poi tornare a prestare fedeltà al marchese di Monferrato un anno più tardi. Nel contempo, la Chiesa d’Asti aveva conquistato il possesso di alcuni terreni della zona, come dimostrerebbe il contratto di affitto di due terre concesso nel 1297 da Ascherio de Rogeriis, canonico della Cattedrale di Asti e chierico di San Vincenzo di Casorzo, al casorzese Michele Bucono. Della locazione del vigneto, sito in località Valle Canina, e del prato, in regione Cornaleto, fu informato «domino Gavertio, filio condam domini Jacobi Carrerie de Cunigo, castellano Casurcii», a dimostrazione della compresenza di giurisdizioni che non avevano escluso del tutto né la potestà marchionale (rappresentata dal castellano) né le influenze esterne (Documenti capitolari del secolo XIII).
Sin dalla fine del XIII secolo, comunque, la comunità fu indotta a consolidare i suoi legami con il Monferrato, stretti con giuramenti di fedeltà ripetuti e ravvicinati nel tempo: il 18 febbraio 1291, il 27 aprile 1294, il 30 settembre e il 5 ottobre del 1306 (Caturegli 1929; Musso 2001, p. 28). In cambio essa ottenne una serie di prerogative che la rendevano di fatto direttamente dipendente dal neo-marchese Teodoro Paleologo, il quale le concesse in quell’occasione, probabilmente, di confezionare i suoi primi statuti. Nella redazione del 1375 edita da Caturegli, infatti, si fa riferimento a «capitula et ordinamenta» preesistenti e relativi alle prerogative del 1306. Espressione di un’autonomia conquistata dopo decenni di tensioni territoriali, gli statuti casorzesi rendono conto di una comunità organizzata, proprietaria dei suoi forni e delle acque irrigue e moderatamente svincolata dall’autorità del castellano. Questi, tuttavia, assunse via via maggior potere, in linea con il rafforzamento dei Paleologo e con le concessioni di natura feudale da essi elargite alle signorie emergenti: già nel 1384 il marchese rinunciò al diritto di fodro a favore del detentore della carica (Musso 2001, p. 30) e, almeno dal 1460, il castellano fu autorizzato a partecipare alle sedute del consiglio comunale. Da allora, inoltre, l’ufficiale fu scelto tra gli esponenti della nuova aristocrazia feudale della zona: così, nel 1462, ottenne la carica Guglielmo Zabaldani, dei signori di Altavilla, che nel 1486 promosse una revisione del testo statutario (Musso 2001, p. 30). Il crescente potere signorile e fondiario degli Zabaldani ad Altavilla (si veda la scheda dedicata a Altavilla Monferrato), ma anche a Casorzo, ingenerò inevitabilmente contrasti con la comunità, dei quali è spia la una sentenza arbitramentale del 3 luglio 1517 che ne confermò gli statuti contro le pretese di Nicolino Zabaldani dei signori d’Altavilla (Caturegli 1929).
Ridimensionato il potere degli Zabaldani anche grazie a un decreto imperiale del 1533 con cui furono loro revocati i diritti su Altavilla e dintorni (si veda la scheda dedicata a Altavilla Monferrato), negli anni centrali del Cinquecento la comunità prestò altri quattro giuramenti di fedeltà (1519, 1534, 1537, 1560), ottenendo sempre la conferma degli statuti. Da un atto di procura del 1561, però, parrebbe che alcune delle prerogative locali fossero state incamerate dalla Camera dei Conti riorganizzata dalla reggente Margherita Paleologo (Raviola 2003, pp. 93 sgg.): in quell’anno, infatti, il «consul» Petrino Della Valle e il consigliere Antonio Mellana furono eletti dal consiglio affinché si dirigessero a Casale a «recatare bona et reditus que et quos […] tenebat et habebat marchionalis Camera alienata diversi temporibus (ut notorium est)» (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 23, fasc. 1). L’assenza degli Ordinati per quegli anni impedisce di conoscere l’esito della spedizione, ma è certo che la comunità non cessò di rivendicare le sue antiche franchigie all’atto di ogni nuovo giuramento imposto dai Gonzaga: lo fece nel 1567, in piena ribellione casalese (Raviola 2003, pp. 53 sgg.) e lo fece nel 1589 con Vincenzo I, cui chiese la conferma dell’«essentione delli pedagii de tutto il Stato et massime Otteglio, Frasinello e Moncalvo, et il statuto contra quelli che vogliano habitar in Casortio» (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 23, fasc. 3). Due richieste, queste ultime, che lasciano intendere sia l’inserimento del paese nell’ambito di una rete commerciale di medio raggio sia la relativa chiusura della comunità che, come una città, concedeva a suo arbitrio il diritto di residenza. Del resto, il consiglio municipale, piuttosto nutrito per le effettive dimensioni del borgo, risultava in mano a una ristretta élite rappresentata soprattutto dalle famiglie Tibaldo, Pecorino, Scoffone e Mellana.
Data l’insistenza con cui la comunità aveva sempre ribadito la volontà di dipendere esclusivamente dalla giurisdizione ducale, l’infeudazione di Casorzo decretata da Vincenzo a favore di Giovanni Battista Lodrone nel 1594 costituì un evento traumatico, che non tardò a esplodere in scontro aperto contro la nuova autorità. Da una veemente supplica del consiglio comunale al sovrano si apprende infatti che il feudatario era unanimemente accusato di malgestire la giustizia e di aver causato «la ruina et ultimo precipitio della povera terra di Casorzo, et potrà il Lodrone vantarsi haver ottenuto il suo intento et haver sfocato la rabia suoa contra noi poverelli et innocenti […] e certo pare che siamo rebelli di S.A. nostro signore». La richiesta, ovvia, era quella di poter tornare a essere sudditi diretti di quest’ultimo (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 23, fasc. 3, supplica del 12 marzo 1603). L’avvicendarsi di vari feudatari dimostra che, in linea con la politica vincenzina dell’epoca (Raviola 2003), la perorazione non ebbe buon esito e, anzi, la posizione dei Casorzesi si aggravò dopo che, nel 1622, durante un tumulto popolare in paese contro il potere signorile restò ucciso lo stesso Lodrone (Manno 1895-1906, XIV, p. 311).
Si può ipotizzare, tuttavia, che la costante ricerca di spazi di autonomia da parte dei Casorzesi abbia finito col tradursi nella proliferazione dei luoghi di culto e delle associazioni laicali. Scorrendo le visite pastorali del XVII secolo, quest’aspetto emerge infatti con una certa evidenza. Come a Calliano, tra Cinque e Seicento furono abbandonate le vecchie parrocchiali – in questo caso quelle di San Giorgio e San Vincenzo – e ne fu costruita una nuova a spese della comunità. Nel 1608 è attestata la presenza, piuttosto precoce per la zona (Torre 1999), di una fabbriceria dedicata alla Madonna e organizzata su modello del consiglio comunale: «li fabriceri vechi della Madonna debbano dar li conti delle elemosine havute da qui indietro et perché alcuni d’essi sono morti et altri impotenti, se ne faciano degl’altri». I nuovi eletti, non a caso, erano tutti consiglieri comunali (AC Casorzo, OC, m. 3, seduta del 15 agosto, nel giorno dell’Assunzione). Nel 1619 la chiesa di Santa Maria di Piazza, conquistata la cura d’anime e il rango di parrocchiale, ospitava una compagnia del Corpus Domini che appare anch’essa, come avviene altrove (Parola 1999), espressione di parte del notabilato locale. Alcuni esponenti di questo provvidero a dotare la chiesa di nuovi altari e cappelle di proprio juspatronato: così, il consigliere comunale e spesso sindaco Lelio Bigliani aveva fondato per sé e la sua famiglia l’altare di San Diego (AD Casale, Visita pastorale mons. Pascale, 1616-24, vol. II, c. 63). Erano anche state fondate due compagnie di laici legate agli altari principali – SS. Sacramento e del Rosario – ed erano attestati un oratorio della SS. Trinità e una confraternita di Disciplinanti sotto il titolo dell’Assunzione della Madonna.
Dopo la peste del Trenta che mieté 105 vittime e la distruzione del paese operata dalle truppe spagnole di don Gregorio Britto nel 1642 con la morte di almeno 150 abitanti (Musso 2001, pp. 39 sgg.), a metà Seicento la compagnia del SS. Sacramento e quella delle Vergini da poco eretta costituivano il polo d’attrazione cultuale del notabilato (altari e legati delle famiglie Tibaldo, Beccaro, Scoffone, Gatto: AD Casale, Visita Miroglio, cc. 127-128v). Nel 1723, all’atto della visita di mons. Radicati, la prima vedeva ancora iscritti buona parte degli esponenti dell’élite locale (in particolare il notaio Marc’Antonio Beccari, priore, il notaio Giovanni Guglielmo Plano, sottopriore, il medico Cesare Antonio Dalla Valle, il notaio G.B. Plano e alcuni membri delle famiglie Calcagno, Scoffone, Allario e Rabagliati). Più numerosa era la confraternita della SS. Trinità legata alla chiesa di San Pietro Martire (Scoffone, Gatta, Allario, Beccari, Bozzolo, Scarabello, Chiara i cognomi dei confratelli più diffusi), fusa poi con quella del SS. Sacramento su ordine dello stesso Radicati. Non mancavano suggestioni legate alla diffusione dei nuovi culti piemontesi: in «San Lorenzo nelli Arali […] fabricata da puochi anni in qua parte dal sig. don Giovanni Varo e parte con collette e stabilita l’anno scorso […] vi è il quadro infisso nel muro con l’imagine della B.V. dell’Oroppa» (AD Casale, Visita Radicati, cc. 339v sgg.). Pur nelle inevitabili, seppur poco documentate, differenze interne, la comunità si era dunque cementata attorno alla cerimonialità religiosa, in un primo tempo contro feudatari osteggiati e, tra Sei e Settecento, in forma autorappresentativa: non è un caso che la nuova parrocchiale di San Vincenzo, fatta edificare con il consenso di tutto il consiglio, fosse frutto delle generose donazioni dei nuovi conti di Casorzo, i Picco Pastrone, e che l’architetto a cui fu commissionato il disegno fosse un loro parente, il conte Francesco Ottavio Magnocavalli dei sig.ri di Varengo. In seguito alla Restaurazione, si assistette a un’ulteriore proliferazione di benefici, cappellanie, compagnie di laici secondo una tendenza riscontrata in zona (Parola 1999) e che a Casorzo fu resa evidente, tra le altre attestazioni, con la ristrutturazione in stile neoclassico della facciata della chiesa di San Giorgio e della Madonna delle Grazie. Non necessariamente collegata a quest’aspetto, ma con questo in sintonia, può essere anche segnalata la fondazione, nel 1889, di una comunità evangelica che risulta tuttora ben inserita nel tessuto sociale della comunità e proprietaria di una grande casa di riposo (Musso 2001, p. 220).
Per quanto riguarda le risorse economiche di Casorzo e tornando all’età moderna, secondo una nota dei redditi compilata nel 1612 e ritenuta eccessiva dalla stessa Camera patrimoniale, solo i beni feudali fruttavano più di 15.000 scudi annui, con una cospicua produzione vinicola e ceralicola (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 23, fasc. 4). Più realisticamente, a metà degli anni Venti del Seicento, Casorzo contava 238 «fuochi», per un totale di 1205 abitanti, e pagava un ordinario di 250 ducati d’oro annui (Musso 2001, p. 24). La pestilenza e le guerre fiaccarono l’economia locale e, per gli anni Sessanta-Novanta del secolo, non mancano testimonianze reltive ai debiti camerali della comunità, costretta a ricorrere al prestito degli ebrei di Moncalvo (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 23, fasc. 8 [s.d. post 1660]). A metà Settecento la situazione tornò relativamente stabile: su un territorio di 3329 moggia (delle quali 31 di beni feudali e 102 di ecclesiastici immuni), abitavano 1200 persone molte delle quali «attendono il commercio nella riviera di Genova da dove conducono grassine e frutta; altri attendono al negozio di grano e legumi che vanno [a] caricare a Casale e sul Vercellese per condurre nell’Asteggiana ed altri fanno il tessitore di tele da pareto» (AST, Camera dei Conti, Seconda Archiviazione, capo 79, Statistica gen., m. 6). La comunità, che pagava tasse per 2000 lire all’anno, risultava ancora indebitata per più di 20.000, ma i commerci e la produzione vinicola davano buoni risultati.
Altri dati si ricavano dalla relazione dei misuratori Ferraris e Cabiati stesa il 24 giugno 1788 a completamento della confezione del Catasto: all’epoca il territorio di Casorzo era composto complessivamente da 3411,96 giornate, 3117, 67 delle quali, «comprese giornate 30,16 di caseggiato», erano sottoposte alla collettazione. 92,24 erano le giornate di beni ecclesiastici immuni e 39,25 di beni feudali altrettanto esenti dal pagamento dell’imposta di registro. I beni comunitativi erano di 17,61 giornate, mentre le «chiese esistenti nel caseggiato» ne occupavano solo 0,84. In proporzione, la tipologia catastale più consistente era costituita dalle «strade pubbliche del caseggiato e di campagna», per un totale di 123,50 giornate (AC Grazzano, Catasto, reg. 1, c. 52). Osservando il registro catastale, le proprietà erano parcellizzate (3476 appezzamenti) (Musso 2001, p. 57), ma nelle mani di poche famiglie (i conti Picco Pastrone e Magnocavalli, Allario, Allasio, Scoffone, Plano, Scarabello, Rabagliani, Calandra, Montiglio, Beccaro, Gatta, Tibaldi, Mezzena), per le quali, feudatari esclusi, si può ipotizzare la concentrazione in piccoli nuclei abitativi a mo’ di lignaggio parentale (patrilineare). Il dato può trovare qualche riscontro anche nel censimento effettuato nel 1871 dal parroco don Giovanni Minina che fotografa un paese abitato da gruppi composti da 13 a 90 famiglie disposti lungo le vie principali (strada comunale, vicolo del Castello, via Madonna delle Grazie, zona del nuovo asilo Bava-Calandra, Cantone San Giorgio, vicolo in Batano, vicolo Sottoripa, vicolo Maggiorana, via San Bernardo, via San Sebastiano, vicolo San Vincenzo, Cascine Monticello, Rivario, Gorgo, Malpensata, Val Fossato, Gara, Fornello, Molino, Cuvo, Madonna, Prato Casale) (Musso 2001, pp. 183 sgg.). La maggior parte dei Casorzesi svolgeva allora la professione di contadino; pochi gli artigiani e i professionisti, a segno che la vocazione commerciale dei secoli precedenti aveva quasi del tutto ceduto il passo all’agricoltura. Nel corso del XIX secolo, comunque, ebbe un certo impulso anche la tessitura della canapa, che veniva prima fatta macerare in una pozza d’acqua detta «Infermera», oggi interrata e sede di un parco giochi (Musso 2001, p. 131).
Dal punto di vista demografico, dopo la stabilità Sette-Ottocentesca (2236 ab. nel 1871, 2331 nel 1874) e il picco d’inizio Novecento (2500 ab. nel 1904), Casorzo subì la sorte di altre località della zona, colpito dagli effetti del mancato collegamento ferroviario e, soprattutto, della meccanizzazione dell’agricoltura. Perse via via abitanti fino a giungere ai 680 attuali. Oggi la principale attività del paese è la produzione di Malvasia D.O.C., alla guida di un consorzio di comuni degli immediati dintorni e delle relative cantine sociali.