Trivero

AutoriCerino Badone, Giovanni
Anno Compilazione2008
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia

Biella

Area storica

Biellese. Vedi mappa.

Abitanti
6.883 [dato aggiornato ISTAT al 31 dicembre 2001]
6.000 [dato aggiornato ISTAT al 31 dicembre 2013]
Estensione
ha 2988.
Confini
Camandona, Caprile, Crevacuore, Curino, Mezzana Mortigliengo, Mosso, Portula, Pray, Scopello (VC), Soprana, Strona, Vallanzengo, Valle Mosso, Valle San Nicolao.
Frazioni
Barbato, Barbero, Botto, Brughiera, Bulliana, Castello, Cereie, Dosso, Ferla, Ferrero, Fila, Giardino, Gioia, Grillero, Guala, Lora, Marone, Mazza, Mazzucco, Matrice, Molino, Oro, Piana, Polto, Ponzone, Pramorisio, Pratrivero, Rivarolo, Ronco, Rondò, Roveglio, Sant' Antonio, Sella, Vaudano, Vico, Villaggio Residenziale, Zegna, Zoccolo.. Vedi mappa.
Toponimo storico
Nel X secolo Trivero era detto Treveres o Triverium Bugellensium, nome che sanciva la dipendenza da Biella. Il nome è da ricercarsi nella posizione topografica degli abitati a cavallo di tre corsi d’acqua, il Sessera, Ponzone e Strona, da cui Tervè, composto dall'arcaico ava (acqua) divenuto altrove aiva, eiva, èva.
Diocesi
Il territorio di Trivero fu evangelizzato nel corso de IV secolo e venne sottomesso alla diocesi di Vercelli. Una nuova diocesi, con sede Biella e suffraganea dell’arcidiocesi di Torino, venne istituita il 1 giugno 1772, ricavandone il territorio dall’arcidiocesi di Vercelli. Tra i centri interessati ci fu anche Trivero. Soppressa durante l’amministrazione francese nel 1803, fu ristabilita da papa Pio VII [bolla del 17 luglio 1817], ponendola questa volta nella provincia ecclesiastica di Vercelli.
Pieve
Sul territorio di Trivero troviamo sei chiese parrocchiali: la parrocchia dei SS. Quirico e Giulitta alla frazione Matrice; la parrocchia dei SS. Fabiano e Sebastiano alla frazione Bulliana; la parrocchia di San Giuseppe a Pratrivero; la parrocchia della Visitazione a Botto; la parrocchia della SS. Trinità a Cereie; la parrocchia del Sacro Cuore a Ponzone.
Si trattano qui di seguito: a. Fondazione delle Parrocchie; b. Distretto pievano; c. Edifici storici e rapporti con le comunità; d. Rendite; e. Rapporti tra le parrocchie e con le altre presenze religiose.
 
a. Fondazione delle Parrocchie.
Parrocchia dei SS. Quirico e Giulitta. Situata presso la frazione Matrice, è la più antica delle parrocchie che insistono sul territorio comunale di Trivero. Dipendeva in origine dalla pieve di Naula, dalla cui decadenza sorsero rettorie come quella di Trivero, le quali avevano il diritto di possedere un fonte battesimale. Trivero era dotata di un proprio fonte almeno sin dal secolo XIV, sebbene gli antichi vincoli fossero confermati dal fatto che sino al XVI secolo l’acqua della fonte battesimale doveva essere fornita dalla parrocchia di Crevacuore, che aveva sostituito come vicariato la pieve di Naula. La fondazione è di antica data, mentre le attestazioni documentarie più antiche sono del 1298, anno in cui la chiesa di Trivero viene tassata per la cifra di 46 lire pavesi [Lebole 1980. p. 539]. Il primo parroco conosciuto è tale Aichino, pastore a Trivero nel 1303; la parrocchia sin dai documenti più antichi non risulta soggetta al patronato della comunità locale o di famiglie di rilievo. Nuovamente la parrocchia viene menzionata in quanto epicentro della crociata contro gli eretici dolciniani attestati sulle pendici del Monte Rubello. Nel 1497 era rettore della parrocchia Bernardo de Spinis, già canonico della collegiata di Santo Stefano di Biella, il quale nel 1510 rinunciava alla sua carica a Trivero in favore del fratello Antonio. Questo rimase in carica per alcuni anni sino a quando il fratello non ebbe ripreso la sua carica alla guida della chiesa triverese. Nel 1525 don Bernardo rinunciava nuovamente al suo incarico, in favore del capitolo di Santo Stefano di Biella. Il 31 dicembre dello stesso anno il vescovo di Vercelli Agostino Ferrero, con il consenso e l’approvazione del capitolo vercellese e su istanza dei canonici di Biella, decretava l’unione della chiesa parrocchiale di Trivero al Collegio degli Innocenti, che lo stesso vescovo Ferrero aveva fondato presso la collegiata di Santo Stefano. Questa unione durò sino al 7 luglio 1542, quando la parrocchia di Trivero venne staccata dal capitolo e unita alla chiesa di Mosso Santa Maria [Lebole 1980, p. 359]
Parrocchia dei SS. Fabiano e Sebastiano. Non si conosce l’anno preciso in cui la chiesa di Bulliana si staccò da quella di Trivero, ma sembra che questo sia avvenuto nel 1534 per iniziativa del vescovo di Vercelli Agostino Ferrero. Nello stesso anno infatti questi aveva elevato a parrocchia anche la vicina chiesa di Crocemosso. La visita pastorale del 1606 tuttavia presentava la chiesa di Bulliana come una parrocchiale subordinata a quella di Trivero, con un sacerdote definito vicecurato o “parochis per modum provisionis in loco Buliane cuius Eccclesia est unita parochiali Triverij” [Lebole 1980, p. 418]. Nel 1618 la popolazione locale si vide costretta a riformulare al vescovo la concessione della parrocchia e la sua autonomia dalla chiesa triverese per mezzo di una ambasciata portata dai priori della chiesa di Bulliana, Vercellino Panizzone e Bernardino Cerino. Per convincere il vescovo si fece presente lo sforzo compiuto dalla comunità per erigere un edificio più grande ed ampio e si avanzò la promessa di dotare la parrocchia di una rendita di sessanta scudi, in cambio del patronato, della fornitura degli arredi, dell’olio per la lampada del SS. Sacramento e dei ceri richiesti per le processioni e il viatico degli infermi. La missione ebbe pieno successo e il vescovo rifondò di fatto la parrocchia di Bulliana. Per la nomina del parroco fu deciso di radunare i capi famiglia per formare una rosa di quattro candidati da presentare al Vescovo, il quale avrebbe selezionato il più idoneo. Il patronato decadde definitivamente il 9 gennaio 1823, quando la comunità di Bulliana rinunciò a questo diritto in cambio del beneficio del regio aumento di congrua. Tuttavia la promessa di garantire la congrua alla parrocchia si rivelò più difficile del previsto: già nel 1661 il visitatore pastorale aveva dovuto segnalare che “gli uomini di detta Curia non gl’hanno [al parroco] mai volsuto pagare li scudi sessanta da fiorini nove l’uno con li quali dottarono detta Curia”. A loro volta i parrocchiani ribattevano di “non esser tenuti a pagarli la somma da lui pretesa per haver egli doppo che si ritrova al possesso della Cura sempre volsuto tener e goder quantità di pezze di campi, prati e castagneti, lasciati alla Chiesa, o sij Compagnie del S. Sacramento, Rosario et Suffragio, li cui proventi si dovevano ritirare e amministrare dalli ministri”. Il visitatore diede ragione ai parrocchiani, lasciando l’usufrutto alla parrocchia ed esentando la comunità dalla somma annuale pattuita [Lebole 1980, pp. 420-421]. La dote però fu richiesta nuovamente nel 1665, e ancora nel 1744 la richiesta di una dote, passata a 140 lire, veniva evasa solo da due terzi della popolazione. Si trattava di una parrocchia molto importante, in quanto aveva in carico la gestione del Santuario della Brughiera (vedi) e le annesse pertinenze. Da queste due parrocchie vennero in seguito smembrate altre parrocchie, probabilmente legate all’aumento della popolazione di centri abitati minori, come Pratrivero, Botto e Cereie.
Parrocchia di San Giuseppe. Pratrivero, dopo Bulliana e Portula, fu il terzo centro del comune di Trivero a staccarsi dalla parrocchia dei SS. Quirico e Giulitta. In origine il territorio della sua parrocchia comprendeva le frazioni di Prato, Barbero e Pramorisio, ma nel 1935 quest’ultima passava sotto la giurisdizione della nuova parrocchia di Ponzone. Pramorisio ebbe un proprio oratorio, dedicato a San Defendente, costruito alla fine del XVI secolo, mentre l’oratorio di San Giuseppe di Prato, che poi divenne sede della parrocchia, fu edificato solo nel 1668. Donazioni di terreni ed offerte della popolazione permisero ben presto l’erezione di una cappellania. Nel 1713 nella chiesa di San Giuseppe venne fondata una compagnia di disciplini, sotto il titolo della Madonna della Porziuncola, i cui membri diventarono ben presto i principali fautori dell’indipendenza parrocchiale. La prima supplica al vescovo risale al 1739, e insiste sulle difficoltà climatiche e territoriali che impedivano agli abitanti di Prato (poi Pratrivero) di raggiungere la parrocchia a Trivero. Il vescovo accolse favorevolmente la richiesta e iniziò la procedura canonica per la nuova erezione. Il 12 settembre 1739 i capi famiglia si radunavano sulla pubblica piazza del cantone e si impegnavano a versare ogni anno al futuro parroco la somma di 250 lire di Piemonte a titolo di congrua, riservandosi il diritto di patronato sulla chiesa e sulla nomina del parroco. Dopo una strenua resistenza messa in atto dal parroco di Trivero, il 6 agosto 1744 il vescovo fondava la parrocchia di Pratrivero. Nel 1762 il vescovo Solaro concedeva al parroco il titolo di pievano e alla parrocchia quello di pievania. Il patronato fu esercitato sino al 1784, quando esso divenne troppo gravoso. Il 30 ed il 31 maggio dello stesso anno i capi famiglia stabilivano di dare al parroco alcuni mulini di granaglia con quattro macine e uno di “folle di stoffe”, a patto di essere esentati dall’obbligo delle 250 lire annuali e rinunciando nello stesso tempo al diritto di patronato.
Chiesa parrocchiale della Visitazione a Santa Elisabetta (in frazione Botto). Botto di Trivero fu una delle parrocchie volute dal vescovo Losana. Il suo oratorio, dedicato alla Madonna, sotto lo specifico titolo della Visitazione a Santa Elisabetta, ha origini che risalgono al XVI secolo, e fu edificato dagli abitanti delle frazioni Botto e Vaudano. Nel 1665 gli abitanti di Botto richiesero al Vescovo di poter avere un cappellano per la messa festiva, che si impegnavano a stipendiare. Il vescovo concesse la messa festiva, ma solo per il periodo invernale. In seguito, grazie ad una serie di lasciti di terreni che permisero un aumento delle entrate, nel 1681 il vescovo permise al cappellano di celebrare nei giorni festivi. In quello stesso anno l’oratorio era diventato un piccolo santuario mariano, con un certo seguito di devoti e pellegrini. Alla fine del XVII questo aspetto devozionale era venuto a mancare e fino alla fondazione della parrocchia l’oratorio di Botto rimase una cappellania a beneficio delle frazioni di Botto, Vaudano e Pot. Il principale fautore della fondazione della parrocchia fu don Bartolomeo Ubertalli, cappellano di Botto, che, partendo da un capitale di 7.000 lire, riuscì attraverso donazioni ed offerta a portare ad una dote di 20.000 lire, con le quali poté siglare con il vescovo di Biella, il 9 luglio 1839, il contratto di fondazione del beneficio parrocchiale. Il 31 dicembre dello stesso anno il vescovo firmava il decreto di erezione della nuova parrocchia di Botto.
Chiesa parrocchiale della SS. Trinità di Cereie. Anticamente un oratorio dedicato allo Spirito Santo, nel 1840 con la fondazione della parrocchia l’edificio fu posto sotto il titolo della SS. Trinità. La sua esistenza è documentata agli inizi del XVII secolo, quando grazie a lasciti e donazioni fu possibile garantire il mantenimento di un cappellano. L’oratorio era amministrato da priori eletti annualmente dalle famiglie locali e le prestazioni del cappellano regolate da contratti. I beni posseduti dall’oratorio nel 1686 erano quantificati in otto appezzamenti coltivati a prato e castagneto; tali fondi alla metà del XVIII secolo non risultavano più sufficienti per la prebenda del cappellano e il mantenimento dell’oratorio. Si fecero pertanto costruire nel 1759 due mulini, ai quali seguì nel 1767 agli “edifici da una pista” da riso e da canapa. La situazione rimase inalterata sino al 1838, quando il vescovo di Biella Losana accoglieva la supplica della comunità e concedeva la vicaria perpetua, con l’onere di pagare annualmente 650 lire al vicario, da prendersi dai redditi di vari beni e censi, e di 400 lire in attraverso un unico versamento da parte della parrocchia di Trivero.  Venivano stabiliti i confini e concesso il diritto di celebrare nella chiesa le funzioni parrocchiali, compresi i battesimi e le sepolture, riservando però al vescovo la nomina del vicario. Il 27 giugno 1830 il vescovo Losana erigeva la nuova vicaria, elevata l’11 gennaio 1840 allo stato di parrocchia, dichiarandola di libera collazione [Lebole 1980, pp. 586-587].
Parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù di Ponzone. Fu questa l’ultima parrocchia a staccarsi da quella di Trivero, nel 1935. Esisteva in origine un oratorio, dedicato a San Defendente e collocato nel cantone di Pramorisio, sottoposto poi alla parrocchia di Pratrivero. Le attività industriali e la massiccia immigrazione, vercellese, novarese e poi veneta, nel primo dopoguerra diede vita alla borgata lungo la sponda sinistra del rio Ponzone. Si istituirono dei convitti per le ragazze venete, giunte a Ponzone per motivi di lavoro, gestiti dalle Suore del Cottolengo, ai quali seguirono asili e scuole elementari. Nacque presto l’esigenza di una cappellania, che fu collocata nell’asilo di Ponzone e finanziata dalla famiglia Giletti. Il vescovo di Biella, monsignor Garigliano, nel novembre 1928 inviò un viceparroco, don primo Zanotti, con l’intenzione di stabilire una nuova parrocchia per una località, Ponzone appunto, che era passata dalle 468 anime del 1900 alle oltre 1.200 degli anni Venti. Nel frattempo si diede inizio alla costruzione di una nuova chiesa; l’11 febbraio 1935 fu annunciato il decreto di erezione della parrocchia di Ponzone, con una dote di 70.000 lire in titoli di Stato [Lebole 1980, pp. 598-599].
 
b. Distretto pievano. Dopo il 1935 il territorio della comunità di Trivero risultava divisa in sei parrocchie, dalle quali dipendevano un santuario, dieci oratori e una cappella minore. Le parrocchie erano così organizzate:
- parrocchia dei SS. Quirico e Giulitta di Trivero. Oltre alla parrocchiale sono presenti sul territorio l’Oratorio di Sant’Antonio alla frazione Vico, l’Oratorio di San Bernardo sulla vetta del Monte Rubello, l’Oratorio di San Rocco a Trivero, l’Oratorio della Madonna del Carmine e di San Carlo alla frazione Sella, l’Oratorio dei Ss. Martino e Bernardo alla frazione Lora, l’Oratorio della Madonna del Buon Consiglio alla frazione Marone, l’Oratorio di Santa Lucia alla frazione Barbato e la recente Cappella degli Alpini sulle pendici meridionali del Monte Rubello;
- parrocchia dei Ss. Fabiano e Sebastiano di Bulliana. Sono presenti l’importante Santuario della Brughiera e l’Oratorio di San Rocco al cantone Fila;
- parrocchia di San Giuseppe di Pratrivero (Prato di Trivero). Sul territorio parrocchiale è presente l’Oratorio di Santa Liberata;
- parrocchia della Visitazione di Maria di Botto;
- parrocchia della Santissima Trinità di Cereie;
- parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Ponzone; sul territorio della parrocchia è presente l’Oratorio di San Defendente a Pramorisio, prima del 1935 faceva parte della parrocchia di Pratrivero.
 
c. Edifici storici e rapporti con le comunità.
- Parrocchia dei Ss. Quirico e Giulitta di Trivero. La parrocchia di Trivero subì gravi danni nel corso della crociata contro l’eretico Dolcino; alla successiva fase di ricostruzione risale il campanile tardo romanico e l’impostazione stessa della chiesa, che, seppure oggi composta da strutture tardo cinquecentesche con rifacimenti seicenteschi, è ancora orientata. Secondo la visita pastorale del 1567 l’edificio era a quattro navate, con cinque altari secondari. Nel 1573 una successiva visita ci informa che le cappelle erano dedicate a Sant’Agata, alla Beata Vergine delle Grazie, a San Nicolò, a San Giovanni Battista e alla Beata Vergine Maria. Nel 1606 la chiesa venne ridotta a tre navate, l’altare dedicato a San Giovanni Battista fu dedicato a Sant’Antonio da Padova e negli anni successivi ne venne aggiunto un altro in onore di San Giuseppe. Nel 1696 la chiese venne allungata di un’arcata ricavando due nuove cappelle, dedicate agli inizi del XVIII secolo alla Madonna del Carmine (1712, sede dalla Confraternita del Corpus Domini), e al Suffragio.
- Parrocchia dei Ss. Fabiano e Sebastiano di Bulliana. Situata nella frazione di Bulliana, l’attuale struttura è un rifacimento del XVII secolo di una precedente chiesa cinquecentesca – a sua volta posta su fondazioni più antiche - orientata. La chiesa parrocchiale venne benedetta dal vescovo Agostino Ferrero. La prima struttura, secondo la visita pastorale del 1571, era circondata da un cimitero ed aveva una copertura a capriata senza volte e pavimento, mentre i corredi erano ancora quelli del parroco di Trivero. La visita del 1573 lasciò anche una descrizione più accurata della struttura della chiesa, ad unica navata e orientata. Le capriate erano state coperte alla vista da un soffitto in legno a cassettoni, sebbene il pavimento – messo in opera l’anno seguente - fosse ancora mancante. Mancava il campanile, sostituito da due pilastri che sorreggevano la campana, e la sacrestia; due casse di legno nella chiesa conservavano i paramenti. Gli altari laterali erano dedicati a San Lorenzo e alla Madonna. Nel giugno del 1618 fu consacrata dal vescovo Goria la nuova chiesa, ricostruita sulle fondamenta della precedente; l’edificio si presentava ora a tre navate, con due altari laterali dedicati alla Madonna del Suffragio e a quella del Rosario. Insieme alla chiesa fu eretto anche il campanile. I lavori di fine XVII secolo riportarono la chiesa ad una navata, mentre sulle murature esterne vennero aperte sei cappelle laterali; vennero mantenuti l’altare della Madonna del Suffragio e quello della Madonna del Rosario, e furono aggiunti l’altare dell’Immacolata Concezione e di San Giuseppe. Le cappelle lasciate vuote furono adibite a battistero e ad area per le confessioni. Nella seconda metà del XIX secolo la chiesa, giudicata insufficiente per servire alle esigenze della comunità, fu allungata di una campata verso la facciata. In seguito ai gravi danni causati dall’abbondante nevicata del 1888 (oltre quattro metri nella zona di Trivero), furono rifatti il tetto, parte della volta, e furono costruite due nuove cappelle, mentre il battistero venne spostato. Vennero aperti al culto gli altari dedicati a San Gaetano, alla Madonna di Lourdes – completati nel 1913 – e per ultimo l’altare del Sacro Cuore, eretto nel 1929.
- Parrocchia di San Giuseppe di Pratrivero. L’idea di costruire un oratorio nella frazione Prato di Trivero maturò verso il 1665. Il primo documento che accenni al progetto della sua costruzione p una donazione da parte di Bernardino Loro “alla Chiesa da fabricarsi nel Cantone del Prato, sotto l’invocatione del Gloriosissimo S.to Giuseppe”. L’oratorio era in costruzione nel 1666 quando giunsero nuove donazioni di terreni, che dovevano essere venduti all’incanto. I proventi avrebbero finanziato i lavori del nuovo oratorio. I lavori non vennero ultimati, e nel 1676 ancora si stava ancora lavorando per terminare la facciata, chiusa con assi e travi di legno. Nel XVIII secolo però i lavori per ultimare la struttura ripresero vigore in quanto la posta in gioco ora era l’erezione di una nuova parrocchia: nel 1711 si stava ultimando l’ultima campata e la cappella per la nuova Madonna del Carmine. Nel 1735 era completato il coro e nel 1739 l’edificio riceveva le visite di rito in attesa dell’erezione a parrocchia: all’interno erano stati sistemati gli altari dedicati alla Madonna della Porziuncola e alla Conversione di San Paolo. Nel 1751 e nel 1757 furono allestiti gli altari del Suffragio e di Sant’Antonio; quest’ultimo nel 1830 fu dedicato alla Madonna Addolorata. Nel 1876 la chiesa fu ampliata da una a tre navate, sfondando i muri delle sei cappelle laterali. I nuovi altari furono dedicati alla Madonna degli Angeli, alla Conversione di San Paolo, alla Madonna del Rosario e alla Vergine Addolorata [Lebole 1980, pp. 552-562].
- Parrocchia della Visitazione di Maria di Botto. Nel 1606 l’oratorio di Botto, già dedicato alla Visitazione, risultava essere una costruzione di modeste dimensioni, ricoperta solamente dal tetto, priva di pavimento e con una piccola abside semicircolare. Lavori di ampliamento furono intrapresi nella prima metà del XVII secolo e portati a termine entro il 1661, anno in cui la visita pastorale lo ritrova trasformato in piccolo santuario mariano. Negli ultimi anni del XVIII secolo la struttura venne completamente ricostruita; nel 1869 la chiesa fu notevolmente ampliata e dotata di una sacrestia, che serviva da scuola pubblica, e di un campanile. La nevicata del 1888 fece crollare il tetto e la volta della chiesa; durante le fasi di ricostruzione furono edificate quattro cappelle, una adibita a battistero, e tre altari, dedicati al Suffragio – oggi scomparso –, a San Giuseppe e alla Madonna di Oropa [Lebole 1980, pp. 576-580].
- Parrocchia della Santissima Trinità di Cereie. Il primo edificio fu costruito probabilmente nel XVI secolo, in quanto viene descritto nella visita pastorale del 1606 come un oratorio assai misero, mancante della volta e del pavimento, con i muri non intonacati ed un piccolo altare. Era però dotato di priori che ne curavano l’amministrazione e il funzionamento. Lavori di ampliamento furono avviati nel decennio successivo e alla metà del XVII secolo, quando la struttura fu completamente ricostruita ed ampliata, lavori completati entro il 1675. Nel 1851 fu decisa la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, in una località diversa; fu scelto come nuova sede della chiesa il terreno lasciato in dote da Quirico Trabaldo, con l’onere di due funerali all’anno. Il cantiere venne completato negli anni Settanta del XIX secolo, mentre il campanile fu elevato nel 1886 [Lebole 1980, pp. 592-594].
- Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Ponzone. I lavori di fondazione furono avviati nel gennaio del 1930. Nel 1932 veniva aperta al culto la chiesa inferiore, poi divenuta la cripta. La chiesa vera e propria fu portata a termine nel 1950.
- Aree di sepoltura. Il primo cimitero di Trivero era collocato nell’area circostante la chiesa parrocchiale e sotto il portico della facciata. I lavori di ampliamento del 1696 resero necessaria una nuova riorganizzazione degli spazi cimiteriali, sebbene le inumazioni rimanessero sempre circoscritte all’area prativa circostante la chiesa, circondata da un muro di cinta. Internamente alla chiesa erano sepolti gli ecclesiastici e poche famiglie notabili di Trivero. I sepolcri all’interno della parrocchia erano collocati davanti all’altare di Sant’Agata, sebbene nel 1830 non fosse già più in uso: “vi è in questa parrocchia una sola sepoltura ben chiusa avanti l’altare di S. Agata a parte sinistra dell’entrata senza che in essa vi si seppellisca persona. Vi è il Cimitero che circonda la Chiesa, egli è alquanto scarso riguardo alla numerosa popolazione. I Sacerdoti di seppelliscono fuori delle porte della Chiesa, ed i fanciulli in una sepoltura esistente intorno alla Sagrestia ben chiusa e custodita da serraglio in ferro” [Lebole 1980, p. 395]. Nel XIX secolo il cimitero venne trasportato nella località attuale, alla frazione Vico. Fu benedetto il 2 agosto 1880.
A Bulliana l’area cimiteriale era collocata attorno alla chiesa, almeno dal XVI secolo per concessione del vescovo Agostino Ferrero. All’interno della chiesa c’era un altro sepolcro, nel quale erano sepolte le persone che ne facevano espressa richiesta e i bambini. Dal 1665 il cimitero dei fanciulli fu spostato sempre all’interno della chiesa, ma verso la facciata, mentre il sepolcro centrale venne di fatto chiuso. Nel 1867 fu costruito l’attuale cimitero, che iniziò ad essere utilizzato solo a partire dal 1878.
A Pratrivero il cimitero fu richiesto nel 1723 dai membri della confraternita della Madonna degli Angeli si rivolgevano alla curia di Vercelli, domandando il permesso di poter costruire all’interno della chiesa un sepolcro, che servisse da sepoltura sia per i confratelli che per gli altri abitanti della frazione. Il permesso venne concesso e il sepolcro fu benedetto il 30 ottobre 1726. Nonostante la feroce ostilità messa il atto dal parroco di Trivero, che vedeva in queste manovre delle confraternite un mezzo per minare la sua figura e l’unità della parrocchia, la curia decise di favorire gli abitanti dei cantoni di Prato, Pramorisio e Barbero e di eleggere “a loro convenuto luogo di sepoltura” l’Oratorio di San Giuseppe. Nel 1760-1761 fu edificata a lato della chiesa una cappella con due sepolcri, divenuti dal 5 novembre 1761 il cimitero della parrocchia. Il nuovo cimitero fu edificato nel 1879 [Lebole 1980, pp. 564-565].
A Botto il cimitero fu costruito nel 1839, in concomitanza con la fondazione della parrocchia.
A Cereie il cimitero fu costruito nel 1840 intorno all’antico oratorio dello Spirito Santo, poi prima parrocchia. Nel 1891 fu trasportato all’esterno dell’abitato.
Il cimitero di Ponzone venne benedetto nel 1941.
 
d. Rendite.
Parrocchia di Trivero. La Visita Pastorale del 1567 accenna alle rendite parrocchiali, garantite da alcuni appezzamenti di terreno, coltivati a prato, con piante di castagno e da una colletta di biada, fatta tra gli abitanti del paese. Tale operazione consentiva agli abitanti di poter dichiarare che “quanto al particolar delle decime gl’huomini gli danno della biada  [alla parrocchia] ma non in modo de decima ma spontaneamente per ellemosina dicendo che non sono obligati a pagar decime” [Lebole 1980, p. 360]. Tale situazione non venne a cambiare nel corso dei secoli successivi, e ancora nel 1819 il parroco si lamentava che “dalla massima parte di capi di casa [la decima] non viene corrisposta” [Lebole 1980, p. 360]. 
Parrocchia di Pratrivero. Nel 1830 veniva segnalato che delle “Decime primizie nulla, salvo d’una mezza emina segala, che si corrispondea da cadun particolare sino al 1822, epoca che cessarono idealmente, abbenchè il Parroco abbia ottenuto dalla Curia Vescovile di Biella con Decreto 17 dicembre 1824 la facoltà di conseguire dalla Chiesa Parrocchiale la somma di L. 200 in compenso di tale emina” [Lebole 1980, p. 561].
Parrocchia di Cereie. I beni posseduti dall’oratorio dello Spirito Santo nel 1686 erano quantificati in otto appezzamenti coltivati a prato e castagneto; tali fondi alla metà del XVIII secolo non risultavano più sufficienti per la prebenda del cappellano e il mantenimento dell’oratorio. Si fecero pertanto costruire nel 1759 due mulini, ai quali seguirono nel 1767 gli “edifici da una pista” da riso e da canapa [Lebole 1980, p. 587].
 
e. Rapporti tra le parrocchie e con le altre presenze religiose. A partire dal XVI secolo l’unità della parrocchia di Trivero, molto vasta e di fatto disposta lungo il versante sud-orientale della cresta del Monte Rubello e dello spartiacque con la Valsessera, iniziò a sfaldarsi.
La prima comunità a staccarsi fu quella di Bulliana, che ottenne nel 1534 il fonte e il cimitero, e nel 1618 l’indipendenza parrocchiale. Nel 1628 fu la volta di Portula, nel 1744 Pratrivero, nel 1839 Botto, nel 1840 Cereie e, nel 1935, Ponzone. Le liti tra la chiesa parrocchiale di Trivero e quella di Bulliana furono numerose, specie nel XVI secolo quando la comunità di Bulliana, nonostante i continui richiami, si rifiutava di pagare le decime al parroco di Trivero, di versare le elemosine e di celebrare i funerali a Trivero come promesso nel momento dell’elevazione a parrocchia della loro chiesa. La controversia venne sanata con la rifondazione e la totale autonomia della parrocchia di Bulliana nel 1616.
Osteggiata dal parroco di Trivero fu la nascita della parrocchia di Pratrivero, elevata nel 1744. Il parroco si sentiva defraudato delle offerte e delle decime – mezza mina di segala a famiglia - che potevano giungergli dai cantoni interessati alla formazione della nuova parrocchia. Non intendeva ostacolare la presenza a Pratrivero dell’Eucarestia, del fonte battesimale e del sepolcro per i fanciulli, ma assolutamente non poteva permettere la formazione di una nuova parrocchia. La precaria situazione delle strade, principale argomentazione messa in campo dagli abitanti di Pratrivero, erano secondo lui un’assurdità in quanto le stesse strade erano percorse ad ogni stagione dai mercanti diretti a Crevacuore, Borgosesia, Varallo e Orta, e proprio vicino all’oratorio di Pratrivero si trovava il casello daziario. Le spese per le perizie sulle strade si protrassero per ben cinque anni, e solo nel 1744 la situazione di sbloccò a vantaggio di Pratrivero. Come risarcimento la nuova parrocchia avrebbe dovuto offrire a quella di Trivero una torcia per la processione patronale e il diritto di una voce su tre nella nomina del parroco. Questo indennizzo non accontentò il parroco di Trivero che fece ricorso al nunzio apostolico di Torino, in quanto la perdita delle decime era un danno troppo grave rispetto al diritto di nomina che si vedeva attribuito dal vescovo. Il nunzio si espresse a vantaggio del parroco di Trivero, e il 25 gennaio 1746 impose ai parrocchiani di Pratrivero di versargli annualmente 32 lire, oppure effettuare un singolo versamento di 842 lire da investirsi in terreni e censi, il cui reddito formasse ogni anno la somma predetta. La comunità di Pratrivero iniziò a versare l’obolo sino al 1752, quando diede alla parrocchia di Trivero la somma di 842, 10 lire che fu investita in terreni a Masserano. La torcia invece fu offerta sino al 1879, anno in cui fu riscattata con la donazione di 130 lire. Per vendetta gli abitanti di Pratrivero non comunicarono i termini della nomina del nuovo parroco, che fu scelto senza che quello di Trivero ne fosse informato. Il ricorso fu immediato, ma non ebbe successo [Lebole 1980, pp. 547-548].
Trivero cercò in tutti i modi di bloccare sul nascere, e poi sabotare dall’esterno, la nascita della parrocchia di Portula. In particolare il parroco e i parrocchiani di Trivero cercarono, e per almeno due anni riuscirono, ad impedire che nella comunità vicina fosse nominato un parroco. Al punto che Portula nominò nel 1630 motu proprio un parroco, Guglielmo Furno di Bioglio che non venne mai riconosciuto dalla curia di Vercelli. Il parroco designato, Giovanni Maria Zegna, preferì sempre mantenersi alla larga dalla chiesa di Portula. Nel 1660, ritiratosi don Guglielmo dal suo ufficio, la lite per la nomina del nuovo parroco riesplose. Don Giovanni Zegna ripiegò più saggiamente sulla parrocchia vacante di Trivero, mentre l’incrollabile volontà di esercitare il giuspatronato da parte delle comunità di Portula, e la volontà opposta della curia vercellese di imporre curati di propria nomina resero possibili grottesche situazioni come la necessità di scortare nel 1661 un nuovo parroco, Guido Franco Buzano, con una compagnia di soldati, tutto a spese del comune. Il presidio fu mantenuto sino al 1673, anno in cui la lite, che nel frattempo era risalita dalla curia di Vercelli, alla Nunziatura di Torino sino alla Curia Metropolitana di Milano, fu composta con la vittoria dei postuesi, che ottennero le dimissioni di don Guido e la nomina di un nuovo parroco. La parrocchia di Trivero aveva ottenuto l’8 gennaio 1631 il riconoscimento materiale e morale della matricità. Il Vicario Generale Giovanni Antonio Aghemio stabiliva in tale occasione che ogni anno il parroco di Portula dovesse aiutare il parroco di Trivero nelle funzioni dei primi e dei secondi Vespri e nella Messa solenne della festa patronale dei Ss. Quirico e Giulitta, e che il console del comune di Portula offrisse durante la detta Messa solenne due libbre di cera bianca lavorata [Lebole 1980, p. 460]. L’offerta annuale della cera fu mantenuta sino al 1712, ma dopo tale anno il console di Portula disattese tale usanza sino al 1739, quando un ricorso presso le competenti autorità diede ragione ai triveresi. Nel XIX secolo tale usanza decadde definitivamente e anche il patronato fu abbandonato il 2 gennaio 1823, quando il comune rinunziò a questo privilegio per beneficiare del regio aumento di congrua [Lebole 1980, p.460].
Attriti, segnati anche da veri e propri conflitti armati, avvennero a causa della disputa tra le parrocchie e i comuni di Trivero e Mosso per il controllo del Santuario della Brughiera. La disputa portò uno stato di tale tensione che il 25 marzo 1643, nel giorno dell’Annunciazione, le processioni furono scortate da parrocchiani armati che non esitarono ad aprire il fuoco gli uni contro gli altri. La mira degli archibugieri di Trivero e Mosso non fu delle migliori, e non si contarono né morti né feriti, evento che venne ritenuto miracoloso. Da allora il santuario fu considerato parte integrante del comune e della parrocchia di Trivero [Lebole 1980, pp. 440-441].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Il territorio è fortemente contrassegnato dalla presenza di strutture religiose. Oltre alle tre chiese parrocchiali sono presenti sul territorio del comune di Trivero 13 oratori e un santuario. Qui di seguito si descrivono: 1 Santuari ed oratori (suddivisi per parrocchie); 2 Confraternite.
 
1. Santuari ed oratori
 
Parrocchia di Trivero
 
Oratorio di Sant’Antonio di Vico (secolo XV)
Costruito alla Frazione Vico, è uno degli oratori più antichi di Trivero, ed è menzionato per la prima volta nel XV, sebbene sia plausibile che la sua fondazione risalga al XIV secolo: il 17 dicembre 1497 Bernardo de Spinis, canonico della collegiata di S. Stefano di Biella e rettore della chiesa parrocchiale di Trivero, prendeva possesso della clericatura, con relativo beneficio, di Sant’Antonio di Vico, in forza all’unione di detto oratorio alla parrocchia, compiuta in tale anno dal Vescovo di Vercelli Urbano Bonivardi. In precedenza la clericatura era appartenuta al canonico Antonio de Spinis, che vi aveva rinunciato [Lebole 1980, p. 395]. La visita pastorale del 1573 lo descrive come un luogo molto povero, senza pavimento e ricoperto da un tetto a capriate, ad esclusione del presbiterio, dove erano presenti una volta interamente affrescata e due statue lignee, una dedicata alla Madonna e un’altra a Sant’Antonio di Tours. Nel corso del XVII secolo l’edificio venne completamente ricostruito. Al termine dei lavori, nell’agosto del 1664, don Pietro Foglia, prevosto di Trivero, fece donazione all’oratorio di una casa e di diverso beni, il cui reddito doveva servire a mantenere un cappellano per i giorni festivi. Il donatore si riservava, lui vivente, il diritto di patronato vedendolo alla sua morte al priore pro tempore e agli uomini dei cantoni di Vico, Mazza, Mazzucco e Piana. In seguito, per la tenuità dei redditi, i membri dei cantoni menzionati nelle volontà di don Foglia – ad esclusione di Piana – si impegnarono a versare al cappellano un reddito annuale, sino al settembre del 1759 quando cedettero come contropartita un mulino e alcuni edifici. Il diritto di patronato fu mantenuto sino al 1867.
 
Oratorio di San Bernardo (secolo XIV)
Costruito sul Monte Rubello (m 1450 s.l.m.), vetta piramidale sullo spartiacque con la Valsessera collocato a nord di Trivero, testimonia l'impegno preso dalle genti del luogo di ricordare la sconfitta dei seguaci di Fra Dolcino ad opera delle truppe capitanate dal vescovo di Vercelli ( 23 marzo 1307). L’origine votiva della struttura è confermata dall’obbligo ad un rappresentante di tutte le famiglie di essere presente alle celebrazioni in onore di San Grato, Santa Margherita e Santa Maria Maddalena. Si vuole che quello stesso anno la costruzione venisse innalzata in appena cinquanta ore, usando alla bisogna anche i resti delle fortificazioni ribelli. Il primo riferimento scritto relativo a tale edificio è del 1448, e vi si attesta che la struttura era dedicata alla Madonna, e ai santi Grato e Bernardo da Mentone. Nel 1573 il visitatore pastorale rilevava che all’interno erano presenti due statue, una dedicata alla Madonna e un’altra a San Bernardo. Le festività celebrate erano quelle previste nei giorni di San Bernardo, Santa Margherita, Sant’Anna e San Grato. La struttura muraria racchiudeva due cappelle, una addossata all’altra, con orientamento diverso. La funzionalità di quella che veniva definita “cappella esteriore”, che di fatto inglobava un sacello più antico, doveva servire ad officiare in occasione di grande concorso di popolo. La struttura fu ricostruita più volte nel corso del XVII secolo e nel 1837: attorno al fabbricato principale si creò un vasto portico, mentre sopra la chiesa si realizzarono alloggi per ospitare i fedeli. Nel tempo vennero apportate modifiche e rifacimenti e proprio durante  i lavori del 1936 vennero ritrovate punte di lance, resti di picche e ramponi da ghiaccio d' epoca dulciniana, reperti oggi conservati presso il Museo Civico di Biella. In realtà, data l’ambigua condotta delle genti di Trivero nel corso dei torbidi dolciniani, sino a tutta la prima metà del XX secolo le parrocchie avevano l’obbligo di garantire la manutenzione dell’oratorio e una o due processioni annue, con offerte votive. Il 15 giugno di ogni anno salivano le processioni dei paesi di Trivero, Mosso, Coggiola, Cossato, Portula, Bulliana, Crevacuore, Curino e Mortigliengo. Tale pratica fu abolita solo nel 1782, ma rimase in uso a Trivero. In occasione delle processioni si distribuiva un pane a tutti i partecipanti alla funzione che raggiungevano la cifra di quattromila persone.
 
Oratorio di San Rocco di Trivero (secolo XV)
Si tratta di una struttura antica, risalente al XV secolo, poiché nella convenzione stipulata tra il parroco e i parrocchiani di Trivero durante la visita pastorale del 1661 si fa riferimento a don Milano Falchetto, parroco di Trivero nel 1438. La più antica descrizione dell’oratorio, dedicato a San Giulio, è contenuta nella visita pastorale del 1574, dove viene presentato come una piccola e povera costruzione, mancante perfino del muro di facciata, ma dotata di un legato. I lavori di restauro furono avviati tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, e dopo il 1650 l’oratorio fu ricostruito dalle fondamenta, probabilmente su impulso della peste del 1632 in qualità di ex-voto da parte della comunità di Trivero, e dedicato a San Rocco. Nel 1711 l’edifico risultava degradato e cadente, e gli abitanti di Trivero decisero di ricostruirlo, dedicandolo però a San Giulio, titolare del primitivo oratorio, e a San Pietro. Ma quando si trattò di benedirlo ci si rese conto che nella chiesa parrocchiale già si celebrava solennemente la festa di San Pietro all’altare del Suffragio e quindi, per evitare intralci alle devozioni, l’oratorio fu dedicato a San Giulio e San Giovanni Battista.
 
Oratorio della Madonna del Carmine e di San Carlo alla frazione Sella (secolo XVII)
La sua costruzione fu ideata negli anni immediatamente successivi alla canonizzazione di San Carlo, e precisamente verso il 1620. Fu completato nelle forme attuali nel XVIII secolo.
 
Oratorio dei Ss. Martino e Bernardo alla frazione Lora (secolo XVI)
La documentazione della parrocchia di Trivero segnala, almeno dal XVII secolo, la presenza di un oratorio dedicato a San Martino, probabilmente già in decadenza o già scomparso agli inizi del Seicento [Lebole 1980, p. 407]. Nel 1862 sorse nel cantone Lora un altro oratorio, dedicato a San Martino e a San Bernardo, in sostituzione di un antico pilone a loro dedicato.
 
Oratorio della Madonna del Buon Consiglio alla frazione Marone (secolo XVIII)
L’oratorio è la trasformazione, avvenuta tra il 1768 ed il 1793, di una piccola cappella esistente alla frazione Marone e dedicata alla Madonna del Buon Consiglio. Tale iniziativa era motivata dalla necessità di avere un luogo più comodo dove seguire la messa, data la distanza dalla chiesa parrocchiale di Trivero. Il terreno per ampliare la costruzione fu donato dal comune di Trivero stesso. L’edificio fu benedetto il 7 dicembre 1793.
 
Oratorio di Santa Lucia alla frazione Barbato (1882)
L’oratorio fu costruito nel 1882 grazie ad un lascito del sig. Quirico Doda Tacchi, affinché gli abitanti di Barbato potessero utilizzarlo come luogo di preghiera. Alla morte di Doda Tacchi l’edificio fu lasciato in custodia alle famiglie delle comunità sotto la direzione del parroco di Trivero.
 
Cappella degli Alpini al Monte Rubello (1955)
Costruita lungo la strada della panoramica Zegna, fu edificata dalla sezione degli Alpini di Trivero ed inaugurata il 4 settembre 1955.
 
Parrocchia di Bulliana
 
Santuario della Beata Vergine della Brughiera (secolo XIV)
Posto nella parte occidentale del territorio comunale, ai confini con Mosso Santa Maria, la cui leggendaria formazione è dovuta all'apparizione della Madonna ad una giovane pastorella muta che riacquistò miracolosamente la parola. In realtà scavi archeologici condotti nel 2002 hanno dimostrato come un primo pilone segnasse il crocevia fondamentale della strada di transumanza che metteva in comunicazione il territorio di Trivero con i pascoli della Valle Sessera e della Val Sesia. Inoltre, la zona del santuario funge da collettore delle acque che giungevano alle borgate sottostanti, acque che erano convogliate in una complessa rete di canali. Il vasto pianoro detto “della Brughiera” divenne presto un luogo di incontro e di transito. Divenuto meta di pellegrinaggio, il suolo venne ben presto spianato per accogliere i fedeli e per favorire la costruzione di una cappella in onore della Madonna. Il documento più antico che descrive il santuario sono i resoconti della visita pastorale del 1600 e del 1606. Da tali descrizioni appare evidente l’assenza di ogni riferimento alla leggenda della pastorella e la presenza di un singolo edificio – l’attuale chiesetta piccola del santuario – già molto antico, dotato di una volta pericolante, senza pavimento e senza apparati decorativi ad eccezione dell’altare. Il visitatore si accorse immediatamente della posizione molto sensibile, verrebbe da dire “pericolosa”, dell’Oratorio; la chiesetta si trovava collocata a ridosso del confine tra i comuni, e le parrocchie, di Trivero e Mosso. Tale posizione fu sorgente di lotte accanite, che durante le annuali processioni al santuario degeneravano in risse e fatti di sangue. Dopo la sparatoria del 1643, riportata come “la battaglia della Brughiera”, l’oratorio fu assegnato definitivamente al comune e alla parrocchia di Trivero. Dopo tale data fu avviata la costruzione di una nuova chiesa, di dimensioni maggiori e posta al fianco di quella più antica, ultimata nel 1661. Per ribadire la dipendenza del santuario dalla parrocchia di Bulliana, e quindi da Trivero, nel 1824 vennero erette le cappelle della Via Crucis lungo la mulattiera che dalla parrocchia di Bulliana conduceva alla Brughiera. Dipinte dal pittore Avondo di Varallo l'anno successivo, vennero poi ritoccate da Antonio Ciancia nel 1879. Nella chiesa principale furono costruiti degli alloggi destinati originariamente ai religiosi destinati ad officiare la cappellania, destinazione che non venne a concretizzarsi. Al posto di un canonico venne alloggiato un eremita, che doveva seguire l’amministrazione, suonare l’Ave Maria il mattino e la sera, curare la pulizia di tutto il Santuario e in mancanza d’altro servire la messa.
 
Oratorio di San Teodoro e di San Rocco a Bulliana (secolo XV)
Sorgeva nelle vicinanze della chiesa parrocchiale, e la sua esistenza è ricordata nella visita pastorale del 1573, dove viene indicato come “sacellum” [Lebole 1980, p. 453]. Il visitatore si trovò davanti un piccolo edificio, mancante della volta, del pavimento e persino della facciata. Probabilmente si trattava più di un’edicola che di un vero e proprio oratorio. Dopo tale data il piccolo edificio fu demolito.
 
Oratorio di San Rocco al cantone Fila (secolo XVII)
Fu costruito in seguito alla grande epidemia di peste del 1630. Il visitatore pastorale nel 1661 trovava l’edificio ancora in costruzione [Lebole 1980, p. 454]. I lavori si fermarono proprio allora, con la facciata totalmente aperta; ancora nel 1692 l’oratorio non aveva subito sostanziali modifiche e rimaneva incompiuto.
 
Parrocchia di Pratrivero
 
Oratorio di Santa Liberata (post 1830)
L’oratorio fu edificato per un voto nei primi anni del XIX secolo; per la prima volta viene menzionato nel 1837, sebbene non vi siano tracce documentarie anteriori al 1830. Negli anni Sessanta del XX secolo fu demolito, in quanto ostacolo alla viabilità, e ricostruito ex novo a lato della strada [Lebole 1980, pp. 565-566].
 
Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Ponzone
 
Oratorio di San Defendente a Pramorisio (secolo XV)
Si tratta di una struttura antica, le cui prime fasi documentate risalgono al XVI secolo. Il visitatore pastorale nel 1606 lo descriveva come una costruzione di una certa ampiezza, dotato di un coro, anche se i muri non erano intonacati, pavimento e volta assenti. La struttura venne completamente rinnovata antro il 1650, quando fu terminata la facciata e collocati gli stipiti. La visita pastorale del 1661 trovava l’oratorio completo in ogni suo elemento architettonico [Lebole 1980, p. 604].
 
2. Confraternite.
Sono segnalate nella parrocchia di Trivero le compagnie del SS. Sacramento e del S. Rosario, fondate rispettivamente nel maggio del 1589 e il 9 settembre 1584. Nel 1712 venne a collocarsi nella parrocchiale anche la Compagnia del Corpus Domini, la quale gestiva l’altare della Madonna del Carmine nella chiesa parrocchiale.
Nel 1713 nella chiesa di San Giuseppe di Pratrivero venne fondata una compagnia di disciplini, sotto il titolo della Madonna della Porziuncola, i cui membri diventarono ben presto i principali fautori dell’indipendenza parrocchiale.
Il 22 marzo 1872 viene fondata nella chiesa parrocchiale di Botto l’ultima confraternita di disciplini della Diocesi, dedicata al Suffragio. Era aggregata all’arciconfraternita di Santa Maria in Monterone a Roma e aveva sede in un altare laterale che portava lo stesso titolo.
Assetto Insediativo
Centro insediativo sparso. Non esiste un centro denominato Trivero propriamente detto. I luoghi che in epoca storica hanno regolato la vita della comunità sono stati Trivero Matrice, sede della parrocchia di San Quirico e Giulitta, Bulliana e sovrastante santuario della Brughiera. I toponimi, sia dei centri abitati che del territorio, sono collegati ai corsi d’acqua (Trivero, Bulliana), alle attività di allevamento o transumanza (Stavello, Caulera). Solo con lo sviluppo dell’industria laniera e la meccanizzazione della produzione nel corso del XIX hanno assunto maggiore importanza i centri posti in corrispondenza dei solchi vallivi di fondovalle e in corrispondenza di corsi d’acqua sfruttabili per esigenze industriali, quali appunto Ponzone e il nuovo centro legato alle industrie laniere quali il Centro Zegna. Vedi mappa.
Luoghi Scomparsi
Monte Cattivo. E’ segnalata la presenza di un edificio fortificato, appartenente ai Bolgaro e distrutto nel 1379. Questo castello, posto dirimpetto al santuario della Brughiera controllava una vasta zona di pascoli e la mulattiera che da Trivero Matrice si innestava con la grande strada di transumanza che lambisce il santuario. L’idea che se ne può ricavare, tuttavia, è che più che un insediamento perduto, questo sia un insediamento “mancato”, in quanto la distruzione di un elemento aggregante come un edificio fortificato abbia di fatto reso molto più fluida la presenza di edifici nella zona. Risultano scomparsi anche l’Oratorio di San Giacomo, un tempo collocato lungo la strada che da Crevacuore sale a Flecchia. Era menzionato nelle visite pastorali del 1574 e del 1606, dopo di che non si trovano più menzioni a suo riguardo. Altra struttura scomparsa è la chiesa della frazione Oro, menzionata solamente nella visita pastorale del 1606 [Lebole 1980, pp. 410-411].
Comunità, origine, funzionamento
Ogni cantone poteva presentare un console e un numero variabile di consiglieri, solitamente due o tre, che partecipavano al consiglio retto da un podestà. Nel corso del XVIII secolo ciascun cantone limitò il proprio consiglio di comunità composto a un console e due consiglieri eletti o scelti a scadenza annuale, i quali partecipavano alle riunioni generali della comunità.
Statuti
Consules sono presenti sin dal XIII secolo ma solo verso la fine del XIV secolo, in concomitanza con l’assoggettamento di Trivero al ducato di Savoia, vennero stabiliti gli Statuti della Communità di Trivero, confermati dal Duca Emanuele Filiberto il 12 maggio 1561 [[Fontana 1907, Vol. III, p. 207]. L’attuale statuto è del 1991 [http://www.comune.trivero.bi.it/on-line/Home/PortaleComunale/AMMINISTRAZ.... Vedi testo.
Catasti
Il catasto più antico del territorio di Trivero è conservato nell’archivio storico del comune, ormai ridotto a fogli staccati con l’estimo di proprietà fondiarie [[ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 24]. A questo segue un volume d’estimo dei terreni, con l’indicazione dei proprietari, la qualità, il tipo di coltura, la località ed il reddito agricolo. Tale documento risale al XV secolo [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 1].
La scissione del comune di Portula, e la mancanza di un registro aggiornato, costrinsero Trivero a dotarsi di un nuovo registro catastale. Non a caso già nel 1707 fu deciso da parte della comunità di Portula di dotarsi di un proprio catasto sostenendo che “la Comunità di Portula altre volte membro di Trivero, ritrovandosi il catastro ancor hoggi unito con detto Trivero corroso per la sua antichità e in diversi luoghi mancanti di quantità di fogli dall’anno 1677 sino al 1685 e seguente dell’ordine di VAR e suoi eccellentissimi Magistrati, e in specie di quello del 7 genaro 1677, ha fatto procedere alla general misura di quel territorio” [ASC Portula, Mazzo 1].
Le misure messe in atto da Portula portarono o consoli a decidere prima la rimisurazione dei territorio e dei confini entro il 1710 [misurazione citata nella Copia dell’attestazione giudiziale delle risposte date dalla comunità in occasione della misurazione del territorio nel 1710 datata al 1790. ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 29]; tre anni più tardi, nel 1713, Trivero si decise a promuovere una delibera per la realizzazione del nuovo catasto [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 24]. Nel 1723 fu completato il nuovo Catasto suddiviso in due volumi [ASC Trivero, Serie prima, Mazzi 2-3]. Su questa base vennero realizzati tra il 1771 e il 1791 ben tre “Libri dei trasporti delle proprietà dei particolari”, ciascuno per il quartiere di Vico [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 4], Chiesa, Bulliana [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 5]. Nel 1791, complici le liti per i pascoli comuni dell’alta Valsessera, si resero necessarie nuove misurazioni e registri di proprietà, tra i quali i preliminari “Libro campagnolo della misura generale del territorio”, lo “Stato di tutti i beni che sono confrontati alli pascoli della comunità”, realizzati nel 1791, e un “Brogliazzo del catasto” del 1796 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 6]. Nel 1793 fu realizzato un “Casellario della misura generale del territorio” e un “Libro nel qual resta descritto il ristretto del quantitativo de’ beni da ciascun Particolare posseduti” [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 7]. Lo stesso anno si arrivò alla stesura di un “Catasto figurato” di due volumi [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 8], due volumi di Catasto ordinario [ASC Trivero, Serie prima, Mazzi 9 e 10], un “Sommarione del Catasto” e una “Copia del Sommarione del Catasto” per l’uso di ufficio [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 10]. Su questo nuovo catasto vennero ad innestarsi tra il 1795 ed il 1854 i nuovi “Libri dei Trasporti”, “della parrocchia Matrice [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 12, Mazzo 13], Bulliana [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 14], Pratrivero [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 15] e “dei Forensi e Immuni” [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 16].
Nel 1853 furono realizzati nuovi Libri dei Trasporti, per la “parrocchia di Botto” [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 17], Bulliana [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 18], Cereje [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 19], due volumi per la “parrocchia di Matrice [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 20, Mazzo 21], Pratrivero, [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 22], “proprietà dei forensi” [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 23].
Tra il 1897 ed il 1898 fu realizzato un nuovo catasto, del quale nell’archivio storico del comune sono raccolti i documenti preparativi [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 24] e due volumi di “Matricola dei proprietari dei terreni” [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 25], aggiornati tra il 1899 e il 1908 [ASC Trivero, Serie Seconda, Mazzi 1-3].
Ordinati
I primi documenti degli ordinati comunali, raccolti come “Proposte e conclusioni originali”, sono del 1613 e presentano varie lacune: 1613-1622, 1643-1644, 1652-1653, 1666-1667, 1680, 1683, 1684, 1687. Dal 1713 sono raccolti come “Ordinati originali”, nuovamente con varie lacune: 1713-1720, 1730-1733, 1764-1765, 1775-1780, 1778-1801, 1810-1811 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 29, Mazzo 30]. Dal 1814 non esistono soluzioni di continuità sino al 1897 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzi 31-35]. Esistono delle “copie degli ordinati”, raccolte per gli anni 1778-1795 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 35], 1796-1861, 1814-1824 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 36]. Ugualmente per gli anni 1815-1822, 1824-1827, 1830-1849 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 37].
Dipendenze nel Medioevo
Il centro di Trivero è sin dall’origine legato strettamente alla realtà della città di Biella. Trivero era detto, nei documenti del X secolo, Triverium Bugellensium. Nel 999 l'imperatore Ottone III conferma la donazione a Leone, vescovo di Vercelli, insieme ad altre, delle acque di Treverenem. I cantoni che formano la comunità di Trivero erano parte del comune di Trivero, possesso del Vescovo di Vercelli almeno dal X secolo, quando Ottone III lo concesse al vescovo Leone [MGH, D I, pp. 359, 452]. Tale possesso fu confermato nel XII secolo, quando il diploma di Corrado III conferma al vescovo Rainerio il possesso di cinque castelli compreso Trivero [MGH, D XI, doc. 267]. Il 5 febbraio 1198 i figli di Giacomo di Bulgaro, Raineri e Uberto, si divisero le terre biellesi poste lungo il torrente Cervo. Raineri entrò in possesso di Trivero, Rossiglione, Lessona, parte di Cossato, Villarboit e Candelo; a Uberto rimase Mottalciata, Gifflenga e Castellengo. Donato dagli Imperatori del Sacro Romano Impero ai vescovi di Vercelli, questi continuarono a investire del feudo la famiglia Bolgaro. Nel XIII secolo, i signori di Trivero, non riconoscendo l' autorità dei vescovi, consegnarono il feudo al comune di Vercelli, che nel 1313 lo diede in pegno al suo vescovo Umberto Avogadro di Valdengo. Passata Vercelli sotto i Visconti, anche Trivero subì la stessa sorte dal 1351 al 1373. I Bolgaro però non avevano mai rinunciato ai loro diritti e impedirono alla comunità di eleggere i consoli e gli altri ufficiali esigendo dazi e gabelle. Nel 1379 si sottomise, come gli altri territori biellesi, al conte Amedeo VI di Savoia; l'ingombrante presenza dei Bolgaro permaneva, nonostante la dura resistenza dei locali e la lunghissima lite [Lite della comunità con i nobili Bulgaro, pergamena del 1443 che descrive lo snodarsi del contenzioso tra il 1391 ed il 1443, ASC Trivero, serie Prima, Mazzo 45; Lite della comunità con la famiglia Bulgaro, feudatari del luogo, tre pergamene redatte tra il 1429 ed il 1459, [ASC Trivero, seire Prima, Mazzo 46] culminò in una rivolta contro i feudatari e la distruzione dell’ultimo edificio fortificato ancora presente in zona (Castello del Monte Cattivo).
Feudo
Trivero chiese assistenza diretta al duca di Savoia nel 1403, poi Carlo Emanuele I infeudò Trivero con il Mortigliengo a Giovanni Wilcardel, signore di Fleury, che divenne Marchese di Mortigliengo e Trivero il 3 marzo 1619. Ricondotto ai Savoia, venne venduto ai Delfino di Cuneo con titolo comitale nel 1722, poi donato a Domenico Della Chiesa, Conte di Cervignasco, nel 1797.
Mutamenti di distrettuazione
Decaduta la monarchia sabauda nel dicembre del 1798 e proclamata la Repubblica Piemontese, il territorio fu riorganizzato il 2 aprile 1799 dal commissario Joseph M. Musset con la formazione di quattro dipartimenti denominati Eridano, Dora, Tanaro e Sesia; in quest’ultimo era collocato il territorio di Portula. Il 2 aprile 1801 la Repubblica Subalpina fu divisa in sei dipartimenti: Po, Marengo, Tanaro, Sesia, Stura, Dora, a loro volta suddivisi in circondari. La comunità di Trivero venne a trovarsi parte del dipartimento della Sesia: tale maglia amministrativa preannunciava l’annessione alla Francia, ufficializzata l’11 settembre 1802. Anche in seguito alla riorganizzazione del territorio piemontese fu decisa attraverso il decreto imperiale del 17 prativo anno XIII (6 giugno 1805): Trivero rimase nel dipartimento della Sesia, arrondissement di Biella, cantone di Mosso Santa Maria. La provvisoria sistemazione territoriale del Regno di Sardegna del 1814 fu realizzata con l'editto di Vittorio Emanuele I del 7 ottobre 1814, poi rivisto con l'editto del 27 ottobre 1815 susseguente all'incorporazione della Liguria, mentre la riorganizzazione amministrativa definitiva fu sancita il 10 novembre 1818, quando venne stabilmente adottato un modello di compartimentazione basato su quello dell'Impero napoleonico e organizzato, sempre, su quattro livelli amministrativi: la Divisione corrispondente al Dipartimento francese e amministrata da un Governatore, la Provincia corrispondente all'Arrondissement, il Mandamento corrispondente al Cantone, ed il Comune. Il comune di Trivero diventava parte della divisione di Novara, provincia di Biella, mandamento di Mosso Santa Maria. [Circoscrizione Degli Stati di S. M. in Terraferma Colla designazione Delle Rispettive Autorità Ecclesiastiche, Giuridiche, Civili, Economiche, ed Amministrative. Col confronto della Attuale Popolazione Con Quella Del 1700, 1723, e 1750 ed Elenco alfabetico relativo delle Comuni, Torino 1820, p. 37]. A seguito del decreto Rattazzi del 13 ottobre 1859 il Comune di Trivero venne a far parte del Circondario di Biella, nella Provincia di Novara. Nel 1927 il territorio divenne parte della nuova provincia di Vercelli [R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1 “Riordinamento delle circoscrizioni provinciali” G.U. 11 gennaio 1927, n. 7]. Dal 1992 Trivero è parte della Provincia di Biella [D.LGS. N. 248 del 06/03/1992 pubblicato sulla G.U. n. 77 del 01/04/1992].
   In anni recenti ha aderito alla Comunità Montana Val Sessera, Valle di Mosso e Prealpi Biellesi. Vedi mappa.
Mutamenti Territoriali
Nel 1832, in seguito alla “Decisione della Contesa circa l’Orogrosso”, parte dei confini dei comuni di Portula e Trivero vennero ridisegnati nella zona di Oro Grosso (Alta Valsessera) per porre fine ad una disputa di confine che si trascinava dal 1795 [ASC Portula, Mazzo 16, Decisione della Contesa circa l’Orogrosso].
Comunanze
Sino al 1796 era considerato area di uso civico l’intero bacino dell’alta Valle Sessera, a monte di Coggiola e tra lo spartiacque del Biellese e della Valle Sesia. Nel 1815 il comune incominciò a  restringere quest’area tra la riva sinistra del Sessera e lo spartiacque valsesiano. L’Inventario dei Beni appartenenti al Comune di Trivero del 1860, oltre 54.000 are di “Pascoli lasciati tuttora liberi al pubblico” in quanto “terreno ribelle ad ogni coltura e per esser riconosciuti indispensabili, come che limitrofi, alli poveri abitanti che un massima parte sono addetti all’allevamento del bestiame”. Il comune affittava “ad uso di alpi per pascolo” altri 86.262 are di terra, con un ricavo annuo di 5.700 Lire. Altri terreni di bene comunale erano 2.632 are, tra i quali erano compresi l’alveo del Sessera e del Ponzone [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 73].
Nel 1873 una nuova ricognizione dei Beni Civici porta ad un elenco di un totale di 24 fondi rurali: Alpe Camperiente, Stromba, Collette, Baroso, Fontanamora, Campo, Piana della Berma, Bondale, Piane di Buronzo, Teggione, Scalogne, Bonda da Taume, Giamsolia, Pozzo, Pontiggie, Scalrenci, Picchera. L’Affitto di questi fondi procurava al comune un’entrata di 11.325 lire. La relazione individuava due precise aree di Beni Civici. I primi erano posti “Al di là della montagna di San Bernardo”, e suddivisi in tre tipologie di terreni, ripartite in “Bosco e pascolo”, “Prati con cassine esistenti” e “Rocca nuda”, per un totale di 1.739,71 ettari. Il secondo gruppo di fondi era disperso “nelle regioni Rovione, Vaure, Bastia, Promorisio, San Bernardo, e Collegno, libero al pascolo mediante annua tassa sul bestiame”. Anche in questo caso venivano individuate tre tipologie di terreno, a “Bosco”, “Rocca” e “Pascolo e Gerbido”, per un totale di 496.58 ettari. [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 73].
Nel 1940 l’estensione totale dei Beni Civici era quantificata in 1027.43.97 ettari, “utilizzabili esclusivamente come bosco e pascolo permanente”, sui quali “venne accertato l’uso civico di pascolo, legnatico ed erratico a favore della popolazione” [Torre 2011, p. 345]. Le zone soggette a comunanza erano in buona parte concesse a privati dalle autorità comunali previo il pagamento di un affitto, detto “Cutic”, per l’uso dei pascoli [Torre 2011, p. 347]. Il 15 gennaio 1941 tali aree furono concesse in enfiteusi alla famiglia Zegna, con contratto stipulato infine il 27 aprile 1943 [Torre 2011, p. 346].
Liti Territoriali
Tra il 19 e il 22 giugno 1288 (Borello –Tallone, Le carte, I, p. 223) viene arbitrata una lite per confini fra Trivero e Mosso, o meglio tra consoli e credenzari di Mosso (i cui cognomi corrispondono ai principali cantoni) e "alcuni" di Trivero (tutti Sella: forse si tratta di Valle Superiore?): lo scopo è definire comunia et curiam rispettivi. “Da Pioala dritto alla pietra con croce de medio Horo de Margoxio, alla "pietra crociata" in cima a Margoxii: a W è di Mosso, a E di Trivero. Da cima Margoxio "volcendo per la Colma verso Trivero e verso Sella Bella fino alla pietra crociata in cima Culma: verso Sessera è di M., verso E è di Trivero. Da questa pietra crociata verso altra pietra crociata in Selleto de Paliario "a parte intus" e traversando "recte" il bosco verso Sessera, e da questa pietra crociata in mezzo alla schena de Paliario fino a Culmam e ritornando a mezza Culmam verso Margoxio ad altra pietra crociata in cima a Faygello "de intus" possono segare et buscare tutti in comune, e nessun canparius dei due comuni possa intervenire. Dalla pietra crociata in Selleto de Paliario fino a pietra crociata in cima Culma de capite Faygelli, da queste due pietre verso ovest è di mezzogiorno verso est (...) di Trivero. Da Selleto de Paliario a termine di pietra posto da sindaci e arbitri e da questo termine per medium canale de Cornariis fino a Sessera verso ovest è di mezzogiorno, verso est è di Trivero....”.
Nel XVI secolo si era aperta una lite con la comunità di Scopello e Pila per l’uso dei pascoli degli alpeggi di Campo Argento, Imera e Laveggi. Un primo compromesso fu raggiunto nel 1407 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 46]. Tale soluzione non fu molto stabile e nel 1437 Scopello, spalleggiato da Pola e Failongo, erano nuovamente in lite aperta per l’uso dei pascoli comuni, sfruttati indebitamente anche dalle comunità di Coggiola e Crevacuore [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 46]. Nel 1553 veniva nuovamente composta la lite con l’attribuzione dei confini “potestas arbitralis” fu rogata nella chiesa parrocchiale di Trivero nel 1553 dal notaio Stefano de Valle di Bioglio [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 29]. Un confine certo fu però stabilito solo nel 1858 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo 29].
Le dispute con Mosso non terminarono e continuarono ad acuirsi negli anni. Il luogo simbolo di questa lite è l’area di pascolo del Santuario della Brughiera. Nata sui confini dei Comuni e delle parrocchie di Mosso e di Trivero portò a continue risse tra la due popolazione che ne richiedevano la proprietà; nel 1643 il Santuario viene affidato dal comune di Trivero alla parrocchia di Bulliana ponendo fine ai litigi. L'evento storico più eclatante è senz' altro quello relativo alla "battaglia" del 25 marzo 1643, quando due processioni - provenienti l' una dal Triverese e l' altra da Mosso - si scontrarono e ne nacque una rissa con sassate e archibugiate poiché entrambi i comuni si contendevano la proprietà del santuario. Si racconta che mentre infuriava la lotta apparve nel cielo la Vergine, che raccolse nelle sue mani le palle dei fucili così che nessuno ne restasse offeso. Un grande quadro ancor oggi conservato nella chiesa grande ricorda quella cruenta vicenda: è la famosa “tela delle sparate”, dipinta sul finire del sec. XVII forse da Pietro Lace. [Vedi scheda Mosso].
Le liti con Mosso Santa Maria continuarono nel XVIII secolo e sono legate alla conflittualità interna al Mandamento di Mosso. Nel 1766 si intraprende la Misura generale del (tutti i cantoni tranne Veglio); Croce Mosso chiede la divisione anche di giornate 500 (circa ha 180) tra Alpi, Boschi, gerbidi e Roche" ancora in comune tra tutto il Mandamento. La divisione deve avvenire "in proporzione di Ducati" ma è contetsta dagli altri cantoni. Questo processo conduce, tra luglio e agosto 1772, alla risoluzione delle pendenze territoriali da parte dell'intendenza con "opportuni instrumenti di convenzione": con Campiglia il 24 luglio1772; con Vallanzengo e Trivero il 4 agosto1772 [ASC Trivero, Serie prima, Mazzo24. Vedi inoltre scheda Mosso].
Altre liti territoriali si segnalano con il comune di Portula nel momento stesso in questo decise di staccarsi da Trivero. In quest’ottica rientra la necessità per Portula di dotarsi di catasti – sia quello del 1709 che quello del 1792 - preparati con una vistosa e, per certi versi, ridondante introduzione nella quale è spiegato il metodo delle misurazioni sul terreno, i magistrati interpellati e i testimoni, sia di Portula che delle comunità vicine, interpellati per favorire le misurazioni. Nonostante il catasto, le comunità di Portula e Trivero continuarono a monitorare i loro confini, realizzando già nel 1710 dei «Testimoniali di trasferta con ricognizione de terreni, e confini de territori di Trivero e Portula dell’anno 1710» [ASC Portula, Mazzo 10]. Tale espediente venne anche impiegato per la realizzazione del nuovo catasto del 1792, e l’apparente volontà di chiudere in maniera pacifica i contrasti ha prodotto tracce documentarie anche a Trivero [ASC Trivero, Mazzo 52, Copia d’atti di linea territoriale tra la Comunità di Trivero e quella di Portula, 1788]. I contrasti sorsero infine per la sistemazione dei confini nell’alta Valsessera, in particolare intorno alla gestione dei pascoli dell’alpe di Oro Grosso, e nel 1790 la comunità di Trivero iniziò a contestare i confini dei beni civici di Portula [ASC Trivero, Lite della comunità di Trivero con la comunità di Portula, 1790]. Questa nel 1792 aveva provveduto da far piantare, dove necessario, «un termine di pietra bianchinastra di figura quadrilonga della longhezza di oncie dodici largo oncie cinque per due di spessore» [ASC Portula, Mazzo 4, Catasto della Molto Magnifica Comunità di Portola. Formato in Dipendenza della Misura generale l’anno 1792]. Solo nel 1835 la lite venne composta grazie alla cessione di una parte del territorio comunale e la rinuncia ad avere come linea di confine lo spartiacque della Cima della Mora, accettando la presenza di beni comuni triveresi sullo spartiacque di Oro Grosso [ASC Portula, Mazzo 14, Decisione della contesa circa l’Orogrosso].
Fonti
A.S.B. (Archivio Storico di Biella). Vedi inventario.
 
A.C.T. (Archivio Storico del Comune di Trivero). Consistenza: faldoni 630 (la consistenza nota è riferita alla sola sezione 1391-1951). L'archivio del Comune di Trivero è stato oggetto di un intervento di riordinamento a cura di T. Gamaccio, iniziato nel 1990.
 
La sezione storica (1391-1951) è stata completamente riordinata e inventariata e ne è stato prodotto l'inventario nel 1994.
Da quel che si ricava dal carteggio della Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d'Aosta e dal Comune, la sezione di deposito (1952-1999) è stata solo parzialmente riordinata. Le carte sono state suddivise secondo le 15 Categorie, delle quali unicamente le prime 10 sono state riordinate. Il resto dell'archivio è ancora oggi in fase di riordinamento. Presso l'Archivio di Stato di Biella, nel fondo Archivio Storico della Città di Biella, sono conservate cinque antiche pergamene del Comune di Trivero (1392-1435).
Presso il Comune sono conservati gli archivi non ordinati della Congregazione di carità, dell'Ente comunale di assistenza, del Patronato scolastico. Comitato comunale e dell'Ufficio di conciliazione; di tali fondi non si hanno ulteriori informazioni.
Comprende due subfondi/sezioni cronologiche: comune di Trivero, 1391-1951 (630 faldoni) .Comune di Trivero, 1952-1999 (consistenza complessiva non disponibile). Documentazione collegata: Cinque pergamene del Comune di Trivero (1392-1435)Conservata presso: Archivio di Stato di Biella/Archivio Storico della Città di Biella/Comuni diversi
ASCT (Archivio Storico del Comune di Trivero)
ASC Portula, Archivio Storico del Comune di Portula
APT (Archivio Parrocchiale di Trivero)
APB (Archivio Parrocchiale di Bulliana)
ASB (Archivio del Santuario della Brughiera)
APPT (Archivio Parrocchiale di Pratrivero)
APB (Archivio Parrocchiale di Botto)
APP (Archivio Parrocchiale di Ponzone)
APC (Archivio Parrocchiale di Cereje)
AST (Archivio di Stato, Torino)
ACVP. (Archivio della Curia Vescovile di Biella)
ACVA. (Archivio della Curia Vescovile di Vercelli)
BRT (Biblioteca Reale di Torino)
MGH: Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, tomus II, pars 2, Ottonis III diplomata, Hannover 1879-84.
 
Bibliografia
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Borello 1933; L. Borello, Le carte dell’Archivio Comunale di Biella fino al 1379, in “Biblioteca della Società Storica Subalpina”, n. 136, 1933.
G. Calleri, le condizioni di Mosso all’inizio del 1700;
Borrello- Tallone; Borello, Luigi -Tallone, Armando,  Le carte dell'archivio comunale di Biella, Voghera, Tip. Gabetta, 1927-1933, 4 volumi.
Fontana 1907: L. Fontana, Bibliografia degli Statuti dei Comuni dell’Italia Superiore, 3 voll., Torino 1907.
Gabotto 1896; F. Gabotto, Biella e i vescovi di Vercelli, in Archivio storico italiano, serie V, vol. XVIII, 1896.
Giovannacci Amodeo 1988; G. Giovannacci Amodeo, Nuova guida di Biella e del biellese, Biella 1988.
Guida 1892; Guida illustrata per il villeggiante nel Biellese, Torino 1892.
Guida 1882; Guida per gite alpine nel Biellese e indicazioni sull’industria del circondario, Torino 1882.
Lebole 1980; Delmo Lebole, Storia della Chiesa biellese. Le pievi di Puliaco II – Gifflenga – Santhià – Ivrea – Naula, Biella 1980.
Maglioli 1874; E. Maglioli, L’utilizzazione dell’acqua a forza motrice ed i boschi in relazione ad essa nel Biellese, Torino 1874.
Pipino 2010: G. Pipino, Documenti minerari degli Stati sabaudi, Ovada 2010.
Torre 2011; Angelo Torre,  Luoghi. La produzione di località in età moderna e contemporanea, Roma, Donzelli, 2011.
Valz Blin 1973; R. Valz Blin, Le comunità di Trivero e Portula, Biella 1973.
 
 
Cartografia Storica.
G. Blaeu, Pedemontana regio cum Genuensium territorio Montisfernati Marchionatu, Amsterdam 1628.
G. Cantelli, La Signoria di Vercelli e la Parte Settentrionale del Monferrato divisa come posseduta da i Seren.mi di Savoia e di Mantova, Roma 1691.
V. Coronelli, Il Monferrato, Venezia 1696.
G. Gastaldi, Tavola nuova di Piemonte, Venezia 1561.
G. Gastaldi, Regionis subalpinae vulgo Piemonte appellatae descriptio, aeneis nostri formis excussa, Amsterdam 1573.
G. Giolito, Il Piamonte, Venezia 1556.
J. Hondio, Principatus Pedemontii, Ducatus Augustae Praetoriae, Salutii Marchionatus, Astae, Vercelarum et Niceae Comitatus Nova Tabula, Amsterdam 1626.
G. De l’Isle, Carte du Piemont et du Monferrat, Paris 1707.
G.A. Magini, Piemonte et Monferrato, Bologna 1620.
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G. Mercatore, Pedemontana regio cum Genuensium territorio Montisfernati Marchionatu, 1638.
P. Mortier, Le Cours du Po dans le Piemont et le Monferrat, Amsterdam 1735.
P. Santini, Carte qui connet le Principaute de Piemont, le Monferrat et la Conté de Nicé avec la Riviere de Ponent de Gènes, Venezia 1779.
G. Stechi, Disegno particolare del Piemonte et Monferrato e dei suoi confini, Venezia 1598.
P. Du Val d’Abbeville, Le Piemont et le Monferrat, Paris 1690.
 
Descrizione Comune

Trivero

   Trivero è un insieme di luoghi, un gruppo di centri abitati che, uniti tra di loro da una comunanza di usi di acque e pascoli, formano l’insieme della comunità di Trivero. Ed è un territorio che vive due periodi ben distinti. Il primo è il momento che vede il territorio legato ai pascoli, alle transumanze ed in parte allo sfruttamento minerario dei bacini dell’alta Valsessera [Pipino 2010, p. 167]. I transiti sono particolarmente intensi, e Trivero era un crocevia di passaggi lungo le direttrici sudovest/nordest, e nordovest/sudest, ossia era la cerniera dei movimenti dalla Valsesia alle pianure vercellesi e da Biella al novarese. Mentre le strade attuali hanno privilegiato queste ultime direzioni, l’antico cammino verso la Valsesia, che attraversava il vasto passo , o sella, di Stavello, sono oggi ridotti a sentieri o malconce mulattiere. Non a caso tale passo, che mette in comunicazione il biellese con l’alta Valsessera e, indirettamente, con la Valsesia, era già stato fortificato in epoca medievale – sicuramente durante le vicende belliche legate alla presenza di eretici dolciniani nel 1306-1307 – mentre il tragitto era sottoposto a manutenzione continua, come è testimoniato dalla ricostruzione nel 1756 del ponte della Babbiera sul Sessera, nel versante nord al di sotto del passo di Stavello [Lebole 1980, p. 362]. Il passaggio di numerose persone attraverso i territori della comunità di Trivero rese questa località, o meglio le sue località, ideali per chiudere nel sangue faide o portare a termine vendette. Non a caso il registro dei morti delle parrocchie di Bulliana e Trivero, seguite da quella di Portula, segna il primato di uccisioni ed assassinii dell’intera diocesi di Biella [Lebole 1980, p. 363]. In un secondo momento ai pascoli e alle transumanze si associa - e siamo nella seconda metà del XIX secolo - il mondo dell’industria tessile, che sposta il centro di gravità degli abitati dalla montagna al fondovalle o in precisi centri di produzione e cambia i connotati alla montagna, con un intenso sfruttamento di ogni area di pascolo. Prima dell'avvento della meccanizzazione, uomini e donne si alternavano, quasi in ogni casa, alla filatura e tessitura della lana. Con l'avvio del processo di industrializzazione, nei primi decenni dell'Ottocento, i maggiori fabbricanti della zona furono tuttavia indotti a spostare le loro attività in aree di fondovalle, dove le acque dei torrenti scorrevano più costanti e copiose. Ma non si trattò di un "abbandono" definitivo. Quando infatti a inizio Novecento l'introduzione dell'energia elettrica svincolò le fabbriche dalla localizzazione lungo i corsi d'acqua, ciò che avvenne a Trivero è l'emblema del profondo legame, affettivo oltre che economico, che univa alcuni imprenditori ai loro territori d'origine: se infatti in quegli anni molti industriali biellesi scelsero di spostare i loro stabilimenti in aree di pianura, meglio servite dalle vie di comunicazione, altri decisero invece di "risalire" le valli per dare nuovo impulso a centri di antica tradizione laniera, ove la presenza di una manodopera specializzata, radicata nei paesi d'origine, veniva riconosciuta come una garanzia di successo dell'attività imprenditoriale. E' il caso, a Trivero, degli Zegna, che nel 1907 inaugurarono un nuovo stabilimento, costruito secondo criteri progettuali aggiornati, e che da allora segnarono profondamente la storia di questo territorio, con la realizzazione ad esempio negli anni '30 di un "Centro Assistenziale" per gli operai e, negli anni '50, della strada Panoramica, oggi “Oasi Zegna”. Scendendo verso Ponzone si attraversa Pratrivero, un altro centro laniero sede del lanificio Vitale Barberis Canonico e di varie filature. Verso est lungo il torrente Sessera si allineano alcuni importanti centri industriali: Pianceri, Pray, Coggiola e Masseranga. Molti fabbricanti delle zone di Trivero e Portula, per sfruttare la forza motrice idraulica del torrente, scelsero di impiantare qui nel corso dell'Ottocento le loro attività produttive: i Bozzalla, gli Ubertalli, i Fila, i Lesna e i Bruno Ventre a Coggiola, i Lora Totino e i Trabaldo Togna a Pray e Pianceri. A questo processo di progressivo addensamento delle fabbriche lungo il Sessera, particolarmente intenso a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, corrispose, in quei centri, un considerevole aumento demografico. Emblematico il caso di Trivero, che nel 1861 contava 4.418 abitanti, nel 1881 crebbe a 4923, per arrivare nel 1931 a ben 7591 abitanti. Nel 1961 la cifra raggiunse il record di 9.066 abitanti. All'assenza di vie di comunicazione efficienti, tratto distintivo di quest'area lungo quasi tutto il secolo, si iniziò a porre rimedio solo dopo la realizzazione, nel 1870, della strada provinciale Biella-Pettinengo-Ponzone-Borgosesia, con la costruzione del tronco Coggiola-Pray-Pianceri, di una strada che univa Coggiola a Trivero e a Mosso Santa Maria e della linea ferroviaria a scartamento ridotto Grignasco-Coggiola, inaugurata nel 1908. La storia dell'industria laniera biellese è strettamente legata a quella di Trivero e risulta legata al suo territorio tipicamente pedemontano, ricco di boschi e di acque, popolato in origine da comunità di piccoli agricoltori e di piccoli allevatori. Su questo scenario la produzione della lana si muove, nell'arco di due secoli, dall'alto delle vallate alla pianura. E' noto come le prime attività artigianali e proto-industriali in produzioni destinate al mercato si sviluppino in Biella fin dal Medioevo. Tuttavia, quando nel 1750 la provincia di Biella annovera i due terzi dei telai per panni di tutto lo Stato sabaudo, i centri importanti sono Trivero, Portula, Occhieppo Superiore, Vallemosso, Sordevolo, Crocemosso, Santa Maria di Mosso. Originariamente la produzione si svolge a domicilio, coordinata dal "mercante-imprenditore" che fornisce la materia prima e vende il prodotto finale. A partire poi dai primi decenni dell'Ottocento, con la progressiva meccanizzazione del sistema di produzione, la manifattura si sposta verso i fondovalle, lungo i corsi dei torrenti, in edifici verticali multipiano che sfruttano al meglio la forza idraulica come forza motrice e che con il tempo tendono a ospitare un numero sempre maggiore di fasi di lavorazione. Accanto all'accentramento dell'attività produttiva in stabilimenti industriali, l'industrializzazione del territorio comporta la realizzazione di infrastrutture, di collegamenti viari per merci e manodopera, di canali di derivazione per l'energia idraulica, di servizi diversi come scuole, asili, convitti e villaggi operai. Alla fine dell'Ottocento, il paesaggio di Trivero appare fortemente industrializzato, ormai costellato da grandi fabbriche e piccoli opifici (Trivero, Fila, Ponzone). La fase di stallo, se non di crisi, che l'industria laniera attraversa alla fine dell'Ottocento si interrompe quando, tra gli ultimi anni del secolo e i primi decenni del Novecento, l'introduzione dell'energia elettrica consente alle fabbriche di abbandonare i corsi d'acqua per collocarsi in aree pianeggianti, anche trasformando il loro aspetto architettonico attraverso lo sviluppo in orizzontale. La rinascita della produzione segna però il progressivo abbandono di molte delle architetture industriali delle valli, destinate nel volgere di qualche decennio a divenire reperti della cosiddetta archeologia industriale. Della produzione laniera biellese si ha notizia già dagli statuti trecenteschi, mentre della sua organizzazione è noto come, tra Cinquecento e Settecento, si articoli in maniera diffusa sul territorio: gli addetti al lanificio lavorano a domicilio materie prime o semilavorati che l'imprenditore ha consegnato e tornerà a ritirare per la finitura e la vendita. Alcune manifatture si organizzano per lavare, cardare e filare la lana in modo da rifornire i telai domestici, o si dedicano alla tintura del prodotto finale. Verso la fine del Settecento sono 253 le aziende che lavorano la lana nel Biellese, ma dal secondo decennio dell'Ottocento l'introduzione del telaio meccanico innesca un lento processo di innovazione della produzione, destinato a segnare profondamente il territorio con la realizzazione di architetture industriali appositamente progettate e costruite. Nei grandi opifici multipiano degli anni Ottanta e Novanta dell'Ottocento si svolgono o specifiche lavorazioni o lunghi tratti della catena produttiva o, in alcuni casi, il ciclo completo. Allo sviluppo della produzione laniera si accompagna, rilevante nell'economia biellese, quello dell'indotto, innanzitutto officine meccaniche per la riparazione e la produzione di macchine tessili, poi fabbriche di accessori (come i pettini e i licci) o concerie, per la produzione di cinghie per telai o manicotti per carde. In seguito all'avvio del processo di industrializzazione (1816), grandi e severi opifici pluripiano di tipo "manchesteriano" avevano iniziato a sorgere spesso sul luogo di più antichi mulini, cartiere o setifici, riadattati e ampliati nelle loro strutture. L'adozione del modello "manchesteriano", impiegato nel Biellese con un ritardo di diversi decenni rispetto a quanto si era verificato in Inghilterra, era dettata tuttavia dalle medesime esigenze tecniche e produttive, riassumibili nella distribuzione in verticale dei sistemi di trasmissione dell'energia idraulica e nella necessità di ampi spazi interni indivisi in cui insediare le diverse fasi della produzione: preparazione e pettinatura della lana ai piani inferiori, filatura e tessitura ai piani superiori. Nella fabbrica alta biellese caratteri tipologici ricorrenti - la pianta rettangolare con una larghezza di manica di circa dodici metri, cadenzata internamente da una serie di sostegni di spina; un numero di piani variabile sino ai sei o sette, normalmente attestato sui tre, quattro fuori terra - si accompagnavano all'assenza pressoché totale di qualsiasi ricercatezza figurativa e al ricorso a materiali tipici dell'edilizia rurale locale: pietra, legno, laterizio, solo in un secondo tempo integrati dall'impiego di componenti metallici e dal calcestruzzo armato. A partire dalla seconda metà dell'Ottocento l'edificio alto iniziò ad essere affiancato da capannoni a un piano, talvolta a due o più piani verso il torrente, ad ospitare i magazzini e i locali destinati alle caldaie e al deposito del carbone, fiancheggiati dalle ciminiere. In seguito, con l'introduzione dell'energia elettrica, molte industrie si rilocalizzarono in aree di fondovalle o di pianura meglio servite dalle vie di comunicazione, costruendo nuovi stabilimenti a "shed", capaci di garantire un'illuminazione uniforme dei grandi saloni di lavorazione e spesso contraddistinti da una maggiore attenzione al trattamento dei prospetti esterni e ai loro caratteri di decoro. La mancanza di carbon-coke, il combustibile fossile utilizzato in Inghilterra a partire dalla fine del '700 per azionare le macchine a vapore, impose agli imprenditori biellesi di costruire le fabbriche lungo i torrenti, in località spesso impervie e lontane dai centri abitati. Era possibile così sfruttare i salti d'acqua - quelli naturali, oppure quelli artificiali realizzati con rogge e derivazioni - per mettere in moto, tramite grandi ruote idrauliche, alberi motore verticali che grazie ad apposite trasmissioni trasferivano il movimento ad alberi orizzontali disposti a ogni piano, e di qui infine con l'ausilio di pulegge e di cinghie fino alle diverse macchine operatrici. La fabbrica, costruita intorno ai percorsi del movimento, veniva commisurata anche nelle sue dimensioni alla quantità di energia che poteva essere prodotta e trasferita, senza eccessive perdite dovute ad attriti, sino alle "meccaniche". Nella seconda metà dell'Ottocento, a fronte di una sempre più massiccia meccanizzazione delle diverse fasi di lavorazione, gli industriali biellesi iniziarono a ricorrere, nei momenti di magra dei torrenti, alla forza motrice generata dalla macchina a vapore. Questa forma di energia venne tuttavia utilizzata in funzione ausiliaria: per quanto infatti il costo del carbon-coke fosse diminuito, con il miglioramento dei mezzi di trasporto, esso era comunque ancora piuttosto rilevante.